unità 3 – genetica e biotecnologie

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unità 3 – genetica e biotecnologie
UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 1 – L’ereditarietà dei caratteri e le leggi della Genetica
Approfondimento - Le teorie sull’ereditarietà prima di Darwin
Fin dal tempo degli antichi Greci, gli scienziati hanno cercato di spiegare che cosa determina le
somiglianze e le differenze riscontrate tra individui di generazioni diverse e in che modo certe
caratteristiche vengono trasmesse alla discendenza. Le prime teorie formulate sull’ereditarietà erano
in grado di spiegare più verosimilmente l’esistenza delle somiglianze piuttosto che quella delle
differenze. Famosa è rimasta per tutto il XVII e metà del XVIII secolo la “teoria
dell’animalculismo” che sosteneva l’esistenza, all’interno delle cellule uovo o degli spermatozoi, di
minuscoli individui che riproducevano in miniatura i futuri organismi.
Una teoria che durante il XIX secolo ebbe molto seguito è la “teoria dell’ereditarietà come
mescolanza”: secondo tale interpretazione dell’ereditarietà, quando due individui si accoppiano i
loro caratteri si mescolano per produrre i caratteri della discendenza. Per esempio, se da una pianta
a fiori rossi e una a fiori bianchi nascevano piante a fiori rosa era perché i caratteri colore del fiore
(rosso e bianco) dei genitori si erano mescolati nella prole generando il colore rosa. Questa teoria
poteva anche interpretare convenientemente quei casi nei quali la progenie presentava delle
caratteristiche intermedie tra quelle dei genitori, ma non era in grado di giustificare quei casi in cui
la progenie presentava uno o più caratteri diversi rispetto a quelli dei propri genitori. Per esempio,
poteva dimostrare il fatto che da un coniglio nero e uno bianco potessero nascere conigli grigi
(mescolanza). Ma come giustificare il fatto che da due conigli grigi potessero nascere conigli
bianchi e/o neri?
Malgrado queste contraddizioni, la maggior parte dei biologi del XIX secolo accettava ancora la
teoria dell’ereditarietà per mescolamento, perché non esisteva una teoria migliore e più convincente,
in quanto non era stato ancora compiuto nessuno studio sistematico del processo ereditario.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 1 – L’ereditarietà dei caratteri e le leggi della Genetica
Approfondimento - Dominanza incompleta e codominanza
Il fenomeno della dominanza non può essere considerato una
legge poiché non si verifica in tutti gli incroci. Esistono casi di
dominanza incompleta, come per la “Bella di notte” in cui gli
individui presentano caratteristiche intermedie rispetto a quelle
dei genitori [fig. 1]. In altri casi, invece, l’individuo eterozigote
non presenta un carattere intermedio rispetto a quello dei
genitori, ma li manifesta entrambi. Per esempio, in alcune razze
bovine incrociando un individuo a pelo marrone con un
individuo a pelo bianco si ottengono vitelli con il pelo a
macchie bianche e marrone [fig. 2].
Quando in un individuo eterozigote si esprimono entrambi gli
alleli si parla di codominanza.
Alcuni caratteri sono controllati da un gene che presenta più di
due alleli: si parla in questo caso di allelia multipla. Tipico
esempio è il gruppo sanguigno umano che può essere
determinato da tre alleli: A, B, 0. Gli alleli A e B sono
dominanti, mentre 0 è recessivo. Dalla combinazione dei tre
alleli si ottengono i seguenti genotipi: AA, BB, 00, AB, A0,
B0. Quindi il carattere “gruppo sanguigno” è sempre
determinato da una coppia di alleli, ma i possibili genotipi non
sono solo tre (RR, Rr, rr), ma sei poiché gli alleli sono tre.
Vediamo i rispettivi fenotipi:
AA
AB
BB
A0
00
B0
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Fig. 1. Esempio di dominanza
incompleta nell’ereditarietà del
colore del fiore nella Bella di
notte.
gruppo A
gruppo AB (poiché A e B sono dominanti)
gruppo B
gruppo A (poiché 0 è recessivo)
gruppo 0
gruppo B (poiché 0 è recessivo)
Come si può notare, nel gruppo AB si manifestano entrambi gli
alleli, quindi si tratta di un caso di codominanza.
Consideriamo, infine, quei caratteri, come il colore della pelle o
dei capelli o la statura, che solitamente si esprimono in molti
fenotipi variabili tra un valore considerato massimo e uno
considerato minimo. Questi caratteri sono influenzati da più di
un gene e si parla, in questo caso, di ereditarietà poligenica.
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Fig. 2. Esempio di codominanza
nell’ereditarietà del colore del
pelo nelle razze bovine.
UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 2 – Geni e cromosomi
Approfondimento - Le mappe cromosomiche
Grazie allo studio sulla frequenza di crossing-over tra due
geni, si riuscì a compilare particolari mappe che
indicavano le posizioni dei geni lungo il cromosoma.
Il biologo americano T. H. Morgan formulò un’ipotesi:
considerati due geni presenti su uno stesso cromosoma,
quanto maggiore è la distanza che li separa, tanto
maggiore è la probabilità che essi vadano incontro a
crossing-over.
Su questa ipotesi si mise a lavorare un suo studente,
Alfred Sturtevant, che in tempi brevi concepì un modello
quantitativo che permise di associare la frequenza del
crossing-over alla distanza relativa dei geni sui
cromosomi. Sturtevant scelse come unità di misura
standard, che definì unità di mappa, la distanza tra due
geni che producono l’1% di gameti ricombinanti: perciò,
geni che presentano una ricombinazione del 10%
sarebbero distanti 10 unità, mentre quelli che presentano
una ricombinazione del 4% sarebbero distanti 4 unità.
Utilizzando questo modello, Sturtevant e altri ricercatori
furono in grado di costruire delle rappresentazioni
grafiche,
dette
mappe
genetiche
o
mappe
cromosomiche, in cui venivano assegnate sui cromosomi
le posizioni relative, dette loci (singolare locus), ai
caratteri ereditari di Drosophila allora noti [fig. 1].
Questi ultimi studi confermarono non solo che i geni erano
localizzati sui cromosomi, ma anche che essi occupavano
posizioni in sequenza lineare.
Fig. 1. Mappa genetica del cromosoma 2 di Drosophila. Nel disegno sono indicati sia i luoghi fisici dei geni
sul cromosoma, sia le distanze calcolate in unità di mappa. In entrambe le mappe l’ordine di sequenza dei
geni è mantenuto, mentre differiscono le distanze poiché in alcune regioni dei cromosomi, come vicino al
centromero, il crossing-over risulta apparentemente impedito alterando così i dati della mappa.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 2 – Geni e cromosomi
Approfondimento - La regolazione genica
Generalmente le cellule non hanno bisogno, nello stesso istante e per le stesse quantità, di tutte le
proteine che sono in grado di sintetizzare, in quanto la loro produzione varia in relazione alle
necessità metaboliche della cellula stessa.
Inoltre, le cellule degli organismi pluricellulari subiscono mutamenti significativi e radicali durante
la loro esistenza; vanno incontro, cioè, a un processo detto di differenziazione e specializzazione
cellulare. Tali cellule iniziano a esistere come cellule di un uovo fecondato: sono perciò
originariamente tutte uguali e con le medesime esigenze metaboliche. In questo stadio dovranno
quindi sintetizzare uguali quantità delle stesse proteine.
Procedendo nello sviluppo, però, quel primitivo gruppo di cellule si diversificherà e alcune
diventeranno cellule nervose, altre cellule muscolari, altre ancora cellule intestinali e così via.
Una volta differenziatesi, le cellule non produrranno più le proteine sintetizzate in “gioventù”, ma si
specializzeranno nella produzione, in grandi quantità, di proteine particolari.
Per esempio, le cellule del pancreas endocrino si specializzeranno nella produzione dell’insulina,
mentre gli eritrociti (globuli rossi) nella produzione dell’emoglobina.
Poiché il DNA, presente in tutte le cellule, è sempre uguale fin dalla nascita, è evidente che esiste
un meccanismo in grado di attivare o inibire, a seconda delle necessità, geni o gruppi di geni
preposti alla sintesi di specifiche proteine.
Il metodo più valido ed economico per regolare la produzione di proteine consiste nel controllarne il
processo all’origine, cioè durante la trascrizione del codice dal DNA all’mRNA. Tale meccanismo
di controllo viene detto regolazione genica.
Cellule procariotiche
Spesso le cellule devono sintetizzare contemporaneamente non una ma diverse proteine, come nel
caso di un gruppo di enzimi coinvolti nella fabbricazione o nella demolizione di una particolare
sostanza. In tale situazione l’mRNA non trascrive un solo gene ma una serie di geni codificanti
proteine aventi funzione simile. Un tale raggruppamento di geni viene detto operone. Gli scienziati
francesi Francois Jacob e Jacques Monod, studiando appunto il comportamento di un operone di
Eschrichia coli, scoprirono che la trascrizione di tali segmenti di DNA era rigidamente controllata
da altre porzioni della stessa molecola. Sul filamento del DNA, subito prima dell’operone, esiste
una porzione di molecola, chiamata promotore, alla quale si attacca l’enzima RNA-polimerasi che
consente la trascrizione dell’mRNA. Il promotore “avvisa” l’enzima sul punto dal quale iniziare la
trascrizione senza rimanerne coinvolto. Affiancato e in parte sovrapposto a questo sito si trova un
altro segmento di DNA, detto operatore, che funziona come un interruttore, grazie alla sua
proprietà di bloccare la trascrizione. Infatti, questo sito attrae e lega a sé una proteina, detta
repressore, specifica per ogni operatore.
Il repressore, attaccandosi all’operatore, occupa in parte il sito del promotore impedendo all’enzima
RNA-polimerasi di iniziare la trascrizione. Il repressore può tuttavia venire inattivato, permettendo
così all’RNA-polimerasi di attaccarsi al sito promotore e iniziare quindi la trascrizione.
La molecola che si lega con il repressore viene indicata con il nome generico di induttore e può
fungere sia da inibitore sia da attivatore del repressore.
Il meccanismo di controllo attraverso il quale agisce l’induttore è del tipo feedback, o retroazione.
Riassumendo, diremo che nei Procarioti esistono geni preposti al controllo della trascrizione,
denominati geni funzionali o regolatori, costituiti da un gene promotore e uno operatore. Il
segmento di DNA preposto, invece, essenzialmente alla codifica delle proteine viene detto gene
strutturale. A Jacob e Monod fu assegnato nel 1965 il premio Nobel per le loro scoperte sui
meccanismi della sintesi proteica.
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Cellule eucariotiche
Nelle cellule eucariotiche il controllo è più complesso, poiché include anche la regolazione dei
processi di sviluppo e differenziazione cellulare. È ormai opinione comune che, durante lo sviluppo
embrionale di organismi pluricellulari, differenti gruppi di geni siano attivati o disattivati in
differenti tipi di cellule.
Solo recentemente gli scienziati stanno iniziando a comprendere i meccanismi di tale regolazione
genica, che a quanto pare agisce a molti livelli, prima e dopo la trascrizione. Per esempio, sembra
essere molto frequente la presenza di induttori che attivano i repressori.
Sono stati anche scoperti fenomeni di “amplificazione genica” in cui un gene, durante uno stadio
particolare dello sviluppo di una cellula, viene duplicato molte volte in modo tale da originare
diverse copie, che produrranno così una considerevole quantità della proteina richiesta.
Un altro stratagemma finalizzato a regolare la sintesi proteica, e agente sempre a livello di DNA, è
messo in atto dai cosiddetti geni trasponibili o transposoni, scoperti dalla scienziata Barbara
McClintock nel mais, e che le valsero il premio Nobel nel 1983. Questi geni, durante il periodo
embrionale, possono spostarsi da un punto all’altro del DNA, inserendosi nella molecola con un
processo di rottura e di saldatura.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 2 – Geni e cromosomi
Approfondimento - Il controllo del restauro del DNA
Le cellule procariotiche ed eucariotiche sono soggette a mutazioni del DNA; tuttavia entrambe
hanno sviluppato sofisticati meccanismi per la riparazione dei danni del DNA e la correzione degli
errori di duplicazione. Le cellule riescono in quest’opera di restauro grazie all’azione di particolari
enzimi di riparazione, che sono in grado di:
♦ riconoscere i più comuni errori;
♦ tagliare la molecola di DNA nei punti difettosi;
♦ sostituire i nucleotidi sbagliati con quelli esatti;
♦ saldare nuovamente i tratti separati della molecola.
Gli enzimi di riparazione che tagliano le molecole degli acidi nucleici vengono indicati con il
termine generico nucleasi, ma si distinguono in: ribonucleasi (RNA-asi) se il loro substrato sono
molecole di RNA o desossiribonucleasi (DNA-asi) se il loro substrato sono molecole di DNA.
Inoltre, a seconda del loro modo di agire, si possono suddividere in esonucleasi, se separano le
molecole a partire dalle estremità, ed endonucleasi, se rompono i legami in punti interni alla
molecola.
Gli enzimi di riparazione che saldano le molecole sono detti ligasi.
Si è scoperto che, durante la duplicazione del DNA, la stessa DNA polimerasi agisce da enzima di
riparazione: infatti, essa è in grado di riconoscere il punto in cui, per un qualsiasi errore, le basi non
si appaiano, di eliminare la sequenza fino al punto in cui si ritrova l’esatto appaiamento, e di
proseguire la duplicazione con le basi giuste dopo aver riparato l’errore.
Se si tratta, invece, di DNA mutante già duplicato, il meccanismo di riparazione è diverso: prima
entra in funzione una endonucleasi che rimuove i nucleotidi difettosi; poi la DNA polimerasi crea,
sullo stampo del filamento rimasto intatto, un nuovo segmento di DNA corretto, infine conclude
l’intervento una ligasi che ricongiunge il nuovo segmento di DNA al vecchio. In questo modo è
ripristinata l’originaria sequenza esatta.
Appare evidente, da quanto abbiamo detto, che il fatto che il materiale genetico sia costituito da una
doppia elica ne garantisce la fedeltà di copiatura e ne tutela l’integrità nella trasmissione ereditaria.
Infatti, un errore o un danno arrecato a un filamento può essere riparato e ripristinato fedelmente
grazie alla presenza del filamento complementare integro.
Questa potrebbe essere una delle ragioni per cui tutti gli organismi viventi utilizzano le molecole di
DNA come materiale genetico. Come vedremo nelle unità seguenti, solo alcuni virus utilizzano un
filamento singolo e presentano, infatti, un tasso di mutazione alquanto elevato.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 3 – Il genoma umano e le malattie ereditarie
Approfondimento - Le modalità usate per studiare la trasmissione dei caratteri
nell’uomo
Negli altri esseri viventi, come abbiamo visto per i diversi esperimenti realizzati da Mendel e da
Morgan, lo studio della trasmissione dei caratteri ereditari viene effettuata facendo opportuni
incroci, ma per quanto riguarda l’uomo si possono eseguire solo studi con metodi indiretti che si
basano essenzialmente su tre modalità differenti:
1. raccolta statistica di dati di una popolazione in relazione a un determinato carattere di cui si
vuole conoscere la modalità di trasmissione;
2. relativamente a un dato carattere si possono costruire alberi genealogici che vanno poi
interpretati ricordando che, mentre un carattere dominante compare regolarmente a ogni
generazione, uno recessivo può saltare di generazioni e farsi più frequente solo se si
verificano incroci tra consanguinei, come per esempio tra cugini;
3. per valutare la prevalenza di componente genetica oppure ambientale nella trasmissione di
un certo carattere, si esegue lo studio dei caratteri in coppie di gemelli monozigoti o dizigoti.
Se prevale la componente genetica il carattere è simile solo in coppie di monozigoti, mentre
se prevale la componente ambientale (per esempio l’insorgenza di determinate malattie) i
dati non riveleranno differenze ben definite fra coppie di monozigoti e dizigoti, a
dimostrazione del fatto che è l’effetto ambientale a causare la comparsa del carattere
studiato.
Fig. 1. Il progenismo (mandibola sporgente) è presente in molti dei discendenti del re Enrico VIII. La
malformazione genetica, presente per più di sette secoli, è legata al fatto che in tale famiglia, più che nelle altre
casate reali europee, si tendeva a imparentarsi al proprio interno, conservando così il difetto nel corso dei tempi.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 3 – Il genoma umano e le malattie ereditarie
Approfondimento - Il numero dei cromosomi del genoma umano può presentare
a volte delle variazioni
Nella specie umana il cariotipo è costituito da 46
cromosomi [fig. 1]; si può verificare però che un
soggetto presenti un cariotipo alterato con un numero di
cromosomi minori o maggiori di 46. I soggetti portatori
di queste alterazioni molto spesso presentano problemi a
vari sistemi e/o apparati dell’organismo. Le alterazioni a
carico del numero di cromosomi possono riguardare sia il
numero degli autosomi sia il numero dei cromosomi
sessuali. Si parla di monosemie nel caso in cui di una
coppia di cromosomi omologhi ne è presente uno solo, si
parla di polisemie, in particolare di trisomie, se accanto a Fig. 1. Disposizione dei cromosomi dei
una coppia di cromosomi omologhi è presente un altro gameti in una meiosi normale. Ogni
cromosoma omologo. Si conoscono monosomie e gamete porta un solo cromosoma sessuale.
trisomie relative ai cromosomi sessuali e agli autonomi:
molte monosomie e trisomie sono incompatibili con la vita, perciò i soggetti portatori muoiono
spontaneamente prima della nascita. La causa di queste alterazioni è dovuta a un difetto della meiosi
e le forme più comuni sono dovute alla non-disgiunzione [fig. 2] dei cromosomi omologhi durante
l’anafase I. Perciò, rispetto al corredo aploide che un gamete dovrebbe normalmente possedere, tutti
i gameti saranno anomali poiché il 50% porterà un cromosoma in più e il 50% un cromosoma in
meno. Se la non-disgiunzione si verifica nell’anafase II, il 50% dei gameti sarà normale e il 50%
avrà una alterazione di numero dei cromosomi.
Un individuo è affetto da trisomia quando un gamete con 23+1 cromosomi feconda un gamete
normale con 23 cromosomi. Lo zigote che ne deriva avrà un corredo cromosomico con 46+1
cromosomi e cioè di 47 cromosomi. Un individuo affetto da monosemia, invece, deriva dalla
fecondazione tra un gamete
con 23–1, cioè 22 cromosomi,
e un gamete normale, cioè con
23 cromosomi; lo zigote che
si origina dalla loro unione
avrà un genoma di 46–1
cromosomi e cioè di 45
cromosomi. Tra le trisomie, la
più nota riguarda la trisomia
della coppia di cromosomi
omologhi 21, detta anche
sindrome di Down.
Fig. 2. La non-disgiunzione
durante la meiosi modifica il
numero dei cromosomi nei
gameti.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 3 – Il genoma umano e le malattie ereditarie
Approfondimento – La storia del Progetto Genoma Umano
Il Progetto Genoma Umano è stato lanciato, nel 1988, da due istituzioni governative statunitensi: il
National Institutes of Health (NIH) e il Department of Energy (DOE) che stanziarono i fondi per la
ricerca offrendo il coordinamento delle attività. La ricerca iniziò nel 1990 sotto la guida di Jamelia
D. Wilkinson presso il National Institutes of Health degli Stati Uniti e si prefiggeva il
sequenziamento del:
• genoma di Escherichia coli, un batterio della flora intestinale;
• genoma di Saccharomyces cerevisiae, un lievito;
• genoma di Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta utilizzato anche
da Morgan nei suoi studi;
• genoma umano.
Nel 1995 furono sequenziati interamente il genoma di un batterio e
il genoma di un pluricellulare, il verme Caenorhabditis elegans da
ricercatori della University St. Louis-Washington e da ricercatori
del Ranger Centre di Cambridge (UK). Il primo direttore del
Progetto Genoma fu uno degli scopritori della struttura del DNA, il
premio Nobel James Watson. Nell’aprile del 1993 gli è succeduto
Francis Collins [fig. 1], medico statunitense. Per lo studio del
genoma umano sono stati usati campioni di sangue o di tessuti da
cui il DNA veniva estratto e frammentato.
Il metodo di mappatura genica fu realizzato agli inizi del 1900 da
Morgan sul moscerino della frutta. Morgan si basava sulla
Fig. 1. Francis Collins,
frequenza di ricombinazione genica; infatti, geni associati vengono
direttore del progetto genoma
trasmessi assieme mentre geni lontani si trasmettono separatamente.
umano.
Con il tempo, sono state messe a punto tecniche per la mappatura
dei geni mediante l’uso di specifici marcatori che identificano sia l’ordine dei geni lungo ogni
cromosoma, sia la loro posizione precisa determinandone le reciproche distanze.
Nel 1999 si ottenne il primo risultato eclatante, la decifrazione del cromosoma 22, operata da un
gruppo di ricercatori internazionali giapponesi, inglesi e statunitensi coordinati dal biochimico Ivan
Dunham. Il cromosoma 22 è un piccolo cromosoma umano che porta numerosi geni coinvolti nel
processo immunitario, in disfunzioni cardiache congenite, in malattie come la leucemia, la
demenza, la schizofrenia. Si è scoperto che tale cromosoma contiene un migliaio di geni, di cui ne
sono stati identificati con precisione ben 679.
Accanto alla ricerca pubblica anche l’industria
privata ha intrapreso la mappatura genica umana.
La Celera Genomics di Rockville, nel Maryland,
(USA) con a capo il biologo Craig Venter [fig. 2]
annunciò il 6 aprile del 2000 il sequenziamento
dell’intero DNA di un essere umano.
Alla fine quella che poteva sembrare una lotta tra
istituti di ricerca pubblici e privati si è conclusa
con un accordo in base al quale i risultati ottenuti
dalle due linee di ricerca venivano condivisi e
reciprocamente utilizzati. Nel 2001 Francis Fig. 2. Craig Venter, la scienziato che nel privato è
Collins e Craig Venter hanno annunciato, infatti, stato direttore del progetto genoma alla Celera
Genomics.
di aver decifrato completamente il DNA umano.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 4 – Le biotecnologie
Approfondimento - Come è nata l’industria biotecnologica
La nascita e lo sviluppo dell’industria
DNA ligasi
DNA
biotecnologica si ebbe a seguito dei primi
esperimenti di manipolazione genetica. I
il frammento
primi risultati significativi si ebbero nel
si lega al
plasmide
1973, quando il biologo e chimico l’enzima di
statunitense Herbert Boyer (1936) e il restrizione
taglia un
il plasmide
viene inserito
biochimico Stanley Seymour Cohen frammento
di DNA
in un batterio
(1935) riuscirono a inserire un frammento
plasmide
plasmide
di DNA di un organismo, contenente alcuni
geni in un plasmide batterico [fig. 1]. In
batterio
seguito, inserirono il plasmide ibrido in un
batterio e così facendo permisero al
plasmide di integrarsi nel cromosoma Fig. 1. Inserimento del plasmide.
batterico: si ottenne, in questo modo, una molecola di DNA ricombinante, cioè una molecola che
contiene segmenti di DNA provenienti da cellule diverse, in combinazioni che non si trovano
normalmente in natura. Grazie alla formazione di DNA ricombinante il batterio acquistò nuove
proprietà, espressione dei geni estranei, come per esempio la resistenza a un antibiotico. Poiché i
batteri si riproducono velocemente, gli scienziati riuscirono velocemente a ottenere una colonia di
cellule geneticamente identiche, cioè un clone, e tutte
plasmide: piccolo filamento
contenenti DNA ricombinante.
circolare di DNA presente nel
Nel 1976, un giovane uomo d’affari, Robert Swanson,
citoplasma dei batteri.
comprese il potenziale commerciale di questa innovativa
tecnica di laboratorio e, insieme a Boyer, nel 1976 rilevò, in
somatostatina: ormone secreto
California, la società Genentech Inc. avviando un programma
dall’ipotalamo e, in minor misura, dal
di ricerca per la produzione biotecnologica di molecole umane.
pancreas e dalla mucosa intestinale.
Nel 1977 si ottenne la somatostatina, nel 1978 fu sintetizzata
Inibisce la produzione dell’ormone
l’insulina
umana e l’anno seguente la società riuscì a produrre
dell’accrescimento, secreto
dall’ipofisi, e influisce, inoltre, sulla
l’ormone della crescita, che mise in commercio dal 1985.
produzione dell’insulina e del
La Genentech è stata la prima industria di
glucagone.
biotecnologie della storia.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 4 – Le biotecnologie
Approfondimento - L’applicazione della PCR ha permesso di portare a termine
il Progetto Genoma Umano
La scoperta della PCR ha letteralmente rivoluzionato la Biologia, la Genetica, la Medicina e perfino
la Paleontologia. Inoltre la PCR ha portato novità anche nelle aule dei tribunali poiché, grazie a
essa, è ora possibile diffondere e rendere precisa la prova delle “impronte genetiche” utilizzata in
medicina legale. Infatti, poiché per la sua attuazione sono sufficienti quantità minime di DNA, è
divenuto uno strumento utilizzato in vari ambiti.
In Biologia, l’applicazione della PCR consente:
♦ di ottenere numerose copie di uno stesso gene e chiarirne così la funzione. Con questo metodo è
stata chiarita la funzione di molti geni;
♦ di copiare determinate regioni del DNA umano permettendo, così, di individuare la sequenza e
la distanza fra geni e, quindi, eseguire mappe genetiche. Tale utilizzo è stato di fondamentale
importanza per la realizzazione del Progetto Genoma Umano, che tra gli anni 1990 e 2001 ha
portato alla completa decifrazione dell’intero DNA della specie umana;
♦ di esaminare il DNA di insetti fossili rimasti imprigionati nell’ambra, cioè la resina fossile.
Infatti, nonostante il DNA di questi organismi abbia perso in larga parte la sua struttura
originaria, si sono conservate molecole sufficienti dell’acido nucleico per potere realizzare la
PCR e ottenere quindi molte copie di quei frammenti. Amplificando i rari frammenti
sopravvissuti è possibile ricostruire il DNA da campioni antichi.
In Medicina, la PCR permette:
♦ di eseguire velocemente test di diagnosi prenatale sui feti. Infatti, attraverso la tecnica
dell’amniocentesi o della villocentesi si possono prelevare campioni di DNA del feto per
analizzarli nel giro di un’ora, utilizzando la tecnica della PCR. Prima dell’utilizzo di questa
tecnica ci volevano diverse settimane prima di riuscire a effettuare indagini biochimiche;
♦ di individuare, all’interno di tessuti umani, la presenza di virus, batteri e cellule cancerogene. Si
possono anche riconoscere mutazioni a carico di alcuni geni per il controllo della crescita
cellulare.
In Medicina legale, la tecnica della PCR permette di:
♦ estrarre del DNA da piccole quantità di tessuti (come sangue, pelle, peli, liquido seminale)
rinvenuti sul luogo di un delitto, per poterlo poi confrontare con quello degli indiziati. È
diventata ormai una prassi comune ricorrere al test del DNA nelle prove giudiziarie: con questa
tecnica si possono incriminare o scagionare definitivamente gli individui sospettati;
♦ scoprire la fonte e i responsabili dell’inquinamento di acque con residui industriali e altre
sostanze. Infatti, nel corso di indagini di polizia si possono marcare i residui delle lavorazioni
industriali, di aziende della zona interessata, con piccole quantità di DNA noto. In seguito i
frammenti di DNA marcato possono essere recuperati nei fanghi delle acque contaminate e,
mediante la tecnica della PCR, venir duplicati un gran numero di volte, per essere analizzati.
Quindi, si confronta il DNA ritrovato nei campioni con delle liste in cui sono catalogati tutti i
tipi di DNA marcato preventivamente assegnati a ciascuna azienda produttrice. Dal confronto è
così possibile risalire al produttore che è responsabile della contaminazione.
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UNITÀ 3 – GENETICA E BIOTECNOLOGIE
Lezione 4 – Le biotecnologie
Approfondimento - Alcuni organismi transgenici producono farmaci mentre
altri sono donatori di organi
Uno dei principali utilizzi degli OGM è quello della produzione di proteine a uso terapeutico e,
quindi, di farmaci e vaccini.
Prima dell’avvento delle tecniche d’ingegneria genetica tali proteine venivano estratte da tessuti
(sangue) o liquidi corporei (plasma, urina): tale metodica, però, presentava molti svantaggi.
Innanzitutto, la quantità di proteine che si otteneva era limitata rispetto alla reale necessità; poi, vi
era un’alta probabilità che durante l’estrazione le proteine fossero modificate con il rischio di
renderle inattive e quindi inefficaci; infine, tale tecnica non escludeva la possibilità che le sostanze
estratte potessero essere infettate da agenti patogeni.
è una proteina, cioè una
Attraverso l’utilizzo di OGM si ottengono, invece, proteine insulina:
sostanza che funge da messaggero
purificate e non contaminate, in quanto non devono essere chimico tra le cellule
estratte da tessuti ma sono direttamente sintetizzate dagli dell’organismo, cioè un ormone.
È prodotta dal pancreas e regola il
organismi transgenici, e in quantità considerevoli.
L’insulina umana è un ormone di natura proteica che si ottiene livello di glucosio nel sangue,
con tale tecnica: prima veniva estratta e purificata dal pancreas abbassandolo.
di animali d’allevamento; ora, invece, il gene per l’insulina (che
in natura è presente solo negli animali superiori) viene inserito in diabete: malattia, spesso
un vettore, poi clonato e quindi inserito in un batterio. Quindi le ereditaria, per cui l’organismo non
colture batteriche contenenti DNA ricombinante con il gene per è più in grado di utilizzare il
l’insulina produrranno notevoli quantità di questo ormone. glucosio proveniente
dall’alimentazione o dalle riserve
L’insulina è utilizzata per la cura del diabete.
di glicogeno che, di conseguenza, si
deposita nel sangue raggiungendo
Altre importanti proteine ad uso farmaceutico, sempre prodotte livelli elevati (iperglicemia). Le
tramite OGM, sono alcuni fattori coinvolti nella coagulazione cause possono essere diverse, tra
del sangue, come il fattore VIII che non è sintetizzato dagli cui l’incapacità di produrre
insulina.
individui affetti da emofilia, una malattia caratterizzata appunto
da frequenti emorragie. La produzione di tale fattore attraverso microrganismi ricombinanti
permette di evitare possibili contaminazioni del prodotto che prima veniva estratto dal sangue
umano: infatti, nonostante gli accurati controlli, poteva ugualmente accadere che il sangue utilizzato
fosse contaminato e potesse trasmettere malattie infettive gravi come l’AIDS e l’epatite B.
Altri prodotti ad uso farmaceutico forniti da microrganismi geneticamente modificati sono:
l’ormone della crescita umano, che viene somministrato ai bambini che presentano uno sviluppo
corporeo ridotto; l’interferone, impiegato nella terapia dell’epatite B e di alcune forme di cancro.
Ultimamente si utilizzano anche alcune specie di mammiferi geneticamente modificati, come
pecore e mucche, per produrre un latte contenente sostanze utilizzabili ad uso terapeutico e
farmaceutico. Per esempio è stato introdotto in embrioni di pecora il gene che codifica per il fattore
IX di coagulazione, utilizzato per la cura dell’emofilia, in modo che da adulte potessero produrre
latte contenente la proteina.
Infine l’utilizzo di organismi geneticamente modificati si è
risposta immunitaria: reazione
rivelato estremamente importante per la realizzazione di
dell’organismo dei vertebrati che,
vaccini che conferiscono protezione contro le malattie infettive.
a contatto con agenti riconosciuti
Prima che si giungesse a questa nuova tecnica, i vaccini
estranei, produce proteine,
venivano ottenuti da sospensioni di microrganismi patogeni
anticorpi, o linfociti (cellule del
uccisi o indeboliti, quindi il vaccino non conteneva solo la
sangue) che sono in grado di
bloccarli e inattivarli.
proteina che provoca la risposta immunitaria dell’organismo,
ma anche altre sostanze derivanti dalle strutture dei
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microrganismi che possono causare effetti collaterali al momento dell’inoculazione. Ora, invece,
con le tecniche d’ingegneria genetica si ottiene la proteina purificata: infatti, all’interno dei batteri
vengono introdotti i geni che, una volta espressi, producono la proteina in grandi quantità. Tra i
vaccini prodotti con tale tecnica sono già largamente in uso quello contro l’epatite B e quello contro
la rabbia.
Una delle possibili prospettive dell’ingegneria genetica, che è ancora in via di sperimentazione,
riguarda il possibile utilizzo di animali geneticamente modificati come donatori di organi per
l’uomo. I ricercatori hanno individuato come animali più adatti i suini perché i loro organi
presentano caratteristiche anatomiche simili a quelle umane.
Animali d’allevamento sono stati modificati geneticamente anche per ottenere specie più resistenti
alle malattie, come polli transgenici resistenti a una particolare forma di leucemia; o più pregiate,
come per esempio pecore con il vello più folto; o con migliori qualità nutritive dei loro tessuti,
come per esempio suini con carni meno grasse; o per incrementarne il tasso di crescita.
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