gli italiani e la somalia

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gli italiani e la somalia
Fernando TERMENTINI
GLI ITALIANI E LA SOMALIA
Ai
miei
adorati
nipoti
Tommaso e Lorenzo con la
speranza
che
un
giorno
leggendo queste pagine si
sentano fieri di essere italiani
e guardino alla vita con
fiducia, rispettando i valori
essenziali
che
contraddistinguono l’uomo, a
prescindere dall’etnia e dalla
religione di appartenenza. .
Nelle pagine di questo libro, scritto con
passione da un grande uomo e soldato, si
percepiscono gli acri odori, i colori lucenti, i
sapori e perfino la calura della Somalia.
Una
terra
meravigliosa,
dimenticata,
martoriata e straziata dalla crudeltà
dell’essere umano.
Noi, uomini in divisa, che abbiamo calcato
con grande rispetto quel suolo, siamo
orgogliosi di avere salvato, con la nostra
opera, migliaia di bambini.
Nei loro occhi ridenti, a volte supplichevoli o
bisognosi di aiuto, è rimasto impresso un pò
di noi e del nostro tempo.
giugno 2012
Antonello Pellegrino
INDICE
Prefazione ……………………………….
pag. :
5
Preambolo………………………………..
pag. :
6
Capitolo I
Viaggio verso l’assurdo………………….
pag.:
8
Capitolo II
La Somalia……………………………….
pag. : 13
Capitolo III
La Somalia italiana…………............
pag.:
Capitolo IV
Viaggio nel passato ……………………..
pag. : 25
Capitolo V
La Società Agricola Italo Somala
pag.:
36
Capitolo VI
Il Duca degli Abruzzi……………………
pag.:
36
Capitolo VII
La Somalia degli anni ’90……………
pag.:
49
Capitolo VIII
Dicembre 1992 – uno scenario
assurdo
18
pag. : 54
2
Capitolo IX
Il ritorno della speranza………………
pag. : 66
Onore ai Caduti …………………………
pag. : 73
3
PREFAZIONE
Ho scritto la prima bozza di queste pagine
appena rientrato dalla Somalia. Le ho fatte
sedimentare e nel 1997 le ho riaperte per
rileggerle ed adeguarle. Ne ho stralciato alcune
pagine
pubblicandole
sul
mio
sito
www.fernandotermentini.it ed ho messo il resto
nel cassetto, dimenticandolo.
Oggi a distanza di venti anni da quei giorni
magici durante i quali militari italiani di un
Esercito di leva furono protagonisti dal 19
dicembre 1992 al marzo 1994 in terra somala,
sento il desiderio di riprendere in mano il testo e
darlo alle stampe. Una decisione raggiunta dopo
l’incoraggiamento di Antonello Pellegrino, un ex
commilitone, con il quale ho condiviso esperienze
in Somalia ed in Bosnia Herzegovina.
Un modesto testo che vuol essere un
omaggio a tutti coloro che sono stati vicini ai
somali ed hanno lavorato per loro in un momento
difficile della storia di quel Paese. Soldati di leva
con i quali ho condiviso pericoli e stenti, cibo e
fatiche, perché credevamo nel loro ruolo
ricoperto durante l'operazione "Restore Hope";
ridare speranza a coloro ai quali la rivoluzione ed
una guerra civile avevano tolto tutto sul piano
materiale e morale, nell’assoluto dispregio del
più elementare dei diritti umani.
Poche righe soprattutto in onore delle
persone che hanno creduto in questi valori ed
hanno sacrificato la loro vita in terra somala.
4
Giovani italiani, militari di leva e quindi
espressione della società civile italiana che stava
assolvendo un obbligo costituzionale. Cittadini
che in quel momento
hanno accettato
volontariamente di impegnarsi a favore della
popolazione somala, consapevoli del loro ruolo di
cittadini del mondo e consci di rischiare la propria
vita.
Roma, giugno 2012
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PREAMBOLO
Mogadiscio, 20 dicembre 1992. Inizia per
me e per altri 12.000 soldati italiani che si
alterneranno
nei
prossimi
sedici
mesi,
l’avventura in terra somala dove le nostre Forze
Armate ritornano dopo 70 anni, in un momento
tanto tragico per il popolo della Somalia.
Non appena atterrati a Mogadiscio dopo i
primi contatti con la popolazione, immediata la
percezione che i somali vedevano in noi gli eredi
di coloro che 70 anni prima erano entrati in
Somalia per aiutare la popolazione, esportando
conoscenza.
Rassicurato, transitando per le strade di
Mogadiscio ormai in rovina, percorrendo la Via
Imperiale e le rive dell’Uebi Scebeli ho sentito
immediatamente il bisogno di memorizzare
immagini e sensazioni riferite al passato, in
ricordo di coloro che lasciarono in questa terra un
segno tangibile della cultura italiana.
Uomini impegnati a trasferire sapienza e
conoscenza trapiantandola in queste terre aride
per lasciarla in eredità alla popolazione.
Insegnamenti che gli anziani dimostravano di
aver assorbito e che rimpiangevano ricordando
“l’amico italiano”.
Un richiamo al passato da cui non sono
capace di sottrarmi e che in ogni momento,
ritornando con la mente a quei giorni,
mi
coinvolge intensamente ed appassionatamente.
6
Sentimenti che sicuramente hano coinvolto tutti i
caduti italiani nel corso dell’Operazione Restore
Hope. I morti del 2 luglio 1993, quelli che si sono
aggiunti per eventi successivi, i feriti che portano
sul loro corpo i segni indelebili delle vicende che
hano vissuto.
Militari e civili che hanno accettato il
sacrificio estremo pur di adempiere al compito
ricevuto. Per loro e per onorare la loro memoria
desidero affrontare questo racconto di storia
italiana, forse affrettatamente dimenticato od
oscurato da qualche errore esecrabile, ma
imputabile solo all’umana debolezza.
Una modesta testimonianza che aiuti i
giovani a ricordare anche momenti lontani della
storia della loro Nazione, perché solo attraverso
la memoria ed il ricordo di tutto ciò che ci ha
preceduto si costruisce il futuro di una società.
Un grazie a mia moglie, ai miei figli, che
pazientemente
hanno
sopportato
la
mia
lontananza concedendomi l’opportunità di vivere
un’esperienza che sicuramente mi ha arricchito
come uomo e come italiano.
Un ricordo, infine, degli amici somali che
con i loro racconti mi hanno consentito di rivivere
il passato e - perchè no - di sentirmi orgoglioso
erede di coloro che per questo popolo tanto
hanno fatto.
Roma, giugno 2012
Fernando TERMENTINI
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Capitolo I
Viaggio verso l’assurdo - Somalia 1992 1994
1889 nasce la SOMALIA italiana che trova
il suo definitivo assetto negli anni ‘20.
1992 - dicembre. Inizia l'operazione
RESTORE HOPE ,
un intervento militare
internazionale voluto dalle Nazioni Unite, con il
coinvolgimeno di americani, francesi, belgi,
canadesi ed italiani a favore del popolo somalo
ormai allo stremo e vittima di una pesante
guerra civile. Un intervento militare di "Peace
Enforcing" per garantire che una popolazione allo
sbando ed alla mercé di malviventi e di "Signori
della Guerra", potesse riappropriarsi della propria
dignità di popolo ed il rispetto dei diritti umani
elementari.
Per gli italiani un ritorno in una terra amica
percorsa fin dagli inizi del ‘900 e dve tornarono
negli anni ’50. All’inizio degli anni ’90 i giovani
militari italiani della Restore Hope attraversano di
nuovo quelle terre, ripercorrendo strade, terre,
città , già note ai loro nonni e ai loro padri.
Un viaggio verso l’assurdo, se si pensa a
quello
che era la Somalia, la Capitale,
Mogadiscio, abbarbicata sulle rive dell’Oceano
Indiano,
Johar
isola
verde
che
spicca
improvvisamente dalla savana arida ed assolata.
Itala, Chisimaio, ridenti cittadine di una
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volta, ora solo un ricordo offiscato da
devastazione. Putridi vicoli sbarrati dalle
macerie, che hanno preso il posto delle graziose
villette dai tenui colori pastello.
Un popolo affamato si aggira per le strade.
Pronto ad uccidere per un pugno di riso, ha
sostituito il solerte e laborioso somalo di un
tempo.
Percorrere alla fine del 1992 questa terra
d’Africa, significa affrontare "Un viaggio verso
l’assurdo" che offre al viandante incuriosito un
paesaggio lunare, una terra che sembra
disabitata da centinaia di anni, sconvolta da mille
problemi, da mille ansie. Una terra preistorica.
Un popolo errante, sbandato, che guarda
sorridendo all’italiano ritornato e, con gli occhi
lucidi di gioia, manifesta la certezza che sarà
aiutato.
I vecchi, non hanno mai smesso di narrare
degli italiani che hanno percorso ed abitato
quella Nazione. Gente semplice impegnata a
trasferire conoscenza e tecnologia perché quella
terra generosa potesse produrre al meglio, a
vantaggio del suo popolo. I giovani ricordano
questi racconti ed osservano incuriositi gli italiani
di oggi con la speranza di trovare i vecchi amici
di un tempo.
Ho avuto la fortuna di ripercorrere questa
terra già visitata dai nostri padri, di leggere negli
occhi dei somali giovani e meno giovani la
9
speranza di ritrovare un passato fiorente e per
questo sento il bisogno di rendere omaggio
anche
a tutti coloro che nel passato hanno
dedicato la loro vita a questo angolo del Corno
d’Africa, molti dei quali hanno scelto di riposare
in eterno in questa terra.
Tanto si è detto sui trascorsi interventi
italiani in Africa, quasi sempre in modo critico, di
condanna, di polemica incostruttiva, troppe volte
viziata da interpretazioni politiche e settoriali e
motivata solo dalla volontà di dimenticare ad
ogni costo un periodo ritenuto a torto "comunque
scomodo".
Poco, invece, si è raccontato di quello che
italiani che ci hanno preceduto realizzarono in
questo Paese e che nemmeno il tempo è riuscito
a distruggere dopo 70 anni.
Un’omissione non accettabile sotto il profilo
storico e che deve essere riscattata, perché se é
vero che una società evoluta non deve
dimenticare, é altrettanto vero che il ricordo non
puó essere settoriale e interpretato.
La Storia deve, infatti, essere avulsa da
ogni preconcetto, altrimenti scivola nella politica
e nell’interpretazione di fatti. Se così non fosse,
avremmo dovuto da tempo, dimenticare e
cancellare dalla nostra memoria
le vestigia
dell’Antica Roma e distruggere reperti antichi
come il Colosseo o il Foro Romano, solo perchè in
quei luoghi si perseguitava il popolo ed i cristiani.
Ricordare invece i martirii della storia aiuta a
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costruire un futuro migliore e ad abbattere la
probabilità che si ripetano gli errori del passato.
I somali di oggi dimostrano di voler
ricordare. Con nostalgia ripercorrono con il
pensiero il cammino tracciato dai loro padri sotto
la guida degli italiani. Sentimenti che inducono i
vecchi a scendere in strada guidando per mano i
loro nipoti e salutare insieme ai bambini gli
italiani sbarcati a Mogadiscio alla fine del 1992.
Qualcuno sveltolando anche un Tricolore
sbiadito e sfilacciato recuperato da una cassa
dimenticata in soffitta.
Uno sguardo permeato di speranza e nello
stesso tempo fiero di essere somalo, che ho
incrociato in più di un’occasione e che mi ha
spinto a memorizzare e che mi accingo a narrare
per raccontare un periodo, ormai storicamente
sedimentato, in cui gli italiani hanno operato in
una Nazione lontana, nel pieno rispetto del
popolo che li ospitava.
Costoro hanno lasciato tracce tangibili sul
territorio e nell'animo dei somali, che devono
essere raccontate senza esprimere giudizi, per
permettere
al lettore di trarre le proprie
conclusioni avulso da qualsiasi condizionamento.
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Una testimonianza ricavata percorrendo
quelle terre, ascoltando i vecchi somali testimoni
del passato che inneggiavano all’impegno del
Duca degli Abruzzi e degli italiani al suo seguito.
Un periodo pert costoro opulento, tramandato,
invece, troppo frettolosamente come un periodo
"colonialista"; ossia un intervento di conquista
per appropriarsi di qualcosa di altri imponendo
regole spesso non condivise.
Una cronaca di fatti del passato rivissuti al
presente, tralasciando di ricorre a citazioni
ricorrenti in altri scritti
come "......feroci
repressioni inglesi ed italiane portarono a far
radere al suolo il villaggio di.........". Frasi che
molto spesso hanno travisato la realtà.
Piuttosto, racconterò che nella Somalia del
1920, gli italiani avevano realizzato insediamenti
agricoli, abitazioni, scuole ed industrie con il
diretto coinvolgimento dei somali organizzati un
contesto sociale strutturato e moderrno per quei
tempi.
Oggi la Somalia ha bisogno di tutto, ma i
somali non vogliono avere il necessario in dono.
Desiderano, piuttosto, poter imparare a
costruire da soli ciò che è necessario per
crescere ed assicurare un futuro ai loro figli,
come garantirono ai loro nonni gli italiani che
raggiunsero
quelle
terre
alla
fine
del
dicianovesimo secolo.
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Capitolo II
LA SOMALIA
La storia del popolo somalo é caratterizzata
da una connotazione particolare rispetto ad altre
realtà etniche presenti in Africa.
I somali si distinguono nettamente per
coesione, tradizioni politiche, territoriali, culturali
e linguistiche. Si sono affermati lentamente, ma
con costante progressione in un Continente,
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altrimenti caratterizzato dalla frammentazione
delle etnie.
I somali appartengono all'Africa da sempre.
Non vi sono arrivati da altre regioni geografiche,
ma appartengono a quella terra. Sono un gruppo
etnico omogeneo di cui fanno parte minoranze
Bantù, pigmei ed arabi. La religione più diffusa è
l’Islam moderato, praticato dal 95% della
popolazione.
Le città della costa sono state sotto il
dominio di arabi e persiani fino a quando i
guerrieri Bimal, stretti nell'entroterra, non
decisero di migrare verso il mare .
Questi
guerrieri probabilmente furono i progenitori dei
somali, deduzioni ricavate dall'esame di storie
parallele
di
quelle
popolazioni
e
dalla
testimonianza della cultura nomade tramandata
dal popolo somalo.
Nella storia delle origini della Somalia è, in
ogni caso, ricorrente una citazione : " Paese dei
PUNT".
Quello dei PUNT, inizialmente, è il nome di
un territorio collocato tra il Nilo ed il Mar Rosso,
tra il Sukain e l'altopiano dell'Abissinia,
successivamente allargatosi a partire dalle coste
sul Mar Rosso fino a quelle dell’Africa orientale,
inglobando tutto il Corno d’Africa e, quindi, la
Somalia.
Il motivo dell’attribuzione alla Somalia del
nome del Paese dei Punt, è da ricercare nella
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Bibbia, dove si descrive Cam, uno dei figli di Noè
e dei suoi discendenti. È riportato, infatti, che
probabilmente Puth uno dei figli di Cam si sia
spostato dalle terre i origine per andare più a sud
dell'Egitto, da cui l’antica collocazione geografica
nel "paese dei Punt", di tutti i territori africani,
dall’Egitto verso sud
Con il trascorrere dei secoli gli storici hanno
individuato in questa regione un fiorente sviluppo
di scambi commerciali con il nord, percorse da un
continuo movimento delle popolazioni nomadi
che da settentrione si muovevano verso sud
seguendo il soffio stagionale dei monsoni ed
alternativamente, da nord-est e da sud-ovest.
L'influenza dei monsoni, è stata sempre
elemento condizionante della storia di queste
popolazioni impegnate in attività commerciali di
piccolo cabotaggio. Venti che hanno condizionato
nel tempo le migrazioni dei popoli e la
distribuzione della flora e della fauna sul
territorio.
Origini ipotetiche e travagliate quelle della
cultura somala, sicuramente influenzata dal
mondo arabo e persiano. Con ogni probabilità a
cavallo del X - XIII secolo è avvenuta la fusione
fra somali ed arabi ed in epoca tarda le due razze
si sono sovrapposte ai Galla, che da tempo
avevano preso il posto dei Bantù prima
dominanti nella regione.
Le fusioni etniche, l'arrivo di nuove
popolazioni nomadi, provocarono nel tempo una
15
divisione territoriale di quella che doveva essere
l'immensa regione dei Punt, dando vita alle
prime lotte armate locali per il consolidamento
dei confini ed il dominio del territorio.
Fra queste nuove realtà territoriali si
impose ben presto la Somalia che dal Golfo di
Aden si estendeva a sud con i suoi 4000 km di
costa sull'Oceano Indiano.
La Somalia, come tutte le zone costiere del
tempo, nel XVII secolo subì il controllo dell’Oman
e nel XIX secolo quello del sultanato di Zanzibar,
interrotto da una brevissima ingerenza egiziana.
A partire dalla seconda metà dell’800, il
Paese iniziò a suscitare l’interesse degli europei.
Dapprima i francesi seguiti dagli inglesi ed infine
dagli italiani, che approdarono sulle coste somale
negli ultimi due decenni del 1800.
Gli europei trovarono rapidamente un
accordo nella spartizione dei territori somali. I
francesi si stabilirono nel territorio di Tadjoura
(Somalia francese, oggi Stato di Gibuti); la Gran
Bretagna e l'Italia si divisero il Paese
rispettivamente a nord e a sud .
I primi inglesi approdarono in Somalia nel
1884 occupando le città di Berbera e Zeila, per
poi consolidarsi nel 1889 con la costituzione della
Somalia Britannica.
tra
Gli italiani approdarono sulle coste somale
il 1889 ed il 1890. Fondarono alcuni
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protettorati come Obbia e Mingiurtina, seguiti
dall’occupazione di El – Ataleh sulle coste
meridionali dell’Oceano Indiano.
17
Capitolo III
La Somalia italiana
La nascita della SOMALIA ITALIANA può
essere collocata storicamente nel 1890.
Il
protettorato
negli
anni
andò
espandendosi e nel 1892 l'Italia ebbe in
concessione il Benadir. Nel 1894 concordò con
l'Inghilterra le reciproche zone di influenza, ed il
territorio fu diviso fra le due Nazioni nel rispetto
di precisi confini.
Visiatiamola insieme facendo riferimento a
documentazioni e testimonianze dell’epoca,
confrontate con quanto potevamo vedere e
dedurre dalle rovine del 1992.
Mogadiscio e dintorni
Mogadiscio, Hamar in somalo, è la Capitale
della SOMALIA. Fondata fra il 900 ed il 950 è
una città collocata
sulla costa dell’Oceano
Indiano,
priva di barriere naturali e quindi
scarsamente difendibile da possibili attacchi dal
mare e è sprovvista di attracchi naturali protetti.
18
- Mogadiscio Fondata nel terzo secolo dell'Egira, all'inizio
fu una colonia araba che ben presto divenne una
struttura urbana vera e propria, divisa in due
settori, uno arabo e l'altro arabo-persiano. Nel
XIII secolo , sotto la dinastia di Pacr-el-Din,
raggiunse
nella
regione
una
significativa
importanza.
Varie dinastie si susseguirono nel governo
della città, la cui decadenza iniziò dopo che fu
conquistata dagli Abgali. La città fu divisa in
due settori, il quartiere degli Amaurini e quello
degli Scingali, una anticipazione di quella che
sarebbe accaduto durante la guerra civile con la
"linea verde" che divideva in due la Mogadiscio
moderna. Un’area sotto il controllo di Alimadi,
l’altra sotto quello di Aidid.
19
Nel 1871 il sultano di Zanzibar si
impadronì di Mogadiscio, autoproclamandosi
Governatore della Somalia e nel 1882 la città
passava sotto il protettorato italiano. Solo nel
1905
divenne
ufficialmente
Sede
del
"Commissario Generale per la Somalia Italiana".
La Mogadiscio negli anni '920 era una
cittadina ridente, abitata da 50.000 abitanti di
cui 20.000 italiani e rappresentava il massimo
centro commerciale della Somalia Italiana.
Una
città
urbanisticamente
ben
organizzata, con le case bianche immerse nel
verde dei giardini degradanti verso il Lido. Strade
ampie, intersecate da trasversali sulle quali si
affacciavano i piccoli laboratori di artigiani.
Un porto commerciale, una strada Imperiale,
separata dalla foresta da due piste parallele, che
partiva dalla città per attraversare tutto il
territorio somalo da sud a nord: Era stata
costruita applicando i migliori criteri tecnici per
consentirne la totale percorrenza anche nel
periodo delle piogge o se fossero straripati i fiumi
.
la pianta di Mogadiscio
degli anni '20 – ‘30
20
- Residenza italiana Disponeva di buone strutture sociali : un
aeroporto (E. Petrella), una stazione ferroviaria,
una decina di alberghi decorosi , stanze con
bagno, tutti di nome italiano (Savoia, Modena
Regina Elena), ottimi i ristoranti.
A Mogadiscio era possibile usufruire di un
servizio di taxi e di agenzie di navigazione.
Esisteva e funzionava un Municipio, la Posta e
Telegrafi, il Comando delle Forze Armate, un
Ufficio Agrario, una Capitaneria di Porto e una
Dogana. Anche strutture sociale e pubbliche
fondamentali come l'Ospedale Militare, il Palazzo
di Giustizia e due banche, quella d'Italia ed il
Banco di Roma.
21
- Mogadiscio : il porto Sarti,
tessitori,
venditori
di
spezie
vivevano in Mogadiscio. Una popolazione
multiforme, varia e caratteristica di un mondo di
origine araba, ma proiettato fin da allora ad
accettare ed imitare la cultura occidentale.
Anche
una
Cattedrale.
Maestosa,
inaugurata il 1 marzo del 1928 alla presenza del
Principe di Piemonte con un'imponente facciata
tra due campanili, alto ciascuno 87 metri,
affacciata su un atrio a sei archi ogivali. La pianta
ad
abside quadrata e l'altare maggiore di
marmo,
circondato da dipinti. Sull'altare la
Madonna con il Bambino scolpita da
Cesare
Biscarra.
22
La città era servita anche da una linea
ferroviaria, la Mogadiscio-Afgoi, successivamente
disarmata, smontata e trasferita in Kenia dagli
inglesi.
23
Capitolo IV
Il viaggio nel passato
Partendo
da
Mogadiscio
iniziamo
a
percorrere la Somalia andando a ritroso nel
tempo per toccare le realtà del passato distrutte
dalla follia umana. Una sintesi di quelle che
furono le concretezze di un momento storico
importante per quel Paese, esempio di una
cooperazione internazionale da prendere come
modello.
Un documentario narrativo di quella che
era la Somalia del passato, quando sotto la
gestione italiana il Paese era fra i più progrediti
fra quelli africani, anche di quelli dove maggiore
era la presenza europea.
Una descrizione fatta al presente, una
fotografia della realtà a cavallo fra il 1920 ed il
1930,
per cercare di riversare una realtà
dimenticata e palpabile solo attraverso quello che
rimaneva sul territorio ed il racconto degli anziani
del posto.
Da Mogadiscio verso Sud
Percorrendo una pista carrabile costiera da
Mogadiscio si raggiunge Danane e Merca. La
strada
attraversa
la
boscaglia
verde
e
lussureggiante, immersa nella savana generosa
popolata da greggi di pecore e da mandrie di
zebù.
24
Frequenti i pozzi, generalmente salmastri
ma non inquinati.
Danane, piccola cittadina costruita su uno
sperone di roccia corallina. a picco sul mare.
- Tratto di costa Genale, che fu sede dell'Azienda Agricola
Sperimentale del Governo della Colonia e primo
nucleo di una vasta zona di concessioni agricole
per la coltivazione irrigua di banane, del cotone e
di altri cereali.
Molte le aziende agricole rese possibili da
un complesso sistema di irrigazione alimentato
da una gigantesca diga costruita a sbarramento
del Fiume Uebi Scebeli.
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Merca, 12.000 somali e 120 italiani. Linda
e bianca cittadina sul mare con case a terrazza
di puro stile arabesco.
È il secondo porto della Somalia dopo
Mogadiscio. Dispone di piccoli opifici fra cui uno
stabilimento per l'imballo e la spedizione delle
banane.
Città portuale, ma anche città industriale
con i suoi 100 mulini per olio, con le sue piccole
industrie tessili per la fabbrica di tessuti
multicolori di cotone e con i piccoli cantieri per la
costruzione di barche per la pesca.
Ed ecco il Fiume Giuba che scorre in
alcuni tratti pensile, con uno sviluppo di 875 km .
La sua valle rappresenta un'importante via di
penetrazione verso l'Etiopia ed il suo corso una
delle principali arterie per i trasporti commerciali.
Da Mogadiscio verso Nord – Ovest
La strada imperiale e la ferrovia per Afgoi
sono le vie di comunicazioni più importanti
percorrendo le quali si arriva nella valle dell'Uebi
Scebeli ed in una delle zone più fertili della
SOMALIA.
Proseguendo
verso Nord Ovest si
attraversano terreni ricchi d'acqua, sui quali a
macchia di leopardo sorgono villaggi di agricoltori
ed artigiani, famosi nella lavorazione dei vasi in
terracotta.
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- uno stralcio topografico della zona La
strada
procede
salendo
insensibilmente, snodandosi
su un terreno
argilloso molto difficile da percorrere durante la
stagione delle piogge. Verso Nord aumenta
notevolmente la presenza di acqua nel sottosuolo
e la vegetazione appare lussureggiante, di un
verde intenso.
Baidora collocata in fondo ad una valle
boscosa e selvaggia,
sul ciglio del gradino
calcareo dell'altopiano omonimo.È abitata da
circa 10.000 somali e da 270 italiani e
rappresenta la prima cittadina importante che si
incontra lasciando Mogadiscio, verso nord.
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E’ la residenza del Governatore dell'alto
Giuba da cui dipende una regione fertile e
rigogliosa tanto da essere chiamata la "Svizzera
della Somalia". Organizzata ed urbanizzata al
meglio con un ristorante, una stazione
telegrafica, l'ufficio postale, un'infermeria con
medico e farmacia.
La strada prosegue inerpicandosi dopo aver
strappato alla boscaglia solo la porzione di
terreno strettamente necessaria per il transito,
nel massimo rispetto dell’ambiente. Attraversa
villaggi agricoli, ed addensamenti di
pastori
nomadi.
Seguendo il percorso, poco a poco, il
terreno argilloso scompare per lasciare il posto
ad una terra rossa e poi ad una sabbia dello
stesso colore, che lasciano supporre che si è
destinati ad avvicinarsi ad un’area deserti
Da Mogadiscio a Belet Uen
Strada monotona anche se buona. La zona
è interessante per la grande varietà di fauna
africana.
Bulo Burti, a circa 200 km a nord di
Mogadiscio, grosso centro agricolo, sulle rive del
fiume Uebi Sceseli, Sorge al centro di una
pianura arida, brulla e battuta dai monsoni.
Ospita un importante mercato per le pelli secche
e la pastorizia.
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La città è fortificata, dispone di un
aeroporto, un ristorante ed un albergo di tutto
rispetto. Attraversandola si passa al di là
dell'Uebi Scebeli su un ponte metallico (costruito
dagli italiani) e si segue la riva sinistra del fiume
per arrivare a Belet Uen.
Belet Uen, cittadina nel cuore della
savana, sede di Residenza, dotata di struttura
sociali fondamentali come la farmacia, lo spaccio,
la stazione del telegrafo e l’ufficio postale. È sede
di un importante mercato avicolo e fu uno degli
ultimi capisaldi di resistenza del "Mullah
Pazzo".
Da Mogadiscio a Rocca Littorio
Un itinerario di circa 1400 km di buona
strada tutta in rilevato, asciutta e percorribile
anche durante la stagione delle piogge.
La prima cittadina importante e Bud Bud
centro di pastori Abgal. Sorge in un territorio
pianeggiante,
generalmente
sabbioso
ed
assolato.
La strada prosegue verso nord leggermente
in salita. Frequenti le cisterne per l'accumulo di
acqua, punti di rifornimento indispensabili per le
popolazioni nomadi.
Il paesaggio è simile a tanti altri della
Somalia ma più arido per la sua natura gessosa.
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Rocca Littorio, un piccolo paese di 500
abitanti, anche esso dotato delle strutture sociali
essenziali, spaccio, ufficio postale, telegrafo ed
infermeria.
Da Mogadiscio ad Itala
Si arriva ad Itala percorrendo una pista
camionabile di 1000 km. La strada a fondo
naturale è perfettamente percorribile ed assicura
i rifornimenti logistici.
Itala, sede di Residenza, è situata al
vertice di un triangolo di dune mobili. Si affaccia
sul mare costeggiando un litorale di finissima
sabbia bianca.
Poche le case in muratura che circondano
la piazza del mercato coperto e la moschea. Sullo
sfondo un boschetto di palme di cocco e di
datteri. La cittadina dispone di risorse idriche
autonome; cinque pozzi di acqua potabile e sette
di acqua salmastra.
Gli abitanti sono dediti alla pesca ed alla
lavorazione dell'ambra grigia. Vi abitano, anche,
piccole tribù di nomadi .
Da Mogadiscio al Villaggio
Abruzzi
Duca degli
Si raggiunge il villaggio duca Degli
Abruzzi percorrendo lungo la via Imperiale o
30
utilizzando la ferrovia per AFGOI, cittadina di
1000 abitanti, dotata di tutte le strutture sociali
necessarie, compreso il telefono ed il telegrafo.
Un magnifico parco circonda il Villaggio del
Governatore dalla Missione Cattolica strutturato
ed urbanizzato per garantire la massima
accoglienza alla popolazione locale ed agli
espatriati italiani, nell’assoluto rispetto delle
tradizioni e della religione.
- Il Villaggio Duca degli Abruzzi Tuttintorno coltivazioni di banane, ortaggi e
frutta, con un impianto d'irrigazione capillare,
alimentato da chiuse per la regolazione
dell'acqua.
31
Per tutto l'anno si può ammirare lo sfarzo
della vegetazione dei tropici con palme dum,
baobab, acacie da gommoresina e sansevieria.
Alberi fioriti spiccano dal verde cupo e
grasso della vegetazione della boscaglia con i
suoi colori lucenti e resa viva da una fauna
molto varia, costituita da un
patrimonio
zootecnico rilevante che garantisce
un
importante commercio di esportazione delle pelli.
Il Villaggio Duca degli Abruzzi, noto più
frequentemente come Villa Abruzzi è situato sulle
due rive dell'Uebi Scebeli in mezzo alla grande
pianura somala è sede della Società Agricola
Somala (S.A.I.S.) .
La S.A.I.S., un esempio significativo della
presenza italiana, un simbolo di come una
grande impresa coloniale possa rappresentare il
mezzo per travasare in un altro Paese tecnologia,
conoscenza, esperienza e risorse necessarie al
suo sviluppa ed alla su acrescita.
Nel Villaggio vivono circa 9000 indigeni e
200 italiani, che dispongono di una farmacia, una
posta, spacci vari, scuole, una Stazione dei
Carabinieri, una Dogana. Una moschea ed una
chiesa
cattolica
completano
la
struttura
urbanistica che ospita la comunità di somali ed
italiani. Tutto immerso in un ridente e curato
parco che divide le costruzioni.
32
Un Ospedale ed un Cimitero completano le
strutture sociali del Villaggio.
- il cimitero italiano Ripercorrendo gli itinerari del passato ci si
è illusi che il tempo si fosse fermato ed avesse
annullato le assurdità di oggi.
Il ricorso al presente storico ha aiutato
questa illusione. Continuare ad usare questo
tempo sarebbe anacronistico, mentre ci si
accinge a scrivere di opere che un giorno furono
fiorenti ed oggi non esistono più perchè
fagocitate dalla follia umana.
L'assurdità del momento non potrebbe
essere vissuta nella sua completezza se ancora ci
illudessimo che nulla è mutato rispetto al
passato; ciò che è stato distrutto è un patrimonio
33
del passato, ricordarlo al presente offenderebbe
chi nell’altro secolo, quasi 100 anni orsono lo ha
voluto in un determinato modo e dedicandovi la
propria vita.
34
Capitolo V
La Società Agricola Italo Somala
La Società Agricola Italo Somala fu
costituita a Milano dal Duca degli Abruzzi nel
novembre del 1920 con un capitale di 24 milioni
di lire del tempo. subito dopo portato a 35 milioni
con la compartecipazione dei maggiori Istituti di
Credito italiani.
Nel 1920 la S.A.I.S. ottenne in Somalia
una concessione di circa 25.000 ettari, in un
territorio fertilissimo sulle due rive del fiume Uebi
Scebeli, fonte d’acqua perenne. Gli ingegneri
italiani della Società intuirono immediatamente la
potenzialità del corso d’acqua progettando e
costruendo un canale irriguo principale lungo 6
km e largo 450 m, da cui si diramavano canali
secondari che raggiungevano le singole aziende
che mano a mano sorgevano all’interno dell’area
agricola di 25.000 ettari.
Il flusso dell’acqua era regolato da una
diga, da una stazione di pompaggio e da chiuse
in sistema fra di loro. Le opere idrauliche, iniziate
nel 1920 e ultimate nel 1923, comprendevano
anche la sistemazione degli argini dell’Uebi
Scebeli che furono rialzati per un tratto di 108
km .
35
- il fiume Uebi Scebeli Contemporaneamente
fu avviata
una
bonifica agraria che trasformò in una pianura
lussureggiante una boscaglia che fino ad allora,
per dieci mesi all’anno, era una sterpaglia di rovi
secchi.
Un’area
lussureggiante,
coltivabile,
verdeggiante, attraversata da canali e strade e
da linee Decauville prer il trasporto del materiale.
La S.A.I.S. era attraversata da una rete
stradale interna di 148 km, da una ferrovia
Decauville lunga 46 km che serviva le varie
aziende e le collegava alla Direzione ed alla
ferrovia Afghoi-Mogadiscio.
35 km di linea telefonica completavano
l’opera ed assicuravano il collegamento di tutta
la struttura con la Direzione. Era anche
funzionante
un collegamento telegrafico e
telefonico con l'Italia.
36
- La Direzione della S.A.I.S. I lavori di movimento terra furono eseguiti
con l'impiego di ruspe primitive di legno e ferro,
attrezzi trainati da zebù somali e da qualche
trattore FIAT.
Tutto il territorio della S.A.I.S. fu ripartito
in sette aziende che dal 1930 iniziarono ad
essere operative ed a pieno regime produttivo.
Orti,
vivai,
campi
sperimentali
di
produzione, ciascuno autonomo e gestiti da
bianchi e da somali.
Gli
appezzamenti
di
terreno
erano
assegnati a gruppi di famiglie domale alle quali
venivano fornite tutte le attrezzature necessarie
per eseguire i lavori agricoli.
37
Ogni azienda si estendeva, mediamente,
su 60-80 ettari. Tutti gli appezzamenti di terreno
erano raggiunti da un canale irriguo principale da
cui
si
diramavano
solchi
secondari
che
assicuravano l’irrigazione di fasce di terreno
rettangolari, larghe ciascuna 100 e con una
superficie media di 5-7 ha.
Ciascuna Azienda in sintesi garantiva una
produzione annua di prodotti diversi impegnando
per ciascuna cultura aree di terreno di differenti
superfici.
Perchè gli italiani potessero vivere al
meglio in quelle terre dal clima ostile, il Duca
degli Abruzzi volle che ogni Capo Azienda, ogni
capooperaio ed ogni gruppo di coltivatori ed
operai bianchi possedesse una loro comoda
abitazione in stile coloniale.
- uno scorcio dell’interno del villaggio -
38
Analoga sistemazione che per le famiglie
somale del personale direttivo locale.
Gruppi di case eleganti, sane e comode,
circondate da giardini e collegate da viali. Strade
asfaltate e nel rispetto delle tradizioni e della
religione locale, fu costruita una moschea ed un
mercato articolato in numerosi "bazar".
La conduzione delle terre era sviluppata
applicando il criterio della mezzadria tipico di
quel periodo e più confacente alla mentalità delle
popolazioni locali, tale da assicurare il maggiore
rendimento.
Ciascun somalo capofamiglia riceveva un
ettaro di terreno già bonificato ed irrigato che si
impegnava a coltivare riservandone una parte al
cotone, la cui raccolta era retribuita a parte in
quanto prodotto di esclusiva proprietà della
S.A.I.S..
L'organizzazione
era
completata
con
officine, posti manutenzione e magazzini di
ricambi necessari ad assicurare il funzionamento
delle attrezzature e degli opifici.
Il Duca degli Abruzzi non si limitò a
strappare il terreno fertile alla boscaglia per
renderlo coltivabile, ma volle anche insediamenti
industriali per la trasformazione del prodotto
agricolo. Furono realizzati: un oleificio, una
distilleria ed una fornace per la fabbricazione dei
mattoni.
39
L'Oleificio copriva un'area di 1600 mq ed
era dotato di macchinari modernissimi. Nel 1925
aveva una capacità di produzione di 600
chilogrammi all'ora di semi oleosi, come il
cotone, il ricino, il sesamo il girasole etc..
- Oleificio Nel 1926, fu costituita una consociata della
S.A.I.S. :
la Società Saccarifera Somala
(S.S.S.).
Questa nuova società con un capitale di
3.200.000 e sotto la presidenza del Duca degli
Abruzzi, dette vita ad uno zuccherificio per la
trasformazione della canna da zucchero- La
struttura fu completata in appena un anno
diventando immediatamente operativa.
40
Un grandioso stabilimento, l'unico in tutta
l'Africa
Orientale,
provvisto
di
moderni
macchinari ed in grado di lavorare circa 3000
quintali di canna da zucchero al giorno.
L'alimentazione dei macchinari principali
era assicurata dalla combustione dei gas naturali
ricavati dalla fermentazione degli scarti della
canna da zucchero e dei cereali lavorati.
- Lo zuccherificio e la centrale termica Accanto allo zuccherificio una distilleria ed
un laboratorio chimico per le analisi della canna
da zucchero e per il controllo dei prodotti durante
la fase di lavorazione.
Nulla fu lasciato al caso, nemmeno nel
settore forestale. I diboscamenti necessari per
41
ricavare terreno coltivabile non furono attuati "a
tappeto", ma mirati e contenuti all'essenziale.
Furono realizzati anche parziali rimboschimenti,
piantando lungo i canali migliaia di alberi di
essenza, come acacie, bambù, tamarindi e gelsi.
Questa la S.A.I.S., prodotto dell'intervento
italiano in Somalia, in più di una occasione
"etichettato"
come
esempio di colonialismo
imperialista, ma forse meno imperialista di
quanto si vuol far credere ed in ogni caso con
risultati affidabili, concreti ed ottenuti in
pochissimo tempo, a vantaggio di chi aveva
investito ma soprattutto della popolazione locale
che dalla savana aveva imparato a ricavare
ricchezza.
Risultati concreti che nonostante la follia
distruttiva dell’uomo e l’azione degradante del
tempo hanno potuto cancellare come le poche
immagini pubblicate dimostrano.
Un impegno di gente che credeva in quella
che
sarebbe
diventata
la
Cooperazione
internazionale del futuro e la interpretava nel
migliore dei modi, trasferendo conoscenza
attraverso la formazione ed insegnando a
lavorare e non imponendo il lavoro.
Un esempio che, forse, adeguato ai tempi
moderni, potrebbe fornire spunti di meditazione.
42
Capitolo VI
Il Duca degli Abruzzi
Luigi
Amedeo
Giuseppe
Maria
Ferdinando Francesco di Savoia, Duca degli
Abruzzi, colui che volle la S.A.I.S. ed al quale va
la riconoscenza di tanti somali, nacque a Madrid
il 20 gennaio 1873.
43
Il Duca degli Abruzzi Il padre, il Duca d’Aosta, terzogenito del Re
Vittorio Emanuele II era il Re di Spagna. Dopo la
morte della moglie Maria Vittoria Principessa del
Pozzo della Cisterna scomparsa nel 1878, il
Duca, che nel frattempo aveva abdicato al trono,
si dedicò completamente
all’educazione del
Principe.
Il 19 agosto 1879, Luigi Amedeo, fu
arruolato come mozzo nella Marina Militare e nel
1883 entrò in Accademia Militare.
A 16 anni veniva nominato Guardiamarina
e, imbarcato sull’incrociatore Amerigo Vespucci,
effettuava, come Ufficiale,
la sua prima
44
navigazione della durata di due anni (1889 -.
1991) e che lo portò in terre lontane, fino a
Montevideo, al Rio della Plata ed allo stretto di
Magellano.
Nel 1918 fu nominato Ammiraglio e nel
grado guidò importanti imprese militari ed
umanitarie
fra cui il salvataggio dell’Esercito
Serbo e di cui in serbia hanno ancora vivo ricordo
e gratitudine nei confronti degli italiani.
Dal 1915 al 1917, con l’incarico di
Comandante in Capo della Marina Militare
italiana, coordinò tutte le operazioni per mare
svolte durante la Prima Guerra Mondiale .
Marinaio, esploratore, alpinista diresse
spedizioni in Alaska (prima scalata del monte
Sant ‘Elia), al Polo Nord con la nave Stella
Polare; in Africa (prima scalata del Ruvenzori);
nel Karakorum dove scoprì per primo la migliore
via d’accesso al K2 .
Il Continente africano rappresentò per il
Duca esploratore la terra promessa. La percorse
fino a scoprire in Etiopia le sorgenti dell’Uebi
nfluen, ed all’Africa dedicò la sua vita .
Arrivato
in
Somalia,
il
Duca
intuì
immediatamente la potenzialità di quella terra e
le capacità del suo popolo oppresso dagli
interessi tribali. Avviò, quindi, con immediatezza
gli atti iniziali a premessa di ciò che, nel giro di
pochi anni, doveva diventare il più grande
esempio di colonizzazione industriale.
45
Lo fece amando quella terra ed il suo
popolo, integrandosi con esso,
rispettandone
costumi, tradizioni e religione.
Determinato e sereno, “somalo fra i
somali”, diresse e coordinò in prima persona
tutte le attività, gestendole con sapiente
equilibrio e con elevata dedizione, così intensa da
spingerlo a decidere di morire ed essere sepolto
fra la sua gente.
Perchè nessuno potesse ostacolare la sua
scelta, il Duca rientrato in Italia nel 1933 per un
breve periodo, informato dai suoi medici di avere
ancora tre mesi di vita per un cancro, non ebbe
esitazioni, andò a Roma a salutare il Re e quindi
ritornò in Somalia per trascorrevi i suoi ultimi
giorni.
I vecchi di JOHAR lo ricordano con
nostalgia ed
affetto. Tutti gli abitanti della
cittadina lo ricordano generoso, disponibile,
preoccupato per la sorte dei suoi collaboratori
italiani e somali.
46
- La tomba del Duca Così racconta un suo vecchio cameriere
somalo, che ne parla rotto dall’emozione dei suoi
83 anni in un pomeriggio di aprile del 1993,
percorrendo le strade della S.A.I.S. è emozionato
ed in un fluente italiano e ricorda quando il Duca
si spense serenamente nella sua villa del
“Villaggio Abruzzi”. Rammenta: “noi somali
tutto questo l’avevamo sognato in tempi
molto passati e lo abbiamo avuto da voi
italiani. L’abbiamo voluto perfetto e per
questo abbiamo lavorato insieme a voi
seguendo le indicazioni del “nostro Capo
Augusto.
Lui il Duca che è stato il padre, l’animatore
e la volontà suprema deve rimanere a
riposare fra noi, in terra somala.
Oggi più che mai questo lo desideriamo nel
momento che guardiamo con sgomento alla
47
distruzione che ci circonda. Oggi guardiamo
alla stele che sovrasta la sua tomba, così
massiccia ed imponente, perchè indichi ai
somali il futuro, perchè guidi i potenti a
governarci
per
ritrovare
un
passato
costruito con fatica distrutto in un lampo
dalla follia umana.”
- Le rovine dell’abitazione del Duca a Johar -
Capitolo VII
La Somalia degli anni ’90
48
Nel 1950 l’ONU affidò
la Somalia in
amministrazione fiduciaria all’Italia .
Dopo dieci anni, nel 1960, con la nascita
della Repubblica Somala iniziarono ad emergere
nel Paese aspirazioni
espansionistiche che
volevano “una
Grande Somalia” e che ben
presto portarono a rivendicazioni territoriali nei
confronti del Kenia, della Somalia francese e
soprattutto dell’Etiopia.
Il movimento indipendentistico, in una
terra dove ancora erano pressanti gli interessi
tribali, iniziò ad alimentare l’instabilità politica e,
ben presto, intaccò la stabilità del Governo
Istituzionale.
Nel 1969 l’occasione favorevole per un
colpo di Stato in seguito del quale fu ucciso il
Presidente Shermarke e portò al potere il
Generale Muhammad Ziad Barre, Costui l’anno
successivo ufficializzò una Giunta Socialista con
poteri pressocchè illimitati, con l’inizio di quella
che i somali ricordano come una delle dittature
più feroci.
L’operato politico di Barre fu , nel tempo e
con forme diverse, appoggiato e favorito da tutti
i Governi socialisti occidentali, fra cui l’Italia.
Nel 1977 le rivendicazioni territoriali, le
smanie espansionistiche verso l’Ogaden, spinsero
la Somalia a dichiare guerra all’Etiopia, che uscì
vittoriosa dopo un lungo e sanguinoso conflitto.
49
L’esito della guerra, i soprusi dittariali ed il
crescente malessere nel Paese spinse molti degli
intellettuali somali ad abbandonare la loro Patria
per
organizzare
all’estero
movimenti
di
dissidenti. Gruppi politici, tutti avversi a Siad
Barre, che ben presto, iniziarono a finanziare
gruppi di guerriglieri in Somalia che si
opponevano al regime. .
Nel 1980, in Gran Bretagna fu costituito
un movimento armato di intellettuali esuli, “il
Somali Movement” ed in Mingiurtina fu fondato
un altro gruppo armato antigovernativo “il Fronte
Democratico per la Salvezza della Somalia
(FOSS)”.
La situazione precipitò velocemente ed in
Somalia iniziò una lotta fratricida che sarebbe
destinata a continuare per decenni, fino ai giorni
nostri. Una guerra civile senza esclusione di
colpi, con omicidi di massa, rapine per
alimentare le cellule della resistenza e lo stupro
per intimorire la popolazione delle campagne.
Il 26 gennaio 1991 Siad Barre
veniva
definitivamente estromesso, fuggiva
in Kenia,
in un momento in cui il mondo occidentale era
disattento su ciò che avveniva nel Corno d’Africa
in quanto impegnato nella Prima Guerra del Golfo
contro Saddam Hussein.
In Somalia, da quel giorno sarà il caos.
L’alba del giorno più lungo che nell’arco dei
successivi 24 mesi avrebbe cancellato le vestigia
antiche e recenti di una Nazione africana della
50
Costa Orientale, che in passato era riuscita ad
ospitare in assoluta tranquillità la convivenza
della cultura islamica e cristiani.
Dal 1991 al 1992 si combatte da Berbera
a Chisimaio, la Nazione vive mesi di feroce e
sanguinosa lotta
come mai non aveva
conosciuto, nemmeno ai tempi del leggendario
Mohamed Ben Addalla Hassan, il mitico “mullah
pazzo”.
Questi due anni hanno visto consumarsi
una delle tragedie più gravi che la storia ricordi,
una delle più feroci guerre civili, che nulla ha
risparmiato e rispettato e che ha visto fratelli
contro fratelli divisi unicamente dalla sorte di
aver sposato donne di tribù diverse. Una guerra
che a distanza di venti anni ancora ha lasciato i
suoi segni con una Nazione allo sbando, ancora
senza una struttura di riferimento di un Governo
stabile ed efficace, in mano a bande di predoni e
di Signori della Guerra.
Crocevia di traffici internazionali illeciti,
ospite preferito delle bande di Al Qaeda in
procinto di espandersi in tutta l’Africa.
Nemmeno l’intervento della Forza Militare
Multinazionale che dette il via all’Operazione
Restore Hope iniziata nel dicembre 1992 è
riuscito a stabilizzare la Regione e restituire ai
somali il diritto di essere una Nazione.
Siad Barre è stato deposto, ma il potere
rimane nelle mani di clan da sempre in lotta fra
51
di loro che non garantiscono nulla di affidabile sul
piano etico e su quello politico.
I Marrehan hanno cercato di sovrastare gli
altri clan e poi a loro volta sono divenuti i
perseguitati, quando tutti gli altri hanno aperto la
caccia ai Darod.
Gli Abgal e gli Habar Ghidir sono pronti a
riprendere i combattimenti in qualsiasi momento,
come hanno fatto in passato per la spartizione di
Mogadiscio .
Si continua ad uccidere per un chilo di riso
o per un sacco di banane mentre imperversano i
crimini attuati per mano dei morian, i ragazzi
sbandati che giungono nelle città dalla boscaglia,
uccidono e ritornano velocemente nella foresta.
52
Ancora oggi spadroneggiano i vari gruppi
tribali del dopo Barre.
Sei i gruppi etnici più nfluenti, tutti vitali
ed operanti in determinate aree del territorio e la
cui esistenza non aiutava e non aiuta tuttora a
risolvere
la
situazione
ereditata
dagli
avvenimenti della metà degli anni ’90.
Nel dicembre del 1992 operava un “non
meglio identificato Governo provvisorio ad
interim”, presieduto dal Generale ALI MAHDI ,
fortemente contrastato dal Generale AIDID,
l’altro “Signore della Guerra” e Presidente del
Congresso Somalo Unito (CSU) . Questultimo si
opponeva ad ogni possibile alleanza
diversa
dalla costituenda Alleanza Nazionale Somala
(ANSI), da lui presieduta e nella quale sono
confluiti gruppi. A costoro si sovrapponeva il
Generale Morgan, genero di Barre che nei pressi
di Chisimaio attendeva che i tempi maturassero
per favorire un ritorno del vecchio dittatore.
Oggi come vedremo in sintesi alla fine
del racconto, poco è cambiato.
Capitolo VIII
Dicembre 1992 – Uno scenario assurdo
L’arrivo in Somalia nella terza decade del
dicembre 1992, ha segnato l’inizio di un incubo
53
per chi, conoscitore dei trascorsi storici del
Paese, ha iniziato il suo viaggio verso l’assurdo.
Rifuggire la retorica è stato il primo
proponimento di chi scrive, ma nel descrivere le
assurdità somale sarebbe forse impossibile
evitarlo del tutto.
In Somalia, in quei giorni ed ancora oggi è
ancora tutto assurdo. Non desta nè emozione nè
reazione assistere ad episodi come quello di un
ragazzino
che
scarica
il
proprio
fucile
mitragliatore contro il ventre di una donna che
ha l’unica colpa di avere con sè un pò di riso.
Il nostro viaggio verso l’assurdo si sta
concludendo, ma perché rimanga incisivo nel
ricordo del lettore come la follia umana sia
capace di provocare spinta solo dal desiderio di
affermazione e di potere, proponiamo una serie
di fotografie, scattate nel periodo dicembre 1992
– novembre 1993.
Immagini riprese nel corso dell’Operazione
Restore Hope, per lasciare una testimonianza ed
un piccolo monito per le generazioni future.
In Somalia non esiste più nulla, solo
desolazione,
distruzione senza confini che
hanno trasformato
un popolo nomade che si
muoveva sulla scia dei monsoni per assicurare
pascoli agli armenti, in un popolo senza meta
alla ricerca solo di cibo ed acqua.
54
Aeroporto
di
Mogadiscio
Una pista che scorre fra la sabbia e le
rovine di quella che fu un’aerostazione
internazionale. Carcasse di aerei, hangar demoliti
e null’altro.
Un paesaggio brullo , caldo, afoso, che
dimostra quanto sia avara la natura del posto,
appena addolcita dalle splendide immagini
dell’Oceano Indiano e dalla brezza che
dall’Oceano porta ossigeno verso la città.
Un ventoche segue le maree e che aiuta a
riposare la notte.
La Capitale, Mogadiscio, che non ha nulla di
una città. Non vi è’ acqua nè energia elettrica,
nessuna parvenza di vita sociale, solo viandanti
sbandati.
55
- Un tratto di costa -
- accampamento di profughi -
56
- Mogadiscio, nel dicembre del 1992 Le colorate case degradanti verso il mare,
un giorno invidiate dalle altre città africane, non
esistono più. Al loro posto solo distruzione ed
immagini di morte.
Nella Mogadiscio alle soglie del 2000 essere
colpiti da un qualsiasi malattia, anche la più
modesta , significa rischiare la vita. La struttura
sanitaria non esiste e l’assistenza medica è
assicurata da associazioni volontarie occidentali e
dalla sanità, militare della Forza Multinazionale.
57
-
quello che rimane di Mogadiscio, visto dall’alto -
- ciò che resta di una fiorente struttura sociale : l’Ospedale -
58
Il quartiere residenziale è ormai un cumulo
di macerie, ma la follia fratricida è stata
“intelligente”; ha risparmiato
“solo le
abitazioni dei potenti sono assolutamente
indenni, quasi non fosse accaduto nulla !”
- una di quello ch era un insediamento residenziale
Ripercorrendo la via Imperiale verso nord,
rimasta immutata dopo più di 60 anni ma con i
segni evidenti di assenza di manutenzione, si
arriva a Joahar, in quello che un giorno fu “ un
giardino nella savana”.
Anche
qui
solo
devastazioni.
Tutto
l’asportabile è stato portato via, ciò che non
poteva essere preso è stato distrutto. Nemmeno
59
il cimitero italiano è stato risparmiato alla ricerca
chissà di quali tesori nascosti nelle tombe.
- una tomba del cimitero italiano Villa Abruzzi. Nel Villaggio la natura si
mantiene inalterata nel tempo, testimone della
sua forza e di momenti migliori, particolare che
sottolinea la nullità dell’uomo e della sua follia
La palazzina della Direzione della S.A.I.S.,
una delle poche non completamente distrutte. La
follia umana l’ha rispettata nell’essenziale, quasi
per un senso di riguardo per ciò che ha
rappresentato l’Azienda per il popolo somalo.
È come se si fosse voluto lasciare un
monito per il futuro, una speranza per le nuove
generazioni a cui è affidato il compito della
rinascita dello Stato somalo.
60
.
- rovine a Johar Ciò che è rimasto ha un solo significato : la
Storia, le tradizioni non possono essere
distrutte, questa certezza deve spingere a
lavorare per ricucire la connessione sociale
di ogni popolo.
Anche l’edificio della Prefettura è stato in
parte risparmiato perché rappresentasse il
ricordo di una presenza amica .
61
- Residenza ed ex Direzione S.A.I.S. Dopo settanta anni l’Italia è ritornata a
Johar ed immediatamente si è riaperto il
tradizionale link con il passato che aveva visto gli
italiani vicino ai somali per aiutare i somali.
- Una tenda dell’Ospedale -
62
Non solo posti di blocco e attività militari,
ma anche e soprattutto un Ospedale Militare da
Campo gestito dalla “Sanità Militare”.
Una bambina somala abbandonata
nel
febbraio del 1993 di fronte all’Ospedale da
Campo italiano. Una delle tante vittime innocenti
della lotta fratricida.
È stata curata dagli italiani e guarita dalla
malaria e dal tetano ed i medici italiani l’hanno
simbolicamente adottata.
- Cecilia , Sorride e guarda felice al futuro I “venti” della guerra civile non hanno
cancellato,
fortunatamente,
l’essenza
della
natura umana. Anche i momenti sereni sono
possibili ed in un villaggio, sulle rive del fiume
63
Uebi Sceseli- Un ritorno al passato con gli
indigeni a fianco degli amici italiani.
- festeggiamenti per un matrimonio -
64
Poco è stato risparmiato dalla
distruzione, ma la stele sulla tomba del Duca
degli Abruzzi ha resistito.
Strappata alla natura da artigiani somali è
stata posta dai somali sulla tomba, perchè nel
tempo non fosse cancellato il ricordo del “Capo
Augusto”, come i vecchi somali chiamavano il
Duca quando ne parlavano.
65
Capitolo IX
Il ritorno della speranza
Le immagini che abbiamo pubblicato
dovrebbero aver reso l’idea di quello che era
stato costruito dall’impegno solidale degli italiani
sbarcati in Somalia e la distruzione attuata dalla
follia umana.
Abbiamo ripercorso insieme tappe del
passato e momenti di un presente ormai lontano,
ma che dimostra che chi ci ha preceduto in nome
dell’Italia non lo ha fatto solo per appropriarsi di
risorse che non gli appartenevano, ma è giunto
in una terra rigogliosa per aiutare il suo popolo a
crescere e prosperare nel tempo.
Giovani e meno giovani, militari di leva ed
in carriera, personale del Corpo Nazionale della
Croce Rossa, nel 1992 sono tornati in Somalia,
coesi ed impegnati a riproporsi per aiutare i
somali a ricostruire ed a riprendere a vivere.
Un’azione iniziata immediatamente e senza
esitazione nelle aree dove il Contingente Militare
italiano era schierato. Mogadiscio, Itala, Bulu
Burdi, Jalalassi e Johar, fra le rovine di città
distrutte e fra le dune del deserto.
A Johar, nei pressi del Villaggio Duca degli
Abruzzi la presenza italiana ha ricalcato il
passato, ha rispolverato nella memoria dei
somali i tempi in cui il “colonizzatore” era anche
colono insieme agli indigeni.
66
Qui gli italiani hanno montato un Ospedale
da Campo che in pochi giorni è divenuto
operativo curando migliaia di indigeni senza
tener conto dei clan di appartenenza, delle
fazioni politiche, ma solo con l’intendimento di
salvare vite umane.
- uno scorcio dell’Ospedale in costruzione Un Ospedale meta quotidiana di centinaia
di persone che percorrevano a piedi per giorni la
savana per affidare le loro donne ed i loro bimbi
alle cure dei medici militari italiani. I vecchi
seguiti dai più giovani chiedevano cure,
chiedevano lavoro perchè erano consapevoli che
l’italiano non imponeva la propria presenza ma
era pronto ad integrarsi con la Nazione
67
Ospite nel pieno rispetto delle tradizioni e
dei costumi, con un unico scopo : quello di
aiutare ed insegnare a crescere.
- visite mediche mattutine Anche il nipote del Duca degli Abruzzi,
Amedeo, è ritornato anche se per un attimo in
quei luoghi, per rendersi conto di ciò che lo zio
aveva fatto per il popolo somalo, per ascoltare i
somali che narravano del passato.
I somali lo hanno accolto con grande
simpatia, lo hanno ricevuto con gli onori del
rango e lo hanno sollecitato a ritornare per
ricominciare da dove il Duca degli Abruzzi aveva
lasciato.
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- Amedeo d’Aosta in Somalia -
- Amedeo d’Aosta fra i somali -
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Anche il vecchio servitore del fondatore del
villaggio Abruzzi si è presentato. Ha timidamente
salutato il giovane Duca, e con le lacrime agli
occhi ha narrato il passato, con nostalgia ed il
rammarico di colui che ha vissuto tempi migliori.
Il cameriere del Duca degli Abruzzi rimasto
accanto al Duca fino alla sua morte, ha voluto
essere vicino al nipote il giorno della visita
servendolo a tavola, simbolo di una continuità
del passato mai interrotta
Per Concludere
Quale sarà il futuro della Somalia,
è
difficile prevederlo. Da quei giorni che abbiamo
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narrato,
la situazione nel Paese
migliorata, piuttosto è aggravata.
non
è
Dopo il ritiro del Contingente Militare
Internazionale altre guerre si sono succedute,
altri eventi tragici hanno caratterizzato gli anni a
seguire che sono riusciti anche a distruggere le
macerie che erano rimaste.
La Somalia è tornata ad essere preda di
bande armate legate ad interessi tribali, alcune
delle quali complici del terrorismo internazionale
ed alle forze di Al Qaeda. Primi fra tutti gli
Harakat al-Shabaab al-Mujahideen (HSM)
molto attivi, vicini al fondamentalismo islamico
ed alla pirateria somala che opera nel Golfo di
Aden.
Sono sicuro che, però, una rinascita ci sarà
perché il popolo la vuole. Sarà tanto più rapida
quanto più rapidamente cesseranno di prevalere
gli interessi tribali ed etnici e potrà iniziare solo
se i "Signori della guerra" fermeranno i loro
uomini e decideranno di affidare la soluzione
delle controversie ai tavoli delle trattative.
Lasciamo al tempo ed alla saggezza degli
uomini la possibilità di riscatto, con la speranza
di riscrivere tra breve un qualcosa diversamente
titolato: viaggio in un mondo resuscitato.
Questa speranza deve essere certezza
perchè il popolo somalo la merita e perchè non
siano vanificati gli sforzi compiuti da chi ci ha
preceduto nella storia.
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Una speranza che non può né deve essere
disattesa. L’Italia ha l’obbligo storico e morale di
impegnarsi in questa direzione per rendere reale
quello che ora è solo un auspicio.
Un dovere da assolvere per non vanificare
il sacrificio di tutti gli italiani che per quella terra
nel ‘900 hanno sacrificato la loro vita. Civili,
tecnici, militari, personale della Croce Rossa
Italiana e giornalisti, caduti in terra somala.
Non disponendo dei nomi di coloro che
sono caduti in Somalia insieme al Duca degli
Abruzzi ai quali rendiamo comunque onore
seppure “Ignoti”, ricordiamo i giovani militari ed i
civili che nel nome dell’Italia hanno sacrificato la
propria
vita
in
occasione
dell’Operazione
internazionale Restore Hope per aiutare i somali.
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ONORE AI CADUTI
Mogadiscio, 13 maggio 1993
Paracatudista Giovanni
STRAMBELLI
Mogadiscio, 2 luglio 1993
S.Ten. Andrea MILLEVOGLI
Serg.Magg. Stefano PAOLICCHI
Paracadutista Pasquale BACCARO
Mogadiscio, 3 agosto 1993
Paracadutista Jonathan MANCINELLI
Mogadiscio, 15 settembre 1993
Caporale para. Giorgio RIGHETTI
Caporale para. Rossano VISIOLI
Ospedale Militare Celio – 31.10. 1993
Serg. Magg. Roberto CUOMO
Mogadiscio, 12 novembre 1993
Maresciallo Capo Vincenzo LI
CAUSI
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Mogadiscio, 9 dicembre 1993
Sorella (CRI) Maria Cristina
LUNETTI
Balad, 6 febbraio 1994
Tenente Giulio RUZZI
Giornalista RAI Ilaria ALPI
Operatore RAI Miran Hrovatin
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