Introduzione Il gioiello come «esigenza primaria dell`essere

Transcript

Introduzione Il gioiello come «esigenza primaria dell`essere
Introduzione
Il gioiello come «esigenza primaria dell’essere umano»1
“L’arte della gioielleria è antica quanto l’uomo, ma l’idea del gioiello come arte è appena agli
inizi”.
Vivienne Becker2
Fin dall’antichità, l’uomo ha creato degli oggetti al fine di soddisfare diverse esigenze,
come propiziare le divinità o fissare sulle spalle un mantello o ancora, suggellare
l’impegno di fedeltà tra due sposi, oggetti che, a seconda della funzione per cui erano
preposti, assumevano diverse forme: anelli, sigilli, spille, corone regali, collane, amuleti…
Questi oggetti sono i gioielli.
Il gioiello, innanzitutto, è ornamento in quanto oggetto esteticamente valido, visivo
manifesto del bello che, una volta indossato, si trasforma in una qualità aggiunta alla
persona.
Con il gioiello l’uomo ha sempre espresso in modo tangibile il proprio ideale di bellezza
assoluta, mettendo alla prova il proprio genio alla ricerca della spettacolarità esprimendo
così il proprio virtuosismo.
Il gioiello è simbolo e ha un potere di natura “segnica” in quanto non solo delinea una
forma, un segno sulla figura umana, ma anche visualizza un pensiero, trasmette un
segnale; esso è oggetto significante e ha la funzione di rappresentare, comunicare sempre
“qualcosa”. Un esempio: la corona regale è un oggetto che, oltre a stagliarsi sulla testa del
monarca cambiandone le fattezze originarie, simboleggia il concetto di sovranità assoluta e
1
C. TRIMBORN, Il materiale di cui sono fatti i gioielli, in D. L. BEMPORAD (a cura di), Lucca Preziosa. Oreficeria
europea contemporanea, Lucca, Villa Bottini, 16-30 giugno 2005, Stuttgart, Rühle-Diebener-Verlag GmbH,
2005, p. 29.
2
V. BECKER, L’arte e il Gioielliere, in Importanti Gioielli, catalogo dell’asta, Milano, Palazzo Broggi, 26
novembre 1997, Milano, s. l., 1997, p. 61.
1
assolve la funzione di trasmettere questa idea agli altri, definendo i rapporti reciproci tra il
monarca e la collettività.
Il gioiello non è adatto a tutte le occasioni e per i medesimi scopi. Spesso poi uno stesso
ornamento non è indossabile indifferentemente da due persone diverse, perché in qualche
modo il gioiello parla di noi, è un’espressione della nostra personalità.
Il gioiello è anche prezioso. Anzi, questa è la proprietà che più lo distingue dagli altri
oggetti fabbricati dall’uomo. Non è un caso se l’aggettivo sostantivato “prezioso”3 è il
sinonimo più comune della parola “gioiello”; quest’ultimo, infatti, è creato con materiali
preziosi, generalmente metalli e gemme4.
Fin dalla metà del III millennio a.C., l’oro è il metallo più utilizzato nella gioielleria per le
sue qualità metallurgiche come la duttilità, la malleabilità e la lucentezza.
Sin dai tempi più antichi, per realizzare splendidi ornamenti policromi, si impreziosisce il
metallo con pietre quali diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi e quarzi, scelte in base alla rarità
o alla sfavillante lucentezza dei colori, ma anche per le rassicuranti proprietà terapeutiche e
spirituali loro attribuite. Nella storia dell’ornamento si riscontra anche il costante impiego
di materiali di natura organica come corallo, perle, ambra e avorio; senza dimenticare che
l’uso del vetro e dello smalto nella gioielleria ha origini antichissime, al pari dell’oro.
L’arte di creare gioielli richiede qualità rare e innate, non trasmissibili, come la pazienza,
l’abilità, il genio creativo, l’ispirazione, e qualità tecniche, che si possono acquisire solo
dopo un lungo e accurato apprendistato. Nel corso dei secoli abili mani d’artigiano, con
grande perizia, esercitando conoscenze segrete ai più, hanno trasformato materiali e pietre
diverse in oggetti prestigiosi. L’arte orafa perciò è preziosa, in quanto rara; solo alcuni
hanno le competenze e le qualità per poterla esercitare.
Ogni epoca ha sviluppato una produzione altalenante tra creazioni di poco prestigio,
3
Queste mie considerazioni traggono spunto dal saggio introduttivo che Omar Calabrese scrisse in occasione di
una mostra organizzata nel 1986 a Milano (O. CALABRESE, La gioia è un gioiello e il gioiello una gioia, in L.
LENTI e M. C. BERGESIO (a cura di), Dizionario del gioiello italiano del XIX e XX secolo, Torino, Allemandi & C.,
2005, pp. 363-65.
4
Per maggior approfondimenti si rimanda ai testi: C. PHILLIPS, Jewels and Jewellery, London, V&A Publications,
2000 e L. VITELLIO, Oreficeria moderna. Tecnica-pratica, Milano, Hoepli, 1981. Per quanto riguarda invece le
tecniche di lavorazione orafa si rimanda al testo G. HUGHES, The art of Jewelry, New York, The Viking Press,
1972.
2
eseguite applicando «soluzioni tecniche ed esecutive»5, spesso ripetitive, di dubbio gusto e
oggetti realizzati da artisti di grande maestria che hanno profondamente rinnovato il gusto
nell’ambito del prezioso6. A quest’arte si possono annoverare artisti del Rinascimento
come Ghiberti, Verrocchio e Dürer e soprattutto Benvenuto Cellini (1500-1571) che
all’arte dell’oreficeria dedicò un trattato nel 1568. Diversi sono stati gli artisti che nel
corso del Novecento si sono rivolti al mondo dell’ornamento: Alexander Calder (fgg. nn.
1-2), Yves Tanguy (fig. n. 3) che creò gioielli esclusivi per Peggy Guggenheim, e poi
Picasso, Hans Arp, Salvador Dalí (fig. n. 4)…
Bianca Maria Zetti Ugolotti, nel 19657, ricorda che l’incursione di artisti, pittori e scultori,
nel mondo dell’oreficeria è riscontrabile in tutte le epoche, creando così un ponte ideale tra
passato e presente. Tuttavia, ella nota come l’atteggiamento nei confronti della creazione
orafa cambi col trascorrere dei secoli.
Infatti, gli artisti che, in epoche passate, mostrano interesse per l’oreficeria, raramente
realizzano ornamenti per il corpo, preferendo a questi, creazioni preziose e decorative
strettamente legate alla funzionalità pratica dell’oggetto di uso quotidiano.
Diverso è il tipo di intervento operato in ambito orafo dagli artisti contemporanei che
scelgono di progettare e creare gioielli in quanto, diversamente dagli altri oggetti preziosi,
permettono di esprimere liberamente le personali interpretazioni formali al di là delle
costrizioni dettate dal funzionalismo dell’odierno industrial design.
Con questo mio lavoro volevo analizzare, da diversi punti di vista, la ricerca orafa
condotta, negli ultimi cinquanta anni, da alcuni artisti padovani. In particolare, era mia
intenzione capire come fosse nata l’oreficeria contemporanea a Padova e quali fossero i
suoi tratti distintivi, insomma capire perché, in Italia, solo questa città, ancora oggi, si
distingua in tale ambito artistico.
L’oreficeria contemporanea italiana nasce negli anni Cinquanta del Novecento e gran parte
di coloro che si dedicano a questa particolare espressione artistica sono pittori e scultori
5
M. CISOTTO NALON, Padova, centro italiano di ricerca orafa, in G. FOLCHINI GRASSETTO (a cura di), Gioielleria
Contemporanea. Padova-Vienna. Quattro stazioni, catalogo della mostra, Padova, Oratorio di San Rocco, 19
ottobre 2002-6 gennaio 2003, Padova, Tipografia Padana, 2002, s.p.
6
Ibidem.
7
B. M. ZETTI UGOLOTTI, Joyería contemporánea de arte en Italia, in «Goya», 68, 1965, p. 90.
3
che solo saltuariamente si dedicano alla gioielleria, progettando o realizzando magnifiche
creazioni.
Tra gli artisti che decidono invece di dedicarsi quasi esclusivamente all’arte orafa,
sovvertendo molte delle regole codificate da secoli di gioielleria tradizionale, si distingue
Mario Pinton, maestro orafo padovano.
Nell’Italia del secondo dopoguerra, egli è l’unico artista orafo che decide di tradurre la
propria genialità inventiva in un metodo di insegnamento, trasmettendo così una
particolare concezione del pezzo di oreficeria ad un ristretto gruppo di allievi dell’Istituto
d’arte Pietro Selvatico di Padova.
Negli anni successivi, sull’esempio del maestro Pinton, da docente ad allievo, si
tramandano saperi tecnici e concezioni innovative di ricerca orafa. Nasce così, nel 1983, la
definizione di “Scuola Orafa Padovana”, termine col quale, ancora oggi, si intende il
gruppo di artisti orafi operante in ambito veneto che si caratterizza per l’abilità sapiente
nel manipolare la materia preziosa e per l’insistito astrattismo di matrice geometrica delle
proprie creazioni.
Come semplice appassionata di questa particolarissima forma d’arte è stata mia intenzione
affrontare l’argomento da un punto di vista rigorosamente storico-critico. Il primo passo è
stato quello di consultare la vastissima bibliografia dedicata all’argomento, spesso difficile
da reperire, cercando di capire come e quando fosse nata l’oreficeria contemporanea, in
generale. Ho avuto modo di comprendere quindi, come, fin dall’inizio (gli anni Cinquanta
del secolo scorso), il gioiello contemporaneo europeo o americano o giapponese si
differenziasse decisamente da quello italiano, ma come pure quest’ultimo fosse totalmente
altro rispetto al prezioso realizzato dagli artisti di Padova.
Ho ritenuto opportuno, di conseguenza, prima di affrontare nello specifico i capitoli
dedicati alla realtà orafa padovana, fare una brevissima carrellata sui linguaggi orafi
stranieri e italiani degli ultimi decenni. In particolare, per quanto riguarda l’oreficeria
contemporanea italiana, ho adottato il punto di vista del critico Enrico Crispolti perché, a
mio parere, chiarisce molto bene come, solo nel nostro paese, da sempre, l’oreficeria
contemporanea sia divisa in due filoni: quella creata dagli artisti visivi (pittori e scultori)
che si dedicano solo sporadicamente all’arte orafa, e quella creata dagli orafi “di
4
professione”, gli orafi artisti (tra i quali si annoverano anche i padovani).
Dopo la prima fase di ricerca bibliografica, ho voluto conoscere di persona la realtà
padovana. Ecco che oltre a incontrare gli artisti, a conoscere l’ambiente culturale in cui si
sono formati, ho voluto anche intervistare chi ha promosso, fin dagli anni Cinquanta questi
geniali poeti della materia aurea, i galleristi. Insomma, volevo avere una visione a tutto
tondo; uno studio di mesi che mi ha permesso di avere un’idea abbastanza esauriente di
cosa si intenda oggi per “oreficeria contemporanea padovana”.
5
6