LOST. Dispersione scolastica: Il costo per la

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LOST. Dispersione scolastica: Il costo per la
Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco
Via IV Novembre 98, 00187, Roma
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LOST. Dispersione scolastica: Il costo per la collettività e il ruolo
di scuole e terzo settore.
Un commento critico
Introduzione
La ricerca ha come oggetto di indagine le scuole secondarie, sia di I che di II grado, e gli enti non
profit, che svolgono un ruolo attivo nella lotta alla dispersione scolastica, localizzati in quattro aree
urbane metropolitane (Milano, Roma, Napoli e Palermo). È proprio negli ambiti urbani, infatti, che
l’abbandono scolastico assume una connotazione particolare intersecandosi con le problematiche
relative all’allentamento dei vincoli di comunità e del controllo sociale, ancora diffusi e rilevanti nei
centri più piccoli, e alla difficile integrazione dei ragazzi di origine straniera la cui presenza è più
intensa proprio nelle grandi città.
Analizzando i dati ufficiali fornitici da Eurostat sulla dispersione scolastica si evidenzia come il
totale a livello nazionale si attesti al 17% ma analizzando i dati disgregati vi sia una maggiore
incidenza nelle regioni del sud e nella popolazione maschile rispetto a quella femminile. Ancor più
interessante è l’analisi incrociata dei dati sulle frequenze scolastiche forniti da Istat, incrociando
dati anagrafici (popolazione residente) e dati amministrativi (iscritti e diplomati) provenienti dalle
scuole che ci dice che il 23.8% della popolazione di 19 anni di età non ha conseguito un diploma di
scuola superiore.
Il fenomeno appare ancora più grave se si prova a desumere il tasso di abbandono scolastico dalle
mancate iscrizioni si arriverebbe a una percentuale del 30% anche se in questo caso non vengono
contati gli studenti che decidono di affrontare un percorso di formazione professionale regionale
che comunque non dà accesso a percorsi di istruzione terziaria.
Ma quali sono i mancati guadagni in termini di crescita?
La ricerca analizza l’effetto della dispersione scolastica sul reddito permanente, quello cioè
mediamente fruibile nell’arco della vita e non sul reddito temporaneo degli individui (che dipende
da effetti contingenti quali l’età o la fase ciclica). Da questa analisi si evince come, nel momento in
cui fosse sconfitto totalmente l’abbandono scolastico, si avrebbe un’innalzamento del Pil che
potrebbe andare dall’1.4 % al 6.8%.
Si tratta di una constatazione decisiva che conferma i risultati di recenti ricerche sulla ricaduta
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occupazionale degli investimenti in istruzione: per esempio, l’Università del Massachussets ha
stimato che mentre un miliardo di dollari investito nella difesa genera in media 11.000 posti di
lavoro, la stessa cifra investita in energie rinnovabili ne produrrebbe 17.000 e addirittura 29.000 se
tale investimento viene compiuto nel settore dell’istruzione. Non sono benefici che si possono
registrare guardando alla mera variazione del PIL da un anno all’altro, ma che dimostrano quanto il
benessere e lo sviluppo di uno Stato siano fotografati molto meglio da indicatori che vanno oltre la
“crescita” di beni prodotti e servizi. Fra questi indicatori, un ruolo preminente spetta alla spesa in
istruzione e ricerca, in particolare alla capacità del Pubblico di garantire a tutti l’accesso alla
formazione abbattendo i fattori economici e sociali di esclusione. In altre parole, la lotta alla
dispersione scolastica è direttamente connessa all’obiettivo di uscire dalla crisi creando buona
occupazione e diminuendo la “forbice sociale”.
Le scuole e la lotta alla dispersione.
La ricerca analizza i progetti messi in campo dalle scuole per contrastare la dispersione scolastica in
4 contesti territoriali metropolitani: Milano, Roma, Napoli e Palermo.
Oltre il 60% dei progetti attivati si concentra su azioni finalizzate all’integrazione delle attività
curricolari per il contrasto del basso rendimento, il 46,7% riguarda attività ludico-laboratoriali per
migliorare il clima scolastico, il 35,7% sviluppa azioni di orientamento in ingresso, in itinere e in
uscita, e percentuali inferiori riguardano attività integrative con uso delle nuove tecnologie e azioni
di coinvolgimento di famiglie degli studenti.
I progetti durano nell’80% dei casi al massimo un anno scolastico, il 9% un biennio, il 10% più di un
biennio. Tendono a prevalere interventi che coinvolgono molti alunni: più di uno su due coinvolge
almeno 45 studenti. Solo un progetto su 4 è rivolto agli studenti stranieri e per numerosità
spiccano le due grandi città del centro-nord, interessate da flussi migratori importanti.
Un progetto su due viene attivato solo perché sostenuto esclusivamente da fonti finanziarie
esterne, il 35% sulla base dei soli fondi d’Istituto. Il restante 16% combina le due tipologie di fonti
finanziarie. Tra i progetti cofinanziati, il 68% riceve risorse dal MIUR (con o senza il contributo di
altri partner), il 18% da Enti locali (sempre con o senza il contributo di altri partner).
Da questi dati si può evincere come vi siano due carenze principali rispetto a questi progetti: da
una parte la carenza dei fondi, soprattutto del Mof, porta alla ricerca di fondi provenienti da altri
enti e partner che comunque non riescono a sopperire le neccesità complessive; dall’altra la
mancanza di un cordinamento dei progetti sia a livello terrritoriale con altri soggetti (enti locali,
associazioni ed enti del terzo settore) e la mancanza di un coordinamento nazionale che possa fare
una valutazione complessiva delle misure messe in campo.
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Gli enti non profit e la lotta alla dispersione.
Per quanto riguarda la attività realizzate contro l’abbandono scolastico, gli enti intervistati
dichiarano che l’attività preponderante è l’aiuto nei compiti scolastici (88 enti su 239, pari al 46,5%)
seguita a distanza dai centri di aggregazione giovanile (42 enti, pari al 25,6%), dalla socializzazione
(attività extrascolastiche, centro ricreativo e/o di aggregazione giovanile). Seguono poi attività di
più diretto recupero scolastico (in molti casi con un rapporto 1:1 tra ragazzo e
animatore/educatore), di disponibilità di spazi per lo studio (ivi compresa l’attività di prestito libri)
e attività di orientamento scolastico.
Se si confrontano i costi diretti di erogazione con il valore prodotto dalla attività ci si rende conto
dell’esistenza di effetti moltiplicativi, legati alla presenza di lavoro volontario. In media, per ogni
euro speso viene prodotto valore pari a un euro e 60 centesimi. L’effetto moltiplicativo dell’attività
degli enti non profit è addirittura più elevato se si tiene conto del fatto che quasi un quinto delle
spese connesse all’attività sono autofinanziate (ad esempio, costo dei locali e/o dell’acquisto di
attrezzature). Le diverse tipologie di enti hanno infine modalità molto diverse di sopravvivenza
economica.
Gli enti piccoli vivono principalmente sull’autofinanziamento e/o sull’ospitalità degli enti locali; gli
enti grossi (cooperative sociali, Ong e Onlus) sono maggiormente legate a
finanziamenti/convenzioni pubbliche, fatto che li costringe ad una organizzazione più strutturata e
ad una rendicontazione maggiormente in linea con gli orientamenti prevalenti di questa disciplina.
La gran parte degli enti più grandi prevede attività strutturate di valutazione.
Scuole e enti del Terzo settore: concorrenti o alleati nel contrasto alla
dispersione?
Ma in che modo interagiscono scuole ed enti nella lotta alla dispersione? Tra di essi vi è una
collaborazione in grado di fare emergere una complementarità virtuosa nella quale, pur nelle
differenze di approccio e di compiti istituzionali, gli interventi messi in campo sono in grado di darsi
man forte vicendevolmente? O vi è piuttosto una sorta di concorrenzialità negli interventi con la
scuola che si ritrae dove il Terzo settore è forte e viceversa? Secondo lo studio gli interventi dei due
attori in campo non sembrano essere legati da alcuna relazione sistematica: scuole e Terzo settore
rispondono a logiche diverse e attivano sul territorio interventi che appaiono del tutto
indipendenti tra loro. Al di là di pochi casi virtuosi, pur messi in luce nelle risposte ai questionari,
sembra prevalere la sistematica assenza di comunicazione, coordinamento e reciproca
legittimazione tra i due attori. Le collaborazioni formalizzate attraverso protocolli d’intesa dichiarate da molti degli intervistati - in realtà appaiono dunque come meri adempimenti formali
che non promuovono una reale ‘messa a sistema’ degli sforzi profusi da entrambi da scuole e enti
non profit.
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Conclusioni
Questa ricerca, al di là dei dati ufficiali Eurostat, ci consegna dei dati disastrosi per quanto riguarda
il tasso di dispersione scolastica soprattutto nelle regioni del Sud e non solo. Ci fa comprendere,
inoltre, come vi sia un problema enorme in Italia per quanto riguarda l’omogeneizzazione dei
percorsi di istruzione e formazione professionale con i percorsi classici di accesso al diploma di
maturità per cui molti studenti si trovano esclusi dall’accesso al sistema di formazione terziaria.
Inoltre Lost dimostra come la dispersione scolastica non comporti solamente costi sociali
elevatissimi, soprattuto nelle periferie della nostra città, ma anche costi economici sensibili. Basti
pensare al potenziale innalzamento del Pil dall’1,4 al 6% del Pil a fronte della sconfitta della
dispersione scolastica che, se coniugati con una politica di investimento nel Long Life learning e
nella Ricerca e Sviluppo, costituirebbero senza dubbio soluzioni determinanti nella risoluzione
della crisi. Si tratta di una strada alternativa da contrapporre alle stupide e controproducenti
politiche di austerity, che non fanno altro che peggiorare la situazione attuale.
Per questo è necessario armonizzare i progetti di lotta alla dispersione di onlus e associazioni del
terzo settore, non lasciandoli alle iniziative private e all’autofinanziamento, mentre allo stato
attuale spesso mal si armonizzano con le necessità del territorio e delle singole scuole. Infine,
risulta sempre più urgente e necessario rifinanziare i fondi per il miglioramento dell’offerta
formativa e prevedere forme di reddito di formazione sia diretto che indiretto.