Stupri nei college USA - Centro Antiviolenza Angelita

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Stupri nei college USA - Centro Antiviolenza Angelita
College, accademia degli stupri. Troppe violenze: la
brutta lezione dei campus Usa. Ma le denunce si
insabbiano per non perdere i fondi
Paola Ceccarelli 17 -05-2016 - www.lanotiziagiornale.it
Avete presente Rory della serie tv americana
Gilmore Girls (in Italia tradotta come Una mamma
per amica)? Una delle scene più commoventi è
quando lei arriva ad Harvard il primo giorno e
saluta mamma Lorelei in lacrime. Niente di male
succederà a Rory, da quel momento in poi, ma
nella vita reale sono state tante le Rory che non
hanno potuto dire la stessa cosa e hanno visto il
loro sogno accademico tramutarsi in un orribile
incubo.
I college americani sono stati infatti nominati uno dei posti più pericolosi per le ragazze: il
numero di stupri che si verificano è così allarmante ed in crescita che la Casa Bianca lo
scorso anno ha istituito Not Alone, una task force mirata a portare allo scoperto questa
realtà ancora troppo sommersa e sfuggente. La ricerca ha raccolto dati da un campione di
20mila ragazze e 8mila ragazzi in 30 top college. I dati sono inquietanti: non solo una
ragazza su 4 è stata violentata ma una su 5 ha dichiarato di essere stata oggetto di
molestie sessuali o aggressioni verbali o di aver subito intimidazioni e stalking, anche
online. Non solo: un terzo delle studentesse ne è rimasta vittima per ben due volte e si è
registrato un aumento di violenze sessuali a studenti omosessuali e transgender.
IN PERICOLO – Il periodo più pericoloso, quello chiamato Red Zone, va dal primo giorno
di orientamento a fine agosto quando le ragazze arrivano ai campus per il loro primo anno,
o fresh year, e la fine di novembre quando tutti tornano a casa per la Festa del
Ringraziamento. In questi mesi le ragazze sono le più vulnerabili e confuse senza punti di
riferimento o amicizie. Sono fresh meat (carne fresca) come vengono crudelmente
chiamate in gergo studentesco. Le sororities (organizzazioni di sole studentesse) offrono
sì appoggio e consigli ma non tutte le ragazze vogliono farne parte o possono
permettersene l’iscrizione o vengono accettate. La maggioranza è quindi lasciata sola a se
stessa e soprattutto da parte di dovrebbe salvaguardarne l’integrità fisica. Infatti uno dei
dati più clamorosi raccolti da un’altra indagine avviata lo scorso anno per verificare
l’applicazione della Cleary Act Law (varata nel 1990 con precise direttive in questo ambito)
ha evidenziato proprio la totale indifferenza dei college verso le denunce di stupri e abusi
sessuali. Un incredibile 91% di quest’ultimi ha infatti dichiarato di non aver mai avuto casi
del genere nei loro campus. Niente. Tutto è stato rose e fiori in classe e fuori delle lezioni.
Come è stata possibile questa lampante discrepanza di dati, si sono chiesti alla Casa
Bianca? La ragione è chiara: la paura di venire stigmatizzati come i “campus degli stupri”
con la conseguente perdita di finanziamenti pubblici e/o privati dovuti al comprensibile calo
delle richieste di ammissioni da parte di studentesse e la potenziale perdita di prestigio
sociale ed accademico ha causato per anni una generale politica dello struzzo da parte
delle amministrazioni. I college sono soprattutto enormi macchine finanziarie.
RAGAZZA CORAGGIO – Ma una studentessa della Columbia University lo scorso anno
ha detto basta e ha dato una spallata a questo muro di omertà. Emma Sulkowicz fu
violentata nel suo dormitorio da uno studente del suo stesso corso e aveva cercato di
ottenere giustizia da parte dell’amministrazione. Dopo i continui insabbiamenti delle sue
denunce, Emma dichiarò che avrebbe trascinato con sé per tutto il campus e a lezione il
materasso su cui era stata stuprata fino a che il college non avesse espulso il suo
violentatore. E così fece per mesi e si portò il materasso anche alla cerimonia di consegna
della laurea dove si rifiutò di stringere la mano al preside della Columbia. Tra parentesi: il
suo violentatore non fu espulso e si laureò come lei. Ma la storia di Emma balzò alla
cronaca nazionale grazie soprattutto ad internet e comitati di studentesse si moltiplicarono
nei college. Quest’anno la Casa Bianca ha annunciato che sottoporrà a scrutinio altri 200
college. Insomma, il tappo di silenzio sembra finalmente saltato. Con sempre più dati ed
informazioni a portata di mano si spera che le liceali americane possano scegliere con più
cognizione di causa il college dei loro sogni per evitare che anche per loro si tramutino in
incubo.
Violenza sessuale, la California verso una legge contro
gli stupri nei college ( da Il Fatto Quotidiano.it)
di Roberto Festa 30-09-2014
Una studentessa
americana su cinque,
secondo dati diffusi lo
scorso luglio, subisce una
qualche forma di abuso.
La norma è stata
concepita da un senatore
democratico dello Stato,
Kevin de Leon, che ora
spiega che lo Stato non
permetterà più che le
università “nascondano lo sporco sotto il tappeto”
Il consenso all’atto sessuale deve essere “affermativo, cosciente e volontario”. Con questa formula
la California spera arginare uno dei fenomeni più brutali e diffusi nei campus americani: quello
degli stupri. Una studentessa americana su cinque, secondo dati diffusi lo scorso luglio, subisce
una qualche forma di violenza sessuale. Le università hanno in questi anni spesso preferito non
prendere provvedimenti, lasciando correre e in alcuni casi anche occultando. D’ora in poi, almeno
nei college californiani, la musica dovrebbe cambiare: qualsiasi avance sessuale, che non ottenga
un esplicito via libera, potrà essere considerata violenza. La legge è stata concepita da un
senatore democratico dello Stato, Kevin de Leon, che ora spiega che “ogni studente merita un
contesto di apprendimento sicuro” e che la California non permetterà più che le università
“nascondano lo sporco sotto il tappeto”. La legge si applica infatti non soltanto alle università
pubbliche, ma anche a quelle private che ricevano finanziamenti da parte del governo di
Sacramento.
“Non significa no”, prima l’onere della prova spettava alla vittima. A detta di de Leon, il
provvedimento ribalta soprattutto un concetto: da “no means no” a “yes means yes”. In
precedenza, infatti, si poteva parlare di violenza sessuale soltanto nei casi in cui da parte della
vittima c’era stata una forma di resistenza esplicita e non equivocabile: “no significa no”,
appunto. L’onere della prova, in questi casi, poggiava comunque sulla vittima stessa, che doveva
dimostrare di aver opposto resistenza e di essere stata sopraffatta. La nuova legge riconosce i
limiti di questa visione. La vittima “potrebbe esser troppo terrorizzata per dire di no”, ha spiegato de
Leon, “ed è molto difficile dire di no quando sei ubriaco o quando qualcuno ti ha fatto cadere
qualcosa nel bicchiere”. Di qui, quindi, il nuovo corso. Il consenso deve essere esplicito, anche se
non per forza verbale, e deve venire da una persona che sia nel perfetto possesso delle sue
facoltà.
“Non si tratta di un contratto di letto”, ha spiegato Meghan Warner, una studentessa impegnata a
favore della legge, ma di un modo per garantire che il sesso sia davvero consensuale e che non
si considerino violenza sessuale soltanto forme di assalto “estremamente violente”. Il rilievo “non si
tratta di un contratto di letto” non è d’altra parte casuale, ed è fatto per arginare eventuali critiche e
ironie. Il tema del “sesso per consenso” è stato infatti uno degli obiettivi più frequenti dei nemici del
“politicamente corretto”. Ancora negli anni Novanta la trasmissione di satira “Saturday Night Live”
prendeva in giro la cosa, mostrando un ragazzo che chiedeva a una ragazza: “Posso elevare il
livello di intimità sessuale toccandoti le chiappe?”, al che la ragazza rispondeva: “Sì, hai il mio
permesso”.
National Coalition For Men: “Provocherà la rovina di vite innocenti”. Non tutti hanno in effetti
giudicato con favore la nuova legge californiana. Dura è stata soprattutto la reazione della
National Coalition For Men, che ha definito il provvedimento “misandric”, concepito con un senso
di odio nei confronti degli uomini, aggiungendo che “darà libero sfogo a false accuse, costerà allo
Stato centinaia di milioni di dollari in spese processuali, provocando la rovina di vite innocenti”. La
legislazione californiana è per il momento unica, negli Stati Uniti, e arriva al culmine di un
movimento che da tempo chiede soluzioni nuove per una piaga che appare molto diffusa.
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Secondo un rapporto preparato lo scorso luglio dalla senatrice democratica Claire McCaskill, una
studentessa americana su cinque subisce una qualche forma di violenza sessuale. I casi sono
spesso sottovalutati o anche messi a tacere. Il 70% dei college americani con meno di mille
studenti non ha riportato un solo caso di violenza sessuale negli ultimi cinque anni. Il fenomeno ha
raggiunto proporzioni tali che più volte la Casa Bianca, nei mesi scorsi, ha chiesto alle università
di intervenire. Ancora la settimana scorsa Barack Obama ha definito “totalmente inaccettabile” la
situazione, reiterando la richiesta di task force universitarie contro gli stupri.
Le denunce delle studentesse, Emma e le altre. È stata comunque la volontà di molte giovani
donne che, di recente, ha riportato il fenomeno delle violenze sessuali all’attenzione dell’opinione
pubblica. Due studentesse hanno fatto causa contro la University of North Carolina – Chapel Hill
per il modo in cui ha gestito le loro denunce di violenza sessuale. Così ha fatto un’altra
studentessa, nei confronti della University of Akron. L’accusa è sempre quella: occultare,
nascondere o, quando questo non sia possibile, decidere per pene lievi, come un aumento del
carico di studio per il responsabile di violenze. Su tutti i media nazionali ha ottenuto spazio
soprattutto la denuncia di un gruppo di studenti di Columbia University, che hanno portato in
tribunale i vertici della prestigiosa istituzione proprio per il loro modo di trattare la cosa. In
particolare una studentessa, Emma Sulkowicz, vittima di violenza, ha deciso di preparare come
lavoro per il suo diploma in arte una performance che ha a che fare con la sua storia. Si è messa a
girare per aule e viali dell’università con un materasso, chiedendo che il suo violentatore venga
finalmente allontanato.
Sei appena stata
ammessa
all’università?
Informati sul
problema degli stupri”
La denuncia delle
studentesse americane
di Viviana Mazza 21-02-2014 – fonte Corriere della Sera - 27 ora
Da un paio di settimane è iniziata una campagna che denuncia le violenze sessuali – e la mancanza
di provvedimenti per contrastarle – a Dartmouth, la più piccola delle otto prestigiose università
americane della Ivy League.
Si tratta di pubblicità che impiegano slogan come “Sei appena stata ammessa a Dartmouth?
Dovresti sapere che hanno un problema di stupri”. Dartmouth è finita nel mirino di Ultraviolet,
comunità di donne e uomini impegnati contro il sessismo che ha raccolto oltre cinquantamila firme
di studenti preoccupati.
Il fenomeno è espressione di una più ampia consapevolezza che si registra ultimamente in America
(e non solo). Le università americane devono, per legge, mantenere un clima sicuro per
l’apprendimento e privo di violenze e discriminazioni sessuali (i due aspetti sono legati dall’idea
che, se le studentesse sono vittima di molestie sessuali, vengono private della possibilità di un
uguale accesso all’istruzione). Le università sono anche obbligate a registrare fedelmente il numero
di attacchi sessuali che si verificano nel campus, ma negli ultimi anni (soprattutto nell’ultimo) un
numero crescente di studentesse ha presentato denunce al governo federale contro gli atenei.
Istituzioni come Dartmouth, ma anche Harvard, Yale e Princeton sono accusate di minimizzare
i casi al fine di non danneggiare la propria immagine prestigiosa. Per esempio il quotidiano di
Princeton ha pubblicato di recente un sondaggio condotto nel lontano 2008, in cui una studentessa
su 6 si dichiarava vittima di attacchi di natura sessuale: ma l’ateneo aveva deciso di non divulgarlo
on attirare “una attenzione indesiderata”.
E dunque le attiviste e gli attivisti di Ultraviolet hanno deciso di colpirle dove fa più male:
l’immagine.
A Dartmouth, il caso che ha fatto più “rumore” è avvenuto lo scorso febbraio: una ragazza del
primo anno ha denunciato di essere stata molestata da un altro studente dopo che il suo nome era
stato indicato in una “guida allo stupro” diffusa online, accessibile a chi ha un email della scuola.
Gli attivisti chiedono che l’università blocchi messaggi come questo (ma Dartmouth sostiene che
non è realistico) e sostengono che le violenze sessuali dovrebbero essere chiaramente indicate come
causa di espulsione tra le regole dell’ateneo. La scorsa settimana il presidente dell’università ha
promesso misure serie contro i “comportamenti estremi” che “minacciano il futuro di Dartmouth”,
riferendosi sia alle violenze sessuali che alle “feste con toni razzisti e sessisti” delle confraternite.
Ha dichiarato guerra alla “cultura del campus in cui gli eccessi nel bere sono diventati la norma e
non l’eccezione”.
Ma la questione riguarda pure come vengono definite le violenze sessuali nei regolamenti delle
università. A Harvard, ai primi di aprile, un gruppo di studentesse ha presentato una denuncia
presso il Dipartimento dell’Istruzione. Una di loro aveva pubblicato pochi giorni prima una lettera
aperta sul quotidiano studentesco: ha raccontato di aver subito violenze sessuali nei dormitori della
prestigiosa università e di avere, per nove mesi, cercato di fare in modo che il colpevole venisse
spostato in un altro dormitorio. Alla fine, nella sua lettera intitolata “Cara Harvard, hai vinto
tu”, dichiarava di gettare la spugna: aveva deciso di andarsene lei. Pochi giorni dopo, l’università
ha annunciato l’istituzione di una task force contro le violenze sessuali. La denuncia delle
studentesse è stata peraltro accompagnata da testimonianze che criticano anche “l’atteggiamento
insensibile” dell’amministrazione. Una ragazza di colore racconta di essersi sentita dire: “Nella
vostra cultura è normale per gli uomini palpare le donne”. Le attiviste vogliono che cambi
anche il linguaggio con cui si parla di violenze sessuali. In particolare, nel valutare se si sia
verificata o meno una violenza sessuale, mentre la maggioranza delle università considera
consensuale un rapporto in cui i partecipanti dicano di sì, Harvard richiede che la vittima che
denuncia di essere stata violentata provi di aver detto di no.
Denunce come queste, insieme ad un recente rapporto governativo secondo il quale una ragazza
americana su cinque subisce violenze sessuali al college, stanno avendo impatto sull’opinione
pubblica americana. Il presidente Obama ha annunciato a gennaio la creazione di una commissione
per formulare nuove misure. I giornali parlano di “crisi” e solo il 12% degli americani interpellati in
un recente sondaggio credono che gli atenei in questione stiano facendo il possibile. Una dozzina di
deputati bipartisan propongono che la classifica delle migliori università americane (riportata
nella rivista “US News and World Report”) non sia basata più soltanto sui meriti accademici,
ma anche sulla “sicurezza” nei campus. Dartmouth e Harvard sono tra le 41 università attualmente
sotto inchiesta sul rispetto delle norme federali relative a discriminazione e violenze sessuali.
Dartmouth ha lanciato una sua campagna, che incoraggia gli studenti a informarsi su come la
scuola, a partire da giugno, mira a cambiare le cose. Intanto, gli spot di Ultraviolet, diretti in
particolare agli studenti delle superiori che devono scegliere l’università, sarebbero stati visti da
oltre sessantamila persone (solo nella prima settimana).