Espandi - Comune di Imola
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Quaderni d'Infanzia _______ Pubblicazione semestrale a cura del Coordinamento Pedagogico, delle Scuole dell'infanzia e dei Nidi d'infanzia del Comune di Imola Anno 3 -n. 1 - Giugno 2010 SOMMARIO SCRITTRICE PER CASO: lezioni di scrittura creativa M. Cimatti............ p.2 La Signora dei biscotti V. De Gisi …....................................................p.4 Fermati e Guarda R. Balducci …............................................................. p.7 Foto ricordo R.Civolani............................................................................. p.9 Un sassolino nello stagno C. Serantoni ….............................................. p.10 COMITATO DI REDAZIONE Renata Balducci Tamara Bordini Camilla Cacciari Sandra Cevinini …ciao Maurizia… D. Zannoni …............................................................p.11 Marinella Cimatti Ho conosciuto Maurizia…D. Chitti …....................................................p.12 Rossella Civolani Neil e Marguerite B.Molinazzi …............................................................p.18 Natascia Conti A Maurizia N. Conti …............................................................................p.19 Virna De Gisi FRAGILI T. Bordini …............................................................................p.20 Sara Lazzarini POST-IT E. Solaroli ….............................................................................p.21 Barbara Molinazzi Le sue parole, il suo pensiero sorridente. L. Poli …........................... ..p.23 Candia Serantoni LE POLTRONE DI ELINOR C. Cacciari............................................. p.25 Elisa Solaroli Il bambino nel bicchiere V. Castaldi …...................................................p.27 Da tenere sul comodino Suggerimenti di lettura M. Gasparetto ….........p.29 Maranà-tha: ragioni di una scelta V. Vergnani …................................ p.34 con la straordinaria partecipazione di Maurizia Gasparetto Impaginazione e Grafica a cura di Camilla Cacciari Per contribuire alle prossime pubblicazioni: Chi volesse, potrà inviare alla redazione, presso: [email protected] , per posta elettronica, il solo testo non formattato degli articoli (allegando eventuali foto inerenti in files separati). Disponendo solo di foto su carta, contattare Camilla Cacciari presso il nido Fontanelle oppure via email: [email protected] Tutti gli articoli pervenuti verranno presi in esame dal Comitato di Redazione. Prima di procedere ad eventuali adattamenti il C.d.R. contatterà gli autori. Non verranno pubblicati gli articoli pervenuti solo in forma cartacea, Scrittrice per caso: lezioni di scrittura creativa Marinella Cimatti Incontro del comitato di redazione di "Quaderni d'infanzia": dobbiamo progettare il numero 5. Sappiamo che l'idea è quella di dedicare il prossimo numero della rivista a Maurizia e a quello che ha significato per tutti noi. Compito impegnativo, perchè ci si potrebbe scrivere un intero libro e non solo il numero 5 di una pubblicazione semestrale. Ma soprattutto perchè dovremo cercare di alleggerire i nostri articoli dalla malinconia che oggi, inevitabilmente, siede intorno al tavolo con noi. Si discute a lungo e, alla fine, decidiamo per una raccolta di episodi, frasi, pensieri... che abbiano lasciato il segno. Andremo a scavare nella nostra memoria, cercando di coinvolgere in questa ricerca anche i colleghi di tutti i nidi e di tutte le scuole dell'infanzia di Imola. Mentre ascolto, comincio già a scavare nella mia, di memoria, e non devo farlo troppo a lungo: so già quello che scriverò nel mio articolo... in questo articolo. °°° Mi ritorna in mente che quando, due anni fa, Barbara mi propose di far parte del Comitato di Redazione di Quaderni d'Infanzia, mi dissi subito che, forse, io non ero la persona più adatta, che io non avevo molta fantasia e creatività, che non avevo propriamente il dono della sintesi...ma accettai lo stesso, non senza una punta di orgoglio, anche solo per il fatto che mi fosse stato chiesto. "Ci provo!" pensai "Scrivere mi piace! Mi assegneranno degli argomenti sui quali relazionare, ci lavorerò su e..." Il mio primo articolo fu una semplice descrizione, raccontata in maniera sommaria e impersonale, dell' esperienza appena iniziata nella scuola dove lavoro. Raffrontato con gli scritti delle colleghe non era un granchè, anzi piuttosto scarso; comunque, anche se solo con la sufficienza, fu approvato e pubblicato. Per il numero successivo avevo preparato un testo su una esperienza fatta a scuola coi bambini: mi ero impegnata molto nella stesura, descrivendo dettagliatamente lo svolgersi del progetto in tutte le sue parti trattando, peraltro senza averne piena competenza, anche gli aspetti teorici e gli agganci pedagogici che secondo me ne derivavano, con un linguaggio faticosamente ricercato, a tratti anche pomposo. Abbastanza soddisfatta, l'avevo inviato a Maurizia perchè potesse esaminarlo prima della prossima riunione. Quel pomeriggio c'eravamo tutte. Maurizia cominciò a leggere. Avevo già avuto modo, in diverse occasioni, di rendermi conto delle abilità narrative delle mie colleghe, che riescono a trasformare un semplice evento quotidiano o occasionale in un racconto ben elaborato: anche questa volta rimasi piacevolmente stupita:gli articoli erano vivaci, frizzanti, esprimevano emozioni e descrivevano situazioni in modo gradevole e simpatico...e i complimenti dei redattori fioccavano a piene mani! Ne lesse un altro: -"Questo è ben scritto - affermò - ma non rispecchia lo spirito della rivista, che non vuole essere uno strumento tecnico e specialistico, ma deve raccontare esperienze vissute e concrete, dove si devono "vedere" i bambini e quello che fanno." "E il mio, allora?" pensai "Non ho proprio capito niente! Ho fatto un trattato sulle paure, sul loro significato, sulle loro ripercussioni nei confronti degli apprendimenti, sulle possibili proposte per cercare di superarle..." E ammisi, non senza un po' di disappunto: "Anche il mio articolo allora non va bene!" Maurizia mi confermò: "Il tuo è un bel tema, scritto bene ma è un tema, troppo scolastico, non c'è emozione nè coinvolgimento, i bambini non si "vedono", se non in alcune frasi...Dovresti riscriverlo..." E' vero: a scuola ero abbastanza brava a fare i temi, specialmente le relazioni sugli argomenti studiati, grammatica e ortografia quasi impeccabili, ma in quanto a capacità di raccontare a colori e di conquistare chi legge, il mio stile lasciava molto a desiderare! Mi sentii un po' demoralizzata..."Cosa credevo? Di diventare scrittrice, per caso? Lo sapevo che non ero all'altezza!" Maurizia continuò a leggere gli articoli, commentando, correggendo, tagliando qua e là, scegliendo i titoli... ma io quasi non la sentivo più. Le sue parole mi ronzavano nella testa e pensavo: "...certo che quella di scrivere in maniera creativa è una dote e non si può improvvisare... o ce l'hai o non ce l'hai...bisogna averlo scritto nel proprio DNA...non ci si può nascondere dietro a citazioni dotte... la narrazione è un'arte...io non sono capace...forse farei meglio a dare le dimissioni!" L'incontro terminò con l'impegno di ritrovarci dopo due settimane con i testi definitivi. Andai a casa delusa e un po' amareggiata. Ricordo di aver letto da qualche parte una frase del tipo:"Se sei padrone dell'argomento, le parole verranno da sole". Forse è proprio questo che mi frena: l'idea di non avere nessun argomento particolare di cui parlare, nulla che valga la pena di essere comunicato e condiviso, nulla di sufficientemente interessante per gli altri e, sicuramente, anche la paura del giudizio dei lettori. E mentre riflettevo su questo e sulle parole di Maurizia mi ritornarono in mente una serie di episodi ai quali non avevo dato peso e che forse potevano essere adatti , se mai fossi riuscita a scriverli in maniera efficace. Mi sedetti al computer e iniziai a pigiare sui tasti di getto. Le frasi apparivano sul monitor in maniera fluida e veloce, combinandosi agevolmente fra di loro e creando espressioni più gradevoli e spiritose del solito: sembrava quasi fosse un'altra persona che scriveva per me che, normalmente, penso e ripenso ad ogni parola per trovare quella che mi sembra più giusta, ricerco nel dizionario i sinonimi e i modi di dire più adatti, cancello e modifico tantissime volte e come risultato ottengo solo uno scritto mediocre, pesante e retorico. Allora forse è vero che quando si ha qualcosa da dire, e il coraggio di scriverlo, le parole vengono da sole! Ma è anche vero che se qualcuno ti insegna come si fa... Quattro pagine in una serata: un record, per me! Lo riessi e lo inviai a Maurizia, prima che mi venisse la tentazione di aggiungere qualche "disquisizione ampollosa"! Il giorno dopo, ancora sotto l'effetto dell'ispirazione, scrissi un altro articolo e le inviai anche quello. "Sono molto carini!" mi rispose "Ho fatto solo alcune piccole correzioni. Spero non ti dispiaccia!" Dispiacermi? Il suo giudizio favorevole e la sua approvazione furono per me una grossa soddisfazione: avevo grande stima di lei e la consideravo molto autorevole e qualificata in materia, ma era anche intransigente e rigorosa, e sono quasi sicura che non lo disse solo per consolarmi dello smacco precedente. Ci ritrovammo tutte il giorno fissato per l'incontro: "avrò superato l'"esame" del "Capo Redattore" e di tutto il Comitato?" Quando dal pacco di fogli sul tavolo estrasse i miei testi, ascoltai con attenzione: il tono di voce era convinto e la lettura era espressiva (buon segno!); e notai che anche le colleghe erano attente e divertite. Conclusione:i miei articoli sarebbero stati entrambi pubblicati! Mi sentii sollevata: pensai che forse non era ancora troppo tardi per tentare di imparare a comunicare esperienze ed emozioni attraverso la scrittura... La sera le mandai una e-mail: "Non so se ti ho ringraziata abbastanza per i consigli e gli arricchimenti che mi porto a casa ogni volta dopo gli incontri, ma voglio farlo ancora: GRAZIE, Maurizia!" Sapete cosa mi rispose? "Quello che faccio arricchisce anche me. Dunque, grazie anche a te e ciao!" ~ La signora dei biscotti ~ Virna De Gisi Ci sono storie che si consumano nello spazio di un racconto, e altre che, entrando a far parte del patrimonio narrativo famigliare, sono destinate nel tempo a diventar leggenda. Questa è una di esse: nata quasi per caso, narrata un po’ per gioco e tenuta viva da una nonna che non vedo spesso, ma dalla quale spesso sento ripetere: …dai, raccontami ancora della signora gentile che mi mandò a salutare. Racconta ancora della signora dei biscotti. ~ Circa dieci anni fa visitai Imola per la prima volta; ne rammento la suggestione di una città giardino, ricordo che mi colpì il flusso lento delle biciclette sulle strade e la vaga percezione di tempo sospeso, così diverso da quello cui ero abituata, quasi una sfida ai ritmi frenetici della nostra epoca. Ancora non sapevo che avrei, avremmo scelto, proprio questa città per crescere i nostri figli; o forse, a pensarci bene, fu proprio lei a scegliere noi: praticamente ci adottò. Circa dieci anni fa, fu indetta una selezione per il servizio infanzia del Comune di Imola; ricordo ancora la mia riluttanza a partecipare: la scarsa esperienza in questo campo, l’esiguo bagaglio di saperi scolastici ormai troppo lontani nel tempo, e nessuna voglia di rimettersi in gioco. Ma ricordo anche le mani amiche che mi fornirono il materiale con cui prepararmi e la voce familiare che mi esortò a tentare. …e se proprio non sai cosa rispondere, puoi sempre parlare di te Ancora non sapevo come questo avrebbe cambiato la mia vita, la nostra vita. Fu così che un pomeriggio di fine luglio mi ritrovai a sostenere la selezione presso il Settore Scuole, luogo completamente estraneo, tra decine di volti sconosciuti, compresi quelli della commissione esaminatrice: la Dottoressa Amedea Morsiani, la Dottoressa Maurizia Gasparetto e il Dottor Luciano Poli, unico individuabile per ovvi motivi. Sul tavolo, davanti a me, i tre foglietti con i temi sorteggiati: ~ Le costruzioni: e il sospiro di sollievo fu inevitabile; mi credevo ferratissima sull’argomento: con due figli e sei nipoti, tutti fan per questo gioco, avrei potuto costruirci un palazzo con le costruzioni; in ogni scuola poi, c’era sempre un cantiere aperto per le realizzazioni dei famosi mattoncini. Nessun dubbio quindi sull’importanza e il beneficio del loro utilizzo, sull’illimitata fascia d’età a cui si potessero adattare -…se per i piccolissimi scegliamo una dimensione grande e morbida…- e sulla loro collocazione in uno spazio definito ed accessibile a tutti. - …cosa ci dice sul loro riordino? Ed io, che nella valenza educativa del riordino ho sempre creduto molto, non potei non ribadirne l’importanza - …al pari del gioco stesso… Ma Maurizia sapeva condurti dove credeva e, pur condividendo il complessivo meccanismo di un concetto, ti accompagnava a testare ogni più piccolo bullone dell’ingranaggio per vagliarne la tenuta ed il rispetto del principio di base. - … riponiamo anche le opere assemblate dai bambini? A volte, è con un punto di domanda che si trasmettono valori: Maurizia lo sapeva bene. Ancora oggi all’interno della mia sezione c’è uno spazio adibito alle realizzazioni dei bambini, sottolinea il rispetto per il loro impegno, per la loro individualità. Il mio rispetto verso di loro. E la condivisione di un insegnamento. ~ La produttività: come si può dissimulare la completa ignoranza su di una “questione” in cui non ci si è mai imbattuti? Meglio ammettere la propria disinformazione e provare a ragionare sul significato etimologico della parola stessa. Così cercai di collegare la “Produttività” a ciò che si intende produrre, al risultato che si intende ottenere, derivato dalla trasformazione o dall’accrescimento di qualcosa; e pensando alla scuola, legai la parola “Produttività” all’accezione di valore o quantità. Non so se fosse quello che ci si aspettasse da me, ma tanto dovette bastare perché la dott.ssa Amedea Morsiani sorrise compiaciuta, cavandomi così d’impaccio (e in cuor mio le fui immensamente grata per la gentilezza). ~ Il gioco tradizionale: che i giochi “di una volta” rivestano una grande importanza per l’apporto di valori e conoscenze che trasmettono è indubbio...ma poi? All’improvviso mi sentii sprovvista di espressioni da usare e di contenuti con cui riempirle, o più semplicemente, non avevo sufficiente bagaglio teorico per far fronte ad un’argomentazione più articolata: insomma…il vuoto, totale e assoluto. Ricordo Luciano Poli venirmi in aiuto con un aneddoto indiano: narrava di un albero che innalzava i suoi rami verso il cielo traendo la forza dalle sue radici, e tanto più esse erano radicate e profonde, tanto più svettava alto. Fu, per me, come una mano tesa. D’un tratto rividi gli ulivi secolari del nonno e la fierezza del suo lavoro, le pieghe sulle mani della nonna e la loro delicatezza su di un telaio; sentii le parole di mia madre, la loro forza, e feci quello che mi veniva più spontaneo: parlai di me. Spiegai cosa significasse per me tradizione: quanto valore avessero i gesti e le parole che mi rammentavano chi ero, da dove venivo; con quanta cura fossero arrivati a me e quanto ritenessi importante tramandarli ai nostri figli, affinché sentissero ben salde le loro radici. Raccontai dei biscotti della nonna, di come il loro profumo mi ricordasse il Natale, di come avessi imparato da mia madre, la quale aveva appreso da lei, e quanto mi sarei adoperata per insegnarlo a mia volta. Poi mi resi conto che forse avevo parlato troppo, che non ci sarebbero state altre domande; alzandomi salutai e mi diressi verso la porta, tra il silenzio assoluto, quando… - Ah, signora…- Mi voltai esitante; distratta com’ero, avevo certo dimenticato qualcosa. - Mi raccomando, ci saluti tanto sua nonna! Io l’ho conosciuta così Maurizia, e con gli anni ho potuto stimarla per il suo sapere, per il suo modo di offrirlo senza salire in cattedra; per la delicatezza con cui si accostava all’infanzia e la capacità di coglierne, tra le righe, i significati più autentici; per la sagacia delle sue domande e l’arguzia delle sue battute. Ed è così che amo ricordala: con quel suo sorriso aperto, un po’ beffardo, un po’ ironico, ma sincero come i saluti che quel giorno mi affrettai a girare: “…si chiama Maurizia, nonna, ti saluta tanto. Le ho parlato dei tuoi biscotti... Non aveva capito molto del mio racconto “…ma almeno, le sono piaciuti?” “Sì, nonna, direi proprio di sì.” Fermati e Guarda Renata Balducci - Guarda, cosa sta facendo quella ragazza? -. Sto guidando anzi, precisamente, sto uscendo da un parcheggio, quando il mio sguardo è attratto da una ragazza che si sta destreggiando con un passeggino tra le varie auto che entrano ed escono dall’area di sosta. La cosa che fa brillare immediatamente i miei occhi e mi riempie di tenerezza, è il gesto che lei fa con una mano come per scacciare il fumo dei gas di scarico. Un gesto apparentemente inutile, infatti non può certo impedire con una mano che il suo bimbo respiri veleno, ma è comunque un gesto degno di significato, un gesto di cura e di protezione. “Mamma mia”, qualcuno potrebbe dirmi che pecco di deformazione professionale, invece, io credo, anzi sono convinta di “peccare” di formazione professionale. Una formazione in itinere che iniziò tanti anni fa, nell’ambito del mio lavoro e che ha contaminato molto la mia vita personale arricchendola di tante sfumature. Quando iniziai a lavorare, vuoi per la giovane età, vuoi per l’arroganza dettata da un sapere dogmatico, tutto era bianco o nero, tutto era “fare”, tutto era un riempire silenzi e pause. Cominciai a lavorare come educatrice al Nido, nel lontano anno 1974 e, soprattutto, in un Nido appena aperto, in un piccolo paese dove nessuno aveva esperienza in materia di prima infanzia, ma tutti avevano un grande entusiasmo.. Provenivo dagli studi magistrali e da una formazione regionale, densa di ideali sul ruolo della donna e dell’infanzia con contenuti pedagogici nuovi e alternativi per l’apertura di nuovi servizi. I primi anni crebbi insieme ai “miei” bimbi, dividendo con loro lo spazio, scegliendo per loro i modi e i tempi dello stare insieme, confrontando con le colleghe, nel collettivo di lavoro, il nostro modo di agire. Era importante far fare ai bimbi delle attività che servissero anche a dimostrare che non svolgevamo solo un lavoro di assistenza, ma un lavoro educativo, da “vera maestra”. Gli anni passavano, nel frattempo aprivano altri nidi nei comuni della provincia di Bologna compresa Imola. Dopo alcuni anni di avventure educative quasi pionieristiche, e di un faticoso ruolo unico, scelsi di andare a lavorare in un Nido della mia città, attirata dalla proposta che Maurizia, la coordinatrice, mi faceva, e anche dal fatto che lì non c’era il ruolo unico. Fin da subito mi inserii nel nuovo contesto, stupendomi del fatto che alle riunioni era spesso presente la coordinatrice, per aiutare nell’organizzazione e affiancare nelle cure dei “nostri” bambini. - Ricordati, Renata. non sono i tuoi bambini, sono i bambini di cui ti occupi -. - Mamma mia, come è pignola Maurizia! -, pensai, - Non sa con quanto amore e quanto coinvolgimento ci mettiamo nella relazione con i piccoli -. Intanto avevamo iniziato, utilizzando delle griglie, le osservazioni dei movimenti spontanei dei lattanti, confrontandole nei i gruppi di sezione omogenee. L’osservazione, cominciava a diventare uno strumento di lavoro fondamentale. Poco dopo il mio arrivo a Imola, mi trovai a confrontarmi con un insuccesso: un inserimento non riuscito: il bimbo piangeva molto sia nella separazione dalla mamma sia durante la giornata. La mamma, a sua volta, era convintissima della scelta del Nido e della necessità per suo figlio di socializzare. Appariva preoccupata ed io tentavo di rassicurarla con tante parole. Intanto, il bambino continuava ad essere in difficoltà, ed io con lui. Dopo essermi confrontata con Maurizia, lei decise di venire una mattina, durante il momento della separazione. Discretamente si mise a sedere su uno sgabello e, intanto, guardava, guardava... Era quasi un po’ indisponente con questo modo di fare distaccato, non mi aiutava attivamente, non interveniva. Durante la pausa pranzo mi chiese: - Tu mi hai detto che, la mamma è convintissima della scelta, e sicura di lasciare il bimbo; da che cosa lo deduci? -. - Dalle parole che mi dice; hai visto, anche questa mattina mi ha detto: “prendilo pure” -. - Ma com’era quando te lo ha chiesto? -. - In piedi di fronte a me con il bimbo in braccio -. - Si è vero, ma le braccia stringevano il bambino, lo avvolgevano, non lo lasciava andare -. Pensai: - Si va bene, ma questo è un particolare trascurabile -... E invece no: il mio pensiero superficiale era un grande errore; solo il tempo, e una formazione continua, mi hanno fatto capire come l’osservazione sia importante, per accogliere, accettare, aiutare, nei tempi e nei modi più adatti, in ogni situazione. Osservare, non era fare niente, come impropriamente all’inizio pensavo, ma era guardare in modo attivo e partecipe le persone e le situazioni, senza intervenire direttamente ma, agendo nei tempi e nei modi. Osservare, per me ha voluto dire imparare a stare in silenzio, a fermarmi, mi ha fatto capire che molte volte basta uno sguardo per far capire che ci sei. Foto ricordo Rossella Civolani Chi ha superato gli ”anta” ricorderà sicuramente il “rito” nel disporre le foto nell’album considerato di famiglia e, mentre cercavi di collocare le tue foto rispettando una sequenza temporale, inevitabilmente lo sguardo o il pensiero ripercorreva immagini, luoghi, avvenimenti o altri particolari rappresentati in quelle illustrazioni. Ora è sufficiente collegarci con la macchina digitale al pc e, immediatamente, visioni le tue foto e, spesso, i pensieri corrono dietro a quelle immagini così rapidamente e velocemente come corre tutto ciò che ci circonda oggi. Ma c’è un album particolarmente significativo e che non ha bisogno di impiegare particolari tecnologie o spazi, che si può guardare in qualsiasi momento e che non necessita di tempi particolari per consultarlo: “ è l’album della vita”. Questo album raccoglie tutte le foto di noi stessi, di ciò che ci circonda, della vita privata e professionale. Io non posso fare a meno di ritornare ai miei primi anni di servizio(anni 70-80) quando le scuole dell’infanzia facevano capo a due pedagogiste (dott.Gasparetto-nidi e dott.Conversoscuole dell’infanzia), quando i periodi di formazione, gli incontri, le riunioni erano vissute in momenti totalmente staccati, ed io conoscevo a malapena le mie colleghe del nido. Quando non esisteva la possibilità per le insegnanti del nido di chiedere il trasferimento alle scuole dell’infanzia. Poi i due settori si unificarono, facendo riferimento ad una sola pedagogista la dott. Gasparetto, la quale ha prestato servizio presso il comune di Imola fino ad oggi. Questa nuova riorganizzazione mi destava non pochi timori e preoccupazioni, perché mi immaginavo (insieme ad altre colleghe) come colei che “stava al di fuori“, colei che veniva a ”rompere degli equilibri” acquisiti in tutti quegli anni di servizio dalle educatrici del nido, diritti che avevano maturato lentamente e insieme. Ci sembrava di percepire uno strano disagio, come se non fossimo accettate, adeguate; insomma ci invadeva quasi “la sindrome del brutto anatroccolo”. Invece mi sbagliavo, Maurizia, mi sbagliavo di grosso ad avere questi dubbi, perché la sensazione che ebbi fin dal primo istante fu quella di sentirmi “a casa” , fu quella di essere accolta con tutto il mio bagaglio personale e professionale. Parlando di noi non ti ho mai sentita dire: ”quelle della materna”, ma cercavi di dare quella visione del coordinamento allargato con il “ senso del noi”, il senso del gruppo... Io, questa foto, la voglio tenere lì, con le sue sfumature, i suoi colori, gli sfondi, i significati delle conversazioni a volte gioviali, a volte ironici, a volte benevolmente pungenti, a volte più severi... sempre volti ad indurci a maturare lentamente un processo di convinzione senza imporci mai nulla che non fosse pienamente condiviso da noi. Questa foto, o frammento che sia, voglio e deve restare nel mio album di vita perché ha contribuito alla mia crescita professionale. Un sassolino nello stagno Candia Serantoni Ho pensato e ripensato per giorni a un episodio significativo ed è stato molto difficile estrapolarlo fra tanti, forse perché tutto il vissuto ha caratterizzato le scelte e la mia crescita professionale, cominciando dalla personalità di Maurizia e dalla sua passione, che ci ha trasmesso con forza ed energia e allo stesso tempo con calma e delicatezza. La stessa calma che vidi in lei durante il nostro primo incontro ufficiale. Maurizia era la nostra nuova pedagogista e all’intercollettivo aveva portato con sé un video sul gioco euristico, di cui tanto avevo sentito parlare senza mai approfondirlo come argomento. Dopo una breve presentazione da parte sua, ero intenta a osservare le immagini che scorrevano, riconoscendo le educatrici e incuriosita da come i bambini interagivano con il materiale messo loro a disposizione. Non nego, però, che il mio interesse era solo parziale e che, pur riconoscendo la profonda motivazione delle educatrici, ero scettica e non attribuivo al gioco euristico un valore educativo tanto importante da farne un’attività principale e di osservazione. Erano altri tempi e, nelle nostre scuole dell’Infanzia, il gioco spontaneo era soprattutto un riempitivo della giornata, mentre si dava molta importanza alle attività guidate e al prodotto finale. Le immagini continuavano a scorrere, ma già il mio interesse era svanito, ormai annoiata da quelle riprese che si soffermavano ripetutamente su alcuni bambini. E così mi ritrovai a parlare con alcune colleghe e come me altre e altre ancora. Parlavamo garbatamente e sottovoce dei fatti nostri, dando un’occhiata fugace e disinteressata al video. Ricordo che mi girai verso Maurizia per capire se in lei c’era disappunto; la vidi assorta e sorridente come se non avesse mai visionato quelle immagini e invece, probabilmente, era pronta a cogliere altri spunti di osservazione. Non cercò mai di attirare la nostra attenzione, di zittirci o rimproverarci e, alla fine, ci salutò con la stessa cortesia con la quale ci aveva accolto. Nei giorni successivi non facemmo altro che parlare di ciò che avevamo visto, criticando, riflettendo e ritrovandoci, inconsapevolmente, con quella sana confusione che fa rimettere tutto in discussione. Maurizia era entrata in “ punta di piedi” ma, intanto, ne stavamo parlando. Ora, a distanza di tanti anni, sono certa che lei sapesse perfettamente che non avremmo potuto capire immediatamente il suo messaggio e che, in quell’occasione, volesse solo gettare “un sassolino nello stagno” … un sassolino che nel tempo ha creato tanti cerchi concentrici che, allargandosi, sviluppandosi, unendosi, rompendosi, mescolandosi con l’acqua ci hanno fatto crescere professionalmente e diventare quelle che siamo. …ciao Maurizia… Daniela Zannoni ...vorrei farti arrivare un saluto, quello che non sono riuscita a darti perché ti sei addormentata…e non ti sei risvegliata più. Vorrei farlo per mezzo di una forma che ti piaceva tanto e che per me è sempre risultata difficoltosa...la scrittura e questo saluto ho pensato di fartelo attraverso lo strumento che tu hai voluto: “ Quaderni d’Infanzia”. Spero mi perdonerai se questa lettera non è alla tua altezza…conoscendoti, sicuramente lo farai… Era uno dei tuoi pregi scrivere; ti venivano sempre le parole più giuste per esprimere ciò che volevi trasmettere e tutto ciò che scrivevi, sia che fosse un semplice saluto o un elaborato per un covegno, era talmente fluido e toccante che era un piacere leggerti. L’8 marzo ti ho detto che sei stata un “Capo speciale” e tu hai risposto che non ne eri certa ma sicuramente, in cuor tuo, sapevi che avevo ragione e sono certa che, come me, lo pensano tutte le colleghe che hanno avuto la fortuna di conoscerti. Te ne sei appena andata e già ci manchi… Tante persone hanno ricordato che grande punto di riferimento sei stata per noi, di come ci hai guidato, con rispetto e delicatezza nei cambiamenti…di come hai cercato di insegnarci a guardare al di là dell’apparenza…di come sei stata attenta alla crescita ed ai diritti dei bambini e delle bambine che sono gli utenti dei nostri sevizi… Io vorrei ricordare anche l’amica…la Maurizia con cui potevi giocare a carte augurandoti che fosse lei la tua compagna di gioco perché, anche in quel contesto eri maestra;…la Maurizia che, se a notte fonda, perché con te si faceva tardi dato che non avevi mai sonno, trovava la macchina piena di neve, prendeva scopa o la paletta per pulirla e si metteva a ridere se gliene tiravi una “palata”;…la Maurizia che non riusciva a stare sdraiata al sole e, chiamandomi “polenta” se ne andava, almeno tre volte al giorno, a nuotare;…la Maurizia a cui piaceva la buona cucina e che preparava sempre un piatto speciale per rallegrare la serata;…la Maurizia con cui, davanti ad un caffè, potevi parlare dei tuoi problemi personali perché sapeva ascoltarti e cercava di aiutarti a trovare una soluzione…la Maurizia che diceva:” bisogna essere felici se i nostri figli sono felici delle scelte che fanno, anche se queste scelte ci rattristano un po’…i figli non sono nostri, appartengono solo a sé stessi… Non sei stata solo un “Capo speciale” Maurizia ma molto, molto di più… Ciao Maurizia, grazie…grazie con tutto il cuore. Daniela Ho conosciuto Maurizia… Daniele Chitti Ho conosciuto Maurizia nel 1990, quando da solo un anno avevo iniziato la mia avventura imolese. Eravamo stati ingaggiati entrambi come docenti nel corso di qualificazione sul lavoro per educatori professionali: lei, pedagogista; io, psicologo. Di quell’esperienza ricordo soprattutto un episodio assai imbarazzante, quando, con grande e ironico divertimento da parte sua e vergogna da parte mia, corresse in una riunione pubblica un verbale in cui avevo scritto “tirocigno” invece di “tirocinio”. Da allora e fino al 2005, accanto all’amicizia personale che è stata quantitativamente prevalente rispetto all’effettiva collaborazione professionale, le nostre strade si sono ciclicamente incrociate e allontanate (lei, donna dei servizi educativi, occasionalmente prestata ai servizi sociali; io, uomo dei servizi sociali, occasionalmente prestato ai servizi educativi), prevalentemente in progetti di formazione, ma anche in frequenti scambi di idee e pareri, spesso a cena, dopo il secondo bicchiere di vino e fino al quarto o quinto (i discorsi vengono meglio e si sorride di più); oltre il quinto, si parlava d’altro.... La prima svolta – nel senso di “la prima lezione” - avvenne nel 1998. Canevaro mi aveva chiesto di scrivere un articolo per Animazione sociale, trattando il tema dell’educazione con gli adolescenti “difficili”. Dopo aver letto la mia proposta, mi chiamò e mi disse che il contenuto andava bene, ma la forma era “troppo tecnica” (eufemismo che stava per “molto pedante”), soprattutto per una rivista con un taglio così esperienziale come Animazione Sociale. “Caro Daniele, bisogna che modifichi il linguaggio”, fu la lapidaria prescrizione. Poiché modificare se stessi in tempi brevi è cosa assai difficile, anche da un punto di vista emotivo, chiesi a Maurizia di farlo al mio posto. Il risultato fu incredibile: senza cambiare nulla delle idee che vi erano contenute, né aggiungendovi alcunché, l’articolo fu letteralmente riscritto e trasformato in una riflessione letteraria-filosofica quasi magistrale1. Da allora, grazie all’unico articolo scritto a due mani con Maurizia, mi piace pensare che la mia prosa sia cambiata parecchio. Nel 2005 è iniziata l’unica vera collaborazione professionale continuativa e quotidiana tra di noi, durata solo un anno e mezzo e finita con il suo pensionamento. Prima di accettare l’incarico come coordinatore pedagogico, da buon ultimo arrivato le chiesi di poter leggere il progetto dei nidi e delle scuole dell’infanzia. Mi guardò con un certo disprezzo e disse: “non c’è, non è necessario. Per le scuole paritarie, poi, non è neanche obbligatorio”. Accettai la risposta senza replicare. Nel 2006, durante il convegno di marzo, conobbi Franca Marchesi, responsabile dei nidi del comune di Bologna, che mi manifestò la sua grande ammirazione per Maurizia. “Perché?”, le chiesi. 1 Generare regole non banali: un’epistemologia alternativa per l’interazione educatori adolescenti, in Animazione Sociale, n. 4 – 1998, edito dal Gruppo Abele, Torino Tutto risaliva alle chiacchierate che avevano fatto in anni lontani durante una visita studio in Danimarca. La cosa curiosa è che Franca, persona molto preparata e gentile, ancora nel 2006 sapeva pochissimo dei nidi di Imola, e non mostrava – né tuttora mostra - un grande entusiasmo per le sezioni miste “con i lattanti dentro”. In poco tempo, collezionai una serie di aneddoti che andavano tutti nella stessa direzione, come, ad esempio, le bibliografie che proponeva per i concorsi: non contenevano alcun testo pedagogico, con l’esclusione de “I sette saperi necessari all’educazione del futuro” di Edgar Morin, sempre che lo si possa considerare un testo pedagogico. In buona sostanza, Maurizia, popolarmente chiamata pedagogista, che io sappia non ha mai scritto nulla di pedagogia e, con ogni probabilità, la detestava. Da “Le parole ai bambini”, alla sua rubrica fissa “Diario di Bordo” su Ambientinfanzia, solo per citare le ultime cose pubblicate: sono riflessioni e approfondimenti che se proprio proprio vogliamo avvicinare a qualche scienza ufficiale, questa può essere forse l’antropologia culturale, lo studio partecipato e narrativo delle società umane in ambiente naturale. Fuor d’accademia, dobbiamo accettare che si tratta solo di letteratura allo stato puro, scritta, cioè, per puro diletto. Per Natale, Maurizia era solita regalare agli amici un libro che lei aveva già letto (regalava proprio la sua copia), accompagnato da una dedica. Sì è soliti leggere negli ultimi comportamenti delle persone che ci lasciano i segni inconsci di un testamento spirituale: non mi sottrarrò a questa tentazione. In occasione del Natale 2006, a me toccò “La verità sul caso D.”, di Dickens, Fruttero e Lucentini. Il 9 giugno 1870 Charles Dickens muore lasciando irrisolto Il mistero di Edwin Drood, che da quel momento diventa il più intrigante, affascinante, dibattuto romanzo della letteratura inglese. Perché con questo romanzo Dickens si era cimentato col nascente genere poliziesco, ma ahimè, facendo mancare i capitoli finali e quindi lasciando generazioni di lettori a lambiccarsi sull'identità del colpevole. Cent'anni dopo, o giù di lì, gli irripetibili Fruttero & Lucentini imbastiscono un complesso processo indiziario per tentare di capire quali possano essere gli sviluppi più plausibili della storia. Indicono così una vera e propria conferenza a cui invitano fior di esperti. Giallisti? No. Poliziotti? Nemmeno. I convenuti per risolvere il mistero dickensiano - magia della letteratura e soprattutto dei consistenti fondi di alcuni sponsor giapponesi - sono gli investigatori di ogni tempo e paese. Chi è interessato all’esito della conferenza – che è anche l’esito del romanzo, “scritto a 2+4 mani” - se lo dovrà leggere: è breve e di leggera lettura. Nell’ultimo Natale il regalo è stato di gran lunga più impegnativo: si tratta della raccolta Nobiltà dello spirito e altri saggi di Thomas Mann, un ponderoso volume di circa 2000 pagine di riflessioni sulla letteratura, la filosofia e l’arte tedesca ed europea tra ‘800 e ‘900. Confesso che, a differenza di tutti gli altri regali, questo non l’ho ancora letto (e per intero non lo farò mai). Già tre anni fa, in quel regalo del 2006, avevo intravvisto una metafora del suo pensionamento appena consumato (ma non gliel’ho detto): un romanzo lasciato incompiuto e una conferenza di esperti che cerca (inutilmente?) di darvi un senso definito. Adesso è fin troppo facile vedervi anche una metafora della sua morte, una morte indissolubilmente legata alla sua opera, anche perché Maurizia, con molta saggezza, come i pugili veramente grandi, ha saputo lasciare l’arena all’apice del successo e della fama, senza alcun calcolo materiale. Ma perché Mann a Natale 2009? Perché l’autore de I Buddenbrook, La Montagna Incantata e Morte a Venezia, solo per citare le opere più note? La formazione e l’opera di Mann è segnata dalla costellazione Schopenhauer – Nietzsche - Wagner, come a dire: il Pessimismo - l’Anti Modernità - l’Ambiguità. Quest’ultima è forse la nota più conturbante dello scrittore, che ama Wagner come supremo esempio in cui “genio e ciarlataneria si fondono”, che scrive lettere di burocratica retorica alla moglie e definisce l’omosessualità – tema centrale de Morte a Venezia - come l’unico amore veramente tale “perché sterile”, che è continuamente tentato dall’idea nietzschiana che la democrazia banalizza lo spirito ed è ossessivamente spinto a cercare una via per prevenire questo destino, senza rinunciare alla democrazia, come il nascente regime nazista stava così orrendamente facendo… Il tema de La Montagna Incantata richiama prepotentemente il tema centrale dell’intervento di Maurizia al convegno del 2006; nel romanzo di Mann il tempo è addirittura bloccato o dissolto in un incantesimo, nel discorso di Maurizia esso è solo “rallentato”. Maurizia ha trasformato un proprio difetto infantile (“ero una bambina lenta”) in una categoria dello spirito, ma non in una categoria pedagogica, come a volte si equivoca…. E la vicinanza spirituale tra Maurizia e Mann mi appare sempre più evidente, anche e forse soprattutto in quel “pessimismo essenziale” appena sussurrato che la caratterizzava e che lei, al pari dello scrittore, tentava continuamente di nobilitare nella letteratura e nell’arte, e nel sostenere che una vera democrazia, una democrazia non banale, ha spazio per il Vagabondare e per il Buonannulla. Il regalo del 2006 era accompagnato da un biglietto autografo (anche se presumo uguale per tutti gli amici), che così recita: “Forse penserete che sono tirchia e bacchettona (e potreste anche avere ragione), ma quest’anno non riuscivo ad adattarmi alle folle dei negozi e della corsa ai regali. Eppure a me piace fare regali, mi piace pensarli e prepararli. Gli scaffali della mia libreria traboccano; ho più libri, appena sfogliati, di quanti riuscirò mai a leggere; nonostante questo, so che ne comprerò altri, che andranno a caricare ancora quegli scaffali. Che cosa c’è di meglio che fare spazio regalando qualcuno dei libri già letti? Li ho selezionati con cura e sono arrivata alla scelta finale, con abbinamento libro-destinatario, solo dopo molti ripensamenti e sostituzioni. Questo naturalmente non garantisce una buona scelta; dice soltanto delle mie buone intenzioni. Ogni libro che ho letto è diventato un pezzettino della mia storia, quindi abbiatene cura anche se non vi piace (non è affatto obbligatorio che piaccia). Se l’avete già o l’avete già letto, non fatevi scrupoli a restituirmelo: sugli scaffali della mia libreria ce ne sono altri che aspettano di essere ri-letti. E magari, se i libri avessero sentimenti, sarebbero contenti di passare di mano in mano.” Ogni ulteriore commento è superfluo. Forse perché conoscevo Maurizia più nella vita privata che in quella professionale (e questo tipo di conoscenza, anche con i suoi segreti, ha influenzato moltissimo i miei ricordi e ciò che ho scritto), preferisco ricordare Maurizia non tanto per il suo ruolo ampiamente riconosciuto nello sviluppo storico dei nidi del Comune di Imola, quanto piuttosto per un’esperienza più antica, quando prese a casa sua, in affido per oltre 4 anni, un gruppo di adolescenti provenienti dall’allora istituto Sante Zennaro, e li condusse all’età adulta. Uno di questi, Paolo, ora intorno ai 50, ha continuato a frequentare la sua casa fino all’ultimo. Senza quell’esperienza, così profondamente anti-istituzionale e, in fondo, così visceralmente antipedagogica, i nidi di Imola non sarebbero quelli che conosciamo. Neil e Marguerite Barbara Molinazzi Esco dall’ultimo giorno di formazione, sessione estiva dell’anno 2007; l’ultimo, anche se in questo momento ancora non lo so, in veste di educatrice. Mentre torno a casa, in bicicletta con il sole a picco che mi confonde un po’ i sensi, continua a ronzarmi nelle orecchie come un calabrone estivo, l’eco della frase che Maurizia Gasparetto ha citato in chiusura. Che dice più o meno così: “avere il coraggio di lottare per cambiare ciò che può essere cambiato, l’umiltà di accettare ciò che non si può cambiare, l’intelligenza di distinguere tra le due cose”. L’ha pronunciata Marguerite Yourcenar nel corso di un’intervista, per rispondere al giornalista che le chiedeva quali fossero le virtù per una buona vita. Qualcosa mi suona familiare in quella frase e continuo, caparbiamente, a cercare di ricordare dove l’ho già sentita. Poi, ringraziando la lentezza della bicicletta che mi concede tempo per pensare, si apre il sipario. E’ un salto nel tempo di un paio di decenni, quando, adolescente in cerca del senso della vita, navigavo tra musica, poesia, letteratura e arti varie. Seguendo l’ispirazione del momento, mi innamoravo a volte di una frase, di una canzone, di un personaggio, meglio se circondato da un’aura maledetta: esperienza comune a quasi tutti gli adolescenti, credo, con la particolarità che ognuno di loro si crogiola nell’idea di essere il solo a provarla. Ero dunque passata da poco attraverso le porte della conoscenza, in compagnia di Jim Morrison, quando incontrai una curiosa occasione per esercitarmi nella traduzione dal latino: sul retro della copertina del disco di Neil Young che avevo appena comprato, campeggiava nero su rosso la seguente frase, che ricopio diligentemente, visto che ho ancora il disco e non vorrei, dopo tanti anni, sbagliare qualche desinenza: “Deus dona mihi serenitatem accipere res quae non possum mutare, fortitudinem mutare res quae possum atque sapientiam differentiam conoscere”. Quella frase, nei mesi successivi, la scrissi ossessivamente, colpita da grafomania compulsiva adolescenziale, su diari, pantaloni, borse mie e delle compagne di scuola, costole di libri: si salvarono i muri, perché allora non si usavano i graffiti. Cosa aveva mosso, quella frase, nella me di allora? Se non l’avessi risentita dopo vent’anni, me ne sarei mai ricordata? Il suo significato aveva lasciato una traccia nella mia persona? Domande tutto sommato piuttosto inutili, ma quando ci si inizia a porre domande, prima o poi ne arriva qualcuna migliore delle altre: Quanti collegamenti possibili esistono tra gli eventi? E che cosa ci perdiamo quando non riusciamo a coglierli? Allora ricordo che Maurizia, sempre nel corso del suo commento, si è accalorata di fronte all’affermazione di un gruppo di lavoro che lamentava ”troppa teoria”. La sua osservazione è stata che non ha tanto significato chiedersi se la teoria, che altro non è che una possibile interpretazione della relazione tra diversi fatti, sia troppa o troppo poca; ciò che è utile fare è interrogare la teoria, cercare in essa dei nessi con la nostra esperienza, con gli eventi concreti che ci riguardano. Nulla, in questo senso, è inutile. Siamo noi che dobbiamo essere capaci di porre le giuste domande, di cogliere le connessioni. Ma mentre nella nostra vita privata possiamo permetterci di far crescere le reti di collegamento in modo spontaneo, come spontaneamente è nata la strana coppia Marguerite Yourcenar e Neil Young dal mio patrimonio personale di esperienze, professionalmente siamo chiamati a compiere uno sforzo in più: cercare consapevolmente e con determinazione le domande giuste, i collegamenti tra i fatti che ci stanno intorno. Io trovo che ci sia un messaggio potente in questo, forse molta parte del senso che possiamo attribuire alla formazione. A me ha insegnato ad avvicinarmi con umiltà ad ogni forma di conoscenza, ad avere la pazienza di attendere che vi sia il momento giusto per mettere a frutto ogni cosa: la pazienza di aspettare vent’anni, se necessario, perché Neil e Marguerite, inconsapevoli amanti, si possano incontrare. A Maurizia Natascia Conti Leggera e fragile potenza austera ha portato la vita in ogni scuola. Ricchezza piena di libertà, degno di voce il tuo canto sarà. Hai donato spazio e riflessione che nel lavoro non c'è copione: si osserva sempre la spontaneità e un nuovo sorriso all'improvviso apparirà. Rispetto e amore per chi se ne va ma che col suo passo un segno sarà, luce preziosa per chi rimarrà e nel suo cammino lontano lo porterà...... Fragili Tamara Bordini Sante Zennaro 1988, un caldo fine agosto… e il mio primo corso d’aggiornamento (oggi la chiamiamo formazione!!!). Ero emozionata e anche un po’in ansia (le cose che non conosco mi spaventano, penso sempre di non essere all’altezza!!!), c’erano molte persone piene di esperienza, che non conoscevo e la Pedagogista, Maurizia Gasparetto, che teneva il corso e che conoscevo appena. Ero stata assunta, inaspettatamente, l’11 luglio di quell’anno al Nido Scoiattolo. Inaspettatamente perché avevo fatto il concorso qualche anno prima, ero stata “bravissima“ al di là di ogni mia speranza/illusione ma, poiché il punteggio per il lavoro svolto presso il Comune era poco, ero finita all’undicesimo posto della graduatoria e avevo abbandonato ogni speranza. In quel periodo stavano cambiando parecchie cose nella mia vita, nessuna piacevole, per cui ero stata costretta, mio malgrado, a fare la scelta, dolorosa, di rinunciare alle supplenze per lavorare a tempo pieno in una toelettatura per “cani e gatti”presso un ambulatorio veterinario. Certo non erano bambini… ma anche prendermi cura, nel modo giusto, di animali mi era sempre piaciuto e qualche soddisfazione me la dava….se avete visto in quel periodo barboncini con ciuffi e pon-pon (poveri!) era colpa mia! Tornando al corso... l’argomento era “Le immagini del bambino e il comportamento degli adulti”: non ricordo molto, anche il tema l’ho ricavato da un vecchio elenco, ma tre cose mi sono rimaste ben impresse nella memoria, e non solo in quella! C’era una colonna sonora, Maurizia aveva portato un piccolo stereo portatile da cui uscivano le note meravigliose di un album di Sting (mi sono documentata, per chi fosse interessato: NOTHING LIKE THE SUN) tutto dolcissimo ma specialmente un brano, “Fragile” che, per quante volte io lo possa ascoltare, non smette di piacermi, di emozionarmi e ora anche di commuovermi. In quell’occasione creò un clima incredibilmente piacevole e rilassato che faceva sentire a proprio agio perfino me. La seconda cosa che ricordo è questa: parlando di comportamenti, di relazioni Maurizia ci raccontò un piccolo aneddoto che qui tento di riportare. - Una coppia sta passeggiando lungo una strada, lei va veloce, è avanti di qualche metro e pensa: -Ecco lui va piano, rimane indietro, lo fa apposta, non vuole camminare accanto a me!lui invece: - Guarda, guarda come va veloce, certamente non vuole farsi vedere con me!I punti di vista sono importanti nelle relazioni, così come provare a mettersi nei panni degli altri, riuscire a parlarsi, raccontarsi, mediando possibilmente sul significato che attribuiamo ai gesti e alle parole (cosa mai scontata); camminare insieme è bellissimo ma non è semplice e, farlo, implica uno sforzo e il desiderio di “incontrare”l’altro. Discutemmo molto quel giorno su quanto potrebbe essere semplice chiedere spiegazioni sui comportamenti degli altri senza prima mettersi sulla difensiva…o attaccare. Il piccolo racconto, lo scambio di opinioni, i rimandi di Maurizia che, in modo semplicissimo, ti aiutavano a capire, tutto mi è rimasto dentro; a volte mi è servito sul lavoro nei rapporti con i bambini, con i genitori e con i colleghi; mi riecheggia sempre quando vivo qualche relazione un po’ conflittuale. Penso di averlo assorbito un po’(anche troppo) come un mio modo di vivere. di essere, probabilmente perché in fondo, quel giorno, mi sono sentita rassicurata, quasi “autorizzata“ a essere la persona che sono e che oggi mi piace essere mentre, in quel momento, mi sentivo un po’(molto) inadatta. Il corso finì sul prato del Sante Zennaro a massaggiarci il collo e le spalle a vicenda, a condividere una relazione, un incontro fatto anche di sensazioni fisiche piacevoli. Fragili (STING) Se il sangue scorrerà quando la tua spada incontrerà la carne seccandosi al sole della sera, la pioggia di domani laverà via le macchie. Ma qualcosa rimarrà per sempre nelle nostre menti Forse questo ultimo atto è destinato A ribadire una fondamentale verità: che dalla violenza non può e non è mai potuto nascere nulla. Per tutti quelli nati sotto una stella arrabbiata per paura che ci dimentichiamo quanto siamo fragili. La pioggia continuerà a cadere su di noi come lacrime da una stella La pioggia continuerà a dirci quanto siamo fragili, quanto siamo fragili. Post-it Elisa Solaroli Ho tante cose nella mente pensando a Maurizia e non sono sempre chiare, sono tanti spunti che si susseguono negli anni e lasciano il tempo di pensare, ragionare e comprendere qual’ è il proprio percorso. Non mi pare di ricordare Maurizia dare delle regole fisse; il suo “esserci” ci ha segnato in maniera continua e con flessibilità e il filo conduttore è sempre stato il rispetto del bambino. Tante volte non ero certa di aver compreso ciò che stava dietro al suo ragionamento, altre volte non mi sono trovata d’accordo e, nella riflessione, si è evoluto il mio percorso personale. Adesso sto ripensandola “a caldo” e forse i ragionamenti non sono molto raffinati ma non penso che ciò sia fondamentale per riflettere sul fatto che il pensiero di Maurizia è per noi, educatori ed insegnanti, come l’impronta di un dinosauro che è frutto di un attimo ma si cementa e si solidifica nel tempo e resta per sempre; sta a noi trovarlo e ritrovarlo nella sedimentazione del tempo, spolverarlo e tenerlo stretto forte nella nostra memoria e nel nostro percorso collettivo. Per me pensare a Maurizia è pensare alla “figura di riferimento” come modalità di attenzione, osservazione e relazione al singolo bambino; sono arrivata ad Imola che già si lavorava su questa base e mi è sembrato un percorso molto naturale da seguire, accettare e vivere. Nel mio successivo passaggio alla scuola dell’infanzia mi sono portata dietro le cose che per me erano importanti e che fanno parte del mio modo di essere e, soprattutto, la cura, il rispetto e l’attenzione per il singolo e credo sia questo il regalo che Maurizia mi ha fatto. E poi, pare non c’entri ma non è vero, quando sono davanti alla porta del frigo vedo, tra i disegni colorati dei miei bambini, un biglietto che ho attaccato anni fa e che, per me, parla di Maurizia: PERDERE TEMPO… Per fantasticare… per guardare dalla finestra… per annoiarsi… per guardare dentro di sé… per non farsi vedere… per seguire il cammino di una formica… per ridere senza ragioni… per pensare… per piangere senza vergogna… per stare da soli… per esplorare con le dita le crepe nei muri… per succhiare un filo d’erba… per non dover vedere ciò che si è fatto… per far finta di essere… PER… Le sue parole, il suo pensiero sorridente. Luciano Poli Confesso che mi costa ancora fatica parlare – e scrivere soprattutto – di Maurizia. Non ho elaborato completamente la sua perdita e pensieri, ricordi ed emozioni si aggrovigliano dentro di me. Tuttavia non posso e non voglio lasciare cadere l’invito rivoltomi dalla redazione di “Quaderni d’Infanzia”. E allora proviamo ad annodare qualche ricordo. Il primo mi stupisce ancora; ricordo di “averla conosciuta” attraverso le parole e le riflessioni di Silvana, una collega piemontese. Maurizia era stata invitata , mi sembra ad Alessandria, per tenere una relazione ad un corso di formazione per insegnanti delle scuole materne ed aveva raccontato anche della sua visita alle scuole dell'’infanzia di Arhus, città del nord della Danimarca. Aveva suscitato interesse e perplessità nell’uditorio raccontando di bambini che potevano scegliere liberamente le attività fra quelle predisposte dalle educatrici, di bambini che venivano portati quasi quotidianamente nel bosco per giocare sulle sponde non recintate dei corsi d’acqua , di stanze in cui gli adulti potevano entrare solo se chiamati dai bambini … Ma il bello – diceva Silvana – è che utilizza dettagli, a volte insignificanti per molti di noi, per aprirti il cuore ed illuminarti la mente. Per farti pensare e ragionare, per inserire il dubbio nelle tue certezze e nel tuo fare. Ricordo poi una nebbiosa serata in stazione a Parma: aspettavamo il treno per Imola che, cosa non insolita, ritardava. Mi sorrise e si presentò: disse che mi conosceva perché suo figlio aveva frequentato la scuola in cui insegnavo; le raccontai dell'’episodio di Alessandria. Si schernì, ironizzò un po’, ma mi parve gradire quel ricordo. Il treno arrivò dopo molto tempo e così ci fu il tempo per scambiarci informazioni e “giustificazioni” per quell’incontro fra imolesi in trasferta ... io ero a Parma per conto dell'’IRRSAE che aveva attivato una sperimentazione cui aderivano diverse scuole di quella città, lei proveniva da un incontro con un funzionario del Comune di Parma che le aveva offerto l’opportunità di dirigere il Centro per le Famiglie. Disse che pensava di non accettare per non allontanarsi troppo da Imola. Ma le dispiaceva “ perché le incursioni nel sociale le consentivano, mentre si occupava di educazione e di servizi rivolti a bambini normali con famiglie normali, di conservare uno sguardo anche su quei bambini e su quelle famiglie che crescono ai margini, ignorati fino a quando non diventano elemento di disturbo della quiete altrui. Semplici ricordi che mi consentono di delineare alcuni fra i tratti della sua persona che maggiormente ho apprezzato: la cura del dettaglio e delle analisi, l’eleganza del ragionamento mai affrettato e banale, il pensiero dolce e sorridente, la sua disponibilità e modestia, nonostante la sua profondità e ricchezza, la sua cordialità e semplicità nel rapporto con le persone, come ebbero a scrivere di lei Patriza ed Enrica, giovani redattrici di Ambientinfanzia, la rivista cui ha offerto per due anni, con il suo “Diario di Bordo”, indimenticabili contributi. E ritornando alla sua apprezzata collaborazione ad Ambientinfanzia vorrei ricordarla con le parole della collega Arnalda Mori “ … la penso volare libera nel cielo e continuare a donarci ironia e dolcezza di pensieri e parole. Fiocchi di neve candida danzano il suo volo nel cielo. Lei oggi già scrive il suo "diario di bordo" dall' immenso infinito.” Le Poltrone di Elinor Camilla Cacciari Ho appena finito di correggere le bozze. Ho rimandato per settimane il momento di scrivere questo articolo: avevo in testa un mucchio di piccole cose da raccontare, ma capitava che, man mano che leggevo gli articoli altrui, scoprivo che gran parte delle cose che io avevo in serbo era già stata scritta; allora ridimensionavo il mio mucchio di piccole cose da raccontare. Ogni giorno mi mettevo qui davanti e la pagina restava bianca: rovistando nei miei ricordi mi perdevo in una decina di sentieri, per raccontare i quali un articolo non mi sarebbe mai bastato. Adesso però ho raccolto parecchi sassolini sparsi in qua e in là, nelle bozze appena corrette, dalle mie previdenti colleghe: come Pollicino e li ho seguiti per tornare indietro nel tempo fino a quelle tre giornate che ebbi l'occasione di trascorrere con Maurizia, in una specie di vacanza che trasformò i nostri semplici e cordiali rapporti di lavoro in una conoscenza più approfonditoa e confidenziale, che mi piace chiamare amicizia... ma non è di questo che voglio parlare qui. Voglio parlare, piuttosto, di quanto quei tre giorni furono fondamentali per la mia storia professionale . Cammina, cammina.... 1986 Marléne ed io, che eravamo alle prese con una seconda (o, meglio, una semidivezzi), durante un intercolletivo per sezioni parallele, avevamo espresso a Maurizia le nostre "ansie" perchè ci macava qualche cosa ( materiali di gioco?... un metodo di lavoro?...) che ci aiutasse a gestire un gruppo di bambini così piccoli, riducendo i conflitti e offrendo nuove occasioni di gioco ai bambini. Eravamo insoddisfatte, anche un po' frustrate, direi. Va precisato, per chi allora non c'era, o, se c'era, era un/una piccolo/a utente, che la figura di riferimento, il gioco euristico... non sapevamo ancora che cosa fossero... Fatto sta che, poco tempo dopo l'intercollettivo, ci giunse l'invito di Maurizia a partecipare, il 22, 23, 24 maggio, al Convegno di Ancona: “Per una ecologia della prima infanzia”... (mi son sempre chiesta se il nome del convegno fosse stato scelto perchè cadeva esattamente un mese dopo il disastro di Chernobil). Nonostante già da anni fossimo vittime di decreti e finanziarie varie che tagliavano fondi e supplenti ai Nidi, allora erano ancora i bei tempi in cui il Comune pagava senza troppi tentennamenti le trasferte, pernottamenti compresi, e le supplenti arrivavano ancora a tempo pieno: perciò non avemmo troppi dubbi per deciderci ad abbandonare per due tre giorni con tutto il gruppo, l'incaricata che lavorava con noi in quell'anno scolastico. Si unì a noi, da un'altra sezione, anche Carla Camaggi. Giovedì 22 maggio partimmo per Ancona con la mia R5: tutte insieme appassionatamente Maurizia, Carla, Marléne ed io. Dovevamo scegliere a quale gruppo iscriverci: io e Marléne scegliemmo quello in cui si sarebbe discusso dei rapporti con le famiglie, Carla si unì a Maurizia in un altro gruppo. Durante la mattinata ci sarebbero stati gli interventi di apertura in assemblea plenaria, presso la sede principale del convegno; i gruppi, decentrati, si sarebbero riuniti nel pomeriggio per poi relazionare sui loro lavori nelle mattine seguenti, sempre in assemblea plenaria Terminati i lavori di apertura ci sguinzagliammo per i vari stands allestiti, e, mentre io mi dilungavo ad esaminare materiali d'arredo vari, venne a sollecitarmi Marléne perchè andassi subito a vedere quello che lei aveva appena scoperto. La seguii incuriosita: al centro dello stand alcuni tappeti e qualche tavolo basso; due tre bambini giocavano con una serie di materiali inconsueti che estraevano da sacchi di stoffa: coni e tubi di cartone, coperchietti per conserve, anelli per tende, pezzi di stoffa, pompon, tappi di sughero ecc. ecc. Tutto materiale di recupero. Sui tavoli più alti erano sistemati altri sacchi, e oggetti ricavati dall'assemblaggio dei vari materiali... Un'anziana signora si aggirava in mezzo a questa scena, ora rispondendo a chi le faceva domande, ora tornando a sistemarsi in un angolo su una comoda poltrona. Purtroppo non avevamo molto tempo per fermarci ad indagare. E maledicemmo la volta in cui non avevamo scelto il gruppo in cui sarebbe intervenuta l'anziana signora, che forse avrebbe fatto più al caso nostro. Raccogliemmo tutto il materiale informativo che trovammo e ce ne andammo all'appuntamento per il pranzo con Carla e Maurizia. Non lo sapevamo ancora, ma eravamo state appena illuminate sulla via di Damasco: quell'incontro avrebbe rivoluzionato il nostro modo di lavorare coi bambini da allora in poi. Arrivammo al ristorante per prime e, nell'attesa, sciorinammo sul tavolo tutto il mazzo di carte raccolte alla mostra e cominciammo a cercare di capire. “Ecco vedi: non è tutto lasciato al caso, bisogna Elinor Goldschmied seguire delle regole ben precise... qui c'è un elenco di materiali... e guarda qui...” Marléne mi mostrava le foto dei bambini al lavoro” “I sacchi ce li fa Paola... il materiale di recupero facciamo presto a raccoglierlo... Dai, da lunedì cominciamo...” “Ah, l'avete trovata!” commentò Maurizia sorridente, quando, al posto del menù, trovò tutta quella carta. Prese dal nostro entusiasmo non avevamo sentito giungere le nostre amiche e trasalimmo con un “Che cosa?” “ Magari Chi”, precisò Maurizia ” Elinor Goldschmied: lo sapevo che vi sarebbe stata simpatica” A distanza di anni capisco che Maurizia aveva invitato noi ad andare ad Ancona perchè probabilmente si era accorta che, in quel momento, noi due eravamo già cotte a puntino per accogliere con entusiasmo la lezione della Goldschmied. Ci aveva portate ad Ancona ed, euristicamente, ci aveva fatto scoprire il gioco euristico. Aveva disposto, ma non imposto. Rientrate a casa faticammo, e non poco, a convincere i nostri colleghi di allora ad accettare e a condividere con noi queste novità, la raccolta del materiale di recupero, l'applicazione abbastanza integralista delle indicazioni della Golschmied... comunque noi cominciammo, complice Paola che ci cucì tutti i sacchetti necessari, e... se ci amavano ci avrebbero seguite. Alla fine ci seguirono. Andò più brillantemente il confronto con i colleghi degli altri nidi che si rivelarono, da subito, molto più interessati: Maurizia lasciò a noi l'opera di evangelizzazione in qualche intercollettivo per sezioni parallele, e finì che ci spedì anche in tournée nel Parmense. Ma c'è un'altra cosa che portammo a casa in seguito a quell'incontro. Veramente noi non avevamo osato impadronircene, frenate da quei moralismi espiatori che associano il lavoro VERO solo a fatica sudore e disagi. Visionando una delle nostre prime riprese col gioco euristico protagonista, Maurizia ci fece notare che macava un particolare raccomandato dalla Goldschmied: una poltrona comoda che garantisse anche il benessere degli educatori. E così, da allora, poltrone e divani cominciaro a far parte dei nostri arredi. Vorrei concludere con una specie di sogno ad occhi aperti: io ho sempre percepito in Maurizia un non so che di anglosassone: un po' per il suo look, un po' per la sua ironia flemmatica. Ora me le vedo, lei ed Elinor, là sedute su comode poltrone a sorseggiarsi un buon tè accompagnato da biscottini scozzesi allo zenzero. E. Goldschmied: cestino dei tesori Il bambino nel bicchiere Valeria Castaldi Era il 1978, il Comune aveva da soli 2 anni avviato i primi Nidi quando dovette decidere come gestire l’acquisizione delle strutture e del personale del disciolto Ente dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Fu presa la decisione, per uniformare il servizio, di avviare una mobilità forzata del personale. Tutti sapevamo che era la cosa migliore da fare, forse l’unica possibile, ma anche la più difficile per chi aveva appena avviato un’esperienza nuova, con aspetti pionieristici data la quasi totale mancanza di modelli, se non quello, appunto, dell’ONMI. Ci dava sicurezza il gruppo di lavoro in quella che era la totale incertezza rispetto a metodi, ruolo, progettazione. Ci sentivamo comunque portatrici di novità, cultura, motivazioni sociali forti ed una certa dose di presunzione. Le colleghe del disciolto Ente, dal canto loro, sapevano di avere l’esperienza che a noi mancava e questo precludeva loro la voglia di accettare il cambiamento e le portava a chiudersi in difesa. I primi momenti della fusione furono davvero duri, con scontri quasi quotidiani a causa di metodi di lavoro , aspettative e gesti quotidiani diversi. Noi cosiddetti “comunali” cercavamo spesso l’avvallo di Maurizia, pensavamo che avrebbe dovuto parteggiare per noi dato che noi avevamo il marchio del nuovo e del giusto. E ci deludeva spesso il suo non volersi schierare con decisione. Avremmo preteso che ci sostenesse palesemente, spiegando alle colleghe che dovevano adeguarsi ai nostri metodi perché migliori. Poi arrivò il momento dei bicchieri. Nell’arredo del Nido di Viale Saffi c’erano i bicchierini d’acciaio, in uso prima del nostro arrivo. Non ci piacevano, secondo noi erano freddi, brutti e da cambiare, come tutto il resto d’altronde. E sostenevamo che ci volevano bicchieri colorati, di plastica, infrangibili anch’essi, ma più allegri. La disputa fu veramente accesa, tanto da richiedere l’arbitrato di Maurizia. Eravamo certe del suo appoggio totale, essendo convinte di essere nella ragione. Bicchieri d’acciaio o di plastica colorata? Maurizia riflettè un pochino poi, con la solita ferma delicatezza, disse che, se proprio si cambiavano i bicchieri, l’unico elemento utile da considerare, oltre all’infrangibilità, era la trasparenza, per permettere ai bambini di vederne il contenuto. Non fu una mediazione e neanche un prendere la via mediana per non scontentare nessuno, come ci parve in un primo momento. Era il modo di indicarci l’unica via possibile per affrontare la convivenza e provare a collaborare, mettendo solo il benessere del bambino al centro del nostro lavoro e delle nostre scelte. Occorreva cambiare la prospettiva. Poco alla volta più o meno consapevolmente, adottammo questo metodo che decentrava le energie dallo scontro per prevalere e le dirottava per il miglioramento dell’ambiente e delle relazioni. Ed è questo il primo episodio che, come tanti altri simili, appare piccolo ed insignificante ma riuscì non solo ad invertire il corso di una storia che rischiava di diventare difficile ma anche a dare avvio al percorso di costruzione di un nostro metodo di lavoro e di un modello condiviso. Io, in quell’occasione, sentii l’obbligo di riflettere ed feci un passo indietro, convenendo che quella era la strada da seguire. Ma Maurizia non ti dava mai lezioni. Delicatamente posava tanti piccoli sassolini, quelli che, quando si ammucchiano, riescono a deviare il corso di un fiume. Sono certa che abbiamo tutti in mente qualcuna di quelle piccole e preziose occasioni di crescita che ci ha messo davanti lasciandoci libere di coglierle. Molte di noi ricorderanno con quanta commozione abbiamo letto la famosa lettera “ad una educatrice della sezione lattanti” con le poche e sostanziali indicazioni sull’uso della mano durante le routine. Un altro prezioso sassolino che ha deviato il fiume verso la cura della relazione adulto bambino e la figura di riferimento. Mi auguro che ci saranno altre occasioni per guardare il corso del fiume e controllarne la direzione: riprendiamo in mano quei preziosi sassolini ogni tanto e guardiamo come l’acqua li ha resi levigati e belli e ancora tanto solidi da poter essere usati e usati e ancora usati. Il fiume scorre e non sparisce. Da tenere sul comodino Suggerimenti di lettura a cura di Maurizia Gasparetto Sostituendoci a chi ha curato fino ad ora questo spazio, nell'ultima apparizione di questa rubrica su Quaderni d'Infanzia pubblichiamo la lettera “A una educatrice che lavora nella sezione lattanti.” di Maurizia Gasparetto. La Redazione Maranà-tha: ragioni di una scelta Valerio Vergnani Quando ero bambino non riuscivo a definire esattamente il lavoro di mia mamma. Avevo un repertorio di risposte delle quali nessuna completamente vera, ma nemmeno completamente falsa. Crescendo ho capito quali erano i suoi compiti dentro il Servizio Infanzia. Poi, lavorando nello stesso ambito, ho raggiunto la consapevolezza che il modo in cui svolgeva il suo lavoro era la filosofia della sua vita. Per onorare la sua memoria cercavo delle persone che avessero un progetto di vita dedicato ad aiutare gli altri a crescere ed a superare i momenti difficili. A Maranà-tha ho trovato questo. Potrei riassumere quello che mi ha colpito di questo gruppo di persone in quattro parole. Tolleranza: perché nonostante la loro precisa scelta religiosa accolgono famiglie di ogni altra religione. Pazienza: perché dedicare tutto il proprio tempo agli altri ne richiede tanta. Libertà: perché le loro porte sono sempre aperte, per entrare e per uscire. Coerenza: perché tutto ciò che fanno, dall’educazione dei figli alla raccolta differenziata, è parte di un medesimo disegno. In questi principi riconosco mia mamma, che ha sempre cercato ed accettato il confronto con idee diverse dalla propria; ha tratteggiato e suggerito possibili percorsi, lasciando la libertà di uscirne; ha attribuito alle persone un valore non “a priori”, ma sulla base del significato che queste sapevano costruire. Due brevi considerazioni per concludere. La vita professionale di mia madre è stata interamente dedicata al sociale in tutti i suoi aspetti e la comuniità Maranà abbraccia più branche dei Servizi Sociali. Nel leggere il racconto di Margherita * ho trovato diverse similitudini con le parole, materne e professionali, di mia mamma: crescere a volte significa scontrarsi; ognuno ha diritto a trovare una propria dimensione; il confronto con il pensiero diverso dal nostro è sempre occasione di crescita. Grazie a tutti per il contributo offerto e per l'attaccamento dimostrato. Chi ha voglia di conoscere qualcosa in più della comunità Maranà-tha, può continuare a leggere quello che segue. Identikit della comunità Maranà-tha è una comunità di famiglie, nata nel 1985, che hanno risposto alla vocazione di seguire Gesù in una vita semplice, fondata sulla preghiera e la condivisione, che si realizza con il servizio al prossimo. Attualmente cinque famiglie e Claudio Imprudente, un uomo diversabile, abitano insieme a S. Giorgio di Piano (Bologna), in una grande casa dalla quale sono stati ricavati, oltre agli appartamenti per le famiglie, degli spazi per le accoglienze, una cucina e un salone comuni per condividere i pranzi durante la settimana, una cappella per ritrovarsi ogni sera a pregare e altri spazi per stare insieme. Maranà-tha accoglie bambini attraverso l'affidamento familiare, donne sole con bambini, nuclei familiari in difficoltà, persone con disagi psichici e sociali, persone in discernimento vocazionale. Maranà-tha è anche un centro operativo della Caritas di Bologna dove poter svolgere il Servizio Civile Nazionale (dal 1985 sono 30 i giovani che hanno prestato servizio civile presso la comunità). Nel 1999 Maranà-tha si è costituita in associazione di volontariato e i beni immobiliari della struttura sono adesso di proprietà dell'associazione. Nel 2002 la comunità è stata riconosciuta come opera dell’apostolato sociale della Compagnia di Gesù e partecipa attivamente al Jesuit Social Network Italia, federazione delle realtà che operano nel sociale, legate ai gesuiti. Nelle famiglie alcuni hanno un lavoro esterno, altri lavorano a tempo pieno nella comunità. Tutti comunque hanno un ministero specifico in comunità. Attualmente Lorena ed Elena si dedicano a tempo pieno alla comunità per quanto riguarda le relazioni con l’esterno, la gestione quotidiana della casa (spesa, cucina, giardino) e le pratiche amministrative (la segreteria dell’associazione). Le professionalità delle persone che lavorano all’esterno sono varie: due infermieri (Gianni e Margherita), un ingegnere (Fabrizio), un programmatore (Stefano), una ricercatrice universitaria (Francesca), un elettricista-counselor impiegato in una cooperativa sociale (Mario), un giornalistascrittore- formatore (Claudio). Luca lavora come magazziniere e Simona è impiegata al centro servizi per il volontariato della provincia di Bologna. Marnà-tha ha un sito Internet: www.maranacom.it Maranà-tha: una comunità per accogliere In 18 anni circa sono stati intrapresi più di 25 progetti di affidamento familiare di minori e sono state ospitate più di 100 persone in difficoltà o in ricerca. Una buona parte di questi progetti hanno coinvolto nuclei monoparentali (mamma-bambino). Alcune persone hanno condiviso con noi un pezzo di strada breve, di pochi mesi. Altri, in particolare i bambini in affido, sono rimasti con noi per anni, cementando relazioni affettive profonde. L'accoglienza di persone adulte interessa principalmente: - donne italiane e straniere (in collaborazione con i servizi sociali, con la Caritas diocesana,…), accompagnandole verso una vita autonoma insieme ai loro figli, o nella delicata fase della gravidanza, della nascita e i primi mesi di vita dei piccoli - adulti con esigenza di strutturare percorsi di sostegno per realizzare un’autonomia di vita - persone in discernimento vocazionale. La fede religiosa in cui si riconosce Maranà-tha non è elemento di discriminazione nell'accoglienza degli ospiti, che possono professare il proprio credo nel rispetto reciproco. L’accoglienza di queste persone si intreccia profondamente con la vita di tutta la famiglia, coinvolgendo non solo gli adulti, ma anche i figli naturali. Da qui nascono domande importanti sui temi educativi, sulle dinamiche delle “relazioni di aiuto”, sui rischi di assistenzialismo, sugli strumenti psicologici e spirituali a cui occorre attingere per stare in quelle relazioni senza esserne travolti e, d’altra parte, offrendo un aiuto concreto all’altro. Gli strumenti attraverso i quali la comunità affronta tutto questo sono l’organizzazione interna ed il riferimento a principi ispiratori forti e condivisi. Tra le domande più frequenti che ci vengono poste a proposito della comunità emerge l’interrogativo sull’educazione dei figli in un contesto comunitario, denso di relazioni e “affollato” di adulti e bambini. *Margherita, mamma di cinque figli e con diverse esperienze di affido, racconta come vive il tema educativo. “Fin dall’inizio i nostri figli sono immersi in una realtà molto ampia che, pur permettendo di distinguere con chiarezza il proprio nucleo famigliare, fa vivere i vari rapporti comunitari con caratteristiche di forte appartenenza. E tra loro piccoli si crea un’alleanza come di sangue: si cercano, litigano e poi si riabbracciano, si difendono dagli adulti formando un solido patto di amicizia. La varietà dei vari componenti della comunità, adulti e non, fa sì che possano trovare diverse specificità che vanno incontro ai loro bisogni e alla loro età: c’è chi ama giocare a pallone, chi racconta favole, chi ha una spiccata sensibilità spirituale, chi ha uno sguardo privilegiato sui paesi più poveri, chi può aiutare a fare i compiti…Questo permette, dal loro punto di vista, di vivere rapporti non ingessati e sicuramente ricchi di stimoli. Permette anche di sperimentare un senso di maternità e paternità più allargata: questo è l’aspetto più delicato, nel senso che, a volte, la comunità può suscitare nei ragazzini un senso di soffocamento, di controllo continuo: “non posso fare una cosa che già lo sanno tutti!…”. In effetti, c’è uno stile educativo comune che autorizza implicitamente gli adulti a intervenire con i figli delle altre famiglie, entro certi limiti ovviamente, come se fossero i propri. Esiste una forte influenza reciproca, dagli adulti scelta e riconosciuta, dai più giovani inizialmente subita. Il fatto che possa diventare, anche per loro, un’occasione di crescita nella consapevolezza e nella libertà, dipende da come vedono noi stare dentro quella intensa interrelazione e dal concederci di sederci con calma a parlare di questo. Per comunicare loro che abbiamo scelto questo tipo di vita non per un fatto masochistico, ma perché ne abbiamo trovato – e continuiamo a trovarne- vantaggi in merito a una vita più vera, più viva e più libera. Dal mio punto di vista, i condizionamenti reciproci che si vivono in comunità sono una buona palestra di vita per i nostri figli, in vista dell’immissione in un mondo impregnato di condizionamenti, spesso più subdoli e sottili. Ho visto nei miei figli, in alcuni aspetti del loro carattere, un irrobustimento grazie proprio all’avere sempre fatto i conti con l’altro, chiunque esso fosse”.