Espandi - Comune di Imola

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Espandi - Comune di Imola
Quaderni d'Infanzia
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Pubblicazione semestrale a cura del Coordinamento Pedagogico, delle Scuole dell'infanzia e dei
Nidi d'infanzia del Comune di Imola
Anno 3 -n. 1 - Giugno 2010
SOMMARIO
SCRITTRICE PER CASO: lezioni di scrittura creativa M. Cimatti............ p.2
La Signora dei biscotti V. De Gisi …....................................................p.4
Fermati e Guarda R. Balducci …............................................................. p.7
Foto ricordo R.Civolani............................................................................. p.9
Un sassolino nello stagno C. Serantoni ….............................................. p.10
COMITATO DI
REDAZIONE
Renata Balducci
Tamara Bordini
Camilla Cacciari
Sandra Cevinini
…ciao Maurizia… D. Zannoni …............................................................p.11
Marinella Cimatti
Ho conosciuto Maurizia…D. Chitti …....................................................p.12
Rossella Civolani
Neil e Marguerite B.Molinazzi …............................................................p.18
Natascia Conti
A Maurizia N. Conti …............................................................................p.19
Virna De Gisi
FRAGILI T. Bordini …............................................................................p.20
Sara Lazzarini
POST-IT E. Solaroli ….............................................................................p.21
Barbara Molinazzi
Le sue parole, il suo pensiero sorridente. L. Poli …........................... ..p.23
Candia Serantoni
LE POLTRONE DI ELINOR C. Cacciari............................................. p.25
Elisa Solaroli
Il bambino nel bicchiere V. Castaldi …...................................................p.27
Da tenere sul comodino Suggerimenti di lettura M. Gasparetto ….........p.29
Maranà-tha: ragioni di una scelta V. Vergnani …................................ p.34
con la straordinaria
partecipazione di
Maurizia
Gasparetto
Impaginazione e
Grafica a cura di
Camilla Cacciari
Per contribuire alle prossime pubblicazioni:
Chi volesse, potrà inviare alla redazione, presso: [email protected] , per posta
elettronica, il solo testo non formattato degli articoli (allegando eventuali foto inerenti in files
separati).
Disponendo solo di foto su carta, contattare Camilla Cacciari presso il nido Fontanelle oppure via email: [email protected]
Tutti gli articoli pervenuti verranno presi in esame dal Comitato di Redazione. Prima di
procedere ad eventuali adattamenti il C.d.R. contatterà gli autori. Non verranno
pubblicati gli articoli pervenuti solo in forma cartacea,
Scrittrice per caso:
lezioni di scrittura creativa
Marinella Cimatti
Incontro del comitato di redazione di "Quaderni d'infanzia": dobbiamo progettare il numero 5.
Sappiamo che l'idea è quella di dedicare il prossimo numero della rivista a Maurizia e a
quello che ha significato per tutti noi.
Compito impegnativo, perchè ci si potrebbe scrivere un intero libro e non solo il numero 5 di
una pubblicazione semestrale. Ma soprattutto perchè dovremo cercare di alleggerire i nostri
articoli dalla malinconia che oggi, inevitabilmente, siede intorno al tavolo con noi.
Si discute a lungo e, alla fine, decidiamo per una raccolta di episodi, frasi, pensieri... che
abbiano lasciato il segno. Andremo a scavare nella nostra memoria, cercando di coinvolgere
in questa ricerca anche i colleghi di tutti i nidi e di tutte le scuole dell'infanzia di Imola.
Mentre ascolto, comincio già a scavare nella mia, di memoria, e non devo farlo troppo a
lungo: so già quello che scriverò nel mio articolo... in questo articolo.
°°°
Mi ritorna in mente che quando, due anni fa, Barbara mi propose di far parte del Comitato di
Redazione di Quaderni d'Infanzia, mi dissi subito che, forse, io non ero la persona più adatta,
che io non avevo molta fantasia e creatività, che non avevo propriamente il dono della
sintesi...ma accettai lo stesso, non senza una punta di orgoglio, anche solo per il fatto che mi
fosse stato chiesto.
"Ci provo!" pensai "Scrivere mi piace! Mi assegneranno degli argomenti sui quali relazionare,
ci lavorerò su e..."
Il mio primo articolo fu una semplice descrizione, raccontata in maniera sommaria e
impersonale, dell' esperienza appena iniziata nella scuola dove lavoro. Raffrontato con gli
scritti delle colleghe non era un granchè, anzi piuttosto scarso; comunque, anche se solo con
la sufficienza, fu approvato e pubblicato.
Per il numero successivo avevo preparato un testo su una esperienza fatta a scuola coi
bambini: mi ero impegnata molto nella stesura, descrivendo dettagliatamente lo svolgersi del
progetto in tutte le sue parti trattando, peraltro senza averne piena competenza, anche gli
aspetti teorici e gli agganci pedagogici che secondo me ne derivavano, con un linguaggio
faticosamente ricercato, a tratti anche pomposo.
Abbastanza soddisfatta, l'avevo inviato a Maurizia perchè potesse esaminarlo prima della
prossima riunione.
Quel pomeriggio c'eravamo tutte. Maurizia cominciò a leggere.
Avevo già avuto modo, in diverse occasioni, di rendermi conto delle abilità narrative delle mie
colleghe, che riescono a trasformare un semplice evento quotidiano o occasionale in un
racconto ben elaborato: anche questa volta rimasi piacevolmente stupita:gli articoli erano
vivaci, frizzanti, esprimevano emozioni e descrivevano situazioni in modo gradevole e
simpatico...e i complimenti dei redattori fioccavano a piene mani!
Ne lesse un altro: -"Questo è ben scritto - affermò - ma non rispecchia lo spirito della rivista,
che non vuole essere uno strumento tecnico e specialistico, ma deve raccontare esperienze
vissute e concrete, dove si devono "vedere" i bambini e quello che fanno."
"E il mio, allora?" pensai "Non ho proprio capito niente! Ho fatto un trattato sulle paure, sul
loro significato, sulle loro ripercussioni nei confronti degli apprendimenti, sulle possibili
proposte per cercare di superarle..."
E ammisi, non senza un po' di disappunto:
"Anche il mio articolo allora non va bene!"
Maurizia mi confermò:
"Il tuo è un bel tema, scritto bene ma è un tema, troppo scolastico, non c'è emozione nè
coinvolgimento, i bambini non si "vedono", se non in alcune frasi...Dovresti riscriverlo..."
E' vero: a scuola ero abbastanza brava a fare i temi, specialmente le relazioni sugli argomenti
studiati, grammatica e ortografia quasi impeccabili, ma in quanto a capacità di raccontare a
colori e di conquistare chi legge, il mio stile lasciava molto a desiderare!
Mi sentii un po' demoralizzata..."Cosa credevo? Di diventare scrittrice, per caso? Lo sapevo
che non ero all'altezza!"
Maurizia continuò a leggere gli articoli, commentando, correggendo, tagliando qua e là,
scegliendo i titoli... ma io quasi non la sentivo più.
Le sue parole mi ronzavano nella testa e pensavo: "...certo che quella di scrivere in maniera
creativa è una dote e non si può improvvisare... o ce l'hai o non ce l'hai...bisogna averlo
scritto nel proprio DNA...non ci si può nascondere dietro a citazioni dotte... la narrazione è
un'arte...io non sono capace...forse farei meglio a dare le dimissioni!"
L'incontro terminò con l'impegno di ritrovarci dopo due settimane con i testi definitivi.
Andai a casa delusa e un po' amareggiata.
Ricordo di aver letto da qualche parte una frase del tipo:"Se sei padrone dell'argomento, le
parole verranno da sole".
Forse è proprio questo che mi frena: l'idea di non avere nessun argomento particolare di cui
parlare, nulla che valga la pena di essere comunicato e condiviso, nulla di sufficientemente
interessante per gli altri e, sicuramente, anche la paura del giudizio dei lettori.
E mentre riflettevo su questo e sulle parole di Maurizia mi ritornarono in mente una serie di
episodi ai quali non avevo dato peso e che forse potevano essere adatti , se mai fossi riuscita
a scriverli in maniera efficace.
Mi sedetti al computer e iniziai a pigiare sui tasti di getto. Le frasi apparivano sul monitor in
maniera fluida e veloce, combinandosi agevolmente fra di loro e creando espressioni più
gradevoli e spiritose del solito: sembrava quasi fosse un'altra persona che scriveva per me
che, normalmente, penso e ripenso ad ogni parola per trovare quella che mi sembra più
giusta, ricerco nel dizionario i sinonimi e i modi di dire più adatti, cancello e modifico
tantissime volte e come risultato ottengo solo uno scritto mediocre, pesante e retorico.
Allora forse è vero che quando si ha qualcosa da dire, e il coraggio di scriverlo, le parole
vengono da sole! Ma è anche vero che se qualcuno ti insegna come si fa...
Quattro pagine in una serata: un record, per me!
Lo riessi e lo inviai a Maurizia, prima che mi venisse la tentazione di aggiungere qualche
"disquisizione ampollosa"!
Il giorno dopo, ancora sotto l'effetto dell'ispirazione, scrissi un altro articolo e le inviai anche
quello.
"Sono molto carini!" mi rispose "Ho fatto solo alcune piccole correzioni. Spero non ti
dispiaccia!"
Dispiacermi? Il suo giudizio favorevole e la sua approvazione furono per me una grossa
soddisfazione: avevo grande stima di lei e la consideravo molto autorevole e qualificata in
materia, ma era anche intransigente e rigorosa, e sono quasi sicura che non lo disse solo per
consolarmi dello smacco precedente.
Ci ritrovammo tutte il giorno fissato per l'incontro: "avrò superato l'"esame" del "Capo
Redattore" e di tutto il Comitato?"
Quando dal pacco di fogli sul tavolo estrasse i miei testi, ascoltai con attenzione: il tono di
voce era convinto e la lettura era espressiva (buon segno!); e notai che anche le colleghe
erano attente e divertite. Conclusione:i miei articoli sarebbero stati entrambi pubblicati!
Mi sentii sollevata: pensai che forse non era ancora troppo tardi per tentare di imparare a
comunicare esperienze ed emozioni attraverso la scrittura...
La sera le mandai una e-mail:
"Non so se ti ho ringraziata abbastanza per i consigli e gli arricchimenti che mi porto a casa
ogni volta dopo gli incontri, ma voglio farlo ancora: GRAZIE, Maurizia!"
Sapete cosa mi rispose?
"Quello che faccio arricchisce anche me. Dunque, grazie anche a te e ciao!"
~ La signora dei biscotti ~
Virna De Gisi
Ci sono storie che si consumano nello spazio di un racconto, e altre che, entrando a far parte
del patrimonio narrativo famigliare, sono destinate nel tempo a diventar leggenda.
Questa è una di esse: nata quasi per caso, narrata un po’ per gioco e tenuta viva da una
nonna che non vedo spesso, ma dalla quale spesso sento ripetere:
…dai, raccontami ancora della signora gentile che mi mandò a salutare.
Racconta ancora della signora dei biscotti.
~
Circa dieci anni fa visitai Imola per la prima volta; ne rammento la suggestione di una città
giardino, ricordo che mi colpì il flusso lento delle biciclette sulle strade e la vaga percezione
di tempo sospeso, così diverso da quello cui ero abituata, quasi una sfida ai ritmi frenetici
della nostra epoca.
Ancora non sapevo che avrei, avremmo scelto, proprio questa città per crescere i nostri figli;
o forse, a pensarci bene, fu proprio lei a scegliere noi: praticamente ci adottò.
Circa dieci anni fa, fu indetta una selezione per il servizio infanzia del Comune di Imola;
ricordo ancora la mia riluttanza a partecipare: la scarsa esperienza in questo campo, l’esiguo
bagaglio di saperi scolastici ormai troppo lontani nel tempo, e nessuna voglia di rimettersi in
gioco.
Ma ricordo anche le mani amiche che mi fornirono il materiale con cui prepararmi e la voce
familiare che mi esortò a tentare.
…e se proprio non sai cosa rispondere, puoi sempre parlare di te Ancora non sapevo come questo avrebbe cambiato la mia vita, la nostra vita.
Fu così che un pomeriggio di fine luglio mi ritrovai a sostenere la selezione presso il Settore
Scuole, luogo completamente estraneo, tra decine di volti sconosciuti, compresi quelli della
commissione esaminatrice: la Dottoressa Amedea Morsiani, la Dottoressa Maurizia
Gasparetto e il Dottor Luciano Poli, unico individuabile per ovvi motivi.
Sul tavolo, davanti a me, i tre foglietti con i temi sorteggiati:
~ Le costruzioni: e il sospiro di sollievo fu inevitabile; mi credevo ferratissima
sull’argomento: con due figli e sei nipoti, tutti fan per questo gioco, avrei potuto costruirci un
palazzo con le costruzioni; in ogni scuola poi, c’era sempre un cantiere aperto per le
realizzazioni dei famosi mattoncini. Nessun dubbio quindi sull’importanza e il beneficio del
loro utilizzo, sull’illimitata fascia d’età a cui si potessero adattare -…se per i piccolissimi
scegliamo una dimensione grande e morbida…- e sulla loro collocazione in uno spazio
definito ed accessibile a tutti.
- …cosa ci dice sul loro riordino? Ed io, che nella valenza educativa del riordino ho sempre creduto molto, non potei non
ribadirne l’importanza - …al pari del gioco stesso… Ma Maurizia sapeva condurti dove credeva e, pur condividendo il complessivo meccanismo
di un concetto, ti accompagnava a testare ogni più piccolo bullone dell’ingranaggio per
vagliarne la tenuta ed il rispetto del principio di base.
- … riponiamo anche le opere assemblate dai bambini? A volte, è con un punto di domanda che si trasmettono valori: Maurizia lo sapeva bene.
Ancora oggi all’interno della mia sezione c’è uno spazio adibito alle realizzazioni dei bambini,
sottolinea il rispetto per il loro impegno, per la loro individualità. Il mio rispetto verso di loro.
E la condivisione di un insegnamento.
~ La produttività: come si può dissimulare la completa ignoranza su di una “questione” in cui
non ci si è mai imbattuti? Meglio ammettere la propria disinformazione e provare a ragionare
sul significato etimologico della parola stessa. Così cercai di collegare la “Produttività” a ciò
che si intende produrre, al risultato che si intende ottenere, derivato dalla trasformazione o
dall’accrescimento di qualcosa; e pensando alla scuola, legai la parola “Produttività”
all’accezione di valore o quantità.
Non so se fosse quello che ci si aspettasse da me, ma tanto dovette bastare perché la
dott.ssa Amedea Morsiani sorrise compiaciuta, cavandomi così d’impaccio (e in cuor mio le
fui immensamente grata per la gentilezza).
~ Il gioco tradizionale: che i giochi “di una volta” rivestano una grande importanza per
l’apporto di valori e conoscenze che trasmettono è indubbio...ma poi? All’improvviso mi sentii
sprovvista di espressioni da usare e di contenuti con cui riempirle, o più semplicemente, non
avevo sufficiente bagaglio teorico per far fronte ad un’argomentazione più articolata:
insomma…il vuoto, totale e assoluto.
Ricordo Luciano Poli venirmi in aiuto con un aneddoto indiano: narrava di un albero che
innalzava i suoi rami verso il cielo traendo la forza dalle sue radici, e tanto più esse erano
radicate e profonde, tanto più svettava alto. Fu, per me, come una mano tesa.
D’un tratto rividi gli ulivi secolari del nonno e la fierezza del suo lavoro, le pieghe sulle mani
della nonna e la loro delicatezza su di un telaio; sentii le parole di mia madre, la loro forza, e
feci quello che mi veniva più spontaneo: parlai di me.
Spiegai cosa significasse per me tradizione: quanto valore avessero i gesti e le parole che mi
rammentavano chi ero, da dove venivo; con quanta cura fossero arrivati a me e quanto
ritenessi importante tramandarli ai nostri figli, affinché sentissero ben salde le loro radici.
Raccontai dei biscotti della nonna, di come il loro profumo mi ricordasse il Natale, di come
avessi imparato da mia madre, la quale aveva appreso da lei, e quanto mi sarei adoperata
per insegnarlo a mia volta.
Poi mi resi conto che forse avevo parlato troppo, che non ci sarebbero state altre domande;
alzandomi salutai e mi diressi verso la porta, tra il silenzio assoluto, quando…
- Ah, signora…- Mi voltai esitante; distratta com’ero, avevo certo dimenticato qualcosa.
- Mi raccomando, ci saluti tanto sua nonna! Io l’ho conosciuta così Maurizia, e con gli anni ho potuto stimarla per il suo sapere, per il suo
modo di offrirlo senza salire in cattedra; per la delicatezza con cui si accostava all’infanzia e
la capacità di coglierne, tra le righe, i significati più autentici; per la sagacia delle sue
domande e l’arguzia delle sue battute.
Ed è così che amo ricordala: con quel suo sorriso aperto, un po’ beffardo, un po’ ironico, ma
sincero come i saluti che quel giorno mi affrettai a girare:
“…si chiama Maurizia, nonna, ti saluta tanto. Le ho parlato dei tuoi biscotti...
Non aveva capito molto del mio racconto “…ma almeno, le sono piaciuti?”
“Sì, nonna, direi proprio di sì.”
Fermati e Guarda
Renata Balducci
- Guarda, cosa sta facendo quella ragazza? -.
Sto guidando anzi, precisamente, sto uscendo da un parcheggio, quando il mio sguardo
è attratto da una ragazza che si sta destreggiando con un passeggino tra le varie auto
che entrano ed escono dall’area di sosta.
La cosa che fa brillare immediatamente i miei occhi e mi riempie di tenerezza, è il gesto
che lei fa con una mano come per scacciare il fumo dei gas di scarico.
Un gesto apparentemente inutile, infatti non può certo impedire con una mano che il suo
bimbo respiri veleno, ma è comunque un gesto degno di significato, un gesto di cura e di
protezione.
“Mamma mia”, qualcuno potrebbe dirmi che pecco di deformazione professionale,
invece, io credo, anzi sono convinta di “peccare” di formazione professionale.
Una formazione in itinere che iniziò tanti anni fa, nell’ambito del mio lavoro e che ha
contaminato molto la mia vita personale arricchendola di tante sfumature.
Quando iniziai a lavorare, vuoi per la giovane età, vuoi per l’arroganza dettata da un
sapere dogmatico, tutto era bianco o nero, tutto era “fare”, tutto era un riempire silenzi e
pause.
Cominciai a lavorare come educatrice al Nido, nel lontano anno 1974 e, soprattutto, in
un Nido appena aperto, in un piccolo paese dove nessuno aveva esperienza in materia
di prima infanzia, ma tutti avevano un grande entusiasmo..
Provenivo dagli studi magistrali e da una formazione regionale, densa di ideali sul ruolo
della donna e dell’infanzia con contenuti pedagogici nuovi e alternativi per l’apertura di
nuovi servizi.
I primi anni crebbi insieme ai “miei” bimbi, dividendo con loro lo spazio, scegliendo per
loro i modi e i tempi dello stare insieme, confrontando con le colleghe, nel collettivo di
lavoro, il nostro modo di agire.
Era importante far fare ai bimbi delle attività che servissero anche a dimostrare che non
svolgevamo solo un lavoro di assistenza, ma un lavoro educativo, da “vera maestra”.
Gli anni passavano, nel frattempo aprivano altri nidi nei comuni della provincia di
Bologna compresa Imola.
Dopo alcuni anni di avventure educative quasi pionieristiche, e di un faticoso ruolo unico,
scelsi di andare a lavorare in un Nido della mia città, attirata dalla proposta che Maurizia,
la coordinatrice, mi faceva, e anche dal fatto che lì non c’era il ruolo unico.
Fin da subito mi inserii nel nuovo contesto, stupendomi del fatto che alle riunioni era
spesso presente la coordinatrice, per aiutare nell’organizzazione e affiancare nelle cure
dei “nostri” bambini.
- Ricordati, Renata. non sono i tuoi bambini, sono i bambini di cui ti occupi -.
- Mamma mia, come è pignola Maurizia! -, pensai, - Non sa con quanto amore e quanto
coinvolgimento ci mettiamo nella relazione con i piccoli -.
Intanto avevamo iniziato, utilizzando delle griglie, le osservazioni dei movimenti
spontanei dei lattanti, confrontandole nei i gruppi di sezione omogenee.
L’osservazione, cominciava a diventare uno strumento di lavoro fondamentale.
Poco dopo il mio arrivo a Imola, mi trovai a confrontarmi con un insuccesso: un
inserimento non riuscito: il bimbo piangeva molto sia nella separazione dalla mamma
sia durante la giornata. La mamma, a sua volta, era convintissima della scelta del Nido e
della necessità per suo figlio di socializzare.
Appariva preoccupata ed io tentavo di rassicurarla con tante parole.
Intanto, il bambino continuava ad essere in difficoltà, ed io con lui.
Dopo essermi confrontata con Maurizia, lei decise di venire una mattina, durante il
momento della separazione.
Discretamente si mise a sedere su uno sgabello e, intanto, guardava, guardava...
Era quasi un po’ indisponente con questo modo di fare distaccato, non mi aiutava
attivamente, non interveniva.
Durante la pausa pranzo mi chiese:
- Tu mi hai detto che, la mamma è convintissima della scelta, e sicura di lasciare il
bimbo; da che cosa lo deduci? -.
- Dalle parole che mi dice; hai visto, anche questa mattina mi ha detto: “prendilo pure” -.
- Ma com’era quando te lo ha chiesto? -.
- In piedi di fronte a me con il bimbo in braccio -.
- Si è vero, ma le braccia stringevano il bambino, lo avvolgevano, non lo lasciava andare
-.
Pensai:
- Si va bene, ma questo è un particolare trascurabile -...
E invece no: il mio pensiero superficiale era un grande errore; solo il tempo, e una
formazione continua, mi hanno fatto capire come l’osservazione sia importante, per
accogliere, accettare, aiutare, nei tempi e nei modi più adatti, in ogni situazione.
Osservare, non era fare niente, come impropriamente all’inizio pensavo, ma era
guardare in modo attivo e partecipe le persone e le situazioni, senza intervenire
direttamente ma, agendo nei tempi e nei modi.
Osservare, per me ha voluto dire imparare a stare in silenzio, a fermarmi, mi ha fatto
capire che molte volte basta uno sguardo per far capire che ci sei.
Foto ricordo
Rossella Civolani
Chi ha superato gli ”anta” ricorderà sicuramente il “rito” nel disporre le foto nell’album
considerato di famiglia e, mentre cercavi di collocare le tue foto rispettando una sequenza
temporale, inevitabilmente lo sguardo o il pensiero ripercorreva immagini, luoghi, avvenimenti
o altri particolari rappresentati in quelle illustrazioni. Ora è sufficiente collegarci con la
macchina digitale al pc e, immediatamente, visioni le tue foto e, spesso, i pensieri corrono
dietro a quelle immagini così rapidamente e velocemente come corre tutto ciò che ci
circonda oggi.
Ma c’è un album particolarmente significativo e che non ha bisogno di impiegare particolari
tecnologie o spazi, che si può guardare in qualsiasi momento e che non necessita di tempi
particolari per consultarlo: “ è l’album della vita”.
Questo album raccoglie tutte le foto di noi stessi, di ciò che ci circonda, della vita privata e
professionale.
Io non posso fare a meno di ritornare ai miei primi anni di servizio(anni 70-80) quando le
scuole dell’infanzia facevano capo a due pedagogiste (dott.Gasparetto-nidi e dott.Conversoscuole dell’infanzia), quando i periodi di formazione, gli incontri, le riunioni erano vissute in
momenti totalmente staccati, ed io conoscevo a malapena le mie colleghe del nido. Quando
non esisteva la possibilità per le insegnanti del nido di chiedere il trasferimento alle scuole
dell’infanzia.
Poi i due settori si unificarono, facendo riferimento ad una sola pedagogista la dott.
Gasparetto, la quale ha prestato servizio presso il comune di Imola fino ad oggi. Questa
nuova riorganizzazione
mi destava non pochi timori e preoccupazioni, perché mi
immaginavo (insieme ad altre colleghe) come colei che “stava al di fuori“, colei che veniva a
”rompere degli equilibri” acquisiti in tutti quegli anni di servizio dalle educatrici del nido, diritti
che avevano maturato lentamente e insieme. Ci sembrava di percepire uno strano disagio,
come se non fossimo accettate, adeguate; insomma ci invadeva quasi “la sindrome del
brutto anatroccolo”.
Invece mi sbagliavo, Maurizia, mi sbagliavo di grosso ad avere questi dubbi, perché la
sensazione che ebbi fin dal primo istante fu quella di sentirmi “a casa” , fu quella di essere
accolta con tutto il mio bagaglio personale e professionale. Parlando di noi non ti ho mai
sentita dire: ”quelle della materna”, ma cercavi di dare quella visione del coordinamento
allargato con il “ senso del noi”, il senso del gruppo... Io, questa foto, la voglio tenere lì, con
le sue sfumature, i suoi colori, gli sfondi, i significati delle conversazioni a volte gioviali, a
volte ironici, a volte benevolmente pungenti, a volte più severi... sempre volti ad indurci a
maturare lentamente un processo di convinzione senza imporci mai nulla che non fosse
pienamente condiviso da noi. Questa foto, o frammento che sia, voglio e deve restare nel mio
album di vita perché ha contribuito alla mia crescita professionale.
Un sassolino nello stagno
Candia Serantoni
Ho pensato e ripensato per giorni a un episodio significativo ed è stato molto difficile
estrapolarlo fra tanti, forse perché tutto il vissuto ha caratterizzato le scelte e la mia crescita
professionale, cominciando dalla personalità di Maurizia e dalla sua passione, che ci ha
trasmesso con forza ed energia e allo stesso tempo con calma e delicatezza.
La stessa calma che vidi in lei durante il nostro primo incontro ufficiale.
Maurizia era la nostra nuova pedagogista e all’intercollettivo aveva portato con sé un video
sul gioco euristico, di cui tanto avevo sentito parlare senza mai approfondirlo come
argomento. Dopo una breve presentazione da parte sua, ero intenta a osservare le immagini
che scorrevano, riconoscendo le educatrici e incuriosita da come i bambini interagivano con il
materiale messo loro a disposizione. Non nego, però, che il mio interesse era solo parziale e
che, pur riconoscendo la profonda motivazione delle educatrici, ero scettica e non attribuivo
al gioco euristico un valore educativo tanto importante da farne un’attività principale e di
osservazione. Erano altri tempi e, nelle nostre scuole dell’Infanzia, il gioco spontaneo era
soprattutto un riempitivo della giornata, mentre si dava molta importanza alle attività guidate
e al prodotto finale.
Le immagini continuavano a scorrere, ma già il mio interesse era svanito, ormai annoiata da
quelle riprese che si soffermavano ripetutamente su alcuni bambini. E così mi ritrovai a
parlare con alcune colleghe e come me altre e altre ancora. Parlavamo garbatamente e
sottovoce dei fatti nostri, dando un’occhiata fugace e disinteressata al video.
Ricordo che mi girai verso Maurizia per capire se in lei c’era disappunto; la vidi assorta e
sorridente come se non avesse mai visionato quelle immagini e invece, probabilmente, era
pronta a cogliere altri spunti di osservazione.
Non cercò mai di attirare la nostra attenzione, di zittirci o rimproverarci e, alla fine, ci salutò
con la stessa cortesia con la quale ci aveva accolto.
Nei giorni successivi non facemmo altro che parlare di ciò che avevamo visto, criticando,
riflettendo e ritrovandoci, inconsapevolmente, con quella sana confusione che fa rimettere
tutto in discussione.
Maurizia era entrata in “ punta di piedi” ma, intanto, ne stavamo parlando.
Ora, a distanza di tanti anni, sono certa che lei sapesse perfettamente che non avremmo
potuto capire immediatamente il suo messaggio e che, in quell’occasione, volesse solo
gettare “un sassolino nello stagno” … un sassolino che nel tempo ha creato tanti cerchi
concentrici che, allargandosi, sviluppandosi, unendosi, rompendosi, mescolandosi con
l’acqua ci hanno fatto crescere professionalmente e diventare quelle che siamo.
…ciao Maurizia…
Daniela Zannoni
...vorrei farti arrivare un saluto, quello che non sono riuscita a darti perché ti sei
addormentata…e non ti sei risvegliata più.
Vorrei farlo per mezzo di una forma che ti piaceva tanto e che per me è sempre risultata
difficoltosa...la scrittura e questo saluto ho pensato di fartelo attraverso lo strumento che tu
hai voluto: “ Quaderni d’Infanzia”.
Spero mi perdonerai se questa lettera non è alla tua altezza…conoscendoti, sicuramente lo
farai…
Era uno dei tuoi pregi scrivere; ti venivano sempre le parole più giuste per esprimere ciò che
volevi trasmettere e tutto ciò che scrivevi, sia che fosse un semplice saluto o un elaborato per
un covegno, era talmente fluido e toccante che era un piacere leggerti.
L’8 marzo ti ho detto che sei stata un “Capo speciale” e tu hai risposto che non ne eri certa
ma sicuramente, in cuor tuo, sapevi che avevo ragione e sono certa che, come me, lo
pensano tutte le colleghe che hanno avuto la fortuna di conoscerti.
Te ne sei appena andata e già ci manchi…
Tante persone hanno ricordato che grande punto di riferimento sei stata per noi, di come ci
hai guidato, con rispetto e delicatezza nei cambiamenti…di come hai cercato di insegnarci a
guardare al di là dell’apparenza…di come sei stata attenta alla crescita ed ai diritti dei
bambini e delle bambine che sono gli utenti dei nostri sevizi…
Io vorrei ricordare anche l’amica…la Maurizia con cui potevi giocare a carte augurandoti che
fosse lei la tua compagna di gioco perché, anche in quel contesto eri maestra;…la Maurizia
che, se a notte fonda, perché con te si faceva tardi dato che non avevi mai sonno, trovava la
macchina piena di neve, prendeva scopa o la paletta per pulirla e si metteva a ridere se
gliene tiravi una “palata”;…la Maurizia che non riusciva a stare sdraiata al sole e,
chiamandomi “polenta” se ne andava, almeno tre volte al giorno, a nuotare;…la Maurizia a
cui piaceva la buona cucina e che preparava sempre un piatto speciale per rallegrare la
serata;…la Maurizia con cui, davanti ad un caffè, potevi parlare dei tuoi problemi personali
perché sapeva ascoltarti e cercava di aiutarti a trovare una soluzione…la Maurizia che
diceva:” bisogna essere felici se i nostri figli sono felici delle scelte che fanno, anche se
queste scelte ci rattristano un po’…i figli non sono nostri, appartengono solo a sé stessi…
Non sei stata solo un “Capo speciale” Maurizia ma molto, molto di più…
Ciao Maurizia, grazie…grazie con tutto il cuore.
Daniela
Ho conosciuto Maurizia…
Daniele Chitti
Ho conosciuto Maurizia nel 1990, quando da solo un anno avevo iniziato la mia avventura
imolese. Eravamo stati ingaggiati entrambi come docenti nel corso di qualificazione sul lavoro
per educatori professionali: lei, pedagogista; io, psicologo. Di quell’esperienza ricordo
soprattutto un episodio assai imbarazzante, quando, con grande e ironico divertimento da
parte sua e vergogna da parte mia, corresse in una riunione pubblica un verbale in cui avevo
scritto “tirocigno” invece di “tirocinio”.
Da allora e fino al 2005, accanto all’amicizia personale che è stata quantitativamente
prevalente rispetto all’effettiva collaborazione professionale, le nostre strade si sono
ciclicamente incrociate e allontanate (lei, donna dei servizi educativi, occasionalmente
prestata ai servizi sociali; io, uomo dei servizi sociali, occasionalmente prestato ai servizi
educativi), prevalentemente in progetti di formazione, ma anche in frequenti scambi di idee e
pareri, spesso a cena, dopo il secondo bicchiere di vino e fino al quarto o quinto (i discorsi
vengono meglio e si sorride di più); oltre il quinto, si parlava d’altro....
La prima svolta – nel senso di “la prima lezione” - avvenne nel 1998. Canevaro mi aveva
chiesto di scrivere un articolo per Animazione sociale, trattando il tema dell’educazione con
gli adolescenti “difficili”. Dopo aver letto la mia proposta, mi chiamò e mi disse che il
contenuto andava bene, ma la forma era “troppo tecnica” (eufemismo che stava per “molto
pedante”), soprattutto per una rivista con un taglio così esperienziale come Animazione
Sociale. “Caro Daniele, bisogna che modifichi il linguaggio”, fu la lapidaria prescrizione.
Poiché modificare se stessi in tempi brevi è cosa assai difficile, anche da un punto di vista
emotivo, chiesi a Maurizia di farlo al mio
posto. Il risultato fu incredibile: senza
cambiare nulla delle idee che vi erano
contenute, né aggiungendovi alcunché,
l’articolo fu letteralmente riscritto e trasformato
in una riflessione letteraria-filosofica quasi
magistrale1. Da allora, grazie all’unico articolo
scritto a due mani con Maurizia, mi piace
pensare che la mia prosa sia cambiata
parecchio.
Nel 2005 è iniziata l’unica vera collaborazione
professionale continuativa e quotidiana tra di
noi, durata solo un anno e mezzo e finita con
il suo pensionamento. Prima di accettare
l’incarico come coordinatore pedagogico, da
buon ultimo arrivato le chiesi di poter leggere
il progetto dei nidi e delle scuole dell’infanzia.
Mi guardò con un certo disprezzo e disse:
“non c’è, non è necessario. Per le scuole
paritarie, poi, non è neanche obbligatorio”.
Accettai la risposta senza replicare. Nel 2006,
durante il convegno di marzo, conobbi Franca Marchesi, responsabile dei nidi del comune di
Bologna, che mi manifestò la sua grande ammirazione per Maurizia. “Perché?”, le chiesi.
1
Generare regole non banali: un’epistemologia alternativa per l’interazione
educatori adolescenti, in Animazione Sociale, n. 4 – 1998, edito dal Gruppo Abele, Torino
Tutto risaliva alle chiacchierate che avevano fatto in anni lontani durante una visita studio in
Danimarca. La cosa curiosa è che Franca, persona molto preparata e gentile, ancora nel
2006 sapeva pochissimo dei nidi di Imola, e non mostrava – né tuttora mostra - un grande
entusiasmo per le sezioni miste “con i lattanti dentro”.
In poco tempo, collezionai una serie di aneddoti che andavano tutti nella stessa direzione,
come, ad esempio, le bibliografie che proponeva per i concorsi: non contenevano alcun testo
pedagogico, con l’esclusione de “I sette saperi necessari all’educazione del futuro” di Edgar
Morin, sempre che lo si possa considerare un testo pedagogico. In buona sostanza,
Maurizia, popolarmente chiamata pedagogista, che io sappia non ha mai scritto nulla di
pedagogia e, con ogni probabilità, la detestava. Da “Le parole ai bambini”, alla sua rubrica
fissa “Diario di Bordo” su Ambientinfanzia, solo per citare le ultime cose pubblicate: sono
riflessioni e approfondimenti che se proprio proprio vogliamo avvicinare a qualche scienza
ufficiale, questa può essere forse l’antropologia culturale, lo studio partecipato e narrativo
delle società umane in ambiente naturale. Fuor d’accademia, dobbiamo accettare che si
tratta solo di letteratura allo stato puro, scritta, cioè, per puro diletto.
Per Natale, Maurizia era solita regalare agli amici un libro che lei aveva già letto (regalava
proprio la sua copia), accompagnato da una dedica. Sì è soliti leggere negli ultimi
comportamenti delle persone che ci lasciano i segni inconsci di un testamento spirituale: non
mi sottrarrò a questa tentazione.
In occasione del Natale 2006, a me toccò “La verità sul caso D.”, di Dickens, Fruttero e
Lucentini. Il 9 giugno 1870 Charles Dickens muore lasciando irrisolto Il mistero di Edwin
Drood, che da quel momento diventa il più intrigante, affascinante, dibattuto romanzo della
letteratura inglese. Perché con questo romanzo Dickens si era cimentato col nascente
genere poliziesco, ma ahimè, facendo mancare i capitoli finali e quindi lasciando generazioni
di lettori a lambiccarsi sull'identità del colpevole. Cent'anni dopo, o giù di lì, gli irripetibili
Fruttero & Lucentini imbastiscono un complesso processo indiziario per tentare di capire
quali possano essere gli sviluppi più plausibili della storia. Indicono così una vera e propria
conferenza a cui invitano fior di esperti. Giallisti? No. Poliziotti? Nemmeno. I convenuti per
risolvere il mistero dickensiano - magia della letteratura e soprattutto dei consistenti fondi di
alcuni sponsor giapponesi - sono gli investigatori di ogni tempo e paese. Chi è interessato
all’esito della conferenza – che è anche l’esito del romanzo, “scritto a 2+4 mani” - se lo dovrà
leggere: è breve e di leggera lettura.
Nell’ultimo Natale il regalo è stato di gran lunga più impegnativo: si tratta della raccolta
Nobiltà dello spirito e altri saggi di Thomas Mann, un ponderoso volume di circa 2000 pagine
di riflessioni sulla letteratura, la filosofia e l’arte tedesca ed europea tra ‘800 e ‘900. Confesso
che, a differenza di tutti gli altri regali, questo non l’ho ancora letto (e per intero non lo farò
mai).
Già tre anni fa, in quel regalo del 2006, avevo intravvisto una metafora del suo
pensionamento appena consumato (ma non gliel’ho detto): un romanzo lasciato incompiuto e
una conferenza di esperti che cerca (inutilmente?) di darvi un senso definito. Adesso è fin
troppo facile vedervi anche una metafora della sua morte, una morte indissolubilmente legata
alla sua opera, anche perché Maurizia, con molta saggezza, come i pugili veramente grandi,
ha saputo lasciare l’arena all’apice del successo e della fama, senza alcun calcolo materiale.
Ma perché Mann a Natale 2009? Perché l’autore de I Buddenbrook, La Montagna Incantata e
Morte a Venezia, solo per citare le opere più note? La formazione e l’opera di Mann è
segnata dalla costellazione Schopenhauer – Nietzsche - Wagner, come a dire: il Pessimismo
- l’Anti Modernità - l’Ambiguità. Quest’ultima è forse la nota più conturbante dello scrittore,
che ama Wagner come supremo esempio in cui “genio e ciarlataneria si fondono”, che scrive
lettere di burocratica retorica alla moglie e definisce l’omosessualità – tema centrale de Morte
a Venezia - come l’unico amore veramente tale “perché sterile”, che è continuamente tentato
dall’idea nietzschiana che la democrazia banalizza lo spirito ed è ossessivamente spinto a
cercare una via per prevenire questo destino, senza rinunciare alla democrazia, come il
nascente regime nazista stava così orrendamente facendo… Il tema de La Montagna
Incantata richiama prepotentemente il tema centrale dell’intervento di Maurizia al convegno
del 2006; nel romanzo di Mann il tempo è addirittura bloccato o dissolto in un incantesimo,
nel discorso di Maurizia esso è solo “rallentato”. Maurizia ha trasformato un proprio difetto
infantile (“ero una bambina lenta”) in una categoria dello spirito, ma non in una categoria
pedagogica, come a volte si equivoca…. E la vicinanza spirituale tra Maurizia e Mann mi
appare sempre più evidente, anche e forse soprattutto in quel “pessimismo essenziale”
appena sussurrato che la caratterizzava e che lei, al pari dello scrittore, tentava
continuamente di nobilitare nella letteratura e nell’arte, e nel sostenere che una vera
democrazia, una democrazia non banale, ha spazio per il Vagabondare e per il Buonannulla.
Il regalo del 2006 era accompagnato da un biglietto autografo (anche se presumo uguale per
tutti gli amici), che così recita:
“Forse penserete che sono tirchia e bacchettona (e potreste anche avere ragione), ma
quest’anno non riuscivo ad adattarmi alle folle dei negozi e della corsa ai regali. Eppure a me
piace fare regali, mi piace pensarli e prepararli. Gli scaffali della mia libreria traboccano; ho
più libri, appena sfogliati, di quanti riuscirò mai a leggere; nonostante questo, so che ne
comprerò altri, che andranno a caricare ancora quegli scaffali. Che cosa c’è di meglio che
fare spazio regalando qualcuno dei libri già letti? Li ho selezionati con cura e sono arrivata
alla scelta finale, con abbinamento libro-destinatario, solo dopo molti ripensamenti e
sostituzioni. Questo naturalmente non garantisce una buona scelta; dice soltanto delle mie
buone intenzioni. Ogni libro che ho letto è diventato un pezzettino della mia storia, quindi
abbiatene cura anche se non vi piace (non è affatto obbligatorio che piaccia). Se l’avete già o
l’avete già letto, non fatevi scrupoli a restituirmelo: sugli scaffali della mia libreria ce ne sono
altri che aspettano di essere ri-letti. E magari, se i libri avessero sentimenti, sarebbero
contenti di passare di mano in mano.”
Ogni ulteriore commento è superfluo.
Forse perché conoscevo Maurizia più nella vita privata che in quella professionale (e questo
tipo di conoscenza, anche con i suoi segreti, ha influenzato moltissimo i miei ricordi e ciò che
ho scritto), preferisco ricordare Maurizia non tanto per il suo ruolo ampiamente riconosciuto
nello sviluppo storico dei nidi del Comune di Imola, quanto piuttosto per un’esperienza più
antica, quando prese a casa sua, in affido per oltre 4 anni, un gruppo di adolescenti
provenienti dall’allora istituto Sante Zennaro, e li condusse all’età adulta. Uno di questi,
Paolo, ora intorno ai 50, ha continuato a frequentare la sua casa fino all’ultimo. Senza
quell’esperienza, così profondamente anti-istituzionale e, in fondo, così visceralmente antipedagogica, i nidi di Imola non sarebbero quelli che conosciamo.
Neil e Marguerite
Barbara Molinazzi
Esco dall’ultimo giorno di formazione, sessione estiva dell’anno 2007; l’ultimo, anche se
in questo momento ancora non lo so, in veste di educatrice.
Mentre torno a casa, in bicicletta con il sole a picco che mi confonde un po’ i sensi,
continua a ronzarmi nelle orecchie come un calabrone estivo, l’eco della frase che
Maurizia Gasparetto ha citato in chiusura. Che dice più o meno così:
“avere il coraggio di lottare per cambiare ciò che può essere cambiato, l’umiltà di
accettare ciò che non si può cambiare, l’intelligenza di distinguere tra le due cose”.
L’ha pronunciata Marguerite Yourcenar nel corso di un’intervista, per rispondere al
giornalista che le chiedeva quali fossero le virtù per una buona vita. Qualcosa mi suona
familiare in quella frase e continuo, caparbiamente, a cercare di ricordare dove l’ho già
sentita. Poi, ringraziando la lentezza della bicicletta che mi concede tempo per pensare,
si apre il sipario.
E’ un salto nel tempo di un paio di decenni, quando, adolescente in cerca del senso della
vita, navigavo tra musica, poesia, letteratura e arti varie. Seguendo l’ispirazione del
momento, mi innamoravo a volte di una frase, di una canzone, di un personaggio, meglio
se circondato da un’aura maledetta: esperienza comune a quasi tutti gli adolescenti,
credo, con la particolarità che ognuno di loro si crogiola nell’idea di essere il solo a
provarla. Ero dunque passata da poco attraverso le porte della conoscenza, in
compagnia di Jim Morrison, quando incontrai una curiosa occasione per esercitarmi
nella traduzione dal latino: sul retro della copertina del disco di Neil Young che avevo
appena comprato, campeggiava nero su rosso la seguente frase, che ricopio
diligentemente, visto che ho ancora il disco e non vorrei, dopo tanti anni, sbagliare
qualche desinenza:
“Deus dona mihi serenitatem accipere res quae non possum mutare, fortitudinem mutare
res quae possum atque sapientiam differentiam conoscere”.
Quella frase, nei mesi successivi, la scrissi ossessivamente, colpita da grafomania
compulsiva adolescenziale, su diari, pantaloni, borse mie e delle compagne di scuola,
costole di libri: si salvarono i muri, perché allora non si usavano i graffiti.
Cosa aveva mosso, quella frase, nella me di allora? Se non l’avessi risentita dopo
vent’anni, me ne sarei mai ricordata? Il suo significato aveva lasciato una traccia nella
mia persona? Domande tutto sommato piuttosto inutili, ma quando ci si inizia a porre
domande, prima o poi ne arriva qualcuna migliore delle altre: Quanti collegamenti
possibili esistono tra gli eventi? E che cosa ci perdiamo quando non riusciamo a
coglierli?
Allora ricordo che Maurizia, sempre nel corso del suo commento, si è accalorata di
fronte all’affermazione di un gruppo di lavoro che lamentava ”troppa teoria”. La sua
osservazione è stata che non ha tanto significato chiedersi se la teoria, che altro non è
che una possibile interpretazione della relazione tra diversi fatti, sia troppa o troppo
poca; ciò che è utile fare è interrogare la teoria, cercare in essa dei nessi con la nostra
esperienza, con gli eventi concreti che ci riguardano. Nulla, in questo senso, è inutile.
Siamo noi che dobbiamo essere capaci di porre le giuste domande, di cogliere le
connessioni. Ma mentre nella nostra vita privata possiamo permetterci di far crescere le
reti di collegamento in modo spontaneo, come spontaneamente è nata la strana coppia
Marguerite Yourcenar e Neil Young dal mio patrimonio personale di esperienze,
professionalmente siamo chiamati a compiere uno sforzo in più: cercare
consapevolmente e con determinazione le domande giuste, i collegamenti tra i fatti che
ci stanno intorno. Io trovo che ci sia un messaggio potente in questo, forse molta parte
del senso che possiamo attribuire alla formazione. A me ha insegnato ad avvicinarmi con
umiltà ad ogni forma di conoscenza, ad avere la pazienza di attendere che vi sia il
momento giusto per mettere a frutto ogni cosa: la pazienza di aspettare vent’anni, se
necessario, perché Neil e Marguerite, inconsapevoli amanti, si possano incontrare.
A Maurizia
Natascia Conti
Leggera e fragile
potenza austera
ha portato la vita in ogni scuola.
Ricchezza piena di libertà,
degno di voce
il tuo canto sarà.
Hai donato spazio e riflessione
che nel lavoro non c'è copione:
si osserva sempre la spontaneità
e un nuovo sorriso all'improvviso apparirà.
Rispetto e amore
per chi se ne va
ma che col suo passo
un segno sarà,
luce preziosa per chi rimarrà
e nel suo cammino lontano lo porterà......
Fragili
Tamara Bordini
Sante Zennaro 1988, un caldo fine agosto… e il mio primo corso d’aggiornamento (oggi la
chiamiamo formazione!!!). Ero emozionata e anche un po’in ansia (le cose che non conosco
mi spaventano, penso sempre di non essere all’altezza!!!), c’erano molte persone piene di
esperienza, che non conoscevo e la Pedagogista, Maurizia Gasparetto, che teneva il corso e
che conoscevo appena.
Ero stata assunta, inaspettatamente, l’11 luglio di quell’anno al Nido Scoiattolo.
Inaspettatamente perché avevo fatto il concorso qualche anno prima, ero stata
“bravissima“ al di là di ogni mia speranza/illusione ma, poiché il punteggio per il lavoro svolto
presso il Comune era poco, ero finita all’undicesimo posto della graduatoria e avevo
abbandonato ogni speranza.
In quel periodo stavano cambiando parecchie cose nella mia vita, nessuna piacevole, per cui
ero stata costretta, mio malgrado, a fare la scelta, dolorosa, di rinunciare alle supplenze per
lavorare a tempo pieno in una toelettatura per “cani e gatti”presso un ambulatorio veterinario.
Certo non erano bambini… ma anche prendermi cura, nel modo giusto, di animali mi era
sempre piaciuto e qualche soddisfazione me la dava….se avete visto in quel periodo
barboncini con ciuffi e pon-pon (poveri!) era colpa mia!
Tornando al corso... l’argomento era “Le immagini del bambino e il comportamento degli
adulti”: non ricordo molto, anche il tema l’ho ricavato da un vecchio elenco, ma tre cose mi
sono rimaste ben impresse nella memoria, e non solo in quella!
C’era una colonna sonora, Maurizia aveva portato un piccolo stereo portatile da cui uscivano
le note meravigliose di un album di Sting (mi sono documentata, per chi fosse interessato:
NOTHING LIKE THE SUN) tutto dolcissimo ma specialmente un brano, “Fragile” che, per
quante volte io lo possa ascoltare, non smette di piacermi, di emozionarmi e ora anche di
commuovermi.
In quell’occasione creò un clima incredibilmente piacevole e rilassato che faceva sentire a
proprio agio perfino me.
La seconda cosa che ricordo è questa: parlando di comportamenti, di relazioni Maurizia ci
raccontò un piccolo aneddoto che qui tento di riportare.
- Una coppia sta passeggiando lungo una strada, lei va veloce, è avanti di qualche metro e
pensa: -Ecco lui va piano, rimane indietro, lo fa apposta, non vuole camminare accanto a
me!lui invece: - Guarda, guarda come va veloce, certamente non vuole farsi vedere con me!I punti di vista sono importanti nelle relazioni, così come provare a mettersi nei panni degli
altri, riuscire a parlarsi, raccontarsi, mediando possibilmente sul significato che attribuiamo ai
gesti e alle parole (cosa mai scontata); camminare insieme è bellissimo ma non è semplice e,
farlo, implica uno sforzo e il desiderio di “incontrare”l’altro.
Discutemmo molto quel giorno su quanto potrebbe essere semplice chiedere spiegazioni sui
comportamenti degli altri senza prima mettersi sulla difensiva…o attaccare.
Il piccolo racconto, lo scambio di opinioni, i rimandi di Maurizia che, in modo semplicissimo, ti
aiutavano a capire, tutto mi è rimasto dentro; a volte mi è servito sul lavoro nei rapporti con i
bambini, con i genitori e con i colleghi; mi riecheggia sempre quando vivo qualche relazione
un po’ conflittuale. Penso di averlo assorbito un po’(anche troppo) come un mio modo di
vivere. di essere, probabilmente perché in fondo, quel giorno, mi sono sentita rassicurata,
quasi “autorizzata“ a essere la persona che sono e che oggi mi piace essere mentre, in quel
momento, mi sentivo un po’(molto) inadatta.
Il corso finì sul prato del Sante Zennaro a massaggiarci il collo e le spalle a vicenda, a
condividere una relazione, un incontro fatto anche di sensazioni fisiche piacevoli.
Fragili
(STING)
Se il sangue scorrerà quando la tua spada incontrerà la carne
seccandosi al sole della sera,
la pioggia di domani laverà via le macchie.
Ma qualcosa rimarrà per sempre nelle nostre menti
Forse questo ultimo atto è destinato
A ribadire una fondamentale verità:
che dalla violenza non può
e non è mai potuto nascere nulla.
Per tutti quelli nati sotto una stella arrabbiata
per paura che ci dimentichiamo quanto siamo fragili.
La pioggia continuerà a cadere su di noi
come lacrime da una stella
La pioggia continuerà a dirci
quanto siamo fragili, quanto siamo fragili.
Post-it
Elisa Solaroli
Ho tante cose nella mente pensando a Maurizia e non sono sempre chiare, sono tanti
spunti che si susseguono negli anni e lasciano il tempo di pensare, ragionare e
comprendere qual’ è il proprio percorso.
Non mi pare di ricordare Maurizia dare delle regole fisse; il suo “esserci” ci ha segnato in
maniera continua e con flessibilità e il filo conduttore è sempre stato il rispetto del
bambino.
Tante volte non ero certa di aver compreso ciò che stava dietro al suo ragionamento,
altre volte non mi sono trovata d’accordo e, nella riflessione, si è evoluto il mio percorso
personale.
Adesso sto ripensandola “a caldo” e forse i ragionamenti non sono molto raffinati ma non
penso che ciò sia fondamentale per riflettere sul fatto che il pensiero di Maurizia è per
noi, educatori ed insegnanti, come l’impronta di un dinosauro che è frutto di un attimo ma
si cementa e si solidifica nel tempo e resta per sempre; sta a noi trovarlo e ritrovarlo
nella sedimentazione del tempo, spolverarlo e tenerlo stretto forte nella nostra memoria
e nel nostro percorso collettivo.
Per me pensare a Maurizia è pensare alla “figura di riferimento” come modalità di
attenzione, osservazione e relazione al singolo bambino; sono arrivata ad Imola che già
si lavorava su questa base e mi è sembrato un percorso molto naturale da seguire,
accettare e vivere.
Nel mio successivo passaggio alla scuola dell’infanzia mi sono portata dietro le cose che
per me erano importanti e che fanno parte del mio modo di essere e, soprattutto, la cura,
il rispetto e l’attenzione per il singolo e credo sia questo il regalo che Maurizia mi ha
fatto.
E poi, pare non c’entri ma non è vero, quando sono davanti alla porta del frigo vedo, tra i
disegni colorati dei miei bambini, un biglietto che ho attaccato anni fa e che, per me,
parla di Maurizia:
PERDERE TEMPO…
Per fantasticare… per guardare dalla finestra… per annoiarsi… per guardare dentro di
sé… per non farsi vedere… per seguire il cammino di una formica… per ridere senza
ragioni… per pensare… per piangere senza vergogna… per stare da soli… per
esplorare con le dita le crepe nei muri… per succhiare un filo d’erba… per non dover
vedere ciò che si è fatto… per far finta di essere…
PER…
Le sue parole,
il suo pensiero sorridente.
Luciano Poli
Confesso che mi costa ancora fatica parlare – e scrivere soprattutto – di Maurizia. Non
ho elaborato completamente la sua perdita e pensieri, ricordi ed emozioni si
aggrovigliano dentro di me. Tuttavia non posso e non voglio lasciare cadere l’invito
rivoltomi dalla redazione di “Quaderni d’Infanzia”.
E allora proviamo ad annodare qualche ricordo. Il primo mi stupisce ancora; ricordo di
“averla conosciuta” attraverso le parole e le riflessioni di Silvana, una collega
piemontese. Maurizia era stata invitata , mi sembra ad Alessandria, per tenere una
relazione ad un corso di formazione per insegnanti delle scuole materne ed aveva
raccontato anche della sua visita alle scuole dell'’infanzia di Arhus, città del nord della
Danimarca. Aveva suscitato interesse e perplessità nell’uditorio raccontando di bambini
che potevano scegliere liberamente le attività fra quelle predisposte dalle educatrici, di
bambini che venivano portati quasi quotidianamente nel bosco per giocare sulle sponde
non recintate dei corsi d’acqua , di stanze in cui gli adulti potevano entrare solo se
chiamati dai bambini … Ma il bello – diceva Silvana – è che utilizza dettagli, a volte
insignificanti per molti di noi, per aprirti il cuore ed illuminarti la mente. Per farti
pensare e ragionare, per inserire il dubbio nelle tue certezze e nel tuo fare.
Ricordo poi una nebbiosa serata in stazione a Parma: aspettavamo il treno per Imola
che, cosa non insolita, ritardava. Mi sorrise e si presentò: disse che mi conosceva
perché suo figlio aveva frequentato la scuola in cui insegnavo; le raccontai
dell'’episodio di Alessandria. Si schernì, ironizzò un po’, ma mi parve gradire quel
ricordo. Il treno arrivò dopo molto tempo e così ci fu il tempo per scambiarci informazioni
e “giustificazioni” per quell’incontro fra imolesi in trasferta ... io ero a Parma per conto
dell'’IRRSAE che aveva attivato una sperimentazione cui aderivano diverse scuole di
quella città, lei proveniva da un incontro con un funzionario del Comune di Parma che
le aveva offerto l’opportunità di dirigere il Centro per le Famiglie. Disse che pensava di
non accettare per non allontanarsi troppo da Imola. Ma le dispiaceva “ perché le
incursioni nel sociale le consentivano, mentre si occupava di educazione e di servizi
rivolti a bambini normali con famiglie normali, di conservare uno sguardo anche su quei
bambini e su quelle famiglie che crescono ai margini, ignorati fino a quando non
diventano elemento di disturbo della quiete altrui.
Semplici ricordi che mi consentono di delineare alcuni fra i tratti della sua persona che
maggiormente ho apprezzato: la cura del dettaglio e delle analisi, l’eleganza del
ragionamento mai affrettato e banale, il pensiero dolce e sorridente, la sua disponibilità
e modestia, nonostante la sua profondità e ricchezza, la sua cordialità e semplicità nel
rapporto con le persone, come ebbero a scrivere di lei Patriza ed Enrica, giovani
redattrici di Ambientinfanzia, la rivista cui ha offerto per due anni, con il suo “Diario di
Bordo”, indimenticabili contributi.
E ritornando alla sua apprezzata collaborazione ad Ambientinfanzia vorrei ricordarla
con le parole della collega Arnalda Mori
“ … la penso volare libera nel cielo e continuare a donarci ironia e dolcezza di pensieri e
parole.
Fiocchi di neve candida
danzano il suo volo nel cielo.
Lei oggi già scrive
il suo "diario di bordo"
dall' immenso infinito.”
Le Poltrone di Elinor
Camilla Cacciari
Ho appena finito di correggere le bozze.
Ho rimandato per settimane il momento di scrivere questo articolo: avevo in testa un mucchio
di piccole cose da raccontare, ma capitava che, man mano che leggevo gli articoli altrui,
scoprivo che gran parte delle cose che io avevo in serbo era già stata scritta; allora
ridimensionavo il mio mucchio di piccole cose da raccontare.
Ogni giorno mi mettevo qui davanti e la pagina restava bianca: rovistando nei miei ricordi mi
perdevo in una decina di sentieri, per raccontare i quali un articolo non mi sarebbe mai
bastato.
Adesso però ho raccolto parecchi sassolini sparsi in qua e in là, nelle bozze appena corrette,
dalle mie previdenti colleghe: come Pollicino e li ho seguiti per tornare indietro nel tempo fino
a quelle tre giornate che ebbi l'occasione di trascorrere con Maurizia, in una specie di
vacanza che trasformò i nostri semplici e cordiali rapporti di lavoro in una conoscenza più
approfonditoa e confidenziale, che mi piace chiamare amicizia... ma non è di questo che
voglio parlare qui.
Voglio parlare, piuttosto, di quanto quei tre giorni furono fondamentali per la mia storia
professionale .
Cammina, cammina....
1986 Marléne ed io, che eravamo alle prese con una seconda (o, meglio, una semidivezzi),
durante un intercolletivo per sezioni parallele, avevamo espresso a Maurizia le nostre "ansie"
perchè ci macava qualche cosa ( materiali di gioco?... un metodo di lavoro?...) che ci
aiutasse a gestire un gruppo di bambini così piccoli, riducendo i conflitti e offrendo nuove
occasioni di gioco ai bambini. Eravamo insoddisfatte, anche un po' frustrate, direi. Va
precisato, per chi allora non c'era, o, se c'era, era un/una piccolo/a utente, che la figura di
riferimento, il gioco euristico... non sapevamo ancora che cosa fossero...
Fatto sta che, poco tempo dopo l'intercollettivo, ci giunse l'invito di Maurizia a partecipare, il
22, 23, 24 maggio, al Convegno di Ancona: “Per una ecologia della prima infanzia”... (mi son
sempre chiesta se il nome del convegno fosse stato scelto perchè cadeva esattamente un
mese dopo il disastro di Chernobil).
Nonostante già da anni fossimo vittime di decreti e finanziarie varie che tagliavano fondi e
supplenti ai Nidi, allora erano ancora i bei tempi in cui il Comune pagava senza troppi
tentennamenti le trasferte, pernottamenti compresi, e le supplenti arrivavano ancora a tempo
pieno: perciò non avemmo troppi dubbi per deciderci ad abbandonare per due tre giorni con
tutto il gruppo, l'incaricata che lavorava con noi in quell'anno scolastico.
Si unì a noi, da un'altra sezione, anche Carla Camaggi.
Giovedì 22 maggio partimmo per Ancona con la mia R5:
tutte insieme appassionatamente Maurizia, Carla, Marléne ed io.
Dovevamo scegliere a quale gruppo iscriverci: io e Marléne scegliemmo quello in cui si
sarebbe discusso dei rapporti con le famiglie, Carla si unì a Maurizia in un altro gruppo.
Durante la mattinata ci sarebbero stati gli interventi di apertura in assemblea plenaria, presso
la sede principale del convegno; i gruppi, decentrati, si sarebbero riuniti nel pomeriggio per
poi relazionare sui loro lavori nelle mattine seguenti, sempre in assemblea plenaria
Terminati i lavori di apertura ci sguinzagliammo per i vari stands allestiti, e, mentre io mi
dilungavo ad esaminare materiali d'arredo vari, venne a sollecitarmi Marléne perchè andassi
subito a vedere quello che lei aveva appena scoperto.
La seguii incuriosita: al centro dello stand alcuni tappeti e qualche tavolo basso; due tre
bambini giocavano con una serie di materiali inconsueti che estraevano da sacchi di stoffa:
coni e tubi di cartone, coperchietti per conserve, anelli per tende, pezzi di stoffa, pompon,
tappi di sughero ecc. ecc. Tutto materiale di recupero. Sui tavoli più alti erano sistemati altri
sacchi, e oggetti ricavati dall'assemblaggio dei vari materiali... Un'anziana signora si aggirava
in mezzo a questa scena, ora rispondendo a chi le faceva domande, ora tornando a
sistemarsi in un angolo su una comoda poltrona.
Purtroppo non avevamo molto tempo per
fermarci ad indagare. E maledicemmo la
volta in cui non avevamo scelto il gruppo
in cui sarebbe intervenuta l'anziana
signora, che forse avrebbe fatto più al
caso nostro. Raccogliemmo tutto il
materiale informativo che trovammo e ce
ne andammo all'appuntamento per il
pranzo con Carla e Maurizia. Non lo
sapevamo ancora, ma eravamo state
appena illuminate sulla via di Damasco:
quell'incontro avrebbe rivoluzionato il
nostro modo di lavorare coi bambini da
allora in poi.
Arrivammo al ristorante per prime e,
nell'attesa, sciorinammo sul tavolo tutto il
mazzo di carte raccolte alla mostra e
cominciammo a cercare di capire. “Ecco
vedi: non è tutto lasciato al caso, bisogna
Elinor Goldschmied
seguire delle regole ben precise... qui c'è
un elenco di materiali... e guarda qui...”
Marléne mi mostrava le foto dei bambini al lavoro” “I sacchi ce li fa Paola... il materiale di
recupero facciamo presto a raccoglierlo... Dai, da lunedì cominciamo...”
“Ah, l'avete trovata!” commentò Maurizia sorridente, quando, al posto del menù, trovò tutta
quella carta. Prese dal nostro entusiasmo non avevamo sentito giungere le nostre amiche e
trasalimmo con un “Che cosa?”
“ Magari Chi”, precisò Maurizia ” Elinor Goldschmied: lo sapevo che vi sarebbe stata
simpatica”
A distanza di anni capisco che Maurizia aveva invitato noi ad andare ad Ancona perchè
probabilmente si era accorta che, in quel momento, noi due eravamo già cotte a puntino per
accogliere con entusiasmo la lezione della Goldschmied. Ci aveva portate ad Ancona ed,
euristicamente, ci aveva fatto scoprire il gioco euristico. Aveva disposto, ma non imposto.
Rientrate a casa faticammo, e non poco, a convincere i nostri colleghi di allora ad accettare e
a condividere con noi queste novità, la raccolta del materiale di recupero, l'applicazione
abbastanza integralista delle indicazioni della Golschmied... comunque noi cominciammo,
complice Paola che ci cucì tutti i sacchetti necessari, e... se ci amavano ci avrebbero seguite.
Alla fine ci seguirono.
Andò più brillantemente il confronto con i colleghi degli altri nidi che si rivelarono, da subito,
molto più interessati: Maurizia lasciò a noi l'opera di evangelizzazione in qualche
intercollettivo per sezioni parallele, e finì che ci spedì anche in tournée nel Parmense.
Ma c'è un'altra cosa che portammo a casa in seguito a quell'incontro. Veramente noi non
avevamo osato impadronircene, frenate da quei moralismi espiatori che associano il lavoro
VERO solo a fatica sudore e disagi.
Visionando una delle nostre prime riprese col gioco euristico protagonista, Maurizia ci fece
notare che macava un particolare raccomandato dalla Goldschmied: una poltrona comoda
che garantisse anche il benessere degli educatori.
E così, da allora, poltrone e divani cominciaro a far parte dei nostri arredi.
Vorrei concludere con una specie di sogno ad occhi aperti: io ho sempre percepito in
Maurizia un non so che di anglosassone: un po' per il suo look, un po' per la sua ironia
flemmatica. Ora me le vedo, lei ed Elinor, là sedute su comode poltrone a sorseggiarsi un
buon tè accompagnato da biscottini scozzesi allo zenzero.
E. Goldschmied: cestino dei tesori
Il bambino nel bicchiere
Valeria Castaldi
Era il 1978, il Comune aveva da soli 2 anni avviato i primi Nidi quando dovette decidere come
gestire l’acquisizione delle strutture e del personale del disciolto Ente dell’Opera Nazionale
Maternità e Infanzia. Fu presa la decisione, per uniformare il servizio, di avviare una mobilità
forzata del personale. Tutti sapevamo che era la cosa migliore da fare, forse l’unica possibile,
ma anche la più difficile per chi aveva appena avviato un’esperienza nuova, con aspetti
pionieristici data la quasi totale mancanza di modelli, se non quello, appunto, dell’ONMI. Ci
dava sicurezza il gruppo di lavoro in quella che era la totale incertezza rispetto a metodi,
ruolo, progettazione. Ci sentivamo comunque portatrici di novità, cultura, motivazioni sociali
forti ed una certa dose di presunzione.
Le colleghe del disciolto Ente, dal canto loro, sapevano di avere l’esperienza che a noi
mancava e questo precludeva loro la voglia di accettare il cambiamento e le portava a
chiudersi in difesa. I primi momenti della fusione furono davvero duri, con scontri quasi
quotidiani a causa di metodi di lavoro , aspettative e gesti quotidiani diversi. Noi cosiddetti
“comunali” cercavamo spesso l’avvallo di Maurizia, pensavamo che avrebbe dovuto
parteggiare per noi dato che noi avevamo il marchio del nuovo e del giusto.
E ci deludeva spesso il suo non volersi schierare con decisione. Avremmo preteso che ci
sostenesse palesemente, spiegando alle colleghe che dovevano adeguarsi ai nostri metodi
perché migliori.
Poi arrivò il momento dei bicchieri. Nell’arredo del Nido di Viale Saffi c’erano i bicchierini
d’acciaio, in uso prima del nostro arrivo. Non ci piacevano, secondo noi erano freddi, brutti e
da cambiare, come tutto il resto d’altronde. E sostenevamo che ci volevano bicchieri colorati,
di plastica, infrangibili anch’essi, ma più allegri. La disputa fu veramente accesa, tanto da
richiedere l’arbitrato di Maurizia.
Eravamo certe del suo appoggio totale, essendo convinte di essere nella ragione. Bicchieri
d’acciaio o di plastica colorata? Maurizia riflettè un pochino poi, con la solita ferma
delicatezza, disse che, se proprio si cambiavano i bicchieri, l’unico elemento utile da
considerare, oltre all’infrangibilità, era la trasparenza, per permettere ai bambini di vederne il
contenuto. Non fu una mediazione e neanche un prendere la via mediana per non
scontentare nessuno, come ci parve in un primo momento. Era il modo di indicarci l’unica via
possibile per affrontare la convivenza e provare a collaborare, mettendo solo il benessere
del bambino al centro del nostro lavoro e delle nostre scelte. Occorreva cambiare la
prospettiva. Poco alla volta più o meno consapevolmente, adottammo questo metodo che
decentrava le energie dallo scontro per prevalere e le dirottava per il miglioramento
dell’ambiente e delle relazioni.
Ed è questo il primo episodio che, come tanti altri simili, appare piccolo ed insignificante ma
riuscì non solo ad invertire il corso di una storia che rischiava di diventare difficile ma anche a
dare avvio al percorso di costruzione di un nostro metodo di lavoro e di un modello condiviso.
Io, in quell’occasione, sentii l’obbligo di riflettere ed feci un passo indietro, convenendo che
quella era la strada da seguire.
Ma Maurizia non ti dava mai lezioni. Delicatamente posava tanti piccoli sassolini, quelli che,
quando si ammucchiano, riescono a deviare il corso di un fiume. Sono certa che abbiamo
tutti in mente qualcuna di quelle piccole e preziose occasioni di crescita che ci ha messo
davanti lasciandoci libere di coglierle. Molte di noi ricorderanno con quanta commozione
abbiamo letto la famosa lettera “ad una educatrice della sezione lattanti” con le poche e
sostanziali indicazioni sull’uso della mano durante le routine. Un altro prezioso sassolino che
ha deviato il fiume verso la cura della relazione adulto bambino e la figura di riferimento. Mi
auguro che ci saranno altre occasioni per guardare il corso del fiume e controllarne la
direzione: riprendiamo in mano quei preziosi sassolini ogni tanto e guardiamo come l’acqua li
ha resi levigati e belli e ancora tanto solidi da poter essere usati e usati e ancora usati. Il
fiume scorre e non sparisce.
Da tenere sul comodino
Suggerimenti di lettura
a cura di Maurizia Gasparetto
Sostituendoci a chi ha curato fino ad ora questo spazio, nell'ultima apparizione di questa
rubrica su Quaderni d'Infanzia pubblichiamo la lettera “A una educatrice che lavora
nella sezione lattanti.” di Maurizia Gasparetto.
La Redazione
Maranà-tha: ragioni di una scelta
Valerio Vergnani
Quando ero bambino non riuscivo a definire esattamente il lavoro di mia mamma.
Avevo un repertorio di risposte delle quali nessuna completamente vera, ma nemmeno
completamente falsa. Crescendo ho capito quali erano i suoi compiti dentro il Servizio Infanzia.
Poi, lavorando nello stesso ambito, ho raggiunto la consapevolezza che il modo in cui svolgeva il
suo lavoro era la filosofia della sua vita.
Per onorare la sua memoria cercavo delle persone che avessero un progetto di vita dedicato ad
aiutare gli altri a crescere ed a superare i momenti difficili. A Maranà-tha ho trovato questo. Potrei
riassumere quello che mi ha colpito di questo gruppo di persone in quattro parole.
Tolleranza: perché nonostante la loro precisa scelta religiosa accolgono famiglie di ogni altra
religione.
Pazienza: perché dedicare tutto il proprio tempo agli altri ne richiede tanta.
Libertà: perché le loro porte sono sempre aperte, per entrare e per uscire.
Coerenza: perché tutto ciò che fanno, dall’educazione dei figli alla raccolta differenziata, è parte
di un medesimo disegno.
In questi principi riconosco mia mamma, che ha sempre cercato ed accettato il confronto con idee
diverse dalla propria; ha tratteggiato e suggerito possibili percorsi, lasciando la libertà di uscirne;
ha attribuito alle persone un valore non “a priori”, ma sulla base del significato che queste
sapevano costruire.
Due brevi considerazioni per concludere. La vita professionale di mia madre è stata interamente
dedicata al sociale in tutti i suoi aspetti e la comuniità Maranà abbraccia più branche dei Servizi
Sociali. Nel leggere il racconto di Margherita * ho trovato diverse similitudini con le parole,
materne e professionali, di mia mamma: crescere a volte significa scontrarsi; ognuno ha diritto a
trovare una propria dimensione; il confronto con il pensiero diverso dal nostro è sempre occasione
di crescita.
Grazie a tutti per il contributo offerto e per l'attaccamento dimostrato.
Chi ha voglia di conoscere qualcosa in più della comunità Maranà-tha, può continuare a leggere
quello che segue.
Identikit della comunità
Maranà-tha è una comunità di famiglie, nata nel 1985, che hanno risposto alla vocazione di
seguire Gesù in una vita semplice, fondata sulla preghiera e la condivisione, che si realizza con il
servizio al prossimo. Attualmente cinque famiglie e Claudio Imprudente, un uomo diversabile,
abitano insieme a S. Giorgio di Piano (Bologna), in una grande casa dalla quale sono stati
ricavati, oltre agli appartamenti per le famiglie, degli spazi per le accoglienze, una cucina e un
salone comuni per condividere i pranzi durante la settimana, una cappella per ritrovarsi ogni sera
a pregare e altri spazi per stare insieme. Maranà-tha accoglie bambini attraverso l'affidamento
familiare, donne sole con bambini, nuclei familiari in difficoltà, persone con disagi psichici e
sociali, persone in discernimento vocazionale.
Maranà-tha è anche un centro operativo della Caritas di Bologna dove poter svolgere il Servizio
Civile Nazionale (dal 1985 sono 30 i giovani che hanno prestato servizio civile presso la
comunità).
Nel 1999 Maranà-tha si è costituita in associazione di volontariato e i beni immobiliari della
struttura sono adesso di proprietà dell'associazione.
Nel 2002 la comunità è stata riconosciuta come opera dell’apostolato sociale della Compagnia di
Gesù e partecipa attivamente al Jesuit Social Network Italia, federazione delle realtà che operano
nel sociale, legate ai gesuiti.
Nelle famiglie alcuni hanno un lavoro esterno, altri lavorano a tempo pieno nella comunità. Tutti
comunque hanno un ministero specifico in comunità. Attualmente Lorena ed Elena si dedicano a
tempo pieno alla comunità per quanto riguarda le relazioni con l’esterno, la gestione quotidiana
della casa (spesa, cucina, giardino) e le pratiche amministrative (la segreteria dell’associazione).
Le professionalità delle persone che lavorano all’esterno sono varie: due infermieri (Gianni e
Margherita), un ingegnere (Fabrizio), un programmatore (Stefano), una ricercatrice universitaria
(Francesca), un elettricista-counselor impiegato in una cooperativa sociale (Mario), un
giornalistascrittore- formatore (Claudio). Luca lavora come magazziniere e Simona è impiegata
al centro servizi per il volontariato della provincia di Bologna.
Marnà-tha ha un sito Internet: www.maranacom.it
Maranà-tha: una comunità per accogliere
In 18 anni circa sono stati intrapresi più di 25 progetti di affidamento familiare di minori e sono
state ospitate più di 100 persone in difficoltà o in ricerca. Una buona parte di questi progetti
hanno coinvolto nuclei monoparentali (mamma-bambino). Alcune persone hanno condiviso con
noi un pezzo di strada breve, di pochi mesi. Altri, in particolare i bambini in affido, sono rimasti
con noi per anni, cementando relazioni affettive profonde.
L'accoglienza di persone adulte interessa principalmente:
- donne italiane e straniere (in collaborazione con i servizi sociali, con la Caritas diocesana,…),
accompagnandole verso una vita autonoma insieme ai loro figli, o nella delicata fase della
gravidanza, della nascita e i primi mesi di vita dei piccoli
- adulti con esigenza di strutturare percorsi di sostegno per realizzare un’autonomia di vita
- persone in discernimento vocazionale.
La fede religiosa in cui si riconosce Maranà-tha non è elemento di discriminazione
nell'accoglienza degli ospiti, che possono professare il proprio credo nel rispetto reciproco.
L’accoglienza di queste persone si intreccia profondamente con la vita di tutta la famiglia,
coinvolgendo non solo gli adulti, ma anche i figli naturali. Da qui nascono domande importanti
sui temi educativi, sulle dinamiche delle “relazioni di aiuto”, sui rischi di assistenzialismo, sugli
strumenti psicologici e spirituali a cui occorre attingere per stare in quelle relazioni senza esserne
travolti e, d’altra parte, offrendo un aiuto concreto all’altro.
Gli strumenti attraverso i quali la comunità affronta tutto questo sono l’organizzazione interna ed
il riferimento a principi ispiratori forti e condivisi.
Tra le domande più frequenti che ci vengono poste a proposito della comunità emerge
l’interrogativo sull’educazione dei figli in un contesto comunitario, denso di relazioni e
“affollato” di adulti e bambini.
*Margherita, mamma di cinque figli e con diverse esperienze di affido, racconta come vive il
tema educativo.
“Fin dall’inizio i nostri figli sono immersi in una realtà molto ampia che, pur permettendo di
distinguere con chiarezza il proprio nucleo famigliare, fa vivere i vari rapporti comunitari con
caratteristiche di forte appartenenza. E tra loro piccoli si crea un’alleanza come di sangue: si
cercano, litigano e poi si riabbracciano, si difendono dagli adulti formando un solido patto di
amicizia. La varietà dei vari componenti della comunità, adulti e non, fa sì che possano trovare
diverse specificità che vanno incontro ai loro bisogni e alla loro età: c’è chi ama giocare a
pallone, chi racconta favole, chi ha una spiccata sensibilità spirituale, chi ha uno sguardo
privilegiato sui paesi più poveri, chi può aiutare a fare i compiti…Questo permette, dal loro
punto di vista, di vivere rapporti non ingessati e sicuramente ricchi di stimoli. Permette anche di
sperimentare un senso di maternità e paternità più allargata: questo è l’aspetto più delicato, nel
senso che, a volte, la comunità può suscitare nei ragazzini un senso di soffocamento, di controllo
continuo: “non posso fare una cosa che già lo sanno tutti!…”.
In effetti, c’è uno stile educativo comune che autorizza implicitamente gli adulti a intervenire con
i figli delle altre famiglie, entro certi limiti ovviamente, come se fossero i propri. Esiste una forte
influenza reciproca, dagli adulti scelta e riconosciuta, dai più giovani inizialmente subita. Il fatto
che possa diventare, anche per loro, un’occasione di crescita nella consapevolezza e nella libertà,
dipende da come vedono noi stare dentro quella intensa interrelazione e dal concederci di sederci
con calma a parlare di questo. Per comunicare loro che abbiamo scelto questo tipo di vita non per
un fatto masochistico, ma perché ne abbiamo trovato – e continuiamo a trovarne- vantaggi in
merito a una vita più vera, più viva e più libera.
Dal mio punto di vista, i condizionamenti reciproci che si vivono in comunità sono una buona
palestra di vita per i nostri figli, in vista dell’immissione in un mondo impregnato di
condizionamenti, spesso più subdoli e sottili. Ho visto nei miei figli, in alcuni aspetti del loro
carattere, un irrobustimento grazie proprio all’avere sempre fatto i conti con l’altro, chiunque
esso fosse”.