Corri ragazzo corri - "Tommaso Fiore" Bari

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Corri ragazzo corri - "Tommaso Fiore" Bari
CORRI RAGAZZO
CORRI
TRATTO DA
UNA STORIA VERA
di Pepe Danquart
CORRI RAGAZZO
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TRATTO DA
UNA STORIA VERA
“Potrai dimenticare tutto,
il tuo nome e tua madre e me.
Però non devi mai dimenticare
che sei ebreo”
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TRATTO DA
UNA STORIA VERA
Regia: Pepe Danquart; Sceneggiatura: Heinrich Hadding
tratta dall’omonimo libro di Uri
Orlev, basata sulla storia vera di
Yoram Fridman; Musiche:
Stephane Moucha; Fotografia:
Daniel Gottshalk; Montaggio:
Richard Marizy; Interpreti
principali: Andrej Tkacz (Srulik/Yurek), Elisabeth Duda
(Magda Janczyk), Kamil Tkacz
(Yurek), Zbigniew Zamachowski (il padre di Yurek), Miroslaw Baka (Mateusz Wrobel),
Jeanette Hain (Mrs Herman),
Itay Tiran (Mosze); Origine:
Germania/Francia/Polonia,
2015; Durata: 96 minuti.
Polonia, 1942. Srulik, nove anni, è costretto dalla guerra a separarsi dalla sua
famiglia. È ebreo e per non essere catturato dai nazisti, Srulik segue il consiglio di
suo padre e cioè cambia il proprio nome, cognome e fa finta di essere cattolico. Il
suo nuovo nome è Yurek Staniak e la sua vita assume i contorni di un’avventura
difficile e rischiosa: è costretto a non sostare per tanto tempo nello stesso luogo
per evitare che la sua vera identità venga scoperta. Dorme nel buio dei boschi, nel
freddo delle foreste, è costretto a rubare per sfamarsi e a negare sempre le proprie
origini. Da alcuni polacchi è accolto come un figlio, da altri è venduto ai nazisti,
da altri curato, da altri tradito. Troppo per un bambino. Ma nonostante tutto,
Srulik/Yurek riesce a sopravvivere alla guerra, alla persecuzione e ai suoi orrori,
tenendo fede alla promessa fatta a suo padre.
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trama
Battuta del film - Il padre di Srulik a suo figlio
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appunti di viaggio
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Una corsa ad ostacoli
La storia di Srulik/Yurek è realmente accaduta ed appartiene ad un sopravvissuto oggi ancora in vita: Yoram Fridman, come ci mostrano le ultime scene del film. Il regista Danquart decide di raccontare la storia assumendo un
punto di vista particolare che è quello di Yoram bambino, che nel film prende il nome di Srulik/Yurek. Cosa vuol
dire raccontare la Shoah con gli occhi di un bambino? Significa innanzitutto avere la forza e il coraggio di guardare sempre avanti. Il titolo del film vuole indicare proprio questo: correre correre finché c’è lo spazio per farlo,
senza mai sentirsi vinti, sopraffatti da una forza infinitamente più grande di ogni bambino. Se il film fosse una
storia di avventura e basta, diremmo che Srulik/Yurek è il nostro eroe che combatte il mostro attraverso le armi
della resistenza, dell’istinto di sopravvivenza, della fiducia negli altri, della capacità di adattamento. Se il film
fosse una fiaba, vedremmo in Srulik/Yurek una specie di Pollicino che nel buio delle notti deve essere in grado
di ritrovare la strada per tornare a casa. Corri ragazzo corri è tutto questo ma vissuto in un contesto terribile:
quello della guerra dove i mostri da combattere si moltiplicano perché ogni cosa diventa più precaria e incomprensibile. Ma un bambino non coglie la precarietà delle situazioni, le vive e basta e istintivamente le supera.
Come un animale che per istinto di sopravvivenza mangia in fretta, si nasconde, corre, anche Srulik/Yurek vive i
suoi anni alla ricerca di un posto e di un pasto caldi e se qualcuno vuole fargli del male, lui corre verso una tana
più sicura. Ciò che più colpisce nella sua storia non è tanto il suo istinto di sopravvivenza quanto i comportamenti di adulti che non hanno alcun rispetto o sentimento di pietà per un bambino rimasto solo. Possiamo dire
che la dimensione in cui si muove Srulik/Yurek per quasi tutto il film è la solitudine. Ce lo dicono le immagini
iniziali del film, in cui il bambino dorme o cammina in uno spazio infinito di neve, dove il suo essere solo e piccolo viene amplificato. E, tranne pochi momenti della storia in cui incontrerà adulti buoni, il bambino resterà fino
alla fine sostanzialmente solo.
Davide contro Golia
Il I mostri che il nostro piccolo eroe si trova a combattere sono tanti e forti: l’indifferenza, la disattenzione, la
smania di potere, l’ideologia, l’egoismo, la violenza nelle sue diverse espressioni.
L’indifferenza: la troviamo in coloro che chiudono porte e finestre quando Srulik/Yurek affamato va a
bussare alle loro case. La troviamo nello sguardo, nel gesto di chi non coglie la sua solitudine e lo manda
via come fosse un cane randagio. La disattenzione: Srulik/Yurek perde un braccio perché la disattenzione degli adulti è alta. In un senso più metaforico, possiamo dire che la disattenzione mette sempre in
pericolo i più deboli. Inoltre Srulik/Yurek viene messo a lavorare come fosse un adulto perché è la condiTRATTO DA
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zione richiesta per guadagnarsi da mangiare; un partigiano nel bosco, colpisce con il fucile il cane che
accompagna il bambino perché, per paura, spara sulla prima cosa che si muove, senza prestare attenzione appunto. Ma è anche la disattenzione generale verso il bisogno di famiglia, di cura, di protezione, di
affetto che ogni bambino ha. È anche la disattenzione verso le diversità: Srulik per tentare di salvarsi deve
inventarsi una nuova identità, quella che piace ai nazisti, perché l’essere ebreo non è accettato. Sappiamo
che Srulik non è stato l’unico bambino in quel periodo ad aver vissuto questa difficile storia, e che solo
alcuni si sono salvati, altri invece, molti altri, non ce l’hanno fatta, complice l’indifferenza, la disattenzione.
La smania di potere: la troviamo nel comandante delle SS che vuole catturare il bambino. Cosa aggiunge alla sua carriera criminale un bambino catturato o ucciso? Nulla, ma deve farlo perché lui ha il potere
ufficiale per farlo. Usa le armi non perché la situazione lo richieda ma perché lui ha il potere di usarle.
Ordina ai suoi uomini di correre fino al fiume per catturare quel ragazzino ribelle che ha osato sfuggire al
suo controllo mettendolo in ridicolo. L’ideologia: in un film sulla Shoah, l’ideologia pervade tutto il film.
Senza l’ideologia nazista, le storie come quella di Srulik/Yurek non esisterebbero: un’ideologia che vede
negli ebrei, negli zingari, nei portatori di handicap, negli omosessuali le “razze” o le persone impure, da combattere, da eliminare. Un’ideologia che ha convinto molti in quel periodo, fino a portare persone “normali” a fare
scelte assurde, come nel film, il medico che si rifiuta di curare il bambino perché ebreo. L’egoismo: nelle situazioni difficili ed estreme, gli uomini sono capaci di tirare fuori il peggio di sé ma anche il meglio di sé. Così nel film
vediamo una donna che rischia la propria vita, prendendosi cura del bambino, vediamo famiglie che nonostante la povertà condividono il cibo con il nuovo arrivato. Ma vediamo anche una coppia che finge di prendersi cura
di Srulik/Yurek per poi venderlo ai nazisti con il solo scopo di guadagnare un po’ di soldi. Molti polacchi, ancor
prima dei nazisti, provavano sentimenti di ripulsa verso gli ebrei, contro i quali pregiudizi e razzismo non furono
risparmiati. Il nazismo ha trovato in questa categoria di polacchi (come in molte parti d’Europa) il terreno fertile
per realizzare il loro progetto di persecuzione e sterminio.
E infine il mostro della violenza, che nel film non è solamente fisica ma soprattutto psicologica. Pensiamo a
quante volte Srulik/Yurek è costretto a soddisfare il sospetto della sua vera identità. Indagare la parte più intima
dell’altro è un atto di intromissione nella vita altrui che ha lo scopo di far vergognare il protagonista del proprio
corpo e delle proprie origini. Se non si riesce ad eliminare Srulik/Yurek fisicamente perché troppo veloce, si tenta
di eliminarlo nella parte più intima di sé e cioè nelle sue origini, nella sua religione, nella sua appartenenza ad
una famiglia a cui è stato strappato troppo presto. In una parola, si tenta di privarlo della sua identità.
La questione dell’identità
e il dovere della memoria
Perché l’autore insiste tanto sulla questione dell’identità del bambino? Perché il padre, prima di morire, scolpisce nella memoria di Srulik parole pesanti come macigni: «Devi nascondere a tutti chi sei veramente ma non lo
devi mai dimenticare. Non devi mai dimenticare che sei ebreo».
E poi ancora, verso la fine del film, quando Srulik si rifiuta di seguire l’ebreo Frenkiel che vuole portarlo all’orfanotrofio per bambini ebrei, il Signor Frienkel dice al bambino: «Abbiamo bisogno di quelli come te. Gli ebrei, il tuo
popolo, i tuoi fratelli, i figli di Israele».
Quando la Seconda Guerra mondiale finì, la comunità internazionale e gli ebrei stessi si posero il problema di
avere una terra che li ospitasse tutti e che diventasse lo Stato ebraico. Questa terra fu individuata in quella che
oggi chiamiamo Israele. Frienkel fa cenno quindi a Srulik che è necessario che gli ebrei, tutti gli ebrei possano
trovare una casa comune in cui non nascondersi, non avere più paura e in cui vivere serenamente la propria
cultura, la propria religione, la propria identità.
Ma chi è l’ebreo? Cosa intendiamo quando parliamo di “ebreo”? Secondo le Leggi ebraiche, è ebreo chi nasce da
madre ebrea o chi si è convertito secondo le regole. Ma, dicono alcuni, questa definizione è troppo
“nuda” perché non dà indicazioni di patria, né di lingua, né un qualche elemento di appartenenza alla
comunità (come potrebbe essere la solidarietà nei confronti del popolo ebraico). Molti altri preferiscono
affermare che essere ebreo è una questione di scelta. Ed evidentemente anche l’autore del film, insieme
a Uri Orlev che ha scritto il libro e a Yoram Fridman credono che essere ebreo sia una questione di scelta,
se alla fine del film, il Signor Frenkiel, portando via con sé Srulik, si ferma davanti ad un bivio e dice al
bambino: «La strada a destra porta a Varsavia, dove c’è l’orfanotrofio. Quella a sinistra c’è la casa dei
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Kobalski. Dove vuoi andare? Devi scegliere tu.» E Srulik, pur essendosi nel frattempo affezionato ai Kobalski che l’hanno accolto come un figlio, sceglie la strada più difficile: quella dell’orfanotrofio per i bambini
ebrei. Perché il piccolo Srulik compie questa difficile scelta ora che aveva trovato una famiglia? Perché il
significato della sua scelta non solo va verso il progetto di fondare lo Stato d’Israele che avverrà tre anni
dopo la fine della guerra, nel 1948, ma soprattutto perché lui non dimentichi la verità di quanto accaduto. Vivere con un altro nome, con un’altra identità rischia di far perdere la memoria di ciò che si è stato,
rischia di fare di Srulik e di tutti i bambini che hanno vissuto la stessa esperienza, dei non-testimoni.
Questa è la preoccupazione di suo padre, che sacrifica se stesso pur di far vivere suo figlio, cioè la memoria futura, che deve arrivare fino a noi, che deve sopravvivere per tante altre generazioni che verranno. La
scelta di Srulik non è di tipo affettivo (altrimenti sarebbe rimasto con i Kobalski) ma è un dovere verso la
Storia, verso di noi, verso quelli che verranno dopo di noi.
A questo proposito ricordiamo ciò che ha scritto il filosofo ebreo Emil Fackenheim nel suo bellissimo libro
La presenza di Dio nella storia: “Nei tempi antichi il peccato impensabile per gli ebrei era l’idolatria. Oggi
consiste nel rispondere ad Hitler compiendo la sua opera (cioè smettendo di essere ebrei) […]. Dopo Auschwitz
un ebreo è ancora testimone per le nazioni, e se lo è, qual è la sua testimonianza? […] Egli testimonia che, senza
la resistenza, noi tutti periremo”. Fachenheim dice ciò che viene detto anche nel film: essere ebrei per essere
testimoni. Questa è la promessa che Srulik fa a suo padre. Ed è interessante ciò che aggiunge il regista Pepe Danquart: «L’identità ebraica sfugge ad ogni tentativo rigido e
schematico di definizione. Può essere paragonata semmai ad
una realtà dinamica che, pur radicandosi in una Tradizione,
continua a rimettere in discussione il proprio modo di manifestarsi a partire dai nuovi eventi che la storia riserva. Come
ricorda Elie Wiesel: “Pure io li guardo, sempre più li guardo, e
non li comprendo. Mi dico: il vero ebreo è chi nessuno comprende”. Quindi il senso profondo dell’identità ebraica è porsi
domande, considerare sempre che ci sono più pensieri plurali,
mettere in discussione.»
Un po’ di storia: il ghetto di Varsavia
L’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, avvenuta il 1° settembre 1939, decretò l’inizio della
seconda Guerra Mondiale. L’intervento di Francia e Gran Bretagna non fu tempestivo e in meno di un mese la
Polonia si arrese. Il suo territorio, smembrato, violato, spartito, fu scenario, tra il 1940 e il 1945, di gravissimi crimini contro l’umanità. Si pensi che su dieci campi di sterminio creati dai nazisti, sette erano su suolo polacco, precisamente nelle zone più orientali e meno popolate. Tra questi Auschwitz, Belzec, Chelmno, Sobibór, Treblinka.
Una volta raggiunta Varsavia, l’esercito, affiancato anche dalle SS, trovò di fronte a sé la più grande comunità
ebraica europea, seconda nel mondo solo a quella di New York.
Nell’ottobre del 1939, ai 350.000 ebrei presenti in città se ne aggiunsero altri 150.000 deportati dalle province
limitrofe. In poche settimane nel ghetto di Varsavia furono concentrati circa 500.000 ebrei. Uno spazio venti
volte più piccolo dell’intero suolo cittadino conteneva la metà degli abitanti di Varsavia. Gli ebrei del ghetto
dovevano indossare un bracciale raffigurante la stella di David per essere meglio identificabili e potevano uscire
solo per motivi di lavoro. Successivamente, però, con la costruzione del muro di recinzione, le restrizioni furono
più aspre: non era più consentito uscire per nessuna ragione, furono interrotte le comunicazioni telefoniche e
postali, ridotte le razioni di cibo, soppresse le linee di collegamento tramviaria, negata l’energia elettrica e gas.
Le condizioni di vita erano tali da determinare una mortalità media mensile di 2.000 individui.
Questa drammatica situazione, a cui purtroppo ne è seguita una ancora più atroce, ha avuto luogo fino al 1943
quando per volontà di Himmler (Capo delle SS) il ghetto fu smantellato e i residenti deportati nei vicini
campi di sterminio. Non mancarono tentativi di resistenza da parte dell’organizzazione ebraica di combattimento ma la tragica operazione Reinhard, che prevedeva l’eliminazione fisica del popolo ebraico,
era iniziata con la tragica ferocia che conosciamo.
Alla fine della Guerra si piangeranno circa sei milioni di vittime ebree, di ogni sesso ed età. Il 27 gennaio
1945 l’Armata Rossa liberò il campo di sterminio di Auschwitz e in quella data, così significativa e importante, le Nazioni Unite hanno deciso di ricordare le vittime dell’Olocausto.
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chi è Uri Orlev
hanno detto...
... il regista PEPE DANQUART:
«Sono stato a lungo in cerca di materiale che fosse emotivamente
potente e ricco di significato storico da far battere il cuore solo
leggendo la sceneggiatura; che fosse una storia straordinaria e
commovente, storicamente accurata, raccontata da un punto di
vista inedito. Un film meritevole di qualsiasi sforzo e di qualsiasi
rischio da correre. Un film che sarebbe rimasto nella memoria
collettiva del pubblico, anche dopo 20 anni.
Ho finalmente trovato tutto questo leggendo il romanzo Corri
ragazzo corri di Uri Orlev, un libro per ragazzi che è diventato un
bestseller in tutto il mondo.
Come opera di finzione la storia sembra perfino troppo assurda
per essere vera. Ma quel ragazzino è sopravvissuto e ancora oggi,
all’età di 79 anni, racconta la sua storia a chiunque abbia voglia di
ascoltarla. Con il mio film volevo far conoscere questa storia a
coloro che non l’hanno ancora sentita perché chiunque vedrà il
viaggio di Jurek non potrà non emozionarsi. Avranno paura,
saranno pieni di ammirazione per lui, soffriranno e piangeranno
con lui. Come è successo a me quando ho letto il libro la prima
volta.
Non avevo intenzione di fare un film solo per bambini o per
ragazzi, ma volevo offrire una forte esperienza cinematografica a
tutti, giovani e vecchi. Jurek dimostra la capacità di resistere di un
adulto. Eppure è proprio la sua giovane età a proteggerlo,
mentre affronta numerosi pericoli con lo spirito avventuroso di
un bambino. Il fatto che sia un bambino a guidarci in questa
storia – un innocente, con la sua naturale curiosità di esplorare il
mondo e di sopravvivere – rende ancora più orribile la tragedia
dell’Olocausto».
Uri Orlev
è il più importante
scrittore israeliano per ragazzi,
conosciuto e amato dai lettori di
tutto il mondo per la profondità dei
suoi romanzi. Sopravvissuto a sua
volta alla Shoah, Orlev ha conosciuto personalmente la sofferenza del
Ghetto di Varsavia prima e del
campo di concentramento poi.
Autore del capolavoro L’isola in via
degli Uccelli, spiega con queste
parole come è nato il libro Corri
ragazzo corri: “Questa storia l’ho
sentita raccontare in Israele da
Yoram Friedman, che, a cinque
anni, all’inizio della Seconda Guerra
Mondiale, ha visto i tedeschi occupare il suo Paese, la Polonia, e che, a
otto, in piena guerra, è rimasto solo.
Tra i tanti bambini rimasti improvvisamente soli al mondo, ce n’è
sempre uno che non si lascia piegare da un destino duro e crudele,
perché la forza della vita che lo
anima è più forte di tutto. E a volte
la realtà supera ogni fantasia”.
Corri ragazzo corri ha vinto numerosi premi tra i quali nel 2003 il Premio
Cento (principale premio italiano
per i libri dedicati all’infanzia), nel
2004 il Premio letterario Adei-Wizo,
istituito dall’Associazione Donne
Ebree d’Italia per la sezione narrativa per ragazzi e nel 2005 il Book
Parade, miglior libro dell’anno in
Israele. Corri ragazzo corri è stato
tradotto in oltre 15 lingue e uscito
in più di 17 paesi.
In Italia è pubblicato da Salani
Editore.
... i produttori:
«Il piccolo Srulik passerà forse alla storia del cinema come uno
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dei bambini più coraggiosi mai visti. Il film è un omaggio a tutti i
bambini che, anche oggi in alcune parti del mondo, devono combattere per restare vivi e, nonostante le più terribili circostanze,
riescono non solo a sopravvivere ma anche a migliorarsi.
Il film è un inno alla vita, alla sopravvivenza, alla fede e alla
speranza».
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FERMOimma g i ne
In una delle scene iniziali, Srulik è drammaticamente faccia a faccia con suo padre che fa fare al bambino
una promessa. Qual è la promessa? Che significato hanno le parole del padre?
Ciò che il padre dice a Srulik, richiama concetti importanti come “identità”, “diversità”, “appartenenza”, “memoria”. Partendo dalle informazioni che tu hai già sulla storia degli ebrei, che significato hanno queste
parole?
Sai che ciò che viene raccontato nel film è tutto realmente accaduto. Come descriveresti o disegneresti il
viaggio di Srulik? Quali tra le varie difficoltà che il bambino ha affrontato, ti ha maggiormente colpito?
La fame, il freddo, la solitudine, l’indifferenza, l’intolleranza…credi che ancora oggi ci siano bambini nel
mondo vittime di queste difficoltà? Fai degli esempi. Quali articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti
del Fanciullo vengono costantemente disattesi?
Quando Jurek incontra la famiglia Kobalski che lo accoglie come un figlio, lui accetta di ricevere il sacramento della comunione che non è previsto nella religione ebraica. Perché secondo te lo fa? Ti è sembrata
una scelta giusta, sbagliata o accettabile?
Ha fatto bene Srulik a lasciare la famiglia Kobalski per andare in orfanotrofio? Che significato hanno le
parole del Signor Frenkiel: «Abbiamo bisogno di bambini come te. I bambini dispersi sono il nostro
futuro”».
Perché alla fine del film, l’autore sceglie di mostrarci Srulik da grande, cioè il Signor Yoram Fridman?
Conosci altre storie (raccontate in libri o film) che abbiano raccontato la Shoah dal punto di vista di un bambino o di una bambina? Cosa hanno in comune con la storia di Srulik?
Credi che sia giusto conoscere queste storie accadute circa settant’anni fa? Conoscendole, cosa dovremmo
apprendere?
10 Scegli una scena o un’immagine o una frase del film che ancora in questo momento ti ritorna nella mente.
Riportala su un foglio. Poi confrontala con quanto scelto dai tuoi compagni. Avete tutti scelto la stessa
cosa? Create una mappa del film partendo dalle immagini e dalle parole che avete scelto.
scheda a cura di Rosa Ferro
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