Francisco, Yamara e Sadegh Il sogno dell`appartamento italiano
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Francisco, Yamara e Sadegh Il sogno dell`appartamento italiano
Codice cliente: 8813030 Corriere della Sera Domenica 10 Novembre 2013 La storia Cronache 19 italia: 57575052495249 Gli studenti seguono corsi di moda e ingegneria. Sedef, 24 anni, turca: «Meglio di Parigi, quando finisco voglio restare» Francisco, Yamara e Sadegh Il sogno dell’appartamento italiano MILANO — Generazione controcorrente: se tutti si accalcano all’uscita, loro hanno scelto l’entrata. Non per caso, raramente per ripiego: credono nell’Italia più degli italiani. In 110 mila, secondo i dati dell’European Migration Network, sono venuti a studiare qui nell’anno accademico 2011-2012. Per contenerli tutti, ci vorrebbe uno stadio grande una volta e mezza San Siro. Non sarà un’invasione di «cervelli», ma è una trasfusione di fiduciosa gioventù, a fronte dell’emorragia di ragazzi italiani che aspirano a percorrere il tragitto opposto ed espatriare appena possibile. In effetti, soltanto un universitario su 26, in Italia, è straniero: meno del 4%. In Gran Bretagna i forestieri sono quasi il 22%, in Germania sfiorano l’11% e la media europea è di poco inferiore al 10%. Per quei quattro ogni cento il biglietto da staccare è, preferibilmente, per Bologna, Roma, Pisa o Firenze: in assoluto il centro Italia occupa la metà superiore della lista degli atenei multietnici. Ma in percentuale sono a Milano, a Torino e a Genova le aule più internazionali. E le facoltà tecniche, come Economia, Ingegneria o Medicina, assorbono quasi metà degli studenti immigrati. Che, contrariamente a quanto si possa sospettare, non fuggono da nazioni sottosviluppate. Vanessa Bauer, 21 anni, si è lasciata alle spalle la virtuosa Germania di Angela Merkel e la quiete di un piccolo paese, Orscholz, rannicchiato al confine con il Lussemburgo e la Francia, per iscriversi al corso triennale di comunicazioni interculturali dell’Università Bicocca, a Milano. «Seguendo il consiglio di un’insegnante che aveva vissuto qui, sono venuta per uno stage da traduttrice in un’azienda di videogiochi pedagogici. All’inizio vivevo in una famiglia, come ragazza alla pari». Oggi Vanessa si è emancipata. Abita al Collegio di Milano, dove gli universitari stranieri sono il 20%, e si prepara “a diventare mediatrice culturale e a lavorare alle Nazioni Unite NICOLA MARFISI/FOTOGRAMMA Dalla Germania al Brasile: 8 stranieri che hanno scelto Milano Francisco Angel Lopez Vizcaino, 24 anni, di Barcellona, ha scelto prima l’università, la Bocconi, e di conseguenza il Paese: «Non ce n’è una altrettanto buona in Spagna. A Londra magari sì, ma è troppo cara. Unico neo: la burocrazia italiana. Peggio della nostra». James Ndichu, 26 anni, da Nairobi, ammette invece che la prima opzione per i suoi studi di economia sarebbe stata proprio Londra, ma dopo due mesi all’Università Cattolica non ha rimpianti. «Tornerò in Kenya — promette — per aprire un giorno la mia banca d’affari». Il turco Ersel Örge, 29 anni, è certamente uno dei pionieri, oltre che il decano della residenza milanese, dove è arrivato due anni e mezzo fa, direttamente da Smirne per inseguire la sua passione: la moda. Non si è scoraggiato di fronte alla retta annuale di 12 mila euro richiesta dalla Nuova Accademia di Belle Arti. Si è battuto per una borsa di studio che coprisse metà dell’importo e si è guadagnato il resto come disegnatore di magliette per Zara e H&M. A tesi quasi conclusa, ora non accetta più stage gratuiti nemmeno nelle case più prestigiose: se lo vorranno, Dolce e Gabbana o Romeo Gigli dovranno metterlo a libro paga. Anche la sua concittadina Sedef Hasdemir, 24 anni, è stata attratta in Italia dal mito di Valentino e dai bagliori dei marchi di lusso, ma si prepara a un futuro da manager, alla European School of Economics: «Meglio Milano di Parigi — non dubita —, e quando finirò gli studi a marzo spero di restare». La messicana Yamara Rios e il brasiliano (di origini italiane) Gianmatteo Sperandio, 25 e 24 anni, sono compagni di corso alla Scuola Politecnica di Design, sulle orme di Giugiaro e Pininfarina: «Tre anni fa, in Messico, il primo colloquio alla Chrysler mi ha aperto un mondo — assicura Yamara, laureata in Ingegneria meccanica ed elettronica a Monterrey —, poi ho seguito il progetto per la 500 e da quel momento ho deciso che il mio avvenire sarebbe stato in Italia, alla Fiat». Gianmatteo non soffoca il richiamo del sangue: «Le auto italiane sono più che macchine, sono opere d’arte». Yamara approva: «L’ingegneria tedesca è ottima, ma il design è freddo. In Italia è come un ballo. E poi sento che Milano mi ha già adottata». Fuggono i cervelli, ma arrivano i cuori. Foto di gruppo 1 2 3 4 5 6 Ersel Örge, Turchia Gianmatteo Sperandio, Brasile Yamara Rios, Messico Sadegh Shams, Iran 1 7 8 Vanessa Bauer, Germania Francisco Angel Lopez Vizcaino, Spagna James Ndichu, Kenya Sedef Hasdemir, Turchia 2 8 3 7 4 6 5 D’ARCO 110.000 Gli studenti stranieri che hanno scelto l’Italia nell’anno accademico 2011/2012 secondo i dati diffusi dall’European Migration Network Gli studenti vengono nel nostro Paese per avviare gli studi universitari (o para universitari) o proseguirli con corsi post laurea o per una Ong: la mia occasione era qui — spiega —, perché in Germania questo indirizzo di studi non c’è. Avrei dovuto scegliere tra scienze politiche o economia. La politica non m’interessa e le multinazionali tantomeno». E se rifarà la valigia, «magari per un master a Berlino», non si porterà, dell’Italia, il ricordo di un paese ostile ai giovani. L’«appartamento italiano» di Francisco, Yamara, James, Sadegh, Ersel, Sedef e Gianmatteo ricorda poco la baraonda spagnola del film di Cedric Klapisch e della spensierata, eterogenea combriccola installata, per un anno di disinibito Erasmus, nel centro di Barcellona. A 11 chilometri da piazza del Duomo, nella periferia — riqualificata, ma comunque poco pittoresca — di Baggio i sette ragazzi condividono con una cinquantina di coetanei le stanze dell’Expo College che, da tre anni, affianca il Collegio di Milano con l’obiettivo di accogliere 500 studenti entro il 2015. Tutti selezionati come Sadegh Shams, 25 anni, arrivato da Teheran per studiare telecomunicazioni al Politecnico: «L’Italia è famosa in Iran per l’alta tecnologia e la sua rete di telefonia mobile. Qui ho trovato professori che mi ascoltano e un ambiente molto più incoraggiante di quello dei miei amici, che hanno preferito la Germania. Il limite semmai sono io, non le opportunità». Elisabetta Rosaspina © RIPRODUZIONE RISERVATA Online Sul Canale Scuola di Corriere.it interventi di pedagogisti ed esperti. Marco Rossi Doria chiama in causa i genitori «Il tempo delle Medie»: storie, problemi (e consigli) Bulli e ragazze, prof vecchi, noia e tanta vergogna. È il tempo (difficile) delle medie, quello in cui non si è più bambini e non si è ancora nemmeno adolescenti. In cui ci si allontana dai genitori come unica figura di riferimento ma si stenta a trovarne di nuove fra docenti davvero troppo distanti per età ed esperienze (l’età media dei professori è di oltre 50 anni). I risultati di questa incomunicabilità reciproca sono sotto gli occhi di tutti. Il verdetto delle statistiche internazionali (Pirls, Timss, Pisa) non lascia scampo: mentre i bambini italiani alle elementari se la cavano benone, anche meglio di molti loro coetanei, il rendimento precipita proprio nel passaggio alle medie (come ben dimostrato da una ricerca della Fondazione Agnelli). È così che ormai si sprecano le metafore negative sulla scuola media: «anello debole», «buco nero» del sistema dell’educazione italiana. Nata 50 anni fa per garantire un’istruzione di qualità a tutti, la media unica c’è riuscita solo a metà: ha innalzato sì il livello di scolarità (prima i figli degli operai e dei contadini erano «condannati» all’avviamento professionale, se mai ci arrivavano) ma non ha saputo garantire a tutti i ragazzi le stesse opportunità di successo scolastico. Con il risultato che mentre nella scuola primaria i bambini viaggiano ancora abbastanza alla pari, le differenze socioculturali esplodono proprio alle medie: quanto più la famiglia è istruita, tanto migliori sono i risultati scolastici. Per questa ragione il Canale Scuola di Corriere.it (corriere.it/scuola) ha deciso di dedi- Incomunicabilità L’illustrazione è tratta dal libro di James Patterson «Scuola media, gli anni peggiori della mia vita», Salani editore care un dossier alle medie. C’è il parere della pedagogista Anna Rezzara che spiega le difficoltà dell’adolescenza, l’età ingrata in cui il corpo (che cambia) è ossessivamente al centro dei pensieri dei ragazzi. C’è il ricordo dello scrittore Antonio Pascale sulle sue medie senza ragazze, fra Mazzola e il «Che». E quello di Paolo Conti sui suoi temi letti ad alta voce davanti al resto della classe, tremando per il giudizio dei compagni. C’è il racconto fatto da Nico Naldini a Paolo Di Stefano di quando suo cugino Pier Paolo Pasolini leggeva Ungaretti e Montale ai figli dei contadini nella scuola media di Versuta, in Friuli. E una videointervista al sottosegretario Marco Rossi Doria che auspica un passag- gio meno traumatico dall’ambiente ovattato delle elementari a quello più freddo e anonimo delle medie. Una scuola più accogliente per i ragazzi, certo. Ma Rossi Doria mette anche in guardia i genitori dal rischio di essere troppo protettivi. Perché, forse, dietro le «colpe» della scuola media c’è un problema educativo più ampio: una diffusa fragilità, un’incapacità di accettare gli insuccessi scolastici, di strutturare il senso del limite che chiama in causa tutti, anche i genitori. E che va affrontata insieme. © RIPRODUZIONE RISERVATA Su Corriere.it/scuola Tutti gli interventi nel Canale Scuola Il ministro a Pisa Libridigitali eFondazioni «Aiutate lascuola» PISA — La digitalizzazione dei libri di testo? Un processo irreversibile. «Attenzione però — avverte il ministro Maria Chiara Carrozza — la cosa più importante restano i contenuti». E, con la crisi e i tagli nel settore pubblico, servono anche i finanziamenti privati. Perché si può parlare di progetti, piattaforme e-learning, ipermedia, scrittura condivisa e nuvole digitali, ma se mancano i soldi tutto resta nell’iperuranio delle buone intenzioni. «Segnali importanti arrivano da alcune Fondazioni bancarie — spiega la ministra dell’Istruzione —, come la Cassa di risparmio di Livorno e Lucca, che hanno cofinanziato insieme al Miur iniziative e bandi rivolti alle scuole. È un esempio positivo che vorrei portare a livello nazionale». È Maria Chiara Carrozza a monopolizzare l’attenzione del convegno «Uno, nessuno, centomila. Libri di testo e risorse digitali per la scuola italiana in Europa» organizzato da Scuola Normale Superiore di Pisa e Miur. Ascolta da Gli esempi «In Toscana ci sono esempi positivi che vorrei portare a livello nazionale» spettatrice e, ai margini del seminario, risponde anche all’insidiosa domanda sulla doppia rottamazione di libri cartacei e professori over 70. Precisa di non voler rottamare nessuno (né libri né professori) però ribadisce che «ci sono tante persone di 30 e 40 anni che hanno vinto concorsi universitari e non riescono ad insegnare nei nostri atenei». E, sulla questione del testo digitale o cartaceo, è necessario « scegliere il modo con il quale investiremo e avviare un serio dibattito scientifico e pedagogico sui contenuti». Scomparirà il caro vecchio manuale scolastico? «Assolutamente no, sarà ancora protagonista –— spiega Giorgio Riva, direttore generale Rcs Education, tra i relatori del convegno —. Il libro di testo è e sarà il centro di gravità attorno al quale ruoteranno ambienti multimediali condivisi e altri servizi». Riva mostra i dati di una ricerca europea sulle competenze nella lettura degli studenti quindicenni che proiettano il Nord Europa nelle prime posizioni (al top c’è la super tecnologizzata Finlandia) e vede l’Italia arrancare verso il basso e posizionarsi al quartultimo posto sulla presenza delle tecnologie nelle scuole davanti a Romania, Slovacchia e Turchia. «Non è poi così rilevante se il libro di testo è digitale e cartaceo — spiega —. L’importante è che continui ad essere l’insieme di contenuti ordinati del sapere, il simbolo di una conoscenza omogenea e condivisa». Marco Gasperetti © RIPRODUZIONE RISERVATA