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bUrkina Faso
Testo e foto
di MARCO BELLO
Una presenza di 18 anni, Un impegno che ha cambiato la vita di molti
I GUARDIANI
DELLA TERRA
sud ovest del burkina
Faso. Una ong ci approda per caso. i primi
progetti deludono. ma
qualcuno ci crede e si
decide di restare. si
creano le condizioni
per una cooperazione
di eccellenza. Un caso
diventato oggetto di
studio ed esempio nel
settore. siamo andati
a scoprirlo.
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MC DICEMBRE 2015
F
ounzan. «Era una realtà
particolare. La strada sterrata per arrivare in zona era
terribile e fu asfaltata solo
alcuni anni dopo. Un ambiente
selvaggio e verdeggiante che mi
ricordava il Burundi». Federico
Perotti, oggi presidente dell’Ong
Cisv, all’epoca responsabile dei
progetti in alcuni paesi saheliani,
tra cui il Burkina Faso, ricorda la
prima visita nel Sud Ovest del
paese.
È il 1997, anno in cui l’Ong di Torino inizierà a lavorare nell’area,
per poi rimanerci fino a oggi.
«Era paradossale: ci trovavamo al
Sud, zona più fertile del paese,
quindi ci aspettavamo più ric-
chezza, maggiore produzione alimentare, invece ci siamo trovati
in una realtà che all’apparenza
era più destrutturata, e anche arretrata, rispetto alla società
burkinabè che conoscevo nell’arido Nord. Anche l’aspetto fisico
delle persone, ad esempio il
modo di vestirsi, dava un’immagine di trascuratezza. Una realtà,
quindi, in cui sarebbe stato interessante lavorare come Ong di
sviluppo».
Il responsabile della Cisv, già da alcuni anni presente nel Nord del
paese, cercava nuove zone nelle
quali intervenire, ed è stato invitato a recarsi nel Sud Ovest dall’Ong Uvisp (Unione volontariato
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• Agricoltura sostenibile | Sicurezza alimentare | Cooperazione | Sviluppo • MC ARTICOLI
internazionale per lo sviluppo e la
pace) di Assisi, che ha costruito
una diga in terra battuta nel villaggio di Wahablé, dipartimento di
Oronkua, che fa parte della provincia dello Ioba, grazie a un progetto finanziato dal ministero Affari esteri italiano. Uvisp lascerà la
zona e c’è bisogno di un’Ong
esperta in organizzazioni contadine, per aiutare la gente a mettersi insieme per produrre meglio
ed essere meno dipendente dai
capricci delle piogge e della siccità.
Federico è in contatto con Hubert
Some, nativo del villaggio e della
famiglia del vescovo di Diébougou
e la giovane antropologa Giovanna
Fasciani, volontaria di Uvisp. Sarà
con loro due che la Cisv inizierà un
processo di accompagnamento ai
gruppi di donne coltivatrici orticole nei pressi della diga di Wahablé e in alcuni villaggi del circondario. I primi finanziamenti arrivano
dalla Conferenza episcopale italiana e dalla Fondazione Giovanni
Paolo II.
«In quel momento ignoravamo
quasi tutto di quell’area; la stessa
scelta del territorio fu aleatoria»,
racconta Luigi Arnaldi, il volontario della Cisv che sostituisce Giovanna nel 1999. «Hubert Some
aveva proposto il suo progetto, e
quello era stato applicato, benché si fosse poi rivelato inadeguato». Arrivato a Wahablé, Luigi
si trova in una situazione piuttosto precaria. «I primi tempi disponevo solo di un’auto fuoristrada
piuttosto scassata, che mi faceva
anche da casa. Il telefono più vicino era a Dano, capitale della
provincia dello Ioba, a 25 km di
pista sterrata».
Un inizio difficile
Quello che la Cisv trova a
Oronkua sono contadini poco organizzati tra loro, che producono
cereali secchi (sorgo, miglio e
mais) e riso in alcuni avvallamenti
durante la stagione delle piogge,
e ortaggi vicino alle dighe durante
la stagione secca. Poche sono le
strutture in piedi, e solo a livello
di piccoli gruppi di villaggio.
L’Ong, che è abituata a lavorare
con organizzazioni contadine ben
strutturate, soprattutto nel Nord
del paese, stenta a capire la
realtà locale nel Sud Ovest. Ricorda ancora Luigi Arnaldi: «Entrare nel Sud Ovest avendo come
riferimento Ouahigouya (provincia Yatenga, Nord Burkina Faso,
ndr), ha falsato la lettura della
realtà. Non c’è stato un approfondimento antropologico sui popoli
dell’area, ma piuttosto un pregiudizio del fatto che a Dano non si
può lavorare come altrove.
Anche successivamente abbiamo
continuato ad avere un livello di
conoscenza del contesto del tutto
insufficiente e che invece avevamo
considerato soddisfacente. Ci
siamo accontentati in fretta di pochissimi elementi, mentre eravamo di fronte a una società molto
complessa. Forse questa è una carenza strutturale di questo lavoro,
ormai sempre più frequente nei
progetti di sviluppo». Si tratta della
società Dagarà, etnia imparentata
con i Lobì del Sud. Sono presenti
anche villaggi di Mossì immigrati
(l’etnia maggioritaria originaria del
centro e del Nord) e innumerevoli
piccole etnie, alcune delle quali
presenti solo in pochi villaggi,
come i Pougoulì.
Dopo un paio di anni infatti il progetto di promozione delle donne
non da i risultati sperati: «Si trattava di un approccio di genere
mal applicato» confida Arnaldi. Si
profila una scelta per l’Ong: chiudere l’esperienza nel Sud Ovest, o
rimettere tutto in discussione facendo una riflessione più approfondita.
La prima svolta
«Prima di tutto prendemmo una
decisione importante: spostarsi a
Dano, il capoluogo di provincia
dello Ioba. Questo ci permetteva
di affrancarci dalla dipendenza
relazionale con Hubert Some e la
sua famiglia, oltre che dall’impegnativa presenza dell’infrastruttura della diga. A Dano, inoltre, si
aveva accesso a una linea telefonica e si potevano incontrare persone di altri enti statali e privati.
Era il momento favorevole. Sentivo che avevamo ricevuto carta
bianca su tante cose, da parte
dello stato burkinabè e della sede
di Torino. C’era maggiore possibilità di finanziamento: la Regione
Piemonte aveva appena lanciato
il suo programma Sahel, che sarebbe durato oltre 10 anni».
Nella regione, all’arrivo della Cisv,
non ci sono interventi di Ong, a
parte alcuni grossi programmi
statali, il che rende le popolazioni
più disponibili a partecipare e i
rapporti meno falsati dalle richieste di denaro.
Nel Nord del Burkina l’Ong è presente con un altro progetto coordinato da Riccardo Capocchini,
agronomo tropicale esperto e capace. Luigi inizia con lui una riflessione su come sia meglio procedere nel Sud Ovest. Sono gli anni
2000-2001.
«Ci siamo dati un anno per esplorare zone, partner, strategie.
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BURKINA FASO
La voce del presidente della Copsa-C di Founzan
Ci nutriamo meglio e localmente
«Un partner non si abbandona mai, le relazioni sono sempre importanti. Siamo come un bambino di sei anni,
dobbiamo ancora essere formati. Diventiamo sempre più professionali e arriveremo all’autonomia economica. Poi, anche noi, aiuteremo i più poveri con le nostre conoscenze. Perché vogliamo essere missionari».
ndré Hien ha già una certa età. Ce ne sono pochi
come lui in giro. È una sorta di memoria storica.
Ha ricevuto una formazione in seminario, doveva
diventare sacerdote, poi ci sono stati problemi famigliari e ha dovuto lasciare. È quindi rimasto in famiglia,
ed è diventato leader di gruppi organizzati di contadini,
«per condividere con gli altri la mia formazione», dice.
Si è impegnato nelle Unioni fino a diventare presidente
della cooperativa che le rappresenta.
A
Qual è la sua esperienza personale con la Cisv?
«Io sono prima di tutto produttore orticolo e poi anche
risicolo. Conobbi l’Ong Cisv quando venne a lavorare a
Wahablé. La Cisv accompagnava i piccoli produttori di
riso, ortaggi e cereali facendo formazione. Fin dall’inizio
gli operatori dell’Ong videro che i contadini erano tra
loro isolati e che sarebbe stato un bene aiutarli a mettere insieme le proprie forze. Oltre che sulle tecniche di
coltivazione, i corsi di formazione vertevano su cosa vuol
dire essere membro di un gruppo organizzato. La Cisv,
in seguito, accompagnò i gruppi così costituiti. Si capì
poi che occorreva lavorare su delle filiere precise, che furono identificate come: orticoltura, riso e stoccaggio cereali.
In particolare il progetto di quel periodo fece viaggiare i
contadini per visitare altri gruppi organizzati già avviati
che utilizzavano i magazzini per stoccare il raccolto allo
scopo di non venderlo sul momento, quando il prezzo
era molto basso a causa della grande disponibilità sul
mercato. Anche io andai a vedere e trovai il sistema
molto interessante.
I gruppi di villaggio a livello locale sono importanti, perché i contadini hanno bisogno gli uni degli altri. Ma andando a una scala un po’ superiore, come un dipartimento, il gruppo è troppo piccolo. Occorreva quindi
moltiplicare i servizi, per permettere al produttore di
avere accesso al credito, agli attrezzi, al concime. Ecco
perché si pensò di creare un’Unione di gruppi a livello
dipartimentale.
Col tempo si capì che c’era una filiera più debole, quella
orticola, perché per produrre ortaggi si ha bisogno di
acqua sempre disponibile e questo era difficile. La risorsa era insufficiente, perché mancano gli invasi, per
trattenere l’acqua piovana. Una delle poche dighe nella
zona è quella di Wahablé.
Il meccanismo di credito, successivamente messo in
piedi con il cereale secco (warrantage), è impossibile
con i prodotti orticoli, perché non si conservano. Al limite si può tentare con le cipolle. Per questo si scelse di
privilegiare le filiere dei cereali e del riso. Con otto
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Unioni fondammo dunque la Copsa-C, il 6 marzo 2009.
In seguito si aggiunse anche l’Unione di produttori di
sementi. I rappresentanti delle otto Unioni si riunirono
qui, a Founzan. C’era Matteo Cortese (all’epoca capo
progetto Cisv nel Sud Ovest, ndr), ma non influenzò i lavori. Era qui per osservare il processo. Discutemmo tra
noi. Dopo elaborammo i documenti per essere in regola
con le leggi. I corsi di formazione continuarono per insegnarci a gestire la cooperativa».
Presidente, quali sono gli obiettivi per il futuro?
«Vogliamo andare avanti, vogliamo “volare”. Fornire ancora più servizi ai membri, che sono le Unioni. Facilitare l’accesso a concimi e attrezzi per la base, i produttori, e facilitare loro l’accesso al credito. Con le istituzioni di micro finanza (banche rurali) non è facile, perché a livello individuale non ti ascoltano, o pongono
molte condizioni, ma in gruppo o unione, e con la mediazione della Copsa-C la procedura si semplifica.
Quale apporto ha dato l’Ong Cisv?
«Come Copsa-C lavoriamo insieme alla Cisv. L’Ong ha
dato un apporto di tipo comunitario, non individuale.
Possiamo dire di aver aumentato il nostro spirito comunitario. In secondo luogo abbiamo capito che dobbiamo
essere professionali. Dal punto di vista della produzione, ma anche della raccolta dei frutti. Ad esempio
per il riso: la produzione deve essere elevata, per questo
si sceglie la varietà che va meglio, poi la trasformazione
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# Pagine precedenti: l’ingresso della cooperativa di servizi
agricoli Copsa-C e la direttrice Félicité Kambou.
# A fianco: il presidente della Copsa-C nel suo campo di riso
a Oronkua.
# Sotto: una donna durante la raccolta del riso, in un campo
a Oronkua.
deve fornire un chicco che si presenta bene.
È cambiato inoltre l’approccio. Oggi parliamo di partenariato, siamo usciti dall’assistenzialismo. Ovvero
prima chiedevamo, ci veniva dato qualcosa che consumavamo e poi ci ritrovavamo allo stesso punto di partenza. Penso che a questo livello ci sia un cambiamento.
La Cisv ci ha molto aiutati a essere indipendenti a livello finanziario e anche alimentare».
Il centro di raffinazione del riso è redditizio?
«Le Unioni hanno chiesto alla cooperativa di fornire
loro dei servizi. Non sapevamo come vendere la produzione di riso. La Copsa-C si offre come commerciante,
acquista il riso, lo trasforma e lo vende, e i soldi sono
dati ai produttori. Quando c’è un surplus non lo dividiamo per dissiparlo, ma vediamo cosa possiamo fare
insieme per andare ancora avanti. E creare altro reddito. In modo che tutta l’azione permanga nel tempo.
Siamo una piccola cooperativa ma è conosciuta a livello
nazionale. Abbiamo visitato altre cooperative in Mali e
in Burkina, con performance molto buone, e abbiamo
imparato molto, siamo motivati per migliorare».
Perché avete creato un centro di formazione sul
warrantage?
«Fa parte dei nostri obiettivi. Come cooperativa volevamo avere un centro per comunicare informazioni tra
noi e con l’esterno. Bisognava trovare dei fondi. La Cooperazione Svizzera ci ha aiutati ed è stata la Cisv che ci
ha appoggiati per avere questo finanziamento. Il centro
è importante anche per le riunioni tra noi e per accogliere altri contadini che vengono dal resto del paese o
dalla regione.
La Copsa-C è come un bambino di sei anni (nato nel
2009, ndr) che può prendere la parola e lanciare un
grido per condividere la piccola esperienza che ha con
altri, più poveri di noi. È la spinta a condividere con gli
altri. Questo è lo spirito. Molte delegazioni vengono qui
da tutto il Burkina, ma anche da Mali, Niger, Guinea».
durre di più spendendo di meno, perché c’è una maggiore moltiplicazione dei chicchi.
Stiamo poi organizzando un forum a Dano, e una giornata promozionale del riso. Tutto questo migliorerà il
nostro reddito. Vogliamo arrivare all’autonomia economica. Ma la Cisv è nostro partner e non vogliamo che se
ne vada. Siamo come un bambino dicevo, dobbiamo ancora essere formati, educati, per diventare adulti.
Inoltre nella vita i contatti e i legami sono da mantenere. Non voglio dire che non ho più bisogno dell’altro,
ma non devo contare tutto il tempo su di lui. La relazione è dunque sempre importante, ma può cambiare
nel tempo.
Io sono stato anche invitato in Italia, ho visitato organizzazioni forti. E quello che mi colpisce è che, nonostante
il benessere che vivono, valicano il mare per condividere con altri. E noi abbiamo avuto la fortuna di beneficiare di questo loro essere missionari. Ecco perché dico
che in futuro anche noi dobbiamo cercare di essere missionari».
Nella zona di lavoro della cooperativa, osserva un
cambiamento a livello della vita della gente rispetto
agli anni ’90?
«I cambiamenti di vita in questa zona sono visibili. C’è
un risveglio rispetto al passato. Siamo all’autosufficienza
alimentare: bisogna nutrirsi correttamente e senza far
venire alimenti da lontano. La nutrizione deve realizzarsi a livello locale. Abbiamo tutti gli elementi nutritivi
di cui abbiamo bisogno. Posso dire che oggi mangiamo
meglio che 15 anni fa. Un esempio: a luglio e agosto si lavorano i campi, dobbiamo quindi mangiare di più. Normalmente in quei mesi i granai famigliari sono vuoti,
perché si è consumato tutto durante la stagione secca. Io
ho cinque figli da nutrire. Oggi con il warrantage c’è
come un “secondo raccolto” a fine maggio, che ci fornisce gli alimenti corretti, prodotti da noi, per lavorare sul
raccolto successivo. Non solo. Ci fa ottenere un surplus
di denaro da poter gestire, per pagare i materiali scolastici, far fronte agli imprevisti famigliari.
Per quel che mi riguarda arriverà il tempo in cui dovrò
lasciare il posto di presidente per far spazio ai più giovani. Guardiamo l’avvenire della Copsa-C. Voglio servire il più semplicemente possibile. Bisogna restare
umili».
Marco Bello
La Copsa-C è autonoma o ha ancora bisogno di
apporti dall’esterno?
«Per quanto riguarda il lato economico, cerchiamo di
migliorare la nostra sostenibilità. I servizi del centro di
formazione sono a pagamento, anche con la trasformazione e vendita del riso abbiamo dei benefici. Poi ci sono
gli utili prodotti dal warrantage. I nostri conti sono controllati da un auditor.
Per quanto riguarda il riso stiamo per applicare una
nuova tecnologia colturale, che ci permetterà di pro-
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Contattare amministrazioni, prefetti e servizi tecnici. Il che non
era una cosa così scontata. Capire
quali erano le realtà organizzate
con le quali sarebbe stato meglio
lavorare, pensare come valorizzare le risorse naturali locali». In
quel periodo si decide di allargare
la zona di intervento da Oronkua
ai dipartimenti di Koti, Founzan e
Dano.
Viene fatta una mappatura dei
gruppi contadini esistenti, e pensata una strategia di appoggio ai
produttori agricoli che possa favorire alcune filiere: ortaggi, riso
e cereali.
«Per me era già un grosso passo
in avanti arrivare ad avere degli
interlocutori, benché fossero
molto deboli e con loro non fosse
ancora possibile pensare a un
progetto più grande, con finanziamenti ad esempio dell’Unione
europea». In quel periodo iniziano le discussioni con Varena,
una Ong burkinabè nata dalla
Cooperazione tedesca e costituita
da persone molto competenti,
che arricchiscono il dibattito.
«Si trattava di passare dall’approccio basato sulla promozione
delle attività femminili, ovvero
“distribuiamo zappe alle donne”,
a quello più complesso di appoggio alle organizzazioni contadine», semplifica Luigi.
Un personaggio fondamentale
Fin dal primo progetto, iniziato a
luglio 1997, Félicité Kambou è
stata assunta come animatrice da
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Giovanna, ed è poi rimasta a lavorare con Luigi. Veniva da diversi
anni di esperienza con la Cooperazione tedesca, parlava diverse
lingue della zona, aveva una fervida intelligenza e molto spirito
d’iniziativa. Nonostante il suo essere donna in Burkina Faso, si faceva rispettare da tutti, anche dagli uomini.
«Nella continuità Félicité ha aiutato molto il nostro lavoro - ricorda Luigi -. Ha fatto una specie
di scommessa, come dire: “Io alla
Cisv ci credo”».
Félicité in questo periodo partecipa attivamente alla riflessione
che porterà alla preparazione di
un progetto di 36 mesi che verrà
finanziato dall’Unione europea.
Sarà questo il primo progetto di
una certa consistenza e durata
nella zona, un salto di qualità.
Il grande salto
È dopo l’avvio della riflessione sul
contesto in cui la Cisv si trova a
lavorare che la sua presenza inizia
a essere più efficace.
«Quando arrivai a Dano, nel 2002,
nei villaggi dell’area erano presenti gruppi di produttori di cotone e di riso - ricorda Olivier Benelle, che per l’Ong Cisv coordina
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il progetto finanziato dall’Unione
europea fino al 2006 -. C’erano
ancora gravi problemi di accesso
sia al cibo durante il periodo più
critico, ovvero alla fine della stagione secca (maggio-giugno), sia
all’acqua potabile per uso umano
e per gli animali». La mancanza di
acqua causa problemi di alimentazione ma anche di igiene e quindi
di salute pubblica.
Vengono appoggiate le comunità
dei villaggi per la realizzazione
d’infrastrutture per l’acqua e di
magazzini per i cereali. Vengono
realizzati orti e sistemati appezzamenti per il riso. Grande enfasi
viene posta sulla formazione
delle persone, sia di base che organizzativa, per la gestione delle
infrastrutture e degli stock di cereali.
«Una delle formazioni più utili è
stata quella per la pianificazione
delle realizzazioni. La popolazione, nei diversi generi e gruppi
sociali, è stata ben rappresentata
e partecipava molto in tutte le
fasi, dallo studio, alla realizza# In basso a sinistra: campi di sorgho
(sinistra) e di cotone ad Oronkua.
# A sinistra: il magazzino di stoccaggio
per il warrantage a Pouleba.
# Sotto: pannocchie di mais appena
raccolte e messe a seccare.
# In alto a destra: una donna separa
la pula dai chicchi, con il metodo a
caduta, Founzan.
zione per arrivare alla gestione».
Iniziano le prime sperimentazioni
di micro credito allo scopo di migliorare il reddito delle famiglie e
permettere, ad esempio, di pagare la scuola per i figli.
«La Cisv propose ai gruppi di villaggio di federarsi in Unioni»,
continua Olivier. Le Unioni sono
associazioni di gruppi di base a livello di dipartimento e hanno lo
scopo di rappresentare meglio i
singoli contadini, ma anche di fornire loro dei servizi agricoli di
prossimità. È il principio di una
vera strutturazione del mondo
contadino nella zona.
verso un nuovo
cooperativismo
Finito il progetto finanziato dall’Unione europea, la Cisv promette alle neonate, quindi deboli,
Unioni che non le abbandonerà. È
una promessa azzardata ma onesta, che mostra la volontà dell’Ong di non lasciare i contadini a
metà del percorso.
Grazie al lavoro di un’équipe di
progettazione, si riescono a trovare altri finanziamenti per proseguire il cammino. Ancora fondi
della Regione Piemonte e poi nuovamente dell’Unione europea.
Matteo Pietro Cortese arriva nel
paese nel 2007 come coordinatore del nuovo progetto della Cisv
nel Sud Ovest. Si tratta ora di capire in che modo coordinare il lavoro delle diverse Unioni, al fine
di federarle in un’unica entità che
le rappresenti.
Nel dibattito ci si chiede se sia
meglio una federazione di Unioni
di tipo associativo, quindi più di
rappresentanza e appoggio sociale, oppure una cooperativa di
servizi. Nella riflessione i primi a
essere coinvolti sono contadini e
contadine delle Unioni.
«Dalle analisi fatte, capitalizzando
i fallimenti precedenti, si comprese che era importante l’aspetto economico oltre a quello
sociale. Una cooperativa, che fornisse servizi a pagamento
avrebbe assicurato meglio la continuità nel tempo. La federazione,
invece, avrebbe favorito il lato sociale, ma avrebbe dovuto continuare a contare sull’appoggio di
Ong esterne, che con i loro pro-
getti, avrebbero dovuto iniettare
finanziamenti». Così Félicité Kambou, che incontriamo a Founzan,
ci racconta le fasi salienti di questo passaggio fondamentale.
«La Cisv ha favorito la riflessione
organizzando incontri e atelier tra
i produttori di tutte le Unioni».
Nel marzo 2009 tre Unioni dipartimentali di cooperative di stoccaggio e conservazione di cereali
e cinque Unioni dipartimentali di
produttori di riso fondano la Copsa-C, Cooperativa di prestazione
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Questo servizio è stato reso possibile grazie al progetto Dev Reporter Network sostenuto dall’Unione
europea (DCI-NSAPVD/2012/279805) e promosso dal Consorzio
Ong Piemontesi, di cui la Cisv è socio, dalla Federazione delle Ong
Catalane e da Resacoop francese.
Un progetto che mira a creare sinergie tra i media e gli attori della
cooperazione internazionale per
migliorare la quantità e la qualità
dell’informazione sulle tematiche
dello sviluppo.
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di servizi agricoli Coobsa, che in
lingua dagarà significa «Coltivare
è meglio», con sede a Founzan. A
Félicité Kambou, fino a ora animatrice della Cisv, viene proposto
di diventarne la direttrice. È un rischio, ma anche una grossa sfida.
E a Félicité le sfide piacciono. Lasciata la sicurezza della Ong, dopo
undici anni di servizio, l’intraprendente signora Kambou si mette a
capo della neonata organizzazione contadina. «Ancora una
volta Félicité scommette su un’operazione promossa dalla Cisv»,
ricorda Luigi Arnaldi. «Lei è stata
forse la condizione indispensabile
per arrivare a un buon partenariato tra Cisv e Copsa-C: ci voleva
un intermediario tra la coordinazione tecnica della cooperativa e
la presenza storica della Cisv».
«Il fatto di essere partiti dai produttori, ed essere arrivati a una
cooperativa, che rappresenta
tutti i gruppi di base, è il risultato
più importante ottenuto dalla
Ong torinese nel Sud Ovest», così
afferma Félicité Kambou.
# Sotto: una donna trasporta dell’acqua appena pompata.
# In alto: i membri del consiglio di
amministrazione dell’Unione di
stoccaggio cereali di Oronkua.
«Il cooperativismo funzionava
poco nel Sud Ovest, non c’era
quando siamo arrivati noi. Siamo
rimasti sul territorio, abbiamo
avuto capacità di ascoltare. Poi la
cosa ha funzionato», aggiunge
Matteo Cortese.
La Copsa-C gioca oggi il ruolo che
era dell’Ong, continuandone il lavoro, con il vantaggio che è fatta
dai produttori stessi della zona e
per questo è diventata un attore
di sviluppo che va oltre qualsiasi
progetto. L’Ong, per sua natura,
ha diversi progetti, con scadenze
per le realizzazioni, mentre la cooperativa non ha tempi prestabiliti,
porta avanti le sue attività seguendo piuttosto i ritmi agricoli.
Una tecnica innovativa
In un primo tempo l’attività principale della Copsa-C è la trasformazione del riso. Acquistato dai
produttori, viene trasformato
nella riseria, realizzata con un progetto Cisv, e poi rivenduto. «Ci
siamo presto resi conto che ci si
confrontava con una grande difficoltà - continua Félicité -. I campi
di riso (riso pluviale coltivato negli
avvallamenti, ndr) sistemati con
vecchi progetti ormai conclusi,
non avevano avuto manutenzione
e si erano degradati. Per la trasformazione del prodotto occor-
reva acquistare il riso dai produttori, trasportarlo e raffinarlo. Sarebbe servito dunque un fondo
iniziale, da prendere a credito. Ma
per la cooperativa appena nata
avrebbe significato creare una debolezza. C’era inoltre ancora una
grande concorrenza del riso asiatico importato, al quale i burkinabè erano abituati preferendolo
a quello locale, più lungo da cuocere».
Per questo, dopo un inizio improntato sul riso, l’équipe della
Copsa-C si rende conto che è meglio puntare su qualcos’altro.
A metà anni 2000, in Niger, l’agronomo della Fao, Daniel Marchal,
sperimenta una nuova forma di
microcredito, il «Credito garantito
con lo stoccaggio», warrantage in
gergo tecnico. Al tempo del raccolto (ottobre), quando il prezzo
del cereale è basso, il contadino,
invece di svendere la produzione,
ne dà una parte come garanzia
alla cooperativa per ottenere un
credito in denaro da parte di una
istituzione di microcredito. Con i
soldi avvia attività diverse per
creare altro reddito durante la
stagione secca. La cooperativa
stocca il cereale in magazzini con
determinate caratteristiche. La
porta può essere aperta solo da
due chiavi: una la detiene il ge-
BIBLIOGRAFIA (ESSENZIALE)
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store del magazzino e l’altra la
banca rurale che ha attivato il credito. A fine stagione secca il produttore restituisce il credito e riceve indietro i suoi sacchi dati in
garanzia, nel momento più duro
per lui, quando i granai sono
vuoti, i prezzi sono alle stelle e
allo stesso tempo occorre iniziare
a lavorare la terra in attesa delle
piogge. Ora può vendere il suo cereale (a prezzo di mercato elevato), oppure utilizzarlo per nutrire la famiglia. Molti parlano dell’operazione di restituzione dei
sacchi come di un «secondo raccolto». Se il contadino non rimborsa il credito, la banca rurale ha
diritto a vendere il suoi sacchi di
cereale per recuperarlo.
Dal 2005 un’unione di produttori
di Dissin, altro dipartimento nel
Sud Ovest, ma fuori dalla zona in
cui opera la Cisv, sperimenta
forme di warrantage. Le Unioni di
stoccaggio di Founzan, Koti e
Oronkua visitano i colleghi di Dissin e nel 2007 iniziano la sperimentazione utilizzando i propri
magazzini già realizzati con progetti passati.
Dopo due cicli di warrantage i risultati sono molto incoraggianti.
Tutti i contadini rimborsano il credito, il che non è affatto scontato.
Nello stesso periodo nasce la Copsa-C. Andrea Ghione, responsabile della Cisv per il Burkina Faso,
insieme a Matteo Cortese, capo
progetto nel Sud Ovest, credono
nella nuova tecnica. Entrambi formati alla microfinanza rurale, affinano il meccanismo e lo adattano
al contesto locale. Ne seguono
formazioni rivolte agli operatori
della cooperativa, delle unioni e
atelier per divulgare tra i contadini la tecnica. Anche Daniel Marchal compie una prima visita a
Founzan, conosce Félicité e con il
tempo si attaccherà all’esperienza del Burkina Faso, aiutando
con i suoi consigli.
Restano in piedi alcuni interrogativi, che Matteo Cortese esplicita:
«Quello che abbiamo fatto finora
è sostenibile? È interessante
certo, ma ha senso sovvenzionare
queste iniziative? O dovrebbe
farlo lo stato burkinabè? Ad esempio il magazzino per il warrantage
deve essere fatto a regola d’arte
per essere accettato dalla banca
rurale: occorrono fondi». E continua: «C’è ancora un elemento di
sovvenzione forte da parte della
Ong, per pagare alcuni stipendi di
dipendenti della cooperativa. Occorre liberarsi da questa dipendenza. La riseria si è rivelata non
auto sufficiente, mentre il warrantage funziona bene e porta del
reddito alla cooperativa». Ogni
sacco immagazzinato prevede una
piccola tassa e c’è un beneficio anche su altri servizi.
Un esempio che fa scuola
Grazie ad altri finanziatori, come
la Cooperazione Svizzera, la Fao e
l’Ifad con fondi italiani e tedeschi
(Fondo internazionale per l’agricoltura e lo sviluppo, agenzia
delle Nazioni unite), la Copsa-C
costruisce il Centro di formazione
sul warrantage che diventa un ri-
ferimento regionale. Da Niger,
Mali, Guinea, giungono contadini
per seguire corsi residenziali su
questa tecnica di micro credito,
che è ormai riconosciuta come un
efficiente strumento di lotta all’insicurezza alimentare. E anche
questo servizio porta reddito alla
cooperativa.
Félicité mette l’accento sul cambiamento di paradigma che dovrebbe avere la cooperazione:
«Molti progetti sono ingessati,
sono scritti in ufficio dall’Ong, che
pensa vada bene fare in un certo
modo. Allora la realizzazione incontrerà molte difficoltà. Non si
possono fare le cose al posto
della gente locale. Lavoriamo insieme per scrivere qualcosa. Le
idee devono venire da noi: dobbiamo essere coinvolti, prima,
durante e dopo, quando il finanziamento non ci sarà più. E questo lo abbiamo ottenuto solo con
la Cospsa-C».
Quale diventa quindi il ruolo dell’Ong? «Accompagnamento. È il
ruolo dell’ostetrica: mi aiuta a
partorire le idee ma non le partorisce al mio posto».
Oggi Copsa-C lavora con molti
partner internazionali: «Sono
progetti scritti da noi, presentati,
discussi ed eseguiti. La cooperativa è diventata un attore di sviluppo».
Marco Bello
Nel prossimo numero
Commenti sul fallito colpo di stato
e sulle elezioni presidenziali
di fine novembre.
DICEMBRE 2015 MC
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