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SERIE MANUALI
Esami • Abilitazioni • Concorsi
1/c
Le domande d’esame di
Diritto
del Lavoro
Quesiti a risposta aperta
per prepararsi alle prove orali
di esami, concorsi e abilitazioni
0
Oltre 48e
rispost e
complet
2011
II Edizione aggiornata
al Collegato Lavoro
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
Estratto della pubblicazione
Gruppo Editoriale
Esselibri - Simone
®
Estratto della pubblicazione
Tutti i diritti riservati
Vietata la riproduzione anche parziale
Avviso agli esaminati
Invia alla redazione Esselibri CountDown (Via F. Russo, n. 33/D - Napoli) oppure via e-mail all’indirizzo [email protected] le domande più originali
o complesse del tuo esame, anche corredate della tua risposta.
I migliori suggerimenti saranno pubblicati.
Ideazione, organizzazione della collana a cura
del dott. Federico del Giudice (docente universitario)
Revisione redazionale a cura della dott.ssa Cristina D’Agostino
Alla precedente edizione ha collaborato il dott. Francesco Taraschi
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di marzo 2011
dalla «INK & PAPER» - Via Censi dell’Arco, 22 - Cercola (NA)
per conto della esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Premessa
Hai letto il manuale?
Lo hai ripassato?
Hai appreso i concetti fondamentali?
Bene … adesso comincia la fase più difficile: quella di attrezzarti al meglio
per rispondere alle domande d’esame.
Sappi che il docente, che ha una visione completa della disciplina, in sede
d’esame si aspetta che il candidato, più che esporre pedissequamente il
singolo istituto, ne individui la ratio, i principi di base, i collegamenti con
altri istituti, operazione non semplice da compiere da parte dell’esaminando, ma di grande effetto.
Ma c’è chi lo fa per te!
Chi utilizza Count Down ha l’opportunità di «meditare», scorrendo le domande sui concetti appresi nella dimensione statica del testo istituzionale e
di rielaborarli sotto l’aspetto dinamico del ragionamento, della riflessione
e del giudizio personale.
Count Down, in sostanza, costituisce un valore aggiunto al manuale, per
trasformare la conoscenza istituzionale in un apprendimento consapevole.
Ecco lo scopo del volume!
Count Down, dunque, non si limita a proporre le domande più «gettonate»,
ma aiuta a ragionare sui singoli concetti ed istituti offrendo soluzioni che
consentono una preparazione che, oltre sulla memoria, si fondi anche sul
ragionamento.
La struttura del volume è la seguente: ad una prima domanda generale,
corredata di un percorso guidato in cui sono indicati i riferimenti normativi e i passaggi salienti per articolare la risposta, seguono domande
di approfondimento e/o collegamento che consentono al candidato
di ampliare il discorso e, soprattutto, con la padronanza acquisita della
materia e con un po’ di machiavellica astuzia, indirizzare l’esame sugli
argomenti sui quali si sente sicuramente preparato.
In bocca al lupo con Count Down!
Estratto della pubblicazione
Vol. 509 • Codice del lavoro • 2011
XI ed. • pp. 1806 • @ 40,00
Questa nuova edizione del codice del lavoro viene data
alle stampe dopo più di un anno dalla precedente, in
quanto lunga e faticosa è stata la gestazione del cd. collegato lavoro (L. 4 novembre 2010, n. 183), che ha inciso
notevolmente e profondamente nella materia lavoristica.
Il presente codice tiene conto, inoltre, delle novità
apportate con i seguenti provvedimenti: D.L. 12-112010, n. 187 (conv. in L. 17-12-2010, n. 217) Nuove
norme in materia di sicurezza pubblica; L. 13-12-2010,
n. 220 Legge di stabilità 2011.
L’opera ha mantenuto la formula di presentazione
sistematica-cronologica dei provvedimenti legislativi,
tratto distintivo rispetto alle raccolte normative di carattere meramente compilativo e da sempre prezioso
ausilio per studenti, partecipanti a pubblici concorsi,
magistrati, avvocati, consulenti del lavoro ed altri operatori del settore.
Il lavoro, ricco di note e richiami intertestuali, si completa con un utilissimo corredo di
indici sistematico, analitico e cronologico.
Vol. 16/1
Compendio di diritto della Previdenza sociale
VIII ed. • 2011
pp. 304 • @ 17,00
Il testo fornisce un quadro completo ed organico del
Diritto della Previdenza sociale, aggiornato ai più recenti e significativi interventi in materia, tra cui quelli
della Legge di stabilità 2011 (L. 220/2010) e del cd.
collegato lavoro (L. 183/2010), nonché al nuovo
regime di decorrenza della pensione dal 1°-1-2011.
La trattazione, che si avvale di un linguaggio semplice e chiaro, è intercalata da quesiti per stimolare
la capacità di ragionamento sugli argomenti più
ricorrenti in sede di esame o di prova concorsuale.
Appositi riquadri riportano gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali più autorevoli e consolidati,
mentre attraverso numerosi schemi e tabelle sono
illustrati e riepilogati gli argomenti più complessi.
Ogni capitolo, inoltre, riporta un questionario finale
per l’autoverifica, passo dopo passo, della preparazione raggiunta.
Per tali caratteristiche il volume è indirizzato principalmente ai corsi universitari, costituendo
al contempo un valido sussidio per uno studio dinamico e agevole in vista di concorsi pubblici.
Estratto della pubblicazione
Parte Prima
Le fonti del diritto del lavoro
1. Come possono essere classificate le fonti del diritto del lavoro?
Nozione: precisare che cosa sono le fonti del diritto del lavoro.
Classificazione: le fonti del diritto del lavoro possono essere suddivise in tre
gruppi:
— fonti internazionali e sovranazionali;
— fonti legislative statuali e regionali;
— fonti contrattuali collettive e individuali.
Domande consequenziali: diritto del lavoro nella Costituzione; trattati e convenzioni internazionali più importanti; usi normativi e usi aziendali; rapporto fra
usi aziendali e contratto collettivo; principio di gerarchia delle fonti nell’ambito
del diritto del lavoro.
Articolazione della risposta
Il diritto del lavoro si caratterizza per il concorso di una molteplicità di
fonti e cioè di atti, tutti dotati, sia pure con un diverso grado di efficacia,
della forza giuridicamente riconosciuta di determinare la concreta regolamentazione del rapporto di lavoro.
Le fonti che concorrono alla formazione del diritto del lavoro possono essere suddivise in tre gruppi.
Appartengono al primo gruppo, le fonti del diritto internazionale sovranazionale. Le norme internazionali di origine consuetudinaria possono
essere considerate fonti dirette del diritto del lavoro ex art. 10 Cost., secondo il quale l’ordinamento si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Le norme internazionali di natura pattizia
(cioè i trattati) sono ritenute, invece, fonti indirette in quanto devono essere ratificate con legge dello Stato per entrare a far parte dell’ordinamento giuridico italiano e ad esse deve essere data esecuzione affinchè diventino applicabili e vincolanti per i singoli individui.
Il diritto dell’Unione Europea è costituito dalle disposizioni dei trattati
istitutivi dell’Unione Europea, così come integrati dalla giurisprudenza
della Corte di Giustizia e da atti successivi, da ultimo dal Trattato di Li-
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Parte Prima
sbona (firmato il 13-12-2007 ed entrato in vigore il 1°-12-2009) che ha
modificato il trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato istitutivo della Comunità europea ridenominato Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), nonché dagli atti emanati dalle istituzioni dell’Unione (regolamenti, direttive e decisioni) (cd. diritto derivato). Il diritto
dell’Unione Europea ha acquisito sempre più importanza come fonte del
diritto del lavoro ed, infatti, gran parte dei provvedimenti adottati negli ultimi anni costituisce attuazione di direttive cui l’Italia è tenuta in forza
dell’appartenenza all’Unione Europea.
Il secondo gruppo è costituito dalle fonti legislative, che possiamo ordinare secondo una gerarchia:
—al vertice la Costituzione la quale, oltre ai principi fondamentali (artt.
1, 3, 4) che fanno del lavoro (non solo subordinato) il valore fondante
della Repubblica, dedica ad esso le disposizioni garantistiche e di tutela del titolo III Parte I: sono gli artt. 35-40 aventi ad oggetto la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, la retribuzione, l’orario di lavoro, il riposo settimanale, le ferie annuali, i diritti delle donne
e dei minori, la previdenza ed assistenza sociale, la tutela dell’attività
sindacale e il diritto di sciopero;
—al secondo posto, la legge ordinaria e gli atti aventi forza di legge quali i decreti legislativi ex art. 76 Cost. e i decreti legge ex art. 77 Cost.,
nonché le leggi regionali, fonti di produzione normativa nei limiti del
nuovo criterio di ripartizione legislativa tra Stato e Regioni introdotto
dalla L. cost. 3/2001;
—infine, vi sono i regolamenti emanati dal Governo a mezzo decreto del
Presidente della Repubblica o dai Ministri, con proprio decreto, ovvero da altre Autorità ove previsto, che hanno efficacia propria degli atti
amministrativi e spesso integrano o danno attuazione alle disposizioni
della legge.
Il terzo gruppo di fonti comprende: a) la contrattazione collettiva, nella
quale i lavoratori e i datori di lavoro sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria (sindacati e associazioni datoriali); b) il contratto
individuale di lavoro, nel quale l’accordo viene raggiunto direttamente tra
il singolo datore di lavoro e il singolo prestatore di lavoro.
Le fonti del diritto del lavoro
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1 bis. Come è disciplinato il diritto al lavoro nella Costituzione?
Il diritto al lavoro è riconosciuto a tutti i cittadini (art. 4, co. 1 Cost.) ed
allo scopo di renderlo effettivo ed operante, la Repubblica promuove tutte le condizioni opportune, eliminando anche gli ostacoli all’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2 Cost.).
Il lavoro è ogni attività o funzione diretta al progresso materiale e spirituale della società e in quanto tale ad esso è attribuita la concreta e significativa rilevanza costituzionale di attività socialmente utile. Significativa di
tale rilevanza è la proclamazione dell’art. 1 Cost. per cui l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
1 ter. Quali sono i trattati e le convenzioni internazionali più importanti in materia di lavoro?
Tra i trattati internazionali di maggiore rilevanza, sottoscritti anche dall’Italia, ricordiamo la Carta Internazionale del Lavoro (1919), aggiornata
dalla Dichiarazione di Filadelfia (1944), la Carta sociale europea (1961),
sottoscritta dai paesi membri del Consiglio d’Europa i quali ne hanno ribadito i principi nel Codice europeo di sicurezza sociale (1964).
Grande rilievo assumono anche le convenzioni stipulate dall’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), a cui appartengono tutti gli Stati
membri dell’ONU.
1 quater.Qual è il valore della consuetudine nel diritto del lavoro?
La consuetudine (o uso) è la ripetizione costante e uniforme di una determinata condotta, con la convinzione dell’obbligatorietà della condotta stessa (cd. usi normativi). Gli usi si applicano in mancanza di disposizioni di
legge o di contratto collettivo (art. 2078 c.c.).
Nella materia del lavoro la consuetudine assume una particolare connotazione in quanto, in deroga alla regola generale secondo cui nelle materie
regolate dalla legge o dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo se da essi
richiamati (art. 8 disp. prel. c.c.), gli usi prevalgono sulle disposizioni di
legge se più favorevoli al prestatore di lavoro (art. 2078 c.c.).
Dagli usi normativi vanno tenuti distinti gli usi aziendali, cioè quelle prassi adottate nei confronti dei lavoratori nell’ambito di una singola azienda,
Estratto della pubblicazione
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Parte Prima
rilevanti ai fini della integrazione del contratto, sulla base della volontà delle parti, ai sensi dell’art. 1340 c.c.
1 quinquies. Gli usi aziendali possono derogare al contratto collettivo?
Sì, gli usi aziendali possono derogare al contratto collettivo solo in quanto più favorevoli. Il contratto individuale integrato dagli usi aziendali non
è soggetto ad eventuali modificazioni peggiorative disposte da pattuizioni
nazionali o aziendali o da atti unilaterali del datore di lavoro a meno che i
lavoratori interessati non acconsentano alla nuova normativa anche con
comportamenti taciti concludenti (Cass. 12-3-1994, n. 2406).
1 sexies.Come opera il principio di gerarchia delle fonti nell’ambito del diritto del lavoro?
Principio cardine del diritto del lavoro è quello del favor prestatoris per
cui al lavoratore, contraente debole del contratto individuale di lavoro, viene accordata una particolare tutela al fine di riequilibrare il diverso peso
contrattuale delle parti.
In attuazione di tale principio, il criterio generale della gerarchia delle fonti,
per cui quella superiore prevale su quella inferiore, non trova piena applicazione nel diritto del lavoro. Nell’ambito del diritto del lavoro, infatti, tra più
fonti contrastanti prevale quella più favorevole per il lavoratore.
Ad esempio è previsto che i contratti individuali possono derogare alla contrattazione collettiva se prevedono disposizioni di maggior favore per il prestatore di lavoro (art. 2077
c.c.) e che gli usi prevalgono sulla legge se più favorevoli per il lavoratore (art. 2078 c.c.).
2. A seguito della L. cost. 3/2001 come sono ripartite le competenze legislative in materia di lavoro tra Stato e Regioni?
Riferimento normativo: art. 117 Cost.
Nozione: chiarire che in seguito alla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione la potestà legislativa tra Stato e Regioni è così ripartita: potere esclusivo
dello Stato; potestà legislativa concorrente; materie residuali di competenza
legislativa esclusiva delle Regioni.
Disciplina: elencare il riparto di competenze tra Regioni e Stato nell’ambito del
lavoro e della previdenza e assistenza; evidenziare che allo Stato è affidato il
compito di stabilire i principi della legislazione da realizzare a livello regionale
per garantire ai lavoratori uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale.
Estratto della pubblicazione
Le fonti del diritto del lavoro
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Articolazione della risposta
La L. cost. 3/2001 ha modificato integralmente il Titolo V della parte seconda della Costituzione, dedicato alle Regioni, Province e Comuni.
La nuova suddivisione della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni
si basa sull’individuazione di: materie in cui lo Stato legifera in modo esclusivo (ben 17 materie); materie in cui vi è una potestà legislativa concorrente (le Regioni sono tenute a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali definiti dalla legislazione statale); materie che appartengono alla
potestà legislativa esclusiva delle Regioni, senza interferenze da parte delle autorità statali.
Quest’ultimo gruppo di materie deve essere ricavato per esclusione e individuato tra quelle non esplicitamente incluse nei primi due elenchi.
Se analizziamo il riparto di competenze solo con riferimento al lavoro e
alla previdenza e assistenza, risulta che:
—sono oggetto della competenza esclusiva dello Stato, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, l’ordinamento civile e la previdenza sociale;
—sono oggetto della competenza concorrente delle Regioni la tutela e
sicurezza del lavoro, la tutela della salute e la previdenza complementare e integrativa. L’esercizio di tale potestà normativa da parte
delle Regioni è subordinato all’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché al rispetto dei principi fondamentali contenuti nella Costituzione, eventualmente definiti con legge statale;
—sono oggetto della competenza esclusiva delle Regioni, le materie non
riservate alla legge statale e alla legislazione regionale concorrente,
compreso il potere di dare attuazione ed esecuzione agli atti dell’Unione Europea nell’osservanza delle procedure stabilite dalla legge dello
Stato (art. 117, co. 5).
3. Che cosa indica il principio della territorialità?
Riferimenti normativi: Convenzione di Roma del 19-6-1980; Regolamento
comunitario n. 593/2008 (avente ad oggetto, all’art. 8, specificamente i contratti
individuali di lavoro).
Estratto della pubblicazione
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Parte Prima
Nozione: si tratta di un criterio che serve a stabilire quale normativa si debba
applicare al rapporto di lavoro nel caso in cui un lavoratore italiano presti la sua
attività all’estero o viceversa se cittadini stranieri lavorano in Italia.
Domande consequenziali: rilevanza pratica del principio.
Articolazione della risposta
Il principio della territorialità (o principio della lex loci laboris) è un criterio di individuazione della normativa applicabile al rapporto di lavoro.
Occorre, infatti, tener presente che è frequente l’ipotesi di lavoratori italiani che prestino la loro attività all’estero o viceversa di cittadini stranieri che
lavorino in Italia: in questi casi, in assenza di una libera scelta della legislazione ad opera delle parti, il criterio applicato è quello della territorialità, in base al quale il rapporto di lavoro è disciplinato dalla legge del Paese in cui il lavoratore svolge abitualmente la sua attività in esecuzione
del contratto.
Tali criteri sono stati stabiliti dalla Convenzione di Roma del 19-6-1980
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, entrata in vigore il 1°4-1991 nella maggioranza degli Stati membri della UE, e sono stati trasposti nel regolamento comunitario n. 593 del 2008, che disciplina in maniera analoga i contratti individuali di lavoro.
3 bis. Qual è la rilevanza pratica del principio della territorialità?
Il principio della territorialità, diffusamente applicato, costituisce una fondamentale forma di prevenzione dello sfruttamento di manodopera retribuita inferiormente rispetto ai lavoratori nazionali.
La sua importanza è evidente se si considera il rischio che imprese provenienti da Stati (es. la Romania) con un basso regime di protezione del lavoro avrebbero potuto operare in Italia, come pure in altri paesi UE, applicando ai propri lavoratori le proprie leggi (meno favorevoli).
4. Cosa s’intende per equità e per “principio del favor prestatoris”?
Nozione: si tratta di criteri interpretativi e non di fonti del diritto del lavoro.
Caratteristiche: evidenziare, anche illustrando alcuni esempi, che l’equità
costituisce un metodo di giudizio del caso concreto e che il favor prestatoris è il
principio fondamentale che permea tutto il diritto del lavoro.
Estratto della pubblicazione
Le fonti del diritto del lavoro
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Articolazione della risposta
Si tratta di due fondamentali criteri di interpretazione della disciplina del
lavoro capaci, in determinate ipotesi, di orientare la decisione sul bilanciamento degli interessi.
L’equità costituisce il criterio interpretativo ed il metodo di giudizio del
caso concreto. Nel diritto del lavoro la legge fa riferimento a tale regola in
talune importanti ipotesi: art. 36 Cost. per determinare la giusta retribuzione, l’art. 2109, co. 2, c.c. per la durata delle ferie annuali, l’art. 2110
c.c. per la determinazione del trattamento retributivo-indennitario in caso
di infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, l’art. 2118 c.c. per la durata del preavviso.
Il potere di decidere secondo equità una controversia può essere conferito
al giudice, oltre che dalla legge, anche dalla concorde volontà delle parti.
Il principio del favor prestatoris caratterizza l’intero ordinamento giuridico del lavoro e si sostanzia nella particolare tutela che, nel contratto
individuale di lavoro, viene accordata al contraente più debole, e cioè
al prestatore, come conseguenza della necessità di riequilibrare il diverso
peso contrattuale delle parti.
L’affermazione più generale di tale principio è contenuta nell’art. 35 della
Costituzione, sul presupposto della subordinazione socio-economica del
lavoratore, che si traduce in una disparità negoziale a vantaggio dell’imprenditore.
Oltre che nella Costituzione, altre affermazioni sono presenti in numerose
disposizioni della legge come, ad esempio, in tema di invalidità delle rinunce e transazioni stipulate durante il rapporto di lavoro (art. 2113 c.c.).
5. Qual è l’efficacia delle direttive emanate dalle istituzioni
dell’Unione Europea sull’ordinamento nazionale in materia
di lavoro?
Nozione: la direttiva costituisce una fonte di diritto derivato che vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva
restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi.
Caratteristiche: necessita di un atto interno che ne trasponga i contenuti nell’ordinamento nazionale.
Domande consequenziali: che cos’è la “legge comunitaria”; principio di non
regresso.
Estratto della pubblicazione
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Parte Prima
Articolazione della risposta
La direttiva rappresenta un indirizzo vincolante per gli Stati membri (al
singolo Stato o a tutti gli Stati), i quali, però, sono liberi di scegliere — in
ordine alla finalità da realizzare — il concreto modo di attuazione conformemente ai sistemi giuridici esistenti nei singoli Paesi.
In base ai principi formatisi attraverso la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in relazione alle problematiche scaturenti dalla stretta
integrazione tra l’ordinamento dell’Unione Europea e quello degli Stati
membri, si è giunti ad affermare che la direttiva è direttamente efficace
nell’ordinamento nazionale. Le condizioni indispensabili affinché tale
efficacia possa essere riconosciuta sono:
—che la direttiva imponga agli Stati membri degli obblighi sufficientemente chiari e precisi, come nel caso delle direttive dettagliate (casi in
cui le disposizioni di una direttiva sono incondizionate e sufficientemente precise);
—chiarisce il contenuto di un obbligo già previsto;
—pone a carico degli Stati membri l’obbligo di astenersi dall’approvare
determinati atti o dal compiere specifiche azioni (si tratta di un obbligo
di non facere).
L’efficacia diretta delle direttive, che necessitano di un atto interno di recepimento, riguarda i rapporti tra i cittadini e lo Stato (effetto verticale
delle direttive) sempre che da esse derivino norme più favorevoli per i cittadini rispetto alla normativa interna che non è stata adeguata.
Ciò comporta in primo luogo che, decorso inutilmente il termine fissato
per dare attuazione alla direttiva, i singoli possono far valere in giudizio i
diritti precisi ed incondizionati che derivano loro dalla direttiva. In secondo luogo, per le autorità nazionali sussiste il divieto di opporre qualunque
disposizione interna non conforme ad una disposizione della direttiva che
imponga obblighi precisi ed incondizionati.
5 bis. Che cos’è la “legge comunitaria” ?
Necessitando di adattamento per produrre effetti nel diritto interno, le direttive devono essere recepite. Ciò avviene trasponendone il contenuto in
un atto interno (legge, decreto legislativo, decreto legge, atto amministrativo) secondo criteri e modalità procedurali oggi disciplinate dalla L. 4-2-
Le fonti del diritto del lavoro
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2005, n. 11 (che ha sostituito la L. 86/1989, cd. legge “La Pergola”): il Governo ogni anno presenta al Parlamento un disegno di legge, cd. legge comunitaria, per l’attuazione delle norme comunitarie.
Tale atto è imprescindibile in quanto le direttive sono prive di qualsiasi
effetto orizzontale e, pertanto, non hanno effetti tra privati se manca una
disposizione nazionale di recepimento. La responsabilità per la mancata
attuazione della direttiva è configurabile solo in capo allo Stato e, in assenza di provvedimenti di attuazione, un privato non può fondare su una direttiva un diritto nei confronti di un altro privato, né può farlo valere dinanzi a un giudice nazionale.
5 ter. È possibile, in attuazione del diritto dell’Unione Europea, introdurre norme più sfavorevoli per i lavoratori rispetto a quanto già previsto dall’ordinamento interno?
No, in quanto il recepimento della normativa dell’Unione Europea nella
legislazione interna deve avvenire comunque salvaguardando il livello di
tutela dei lavoratori già esistente nel Paese di modo che dall’attuazione
delle direttive comunitarie non possa derivare un arretramento del livello
generale di protezione in un determinato ambito (cd. principio di non regresso).
6. Qual è il significato del principio dell’Unione Europea della
“libera circolazione dei lavoratori”?
Nozione: si tratta di una garanzia fondamentale dell’ordinamento dell’Unione
Europea, che assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea ed implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla
nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la
retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
Domande consequenziali: applicazione del principio nell’ambito della Pubblica
Amministrazione.
Il principio della libertà di circolazione dei lavoratori persegue l’obiettivo di tutelare gli individui che intendono esercitare nel territorio di
uno Stato membro una attività economica o lavorativa e ciò con riferimento ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e agli imprenditori
e agli esercenti attività professionale o arti.
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Parte Prima
Alla libertà di circolazione sono strettamente connessi:
—il diritto di rispondere a offerte di lavoro effettive;
—il diritto di spostarsi liberamente al tal fine nel territorio degli Stati membri;
—il diritto di soggiornare in uno degli Stati membri al fine di svolgervi
un’attività di lavoro alle stesse condizioni stabilite per i lavoratori nazionali;
—il diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
Il regolamento 15-10-1968, n. 1612, che ancora oggi reca la disciplina fondamentale della materia, estende il diritto alla libera circolazione ai familiari del lavoratore, anche se cittadini di Stati terzi, sia quelli appartenenti
al nucleo familiare (coniuge e discendenti) che a carico del lavoratore o viventi nella sua casa. Lo stesso regolamento contempla il diritto del lavoratore dell’Unione Europea alla parità di trattamento rispetto ai lavoratori
nazionali in riferimento alla retribuzione alle condizioni di accesso e di
svolgimento del lavoro. Attualmente il diritto di circolazione e soggiorno
dei cittadini dell’UE è disciplinato, in attuazione della dir. 2004/38/CE, dal
D.Lgs. 6-2-2007, n. 30. Con tale decreto sono disciplinate le modalità di
esercizio di libera circolazione, ingresso, soggiorno temporaneo e permanente, nel territorio degli Stati membri, dei cittadini dell’Unione Europea
e dei loro familiari che li accompagnano o li raggiungono, nonché le limitazioni di tali diritti per motivi di ordine pubblico e sicurezza pubblica.
6 bis.Il principio di libertà di circolazione si applica anche in relazione al pubblico impiego?
No. Tutta la normativa sulla libera mobilità dei lavoratori non è applicabile agli impieghi nella Pubblica Amministrazione.
Ciò in armonia con gli ordinamenti interni dei singoli Stati membri che per
lo più escludono gli stranieri dagli impieghi pubblici. In Italia, ai sensi degli artt. 51 Cost., 38 D.Lgs. 165/2001 e successive disposizioni regolamentari, è permesso ai cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea accedere agli impieghi presso le Pubbliche Amministrazioni, purché essi non
comportino l’esercizio di pubblici poteri e non attengano alla tutela dell’interesse nazionale (ad es. la magistratura ordinaria, la difesa etc.).
Estratto della pubblicazione
Parte Seconda
Il lavoro subordinato
1. Come si definisce il lavoro subordinato?
Riferimento normativo: art. 2094 c.c.
Nozione: evidenziare che il codice civile definisce il lavoratore subordinato ma
non il lavoro subordinato.
Distinzioni: chiarire che la dottrina e la giurisprudenza hanno concepito diverse
definizioni del lavoro subordinato a seconda della rilevanza data a ciascuno degli
elementi indicati dall’art. 2094 c.c.
Domande conseguenziali: tutele del lavoro subordinato; presunzione di onerosità del lavoro subordinato.
Articolazione della risposta
Il codice civile non detta una nozione di lavoro subordinato, ma si limita
ad una definizione di lavoratore subordinato individuato all’art. 2094 c.c.
in colui che lavora, contro retribuzione, alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro.
La concezione tradizionale identifica la subordinazione con l’eterodirezione della prestazione lavorativa. Secondo questa tesi, il rapporto di lavoro è subordinato quando il lavoratore è sottoposto alle direttive del datore cui spetta di determinare le modalità di esplicazione dell’attività lavorativa, entro i limiti fissati dalla legge e dal contratto collettivo a tutela della personalità e della dignità del lavoratore. A tal proposito si parla di subordinazione tecnico-funzionale.
Partendo da tale assunto, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di
giungere ad una definizione generale più adeguata ai tempi attuali di subordinazione.
È stata quindi affermata la tesi della subordinazione in senso stretto che
consiste nel requisito della estraneità del lavoratore subordinato, rispetto sia all’organizzazione produttiva in cui è inserita la prestazione che al
risultato della stessa. Secondo la concezione moderna, dunque, l’imputazione al datore di lavoro dell’attività svolta dal prestatore rappresenta
il carattere principale del lavoro subordinato.
Estratto della pubblicazione
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Parte Seconda
1 bis. Quali sono le tutele di cui gode il lavoratore subordinato?
I principali effetti giuridici della qualificazione del rapporto di lavoro come
lavoro subordinato scaturiscono da una disciplina caratterizzata da una
marcata finalità protettiva e garantista, nettamente distinta da quella applicata al lavoro autonomo.
In particolare:
—all’atto della instaurazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di registrare i lavoratori nel libro unico del lavoro e di comunicare agli uffici competenti l’avvenuta assunzione;
—il lavoratore deve essere inquadrato, vale a dire che, all’atto dell’assunzione, devono essere determinate la qualifica e la categoria;
—il datore deve corrispondere al lavoratore una retribuzione non inferiore agli importi previsti dal contratto collettivo di categoria (e comunque
proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato);
—nell’organizzazione dell’attività lavorativa il datore di lavoro deve osservare le limitazioni in materia di durata del lavoro, accordando al
prestatore i riposi giornalieri, settimanali e annuali (ferie) stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
—il lavoratore subordinato beneficia di una speciale tutela previdenziale che si realizza mediante le cd. assicurazioni sociali obbligatorie;
—il datore di lavoro è obbligato a provvedere al finanziamento delle assicurazioni sociali, mediante il pagamento dei contributi previdenziali
e dei premi assicurativi;
—l’estinzione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro non è
libera, ma è subordinata alla sussistenza di una giusta causa e di un
giustificato motivo (L. 604/1966 e art. 18 L. 300/1970);
—in caso di controversia avente origine dal rapporto di lavoro, si applica
un rito speciale (art. 409 ss. c.p.c.), diverso da quello ordinario, perché
è finalizzato a garantire una celere risoluzione della vertenza per l’immediata soddisfazione dei diritti del lavoratore.
1 ter. Cosa si intende per presunzione di onerosità del lavoro subordinato?
Una delle caratteristiche fondamentali desumibili dall’art. 2094 c.c. è l’onerosità della prestazione.
Il lavoro subordinato
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Pertanto, ogni attività che si configura oggettivamente come prestazione
di lavoro si presume svolta a titolo oneroso.
Si tratta di una presunzione che si basa sui criteri della normalità, apparenza e buona fede ed è un principio avente carattere generale, applicabile non solo a favore del lavoratore, ma anche a carico dello stesso, quando
è il datore di lavoro ad avere interesse a dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro (Cass. 3-8-2004, n. 14849).
La presunzione opera quindi nel senso che la parte che intende dimostrare
l’esistenza di un rapporto diverso da quello subordinato, e quindi gratuito, deve rigorosamente dimostrarlo (es. il volontariato per comuni finalità ideali, con correlativa gratuità della stessa attività).
È consentito dunque ricondurre la prestazione ad un rapporto diverso istituito affectionis vel benevolentiae causa, che si caratterizza per la gratuità
della prestazione resa.
In tal caso, secondo la giurisprudenza, non rileva il grado maggiore o minore di subordinazione, cooperazione o inserimento del prestatore di lavoro, ma solo la sussistenza o meno della finalità ideale o religiosa rispetto a
quella lucrativa (Cass. 20-2-2006, n. 3602).
In tale quadro assume dunque rilievo decisivo l’esistenza o meno di cause giustificatrici, sul piano giuridico-sociale, della prestazione gratuita (finalità ideali e
non lucrative delle prestazioni, ricollegabili, ad esempio, a vincoli di solidarietà
familiare, sociale o politica), poiché, in assenza delle stesse a giustificazione di
una prestazione oggettivamente configurabile come lavorativa, deve ritenersi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. 11045/2000).
2. Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato,
quale rilievo assume la denominazione attribuita dalle parti
al contratto?
Nozione: la denominazione attribuita dalle parti al contratto è irrilevante ai fini
della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato.
Disciplina: precisare che il nomen iuris, pur non avendo valore deciso e sufficiente, deve essere preso in considerazione nell’indagine relativa alla natura
del rapporto.
Domande consequenziali: indici giurisprudenziali di subordinazione; principali
elementi distintivi tra lavoro autonomo e subordinato; carattere saltuario della
prestazione come indice di autonomia.
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Parte Seconda
Articolazione della risposta
La giurisprudenza tendenzialmente ritiene che per stabilire la natura del
rapporto di lavoro sia irrilevante la denominazione (autonomo o subordinato) attribuita dalle parti al contratto (cd. volontà cartolare o nomen iuris). Ciò in ossequio al principio generale in base al quale si deve privilegiare il comportamento che esse hanno avuto durante lo svolgimento
del rapporto rispetto alla volontà che avevano manifestato al momento
della stipulazione del contratto.
Infatti, la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti all’atto della stipulazione del contratto non è determinante, perché nei rapporti di durata
(come è il rapporto di lavoro) il comportamento delle parti è rilevante per
esprimere sia una volontà contrattuale diversa, sia una nuova realtà fattuale (Cass. 28-7-2008, n. 20532).
Tuttavia, quando la configurazione che il rapporto ha avuto nei fatti appare dubbia, non ben definita o non decisiva, l’indagine deve essere svolta
in modo più accurato proprio sulla volontà espressa dalle parti in sede di
costituzione del rapporto.
Si è ritenuto, inoltre, che il nomen iuris assuma una incidenza decisoria
qualora i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali (delle quali
una sia quella del rapporto di lavoro subordinato) siano difficilmente tracciabili.
Ciò accade, ad esempio, quando si deve accertare se un’attività lavorativa, esercitata nell’ambito di rapporti associativi, è stata prestata o meno con vincolo di subordinazione (Cass.
18-4-2007, n. 9254).
2 bis. Quali sono gli indici di subordinazione elaborati dalla giurisprudenza e qual è la loro efficacia?
Per distinguere tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, occorre verificare se, in base alle modalità di svolgimento della prestazione, esista o meno
il vincolo di subordinazione.
Per facilitare questa operazione, la giurisprudenza ha individuato nel corso degli anni una serie di indici che, se riscontrati nello svolgimento del
rapporto di lavoro, ne rivelano la natura subordinata, quali (Cass.
8028/2003, Cass. 5495/2006):
—l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato;
—la collaborazione;
Il lavoro subordinato
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—l’assenza del rischio in capo al lavoratore;
—la continuità della prestazione;
—la cadenza e la misura fissa della retribuzione;
—l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva;
—il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato
all’impresa dal datore di lavoro.
Tali indici sono però solo elementi sussidiari, con un rilievo cioè secondario rispetto all’unico elemento avente valore determinante per la dimostrazione dell’esistenza del vincolo di subordinazione: l’assoggettamento
del lavoratore al potere di direzione, organizzativo e disciplinare del
datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione aziendale (Cass. 10313/2008).
2 ter. Quali sono le principali differenze tra il lavoro autonomo ed
il lavoro subordinato?
Tradizionalmente, la distinzione tra i due generi, del lavoro subordinato e
del lavoro autonomo, si riconduceva al fine dell’attività lavorativa, le stesse opere del prestatore nel primo caso (cd. locatio operarum), un risultato
nel secondo (cd. locatio operis o contratto d’opera).
Attualmente i principali elementi distintivi tra lavoro subordinato e lavoro
autonomo si possono riassumere tenendo presente i seguenti aspetti:
—posizione del lavoratore che, nel lavoro subordinato, è di subordinazione al potere direttivo e di controllo del datore che predetermina le
modalità di erogazione della prestazione di lavoro, mentre, nel lavoro
autonomo, è di autonomia nella gestione, avendo egli la piena discrezionalità in merito al tempo, al luogo e al modo di organizzazione della propria attività;
—organizzazione d’impresa, che difetta sempre nel lavoro subordinato,
ma che invece può caratterizzare il lavoro autonomo;
—incidenza del rischio attinente all’esercizio dell’attività produttiva, rispetto al quale il lavoratore subordinato è del tutto esonerato, mentre ricade completamente sul lavoratore autonomo;
—determinazione del corrispettivo che nel lavoro subordinato avviene
normalmente a tempo, senza alcuna correlazione con il risultato finale,
mentre nel lavoro autonomo si basa sul risultato finale a prescindere dal
tempo che il lavoratore impiega.
Estratto della pubblicazione
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Parte Seconda
2 quater.Il carattere saltuario della prestazione esclude la subordinazione?
No: la Cassazione, infatti, ha affermato che il carattere saltuario dell’attività lavorativa non è un elemento idoneo a consentire la qualificazione
del rapporto nel senso dell’autonomia (Cass., sez. lav., 21031/2008).
Peraltro, già in precedenza la Suprema Corte aveva affermato la natura subordinata di rapporti di lavoro che durano una sola giornata o anche
parte di essa, e che si caratterizzano non per la loro durata nel tempo, di
per sé irrilevante, ma per la disponibilità del prestatore nei confronti del
datore con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa la corretta esecuzione del lavoro (cd. eterodirezione) (Cass. 7304/1999).
3. Quali sono i caratteri essenziali del lavoro parasubordinato?
Riferimento normativo: art. 409 c.p.c.
Nozione: chiarire che si tratta di un lavoro autonomo anche se svolto con modalità simili al lavoro subordinato.
Caratteri: la prestazione lavorativa deve essere prevalentemente personale,
continuativa e coordinata.
Elementi da evidenziare: si tratta di una categoria costruita dalla dottrina e
dalla giurisprudenza; il primo riconoscimento normativo ricevuto; forma tipica di
parasubordinazione è il rapporto di agenzia e di rappresentanza commerciale;
la denominazione assunta comunemente di co.co.co.
Domande consequenziali: tutele e garanzie applicabili.
Articolazione della risposta
Il lavoro parasubordinato consiste in una prestazione autonoma, anche se
per le modalità in cui viene svolta e, soprattutto, per la posizione di dipendenza economica del lavoratore nei confronti del committente, è stata avvicinata alla fattispecie del lavoro subordinato.
La dottrina e la giurisprudenza hanno così creato la categoria della parasubordinazione che ha avuto il primo riconoscimento normativo dall’art.
409 c.p.c. che ha esteso ad essa la medesima tutela processuale assicurata
al lavoro subordinato e ne ha definito altresì gli elementi caratterizzanti.
Estratto della pubblicazione
Il lavoro subordinato
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Ne deriva che la forma tipica della parasubordinazione è quella del rapporto di agenzia e di rappresentanza commerciale, ma nell’ambito di tale categoria rientrano anche tutti i rapporti in cui la prestazione lavorativa deve
presentare i seguenti requisiti:
—una prestazione di lavoro prevalentemente personale anche se non a
carattere subordinato;
—una prestazione continuativa, cioè non occasionale, che si ripete in un
determinato periodo di tempo, anche se non di lunga durata;
—e coordinata con l’attività del committente.
A differenza del lavoro subordinato, però, nella parasubordinazione la coordinazione
non è connessa al potere direttivo del committente.
Il lavoro parasubordinato, per le caratteristiche che lo contraddistinguono,
è denominato anche collaborazione coordinata e continuativa (cd. co.co.
co.).
3 bis.I lavoratori parasubordinati beneficiano delle stesse tutele e
garanzie dei lavoratori subordinati?
No, in quanto i rapporti di parasubordinazione, nonostante la similitudine
con quelli di lavoro subordinato, non possono essere equiparati agli stessi sotto il profilo delle tutele e delle garanzie.
Inizialmente, le norme applicabili hanno riguardato soltanto il rito del lavoro (art. 409 c.p.c. e ss.), compreso il tentativo di conciliazione (art. 410
c.p.c.), e gli istituti di natura sostanziale della invalidità delle rinunce e
transazioni concernenti i diritti indisponibili del lavoratore (art. 2113 c.c.)
e del diritto alla rivalutazione dei crediti di lavoro (art. 429 c.p.c.) e agli
interessi legali in caso di condanna del datore di lavoro a pagare somme
non corrisposte al prestatore.
Successivamente questo scarno quadro di tutele è stato integrato da disposizioni relative alla tutela previdenziale: l’assicurazione generale obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali è stata estesa anche
ai lavoratori parasubordinati ed è stata istituita presso l’INPS una apposita Gestione separata per erogare a tali lavoratori alcune prestazioni economiche proprie del lavoro subordinato quali: l’assegno per il nucleo familiare, l’indennità di maternità e l’indennità di malattia, nonché le prestazioni pensionistiche di invalidità, vecchiaia e superstiti.
22
Parte Seconda
4. Che cos’è il lavoro a progetto?
Riferimenti normativi: artt. 61-69 D.Lgs. 276/2003.
Nozione: è la tipologia contrattuale entro cui devono essere ricondotti i rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa.
Elementi da evidenziare: precisare la natura autonoma del lavoro a progetto;
chiarire che si tratta semplicemente di una modalità operativa delle collaborazioni
coordinate e continuative, introdotta dalla legge per contrastare il fenomeno
delle finte co.co.co.
Domande consequenziali: conseguenze della mancanza del progetto campo
di applicazione del contratto di lavoro a progetto; individuazione delle mini co.co.
co.; previsioni della L. 183/2010, cd. collegato lavoro, in materia di contenzioso.
Articolazione della risposta
È un contratto di lavoro di natura autonoma, introdotto dal D.Lgs.
276/2003, la cui stipulazione è divenuta imprescindibile per la realizzazione di un autentico rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (cd.
co.co.co.).
Il contratto di lavoro a progetto rappresenta, quindi, la veste formale imposta dalla legge ai rapporti di parasubordinazione, al fine di porre un freno al diffondersi di forme generiche di collaborazione, in cui facilmente
possono essere mascherati rapporti di lavoro in realtà subordinati.
Il D.Lgs. 276/2003 stabilisce che i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici e programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione.
Il lavoro a progetto costituisce dunque soltanto una nuova modalità di
svolgimento della prestazione lavorativa del collaboratore, in quanto non
si è dato vita ad un nuovo genere di lavoro.
Per effetto dell’introduzione del lavoro a progetto sono vietati i rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa atipici, cioè stipulati senza
l’osservanza della disciplina del lavoro a progetto.
Estratto della pubblicazione
Il lavoro subordinato
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4 bis. Cosa accade in mancanza del progetto?
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso,
sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
La mancanza del progetto opera quindi come una presunzione legale circa la natura subordinata del rapporto e, coerentemente, il legislatore impone che esso assuma la veste giuridica del lavoro subordinato.
Sulla natura della presunzione, se essa debba considerarsi assoluta o relativa, non vi è univocità di opinioni. La questione non è di poco conto, perché, nel primo caso (presunzione
assoluta), il datore di lavoro/committente non potrà in alcun modo dimostrare che il rapporto di lavoro si è svolto con modalità diverse da quelle caratterizzanti il lavoro subordinato, mentre nel secondo caso (presunzione relativa), la dimostrazione sulla natura autonoma del rapporto di lavoro gli è invece consentita. In tale ultimo senso, si è mossa l’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro (circ. 1/2004), secondo cui il committente può fornire in giudizio la prova che il rapporto di lavoro è comunque effettivamente autonomo e,
in tal modo, superare la presunzione stabilita dalla legge. La giurisprudenza, soprattutto
quella più recente, ha al contrario ritenuto che la presunzione in esame sia, invece, da considerarsi assoluta (v. Trib. Milano sent. 2-2-2007, n. 320 e sent. 5-2-2007, n. 337).
4 ter.A quali rapporti di co.co.co. non si applica la disciplina del lavoro a progetto?
Tra il lavoro a progetto e la parasubordinazione non esiste una perfetta coincidenza, poiché esistono dei rapporti di co.co.co. che non presentando particolari rischi di elusione della normativa inderogabile del diritto del lavoro, non sono stati ricondotti alla disciplina del lavoro a progetto.
Sono infatti esclusi dal campo di applicazione del lavoro a progetto:
—l’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi;
—i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche, quelli degli
amministratori e sindaci e dei partecipanti a collegi e commissioni,
nonché dei titolari di pensione di vecchiaia;
—i rapporti di co.co.co. stipulati con la P.A.;
—i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale cui si applica
la disciplina specifica prevista dal codice civile e dalla legge;
Estratto della pubblicazione
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Parte Seconda
—le collaborazioni occasionali, previste dall’art. 61, co. 2, D.Lgs.
276/2003.
4 quater.A seguito della L. 183/2010 cosa si intende per mini co.co.
co.?
Per mini co.co.co. si intendono le collaborazioni occasionali che hanno
una portata limitata e che infatti l’art. 61 D.Lgs. 276/2003 individua in:
rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare e da un compenso complessivo inferiore a euro 5.000, con riferimento allo stesso committente.
A seguito della L. 4-11-2010, n. 183, cd. collegato lavoro, (art. 48), inoltre, sono comprese anche le prestazioni rese nell’ambito dei servizi di
cura e assistenza alla persona di durata non superiore a 240 ore.
4 quinquies.Cosa ha previsto la L. 183/2010 in materia di contenzioso?
La L. 183/2010, cd. collegato lavoro, (art. 50) ha previsto che al collaboratore, nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di
co.co.co., sia dovuto solo un indennizzo di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’art. 8 L. 604/1966 (sui licenziamenti individuali).
In particolare, la disposizione si applica, fatte salve le sentenze passate in
giudicato, alle controversie relative a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa compresi quelli riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, per i quali il datore di lavoro abbia offerto:
—la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ex L. 296/2006 (art.
1, co.1202-1210) (cd. stabilizzazione) entro il 30-9-2008;
—la conversione a tempo indeterminato del contratto in corso dopo la data
di entrata in vigore della L. 183/2010;
—l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle
svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere.
Estratto della pubblicazione

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