cinema a scuola 2011/2012 mi chiamano radio – scheda film

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cinema a scuola 2011/2012 mi chiamano radio – scheda film
”RADIO” Cinema a Scuola - 2011/2012
a cura di A. Grando, G. Strangis
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+ via Colombo, 31 - 36100 Vicenza ( 0444 963986 2 0444 564241
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CINEMA A SCUOLA 2011/2012
MI CHIAMANO RADIO – SCHEDA FILM
Genere:Drammatico | Stelle:2 | Ratings:Kids | Anno:2003 | Durata:109 minuti
Elementi problematici per la visione: nessuno.
Regia di Michael Tollin.
Con Cuba Gooding Jr., Ed Harris, Alfre Woodard, S. Epatha Merkerson.
Produzione USA
Mi chiamano Radio (Radio) è un film del 2003 diretto da Mike Tollin. Il film è basato sulla
vera storia di Harold Jones (Ed Harris), allenatore di football alla T. L. Hanna High School
ed un giovane mentalmente ritardato James Robert "Radio" Kennedy (Cuba Gooding, Jr.).
Nel film recitano anche Debra Winger e Alfre Woodard, e la fonte di ispirazione per il
soggetto è stato un articolo del 1996 apparso sulla rivista Sports Illustrated scritto da Gary
Smith.
James Robert Kennedy (nato il 14 ottobre 1946 ad Anderson nella Carolina del Sud),
cresce affascinato dalla tecnologia della radio. Il suo soprannome, "Radio", gli viene dato
dai suoi oncittadini per via della radiolina che porta con sé ovunque vada.
Radio: uguale a tutti gli altri, solo un tantino più lento .
Harold Jones, popolare allenatore della squadra di rugby di Anderson, nella Carolina del
Sud, si prende a cuore la situazione di James Robert Kennedy, un ragazzo di colore
mentalmente disturbato che tutti finiranno per chiamare Radio a causa della sua passione
per gli apparecchi radiofonici. Non tutti i membri della comunità, però, vedono di buon
occhio quell’amicizia e quando la madre di Radio muore, il ragazzo rischia di finire in un
istituto. L’allenatore Jones si trova di fronte a una difficile decisione.
Spunti/riflessioni.
Uno dei protagonisti di questa storia è un allenatore di football, e non uno qualunque, ma
uno di quelli bravi, capaci di motivare i suoi ragazzi e di guidarli alla vittoria tanto da
meritare pubblici riconoscimenti (è il sempre convincente Ed Harris, ruvido, ma di cuore).
Questo, però, non è un film di sport, se non nel senso in cui lo sport è una parte
importante della vita di tante cittadine americane grandi abbastanza da avere un liceo.
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”RADIO” Cinema a Scuola - 2011/2012
a cura di A. Grando, G. Strangis
Il senso di questa storia, che sembra aver rinunciato ai più usuali meccanismi di tensione
a favore della fedeltà ai fatti a cui è ispirata (esistono un vero James Robert Kennedy e un
vero Harold Jones, che vediamo mentre scorrono i titoli di coda, a vent’anni dagli eventi
raccontati), infatti, non sta in grandi gesti sportivi o eroici (non c’è nessun campionato da
vincere a ogni costo), né in una disperata sfida al mondo o alle convenzioni sociali.
Anche se ci troviamo in una cittadina del Sud, poi, il problema di Radio non è razziale; tra i
ragazzi delle squadre del liceo Hanna, infatti, ce ne sono anche parecchi di colore, perfino
tra quelli che all’inizio tormentano il ritardato senza motivo.
Il problema di Anderson e della sua gente, che il coach Jones intuisce, ma non sa mai
spiegare (tante volte gli viene chiesto perché fa quello che fa e le risposte tardano ad
arrivare) è, come in mille luoghi al mondo, che fino al momento in cui inizia la storia la
cittadina ha visto un ragazzo ritardato andare in giro per le strade con un carrello del
supermercato e lo ha ignorato; non lo ha molestato, ma non lo ha nemmeno considerato
come una persona.
Ed è semplicemente questo che fa Harold Jones, allenatore popolare anche se non
sempre vincente, educatore severo, ma giusto (invita i ragazzi a giocare per vincere, ma
anche per divertirsi), uomo semplice che sa di aver sacrificato la famiglia a un lavoro che,
almeno negli Usa, è quasi una missione, sospesa tra dilettantismo locale e
semiprofessionismo
che
dà
accesso
a
sospirate
borse
di
studio.
Il coach Jones, che è abituato ad affrontare le forche caudine del giudizio dei suoi
concittadini dopo ogni partita, non ha ambiziosi programmi di riscatto sociale per Radio;
non è un personaggio con grandi tormenti interiori, vede solo un ragazzo che ha il diritto di
trovare un posto nella comunità e si lascia toccare da questa realtà oggettiva. Detto fatto:
gli trova un posto in panchina e uno su un banco di scuola, spinto dalla convinzione che i
suoi allievi e i suoi concittadini, in fondo brave persone, sapranno affezionarsi a lui.
E anche se la strada è lunga e non priva di resistenze (che comunque, salvo il canonico
duo di cattivi – padre e figlio ambiziosi e destinati a convertirsi – è più una sorta di inerzia)
l’intuizione di Jones finirà per rivelarsi esatta, pur portando a scelte molto esigenti.
Anche perché in realtà, senza gesti eclatanti, ma passando per drammi reali (come la
morte della mamma di Radio, che complica tutto, o la scelta finale di Jones di lasciare
l’allenamento, per dedicare tempo alla famiglia e al suo protetto, pur restando insegnante),
l’allenatore Jones si accorge presto di aver imparato almeno quanto ha insegnato,
attraverso lo sguardo grato del ragazzo che ha accolto a bordocampo.
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”RADIO” Cinema a Scuola - 2011/2012
a cura di A. Grando, G. Strangis
Questo film non ha senz’altro la forza trascinante di tante pellicole a sfondo sportivo (ma
ad Anderson, Carolina, la gente ha troppo buon senso per pensare che tutto dipenda da
una vittoria o da una sconfitta, per quanto decisiva!), le vicende si susseguono con ritmi a
volte anche lenti e senza molti intrecci secondari, con una galleria di personaggi non
sempre adeguatamente approfonditi; si tratta, però, di una pellicola che stupisce per la
capacità di raccontare che il bene è una scelta quotidiana, fatta di piccoli e grandi sacrifici
e del coraggio di perseverare anche quando sarebbe più comodo lasciar perdere; perché,
grazie a Dio, il bene, se sostenuto con la necessaria testardaggine, può diventare anche
«contagioso».
Così alla fine del film, di fronte alle immagini del vero Radio, ancora oggi coach onorario
della squadra del liceo Hanna, ci si scopre a essere emozionati da una storia di normalità
positiva che null’altro vuole raccontare se non il miracolo di una comunità (che è
l’allargamento naturale dell’essere squadra sempre invocato da Jones) che impara a
prendersi cura anche dell’ultimo dei suoi membri, sopratutto quando è proprio lui, con un
sorriso e uno scarabocchio, a mostrare come ognuno vorrebbe trattare ed essere trattato
dagli altri.
Recensioni (di Francesco Alò Il Messaggero )
Se cercate un film in cui non esplodono bombe ma emozioni, non si infligge dolore ma si guarisce,
e se volete assistere a una storia americana popolata da gente semplice, dai volti bellissimi, che
prende decisioni complesse in nome della tolleranza, correte a vedere Mi chiamano Radio di Mike
Tollin, grande dramma sociale dai contorni sportivi in cui si racconta l’incredibile storia vera di
James “Radio” Kennedy (Cuba Gooding Jr.), ragazzo di colore, portatore di handicap, collezionista
di radiotrasmittenti, che nel South Carolina del 1976 attira l’attenzione di Coach Jones (Ed Harris),
direttore sportivo del liceo locale che lo coinvolge prima nella vita della squadra di football, poi in
quella di basket e infine nel regolare corso di studi della scuola. »
In una piccola cittadina della South Carolina, un allenatore di football del li-ceo locale (Ed Harris) si
prende cura, protegge e incoraggia un giovanotto (Cuba Gooding jr.) che la madre descrive come
uguale a tutti gli altri solo più lento: adora le vecchie radio, da qui il suo soprannome, si trascina
per le strade spingendo un carrello da supermercato e il suo handicap mentale gli impedisce di
comunicare con il mondo circostante. Il nuovo rapporto d'amicizia con Harris, il suo coach nella
vita quotidiana, il mentore, il padre adottivo, l'amico più grande gli consentirà di fare progressi e di
inserirsi nella comunità vincendo ogni pregiudizio. »
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