introduzione - L`Accademia Ercolanese

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introduzione - L`Accademia Ercolanese
INTRODUZIONE
Nella pratica clinica l’Epatologia e la Gastroenterologia “luminale”
sono considerate entità distinte, ma nonostante ciò esistono strette
relazioni tra intestino e fegato, già suggerite da una comune origine
embriologica (1). Tali relazioni sono sia di natura anatomica che
funzionale. Relativamente all’aspetto anatomico, è ben noto il ruolo e
l’organizzazione strutturale del sistema portale, grazie al quale la
quasi totalità del sangue refluo dal compartimento intestinale, ricco in
nutrienti e sostanze di vario tipo e natura, giunge al fegato attivandone
le funzioni. Da parte sua il fegato partecipa alla funzione metabolica,
assorbitiva ed escretrice dell’intestino mediante la secrezione di bile
che permette la digestione dei lipidi, l’assorbimento degli stessi e delle
vitamine (A, D, E, K) e l’allontanamento delle sostanze non utili o
potenzialmente dannose per l’organismo (2). Il legame funzionale tra
l’intestino e il fegato si esplica inoltre grazie a meccanismi di tipo
neuro-umorale, attraverso la produzione di ormoni e neurotrasmettitori
(colecistochinina, secretina, motilina, sostanza P, neurotensina etc.)
che regolano molte delle interazioni tra fegato, sistema biliare e tubo
digerente soprattutto in relazione all’ingestione di nutrienti (3).
Sulla base di tali premesse risulta facile comprendere come numerose
patologie
possano
determinare,
3
con
vari
gradi
di
gravità,
un’alterazione dell’asse fisiologico intestino-fegato sia se sono a
partenza intestinale, sia epatica. Si potrebbero, infatti, prendere in
considerazione almeno tre categorie di condizioni patologiche: a)
patologie intestinali che provocano un interessamento epatico (tab1);
b) patologie epatiche che hanno ripercussioni a livello intestinale (tab
2); c) condizioni sistemiche che possono interessare in maniera
indipendente il fegato e l’intestino che una volta coinvolti in un
processo patologico possono essere responsabili di un ulteriore danno,
l’uno nei confronti dell’altro (sindrome metabolica, diabete, obesità,
malattie alcol correlate etc).
Nello studio di tali condizioni patologiche si è iniziato a dare sempre
più importanza al ruolo patogenetico della flora batterica intestinale.
Rappresentando circa 1-1,5 Kg del peso corporeo, essa costituisce un
vero e proprio ecosistema aperto, molto complesso sia per quanto
riguarda le relazioni tra batteri e batteri che convivono in un delicato
equilibrio, sia per quanto riguarda le relazioni tra batteri e ospite. È
chiaro come processi patologici di varia natura possano determinare
un’alterazione del normale equilibrio del microbiota intestinale con
conseguenze che possono essere tanto banali, quanto importanti;
infatti, per il sopravvento di ceppi batterici patogeni, si può
determinare il mantenimento, ma anche la progressione dei
meccanismi patologici che sottendono la malattia in questione. Su tale
4
base è pertanto nata, dal punto di vista terapeutico, l’idea di modulare
la flora batterica attraverso l’uso di vari agenti come gli antibiotici o,
più di recente, con la somministrazione orale di probiotici, definiti,
secondo le linee guida del Ministero della salute italiano del 2005,
microrganismi vivi e vitali che conferiscono benefici alla salute
dell’ospite, quando consumati in adeguate quantità, come parte di un
alimento o integratore.
Tab.1. Correlazione tra patologie intestinali e varie tipologie di danno epatico.
T
INTESTINO
a
FEGATO
colangite sclerosante,
epatite autoimmune,
colelitiasi
bMalattie infiammatorie intestinali
.
Malattia celiaca
steatosi, fibrosi,
infiammazione
1Emocromatosi
accumulo di ferro,
infiammazione,fibrosi,
epatocarcinoma, cirrosi
steatosi, steatoepatite
Bypass digiuno-ileale
5
Tab.2. Correlazione tra patologia epatica ed alterazioni a livello gastrointestinale.
alterazione della motilità intestinale
Malattia epatica
SIBO
conseguenze dell’ipertensione portale
(gastropatia,
enteropatia,
colonpatia
ipertensiva)
Le patologie epatiche e la flora batterica
Le conseguenze che le alterazioni della flora batterica hanno
nell’ambito del danno epatico o di quello intestinale sono un’ulteriore
prova della stretta relazione che esiste tra queste due importanti
componenti del sistema gastrointestinale. L’ipotesi, ad esempio, della
correlazione tra malattie intestinali croniche e colangite sclerosante
primitiva, coinvolge proprio la flora intestinale già responsabile
dell’iniziazione e della perpetuazione dell’infiammazione intestinale
(4); attraverso la mucosa infiammata del colon, infatti si verifica un
passaggio di fattori di origine batterica, come peptidi ed endotossine
capaci, una volta giunti al fegato, di innescare il processo
infiammatorio (5).
Molto complessi sono i meccanismi attraverso i quali si verifica
un’alterazione
della
flora
batterica
primitivamente epatica.
6
in
corso
di
patologia
In questo ambito possono essere considerati tre gruppi di patologie: la
malattia epatica alcol correlata, la malattia epatica non alcol correlata
(NAFLD e NASH), la cirrosi epatica e le sue complicanze.
Alcol e asse intestino-fegato
Il consumo di etanolo sia in modo acuto che cronico è correlato ad una
vasta serie di disordini clinici di natura gastrointestinale, quali la
pancreatite acuta e cronica, l’ampio spettro di epatopatie, i disordini
dell’assorbimento dei nutrienti fino ad uno stato di palese
malnutrizione, sia di natura extraintestinale (cardiomiopatia alcolica,
danno cerebrale, miopatia, neuropatia etc.).
La patogenesi di una così vasta gamma di alterazioni deve essere
ricondotta principalmente ai meccanismi coinvolti nel metabolismo di
tale sostanza che sono pertanto da sempre oggetto di studio anche se
ciò che è stato maggiormente approfondito è la relazione tra alcol e
fegato. Diversi studi si sono focalizzati anche sugli effetti dell’alcol
sul tubo digerente, portando in questo modo al concetto dell’esistenza
di un doppio meccanismo di danno epatico: uno diretto e l’altro
mediato
dall’intestino.
Per
quanto
riguarda
questo
secondo
meccanismo, studi recenti hanno evidenziato come sia proprio la flora
batterica intestinale a giocare un ruolo molto importante nella genesi e
nella progressione della patologia epatica, così come anche di altre
7
patologie alcol correlate. In primo luogo, nel tempo si è fatto strada
sempre più il concetto di un metabolismo “batteriocolonico”,
attraverso il quale vi sarebbe una produzione di alte concentrazioni di
acetaldeide da parte dei batteri che porterebbe tanto ad un danno alla
mucosa del colon, quanto, attraverso il sangue portale, ad un insulto
epatico; i batteri intestinali rappresenterebbero quindi un importante
organo deputato al metabolismo dell’alcol (6-8). Tuttavia, le relazioni
tra alcol-intestino-fegato non si esauriscono soltanto nella produzione
di un metabolita tossico, ma sembrano essere più complesse. Infatti,
sono le endotossine che provengono dai batteri intestinali che giocano
il ruolo più importante nell’iniziazione e progressione del danno
epatico, una connessione che era stata già sospettata da diversi anni a
questa parte per il riscontro di elevati livelli di endotossinemia in
pazienti con malattia epatica alcol correlata (9, 10); tale relazione è
stata poi confermata anche in studi successivi. Tre meccanismi
diversi,
ma
necessariamente
concomitanti,
potrebbero
essere
responsabili di tale condizione:
1) sovra-crescita batterica
2) alterata permeabilità intestinale
3) ridotta capacità di clearance da parte delle cellule di Kupffer
Per quanto riguarda il primo punto, in letteratura esistono pochi studi
che suggeriscono una correlazione tra il consumo di alcol e la crescita
8
batterica; in quello di Bode et al. del 1984, (11) uno dei primi, veniva
analizzata la microflora a livello digiunale di pazienti alcolisti rispetto
ad un gruppo di controllo con il risultato di una differenza sia
quantitativa che qualitativa imputabile a fattori quali alterazioni della
motilità gastrica ed intestinale e della secrezione acida gastrica. Negli
anni successivi vi sono state altre evidenze a supporto di tale risultato,
rimanendo tuttavia non chiariti alcuni aspetti, ad esempio quali tipi di
batteri sono alterati nel consumo alcolico, o se tali alterazioni si
verificano con un meccanismo dose dipendente (12-13).
Maggiormente studiati i meccanismi di alterata permeabilità
intestinale sia in modelli animali che nell’uomo, utilizzando varie
molecole come l’emoglobina (14), il PEG o polietilene glicol (15),
etc. Un’alterata permeabilità intestinale veniva dimostrata inoltre in
seguito all’infusione intra-gastrica di etanolo e LPS, ma non con la
sola somministrazione di LPS, a dimostrazione della capacità
dell’etanolo nel determinare alterazione della permeabilità intestinale
a diverse molecole comprese le endotossine (16). In aggiunta, anche
alte concentrazioni di acetaldeide prodotte a livello intestinale, sono
responsabili di un incremento della permeabilità (17). Tutti i
meccanismi sono riassunti nella fig.1.
9
Alcol
CRESCITA BATTERICA
NO e anione
superossido
Acetaldeide
intestinale
Endotossine
intestinali
Ridistribuzione delle proteine
dalle giunzioni intercellulari
al comparto intracellulare con
meccanismo fosforilazione
dipendente
Permeabilità intestinale
endotossinemia
Vena porta
Cellule di Kupffer
Vasi linfatici
edematici
Danno d’organo
TNF-α, IL-1, ROS
Danno epatico
Fig.1. Relazione tra alcol-intestino e fegato: con meccanismo in parte diretto, in
parte mediato dall’acetaldeide, l’alcol determina sovracrescita batterica e
un’aumentata permeabilità intestinale con conseguente endotossinemia e danno
epatico.
10
Cirrosi epatica e asse intestino-fegato
Il ruolo che riveste la flora intestinale nell’ambito della cirrosi epatica,
sia per quanto riguarda la patogenesi, sia per quanto riguarda le
possibili implicazioni terapeutiche, è complesso e non ancora
completamente chiarito. In ogni caso la ricerca portata avanti in questo
senso ha evidenziato un ruolo quasi centrale della flora batterica nella
patogenesi delle complicanze dell’end stage della malattia epatica.
Più precisamente si possono considerare due grandi ordini di
complicanze nel corso della cirrosi epatica correlate alla flora
batterica: quelle infettive, che vanno dalla batteriemia spontanea
asintomatica
alla
sepsi;
quelle
emodinamiche
rapportabili
all’ipertensione portale e alla sindrome iperdinamica (HCS). Inoltre la
flora intestinale, con la partecipazione di altri fattori, è implicata anche
nell’insorgenza dell’encefalopatia epatica. Tali complicanze sono
sottese da una condizione nota come traslocazione batterica la cui
diretta conseguenza, associata ad un ridotta clearance epatica e alla
presenza di shunts vascolari, è un aumento dei livelli di endotossine
circolanti (LPS) principalmente nel sangue portale (18). L’LPS, una
componente della parete dei batteri GRAM-, ha un ruolo chiave nel
determinare un incremento di citochine pro-infiammatorie (TNF-α,
IL-1, IL-6, IL-12) e di metaboliti dell’NO ed è stato dimostrato
correlare non solo con i livelli di tali molecole, ma anche con la
11
severità della malattia epatica (19, 20); in questo modo si determina
poi l’innesco di tutta una serie di eventi tra loro reciprocamente
correlati e capaci di automantenersi, responsabili delle suddette
complicanze.
Traslocazione batterica ed endotossinemia
La BT, termine coniato per la prima volta nel 1979, è definita come la
migrazione di batteri o di prodotti batterici dal lume intestinale ai
linfonodi mesenterici (MLNs) o ad altri siti extragastrointestinali (21,
22). Negli studi sperimentali animali si può parlare di traslocazione
batterica in presenza di colture batteriologiche di MLN positive;
nell’uomo tuttavia lo studio della BT è limitato, perché la
dimostrazione di linfonodi mesenterici positivi richiede l’asportazione
chirurgica con associata terapia antibiotica perioperatoria, che può
determinare un’alterazione del risultato. Pertanto sono stati presi in
considerazione approcci alternativi non invasivi di diagnosi di BT
nell’uomo. Uno dei possibili marcatori di BT è rappresentato dal DNA
batterico (bactDNA) evidenziato tramite PCR; l’identificazione nel
sangue e nel liquido ascitico dei pazienti con cirrosi e colture negative
di ascite è stato considerato come evidenza molecolare di BT (23). E’
stato inoltre dimostrato che il bactDNA determina, tramite
l’attivazione dei macrofagi peritoneali, la produzione di citochine
12
(TNF-α, IL-6, IL-12 etc.) e di NO di derivazione iNOS (24). La
validità di questo tipo di test, tuttavia, deve essere ancora largamente
provata.
Un ulteriore marcatore surrogato di BT è rappresentato dalla LBP
(LPS binding protein), una proteina sintetizzata dal fegato in seguito
al legame tra endotossine e complesso recettoriale CD14/TLR 4 (Toll
like receptor 4); è stato dimostrato che i livelli di tale proteina
aumentano nei pazienti con cirrosi e ascite (25).
Nei cirrotici, i batteri che più frequentemente causano infezione e che
hanno più tendenza a traslocare ai MLN, come già detto, sono batteri
Gram- (specialmente E. coli, Klebsiella pneumoniae ed altre
enterobacteriacee); anche se anche gli enterococchi e altri
streptococchi possono traslocare (26).
I meccanismi che sottendono la comparsa di BT in cirrosi sono
essenzialmente quattro:
a.
Overgrowth batterico
b. Disfunzione immunitaria
c. Alterazione dei fattori luminali
d. Alterata permeabilità intestinale (27)
a) Meccanismo principale e necessario, anche se non sufficiente, alla
base della BT, la sovra-crescita di batteri (IBO) si verifica
frequentemente in corso di cirrosi e sembra essere correlata al grado di
13
disfunzione epatica (28). In particolare è stato dimostrato esserci
un’alta prevalenza di sovra-crescita batterica nel piccolo intestino
(SIBO) che si correla alla presenza di endotossinemia; il cut off
utilizzato più largamente per il SIBO è la presenza globale di colonie
≥ 105 CFU per millilitro di secrezione digiunale (29) con una
prevalenza in cirrosi che va dal 48% al 73% a seconda delle casistiche.
Tale condizione sembra essere dovuta principalmente ad una ipodismotilità intestinale, i cui meccanismi di base sono ancora poco
conosciuti. Pochi sono inoltre gli studi esistenti al riguardo; tra questi,
i più rappresentativi sono quelli di Madrid et al. del 1997, dove si
dimostra nel paziente epatopatico la presenza di un'alterazione della
motilità intestinale, in particolare del piccolo intestino. Tale
alterazione dipende dalla classe Child della malattia di qualsiasi
eziologia e non è determinata da disfunzioni del sistema
neuroendocrino che regola la motilità intestinale, in quanto tali
alterazioni rientrano in seguito a trapianto. Non venivano chiariti però
i meccanismi patogenetici di tale alterazione motoria (30, 31); in uno
studio più recente è stata dimostrata un’anomala propagazione delle
onde peristaltiche in pazienti con ipertensione portale non presente in
pazienti controllo senza ipertensione portale; pertanto sembra che sia
l’ipertensione portale la condizione significativamente correlata a tali
anormalità (32). Inoltre la stessa sovra-crescita batterica è in grado di
14
alterare la motilità intestinale, come dimostrato da un miglioramento
di essa mediante la decontaminazione intestinale con antibiotici,
venendosi a creare in questo modo un circolo vizioso (33).
b) Per quanto riguarda gli aspetti immunologici, in corso di cirrosi
esiste una grande varietà di alterazioni sia di tipo sistemico
(ipergammaglobulinemia policlonale,
produzione di autoanticorpi,
depressione dell’attività immunitaria di tipo cellulare e delle natural
killer, ridotta attività del sistema reticolo endoteliale), sia di tipo
locale, cioè a livello intestinale. Il RES è il principale meccanismo di
difesa contro la batteriemia e le infezioni; le cellule di Kupffer
rappresentano la principale componente del RES, tuttavia la sua
attività in corso di cirrosi è ridotta sia per un’alterata funzione
funzione fagocitica sia per la presenza di shunt che by-passano il
fegato (34). In particolare le alterazioni delle difese immunologiche
intestinali interessano principalmente la distribuzione e la funzione dei
linfociti intraepiteliali (IELs), come dimostrato in studi sperimentali
di cirrosi indotta nel ratto. Il sistema linfatico associato alla mucosa
intestinale che è il più vasto organo linfatico dell’organismo ed è un
organo indipendente, ha una funzione indispensabile nel mantenere
l’equilibrio tra la flora batterica intestinale e l’ospite, impedendo in
questo modo l’insorgenza di infezioni. In condizioni di salute infatti
soltanto pochi batteri estranei traslocano ai linfonodi mesenterici, ma
15
in presenza di difese immunitarie intatte, tali batteri non
sopravvivono. Nella cirrosi indotta sperimentalmente nei ratti con la
somministrazione di CCl4, si rileva un marcato decremento di IFN-α
da parte dei IELs, di cui tuttavia non si conosce l’esatto meccanismo.
Tale decremento di IFN-α in corso di cirrosi può a sua volta
determinare un danno all’attività fagocitica dei macrofagi e di altre
cellule con attività fagocitaria e in questo modo permettere ai batteri di
moltiplicarsi e di migrare verso siti extragastrointestinali (35).
c) I fattori che agiscono a livello del lume intestinale sono diversi:
acidi biliari, IgA secretorie, mucine, defensine, lisozima, fosfolipasi
A2 etc. Tra questi quelli che hanno un ruolo molto importante sono gli
acidi biliari, anche per una loro possibile applicazione terapeutica.
Gli acidi biliari hanno un importante effetto trofico sulla mucosa
intestinale, inibiscono la sovra-crescita batterica, soprattutto dei batteri
anaerobi. Tali importanti funzioni sono dimostrate dall’evidenza di
BT in corso di ittero ostruttivo, promossa dall’assenza di bile (36). In
corso di cirrosi la secrezione di acidi biliari è diminuita, condizione
che per i motivi su esposti, può contribuire alla crescita batterica e alla
BT. A prova di ciò in uno studio viene dimostrato che la
somministrazione di acidi biliari coniugati a ratti cirrotici con ascite
determina una riduzione della crescita dei batteri a livello
16
dell’intestino,
una
riduzione
della
traslocazione
batterica
e
dell’endotossinemia e quindi un aumento della sopravvivenza (37).
d) Un’incrementata permeabilità intestinale di natura multifattoriale è
stata associata alla cirrosi (38). I fattori responsabili della sua
comparsa sono innanzitutto di tipo strutturale (congestione vascolare,
edema della lamina propria, proliferazione fibromuscolare, ridotto
rapporto villi/cripte, muscolaris mucosae ispessita etc); tali alterazioni
sembrano essere correlate alla presenza di ipertensione portale,
responsabile della comparsa di enteropatia ipertensiva (39).
È coinvolta in aggiunta una condizione di alterato stato ossidoriduttivo, con un’incrementata attività della xantino-ossidasi e
conseguente danno alla mucosa intestinale di tipo ossidativo ed
incrementata perossidazione dei lipidi del brush border delle
membrane (40, 41). Vi sono poi meccanismi funzionali che chiamano
in causa l’NO; infatti la sua iperproduzione presente in corso di cirrosi
ed ipertensione portale determina un alterazione dell’integrità della
mucosa intestinale attraverso la dilatazione delle Tj, la distruzione
dell’actina del citocheletro e l’inibizione della formazione di
adenosina trifosfato che favoriscono l’aumento della permeabilità
(42).
La presenza di aumentata permeabilità intestinale è stata dimostrata
sia nell’animale da esperimento (43, 44) sia nell’uomo; in vivo
17
tuttavia gli studi non sono molto numerosi e inoltre sono controversi
suggerendo il dato che un’alterazione della permeabilità intestinale
non ha un ruolo primario nella genesi della BT.
Un’alterazione della flora batterica è stata evidenziata in soggetti
alcolisti e in cirrotici, mediante test di assorbimento con diversi
zuccheri (45-48). Da uno studio del nostro gruppo emerge il dato in
accordo anche con la letteratura, che l’età, l’ipertensione portale, e
l’uso di alcol sono fattori strettamente correlati all’alterazione di
permeabilità intestinale. In tale studio emerge anche che la presenza di
diabete
incide
sulla
permeabilità,
suggerendo
l’ipotesi
che
l’iperglicemia può favorire il deficit di barriera intestinale. Inoltre il
dato riscontrato di alterata permeabilità intestinale in pazienti senza
cirrosi istologicamente documentata, suggerisce la possibilità di un
suo ruolo di causa piuttosto che di effetto di malattia cronica epatica
(49).
Non è ancora chiaro, nella pratica clinica, quale tipo di paziente con
malattia cronica di fegato deve essere sottoposto a un test di
valutazione della permeabilità o quando tale test deve essere praticato;
inoltre rimane anche da chiarire se lo studio della permeabilità possa
avere un impatto nel management di un paziente con cirrosi; in ogni
caso l’evidenza di un maggiore incremento dei livelli plasmatici di
citochine proinfiammatorie e di nitrosotioli (espressione di aumentata
18
produzione di NO) in pazienti con alterata permeabilità intestinale
rispetto
ai
pazienti
con
normale
permeabilità
rappresenta
un’importante evidenza del coinvolgimento dell’alterazione della
barriera intestinale nella genesi della BT e della flora batterica
nell’ambito della malattia epatica e di conseguenza suggerisce
l’importanza della sua manipolazione per il miglioramento del danno
epatico.
Ipertensione portale e sindrome iperdinamica
L’ipertensione portale è una condizione caratterizzata da un rialzo
patologico del gradiente pressorio tra vena porta e vana cava inferiore
misurato come HVPG. Data la relazione tra flusso, pressione e
resistenze, se tale condizione inizia per un aumento delle resistenze
sinusoidali e post-sinusoidali, tuttavia essa si mantiene e viene
aggravata dalla presenza di un aumento del flusso portale.
Quest’ultima condizione deriva dalla presenza di una vasodilatazione
del letto vascolare arterioso splancnico dovuto alla liberazione in
circolo di mediatori vasodilatatori per effetto dello stress di parete
esercitato dagli aumentati valori pressori.
Tale condizione circolatoria splancnica è l’evento centrale di quella
conosciuta come sindrome iperdinamica, responsabile delle maggiori
complicanze della cirrosi (fig.2) (50).
19
HCS
DISTRETTO
SPLANCNICO
DISTRETTO
RENALE
DISTRETTO
POLMONARE
SINDROME
EPATORENALE
ASCITE
CRESCITA E
SANGUINAMENTO
VARICI
DISTRETTO
CARDIACO
DISTRETTO
CEREBRALE
CARDIOMIOPATIA
SINDROME
EPATOPOLMONARE
ENCEFALOPATIA
EPATICA
Fig.2. Complicanze sistemiche della sindrome iperdinamica del cirrotico.
Il principale mediatore di tale condizione è rappresentato dall’NO,
anche se altri mediatori sono variamente coinvolti in maniera diversa
nei vari distretti dell’organismo (prostaciclina, adrenomedullina,
glucagone etc.) (51).
La sintesi di NO può essere indotta dall’attivazione di almeno tre
sintetasi: iNOS, eNOS, nNOS; l’eNOS sembra essere la principale
fonte di NO in corso di ipertensione portale; tuttavia esiste
un’ulteriore produzione di NO indotta dall’endotossinemia come
ipotizzato per la prima volta nel 1995 da Vallance e Moncada;
secondo
questa
ipotesi
esiste
una
produzione
di
citochine
infiammatorie e di NO di derivazione iNOS a livello vascolare indotta
20
dalle endotossine di origine intestinale (52). Tale ipotesi è stata
successivamente confermata in altri studi (52-55). Il risultato di questa
serie di eventi è l’ulteriore sviluppo e mantenimento dell’HCS (fig.3).
Nonostante l’endotossinemia e le citochine come TNFα rappresentino
un importante stimolo per iNOS, uno studio del 1999 dimostra che in
realtà l’NO prodotto per effetto dell’endotossinemia sia di derivazione
eNOS, attraverso la stimolazione di GPT-cicloidrolasi e la sintesi di
tetraidrobiopterina (56, 57).
21
CIRROSI
IPERTENSIONE
TRASLOCAZIONE
BATTERICA
Stiramento endoteliale, shear-stress
endotossinemia
eNOS
eNOS ? iNOS?
NO
Vasodilatazione arteriosa splancnica
Underfilling e ipovolemia relativa
Attivazione dei sistemi
neurormonali (SRAA-SNS)
Ritenzione idro-salina e aumento
del volume plasmatico
Sindrome iperdinamica
(basse resistenze vascolari e
aumento dell’output cardiaco)
Fig.3. Ruolo della flora batterica nell’insorgenza e nel mantenimento della
sindrome iperdinamica.
22
In ogni caso, sia che la produzione di NO sia iNOS derivata, sia eNOS
derivata, essa, correlata all’endotossinemia e alla BT, aggrava la
vasodilatazione arteriosa della cirrosi. In tal modo si viene a creare un
circolo vizioso che riconosce come primum movens l’ipertensione
portale che porta all’aggravamento della funzione epatica (fig.4).
CIRROSI
IPERTENSIONE
PORTALE
ALTERATA
PERMEABILITA’
INTESTINALE
DISFUNZIONE
HCS
IBO
ENDOTOSSINEMIA/BT
↑NO
↓FUNZIONE
EPATICA
INFEZIONI
Fig.4. Il circolo vizioso dell’ipertensione portale e della sindrome iperdinamica
con la partecipazione della flora batterica: tramite la produzione di NO vengono
mantenute le alterazioni emodinamiche e tramite l’insorgenza di infezioni, viene
aggravata la funzione epatica con ulteriore peggioramento dell’ipertensione
portale.
23
In base a questo, nasce la necessità di interrompere tale circolo
vizioso, impedendo la comparsa dell’endotossinemia di origine
intestinale mediante agenti capaci di ridurre la traslocazione batterica
e la conseguente endotossinemia rappresentati dagli antibiotici o dai
probiotici.
Flora intestinale ed infezioni
Le infezioni batteriche si verificano in corso di cirrosi con
un’incidenza che varia tra il 15% e il 47% ; di queste circa il 70-80%
sono determinate da bacilli Gram- (E. coli, Klebsiella pneumoniae,
altre Enterobacteriaceae, Pseuodomonas aeruginosa etc.) Tuttavia
l’incidenza di infezioni sostenute da cocchi Gram+ si è negli ultimi
anni accresciuta, essendo questo tipo di specie batteriche il più
frequentemente isolato in soggetti cirrotici ospedalizzati con infezioni
nosocomiali, particolarmente quelli ricoverati in unità di terapia
intensiva, sede in cui sono più frequenti procedure invasive e largo
uso di terapie antibiotiche croniche. I cirrotici che sviluppano
un’infezione hanno una mortalità più alta rispetto ai pazienti cirrotici
in assenza di infezione; i due fattori predittivi di sviluppo di infezioni
sono rappresenti dalla severità della malattia epatica e dalle emorragie
gastrointestinali; in quest’ultimo caso vi è un’incidenza di infezione
del 45%, significativamente più alto rispetto al 32-34% dei cirrotici
24
ospedalizzati in generale (58-60). Anche i livelli sierici di albumina
sono stati relazionati al rischio infettivo (61). In più, in numerosi studi
è stata dimostrata una forte associazione tra infezione batterica e
sanguinamento da varici esofagee, sia per il controllo del
sanguinamento che per il rischio di risanguinamento (62).
La traslocazione batterica e la ridotta attività battericida del RES,
come già detto in precedenza, rappresentano i principali meccanismi
responsabili dell’alto rischio infettivo in corso di cirrosi.
Le principali infezioni che si presentano in corso di cirrosi sono la
PBS, le infezioni del tratto urinario, la polmonite, l’empiema pleurico
spontaneo e le batteriemie cosiddette spontanee. Esse sono definite
così perché non vi è un evidente fonte di batteri che può spiegare la
loro presenza nel sangue, nel liquido ascitico, pleurico etc. anche se ci
sono evidenti prove che l’origine di tali infezioni è rappresentata
proprio dall’intestino (63).
Tra le infezioni la più caratteristica e quella a più alto rischio nel
cirrotico è rappresentata dalla PBS. I pazienti con PBS hanno una più
alta prevalenza di SIBO rispetto ai pazienti che non la presentano, così
come, viceversa, i soggetti con SIBO hanno una più alta incidenza di
PBS, rispetto a quelli che non hanno una grande sovra-crescita. Tali
evidenze sono una prova del ruolo dei batteri intestinali
nell’insorgenza di questa importante complicanza (64, 65).
25
Oltre alle infezioni su menzionate, la cirrosi rappresenta un fattore di
rischio indipendente per sepsi (66, 67); a partire da un’infezione
batterica, infatti si può giungere, tramite la iperproduzione di citochine
e altri metaboliti, all’innesco e alla propagazione di una risposta
infiammatoria sistemica associata poi ad alterazioni vascolari e della
cascata coagulativa, condizione nota come SIRS (68). Come nella
patogenesi dell’HCS, anche nella SIRS l’NO rappresenta il mediatore
chiave della risposta infiammatoria; tuttavia, a differenza di quello
che accade in assenza di cirrosi, le alterazioni vascolari della SIRS si
sommano a quelle già presenti, giungendo in questo modo ad una
condizione di ipotensione refrattaria, seguita da insufficienza renale,
aggravamento della coagulopatia e dell’encefalopatia (69). Ciò porta
ad una alta mortalità nei cirrotici con sepsi e shock settico rispetto a
soggetti con shock settico non cirrotici (fig.5).
26
CIRROSI
TRASLOCAZIONE
BATTERICA
HCS
INFEZIONI
BATTERICHE
VASODILATAZIONE
SIRS, SEPSI,
SHOCK SETTICO
DISFUNZIONE
EPATICA
IPOTENSIONE
REFRATTARIA
COAGULOPATIA
ENCEFALOPATIA
INSUFFICIENZA
RENALE
MORTE
Fig.5. La cirrosi è un fattore di rischio importante per SIRS, sepsi e shock settico.
Probiotici e cirrosi
Il coinvolgimento della flora batterica nella patogenesi delle
complicanze della cirrosi ha posto le basi per una possibile strategia
terapeutica finalizzata alla modificazione dei batteri intestinali, sia da
un punto di vista quantitativo sia qualitativo, con il risultato finale di
contenere e ridurre il fenomeno di traslocazione batterica (70).
27
L’uso di microrganismi vitali, quali sono i probiotici, sembrano
adattarsi a tale scopo grazie alle seguenti funzioni:
• preservare l’equilibrio biologico naturale del tratto intestinale e
modulare la crescita di altri gruppi di batteri
• stabilizzare la barriera mucosa intestinale (71)
• stimolare la resistenza dell’ospite all’infezione (72, 73).
Le specie batteriche che maggiormente vengono impiegate sono
rappresentate da Lactobacilli e Bifidobacteria, entrambe di tipo
anaerobico; infatti, mentre i batteri aerobi Gram- traslocano facilmente
anche attraverso un epitelio integro, i batteri anaerobi, che superano
nell’intestino gli aerobi con un rapporto che va da 100 a 1 a 1000 a 1,
traslocano molto più difficilmente e solo quando si verifica un danno
all’epitelio intestinale. Ciò che è più importante è che i batteri
anaerobi limitano la colonizzazione e la sovra-crescita dei batteri
potenzialmente invasivi (74, 75).
La somministrazione dei probiotici è stata già studiata in modelli
animali di infezione addominale in assenza di cirrosi dove è stata
dimostrata la capacità dei Lattobacilli di ridurre endotossinemia e
batteriemie (76); in uno studio che ha impiegato il Lactobacillus R2LC
è stata provata non solo la capacità di controllare la proliferazione di
patogeni indesiderati, ma anche la capacità di determinare
un’alterazione qualitativa delle specie batteriche attraverso la
28
produzione di acido lattico, acido acetico e perossido d’idrogeno con
attività
antibatterica
e
conseguente
riduzione
dei
batteri
potenzialmente patogeni. Inoltre sembra esserci una stimolazione
dell’attività motoria intestinale con l’effetto di ridurre la sovra-crescita
batterica (77).
Nell’ambito della patologia epatica, sono stati condotti studi
prevalentemente nell’animale da esperimento sia con modelli di danno
acuto sia con modelli di ipertensione portale e cirrosi con risultati,
tuttavia, non sempre univoci.
Nell’ambito del danno acuto, tra i primi autori che hanno valutato
l’efficacia dei microrganismi probiotici c’è stato Nanj nel 1994 con
l’uso Lactobacillus GG. Nel suo studio si verificava un significativo
miglioramento del danno epatico indotto dall’alcol nel ratto, rispetto
agli animali controllo non trattati (78). A seguire due studi di Kasravi
et al del 1996 e 1997 condotti nel ratto con danno epatico acuto
indotto da D-galattosamina; nel primo, l’uso del Lactobacillus reuteri
non sembrava comportare alcun beneficio sul danno epatico rispetto ai
controlli; nel secondo, condotto con l’impiego di Lactobacillus
plantarum, si verificava miglioramento del danno epatico (79, 80) .
Altri studi sono stati condotti da Adawi et al.(1997, 1998, 2001,
2007) con varie combinazioni di Lattobacilli e Bifidobatteri con
29
dimostrazione di miglioramento del danno epatico e dei segni di BT
(81-84).
Gli studi praticati nei modelli animali di ipertensione portale e cirrosi
sono stati effettuati usando prevalentemente varie specie di
Lattobacilli.
In un modello sperimentale di ipertensione portale pre-epatica, la
batterioterapia con Lactobacillus non era in grado di determinare
modifiche nella BT, verosimilmente per inefficacia nella modulazione
della flora batterica; infatti la BT non era significativamente differente
tra gli animali trattati con probiotico (82%) e quelli trattati con
placebo (75%), sia usando Lactobacillus acidophilus sia Lactobacillus
GG (85).
Anche in un altro studio sperimentale di cirrosi indotta da CCl4 e
ascite, volto a ricercare una strategia alternativa all’antibiotico-terapia
nella profilassi per la PBS, la somministrazione di Lattobacilli si
dimostrava inefficace nel prevenire la BT e le infezioni del liquido
ascitico, nonostante l’ottima colonizzazione intestinale; tale studio
metteva in evidenza l’importanza della severità della disfunzione della
barriera intestinale in corso di ascite (86).
Nello studio di Chiva et al. del 2002 venivano somministrati nei ratti
con cirrosi indotta da CCl4 una combinazione di Lactobacillus
johnsonii La1 e antiossidanti con il risultato di un decremento
30
dell’endotossinemia rispetto ai ratti controllo non trattati; inoltre si
verificava una riduzione dei livelli di malonildialdeide (MDA)
intestinale, indice di danno ossidativo della mucosa dell’intestino, a
prova della partecipazione dello stress ossidativo nella patogenesi
della BT; non veniva tuttavia valutata la reale efficacia del
Lactobacillus johnsonii, non essendo stato somministrato in assenza di
antiossidanti (87).
Nell’ambito degli studi sull’uomo, è stata valutata l’efficacia dei
probiotici in tre ambiti: la prevenzione delle infezioni, la funzionalità
epatica e l’HCS.
Per quanto riguarda la prevenzione delle infezioni, sono da riportare
gli studi di Rayes N et al. del 2002 e del 2005 praticati in pazienti
candidati a ricevere trapianto epatico; nel primo, venivano
somministrati in un gruppo una combinazione di fibre e Lactobacillus
plantarum 299, mentre in un altro gruppo veniva praticata la sola
terapia antibiotica preoperatoria; i pazienti che avevano ricevuto
terapia con probiotico e fibre avevano un tasso di infezioni postoperatorie più basso rispetto a quelli che avevano praticato
decontaminazione intestinale con i soli antibiotici; nel secondo veniva
utilizzata una miscela di probiotici e prebiotici (Synbiotic 2000) nel
post-trapianto con il risultato di un basso tasso di infezioni (88, 89).
31
Nell’ambito della funzionalità epatica sono stati condotti due studi. Il
primo è quello di Liu Q et al del 2004; anche se lo scopo dello studio
era quello di valutare l’efficacia di simbiotici nell’encefalopatia
minima (vedi dopo), si dimostrava, oltre al miglioramento di tale
complicanza associato ad un decremento dell’ammoniemia, anche una
riduzione dell’endotossinemia e della classe Child nel 50% circa dei
casi (90).
Nel secondo studio randomizzato controllato veniva somministrato
come ceppo batterico a pazienti con cirrosi E. Coli Nissle; in tale
gruppo di pazienti si verificavano, rispetto al gruppo controllo, una
riduzione dell’endotossinemia e un miglioramento della funzione
epatica valutata con lo score di Child-Pugh. Il meccanismo ritenuto
responsabile era la restaurazione di una normale flora batterica a
livello intestinale con conseguente minore assorbimento di metabolici
tossici ed endotossine (91).
Un solo studio è stato condotto sull’efficacia dei probiotici nel ridurre
la pressione portale e il rischio di sanguinamento. In tale studio
venivano praticati due cicli della durata di un mese di terapia con una
combinazione
di
probiotici
(Streptococcus
thermophilus,
Bifidobacteria, Lactobacillus acidophilus, L. plantarum, L.casei, L.
delbrueckii bulgaricus, S. faecium) e veniva misurata la velocità del
flusso ematico nella vena porta, splenica e mesenterica superiore, a
32
livello basale e al termine di ognuno dei cicli. Alla fine del secondo
ciclo la velocità del flusso a livello della vena porta era aumentata
rispetto ai valori basali, dimostrando in questo modo come,
modificando la combinazione della flora batterica endogena, si
determina
un
miglioramento
delle
alterazioni
emodinamici della circolazione portale (92).
33
dei
parametri
1. SCOPO DEL LAVORO
Numerosi dati in letteratura indicano una stretta correlazione tra danno
epatico e flora batterica intestinale, tuttavia non vi sono lavori recenti
che, utilizzando metodiche più sensibili, documentino una variazione
della flora batterica e della funzionalità della barriera intestinale in
relazione al danno epatico.
Inoltre dal momento che la fibrosi epatica è una condizione patologica
oggi ritenuta reversibile, risulta di enorme interesse scientifico cercare
dei rimedi che siano in grado di inibire o ritardare la progressione
della fibrosi fino allo stadio di cirrosi.
Gli scopi di questa ricerca sono stati:
• riprodurre un modello sperimentale di fibrosi epatica nel ratto
• studiare le variazioni della permeabilità e della microflora
intestinale in rapporto al danno.
• valutare l’effetto del trattamento con probiotici sul danno
epatico attraverso il monitoraggio di parametri istologici,
biochimici e molecolari associati alla fibrosi.
34
2. MATERIALI E METODI
2.1. Modello sperimentale di danno epatico
Ratti Wistar maschi (peso di 220-250 g), dopo acclimatazione di una
settimana dal loro arrivo, sono stati divisi in 3 gruppi di 10:
1. Ratti normali,
2. Ratti con fibrosi epatica,
3. Ratti con fibrosi epatica trattati con un simbiotico caratterizzato dalla
presenza del ceppo B21060 di Lactobacillus paracasei (FLORTEC;
Bracco SPA).
Per indurre la fibrosi epatica ciascun ratto del gruppo (2) ha ricevuto
un’iniezione sottocutanea di 0,50 ml di tetracloruro di
carbonio
(CCl4) diluito al 50% in olio di oliva. L’iniezione di tetracloruro di
carbonio è stata effettuata due volte a settimana per una durata
complessiva di 7 settimane. I ratti del gruppo (3) sono stati sottoposti
allo stesso procedimento di induzione della fibrosi epatica e sono stati
trattati con 1 ml di soluzione di probiotico (200 mg/kg al giorno)
somministrato per via orale.
Prima di procedere all’ induzione del danno epatico e al trattamento
con probiotico, sono stati effettuati dei prelievi basali di sangue, feci e
urine.
35
Al termine delle 7 settimane di trattamento sono stati nuovamente
raccolti campioni di feci e urine; successivamente i ratti di ciascun
gruppo sono stati sacrificati per raccogliere il sangue dall’arteria
carotidea e prelevare il fegato.
Sui vari campioni raccolti prima e dopo il trattamento sono stati
valutati i seguenti parametri:
• permeabilità intestinale
• composizione della flora batterica intestinale
• parametri biochimici di danno epatico
• indici di flogosi su siero
• espressione genica di TNF-α, IL-10, IL-1β, TLR2, TLR4, eNOS
ed iNOS
• determinazione dell’indice di fibrosi mediante analisi istologica
36
2.2. Valutazioni di Permeabilità Intestinale
La permeabilità intestinale (IP) è un indice della funzione della
barriera intestinale. Essa rappresenta il passaggio passivo attraverso
l’epitelio intestinale, di acqua e piccole molecole inerti idrosolubili
attraverso gli spazi intercellulari. La misura della IP si ottiene
mediante la somministrazione orale di sonde molecolari (zuccheri) e
dalla determinazione delle loro quantità escrete nelle urine in un arco
di tempo minimo di 5 ore. Le sonde utilizzate devono essere
idrosolubili, non tossiche, non assorbibili e in genere vengono
somministrate in coppia. Le sonde hanno diversa grandezza; le più
piccole con un diametro di 5-7 Å, in condizioni normali, attraversano
l’epitelio intestinale nel dominio dei villi per il 15-20 % della quantità
somministrata oralmente. Le più grandi, con un diametro di 10-12 Å,
attraversano il dominio delle cripte intestinali in una quantità molto
bassa (< del 2% della dose orale). La somministrazione in coppia delle
sonde è utile per evitare interferenze dovute ad alterazioni sia del
transito gastrointestinale (fattori pre-mucosali) che dell’escrezione
urinaria (fattori post-mucosali). Nel test del doppio zucchero la
permeabilità ai di- e mono-saccaridi non metabolizzabili è espressa
come il rapporto dell’escrezione urinaria tra sonda grande e sonda
piccola. Normalmente questo rapporto è di gran lunga inferiore a uno
(93). Le sonde da noi impiegate nel test di permeabilità sono state
37
saccarosio, lattulosio e mannitolo. Il lattulosio è un disaccaride
formato da due zuccheri semplici (fruttosio e galattosio; PM 342.3Da)
e viene assorbito mediante passaggio paracellulare non mediato
attraverso i pori collocati nell’area delle tight junction. Questo
zucchero non viene idrolizzato dagli enzimi intestinali; tuttavia esso è
un substrato per la fermentazione dei batteri del colon e pertanto può
essere impiegato solo come marker della permeabilità del piccolo
intestino. Il saccarosio (PM 342.3 Da) è un disaccaride,
viene
idrolizzato in glucosio e fruttosio dall’enzima saccarasi (presente
sull’orlo a spazzola dell’intestino) per cui il suo assorbimento riflette
la permeabilità gastrica. Il mannitolo è un monosaccaride (PM 182.17
Da) e viene assorbito attraverso i pori acquosi nelle membrane delle
cellule epiteliali per cui il suo assorbimento riflette la permeabilità del
piccolo intestino. Tale zucchero è assorbito mediante passaggio
transcellulare non mediato e una riduzione nell’area di superficie della
mucosa, associata all’atrofia dei villi, può ridurre il suo assorbimento.
Prima e dopo le 7 settimane di trattamento con CCl4 i ratti di tutti e tre
i gruppi sono stati sottoposti al test di permeabilità intestinale. Gli
animali sono stati tenuti a digiuno per alcune ore dopodiché mediante
un sondino hanno ricevuto 2ml di una soluzione contenente gli
zuccheri sonda e sono stati trasferiti in gabbie metaboliche per
raccogliere separatamente feci e urine. Ogni ratto ha ricevuto 1g di
38
saccarosio, 120 mg di lattulosio e 80 mg di mannitolo (94). La
raccolta delle urine è stata effettuata per un totale di 24h dopodiché i
ratti sono stati riposti nelle loro gabbie normali. Dopo aver misurato e
registrato il volume delle urine, la loro composizione è stata
analizzata mediante cromatografia liquida ad alta prestazione associata
ad amperometria pulsata (HPAE-PAD).
Per le analisi cromatografiche sono state preparate delle soluzioni
standard degli analiti: l’appropriata quantità di ciascuno zucchero
sonda è stata disciolta in acqua deionizzata e bidistillata in modo tale
da ottenere per ciascuno di essi una concentrazione finale di 10 mM.
Questa soluzione stock, aliquotata, è stata conservata a –20°C. Per
ottenere la curva di calibrazione, al momento del saggio, la soluzione
stock è stata diluita in modo da ottenere sei soluzioni standard a
differenti concentrazioni ( 0,005 - 0,01 - 0,02 - 0,04-0,08 - 0,4 mM).
Pertanto le concentrazioni urinarie degli zuccheri sonda sono state
calcolate dalla
curva di calibrazione mediante analisi dell’area
sottostante i picchi. Le urine sono state filtrate attraverso un filtro da
0.22 µm e poi diluite. I campioni sono stati poi iniettati su una colonna
a scambio anionico Dionex PA100 (volume di iniezione 25 µl ).
La cromatografia a scambio anionico sfrutta la debole natura acida dei
carboidrati per ottenere separazioni selettive ad elevati pH utilizzando
una fase stazionaria forte a scambio anionico. Ad elevati pH i
39
carboidrati vengono ossidati elettrocataliticamente sulla superficie di
un elettrodo d’oro mediante applicazione di un potenziale positivo.
L’amperometria pulsata permette la detezione dei carboidrati in
quantità anche al di sotto delle 10 pmol misurando la corrente elettrica
generata dalla loro ossidazione sulla superficie di un elettrodo d’oro.
Gli zuccheri sono stati eluiti utilizzando NaOH 160mM (eleuente A)
ed NaOH 160mM + NaOAc 300mM (eluente B) con una velocità di
flusso di 1ml/min (tempo = 0-6 minuti 100% eluente A; tempo = 13
minuti 53,2% di eluente A, 48,6% di eluente B); il flusso è di 1ml/min
per tutta la durata del ciclo (93). I carboidrati presenti nell’eluente
sono stati individuati mediante il modulo ED40 utilizzando un
elettrodo d’oro e un triplo potenziale pulsato. L’elettrodo è stato
mantenuto ai seguenti potenziali e intervalli di tempo: campionamento
E1 = 0,05 V (t1 =0,40 s); ossidazione E2 = 0,75 V (t2 = 0,41 s);
riduzione E3 = - 0,15 V (t3 = 0,61 s).
40
2.3. ANALISI DELLA MICROFLORA INTESTINALE
MEDIANTE DGGE (Denaturing gradient gel electrophoresis).
2.3.1. Estrazione del DNA batterico
Nella procedura di estrazione di 50 mg di feci sono stati trattati con
500 µl di tampone di lisi contenente lisozima (10 mg/ml) e proteinasi
K. La sospensione è stata incubata a 37°C per 30 min. Dalle feci è
stato estratto il DNA totale utilizzando il Maxwell® 16 System
(Promega), un sistema automatizzato per l'estrazione di acidi nucleici.
Lo strumento prevede l’utilizzo del kit fornito dalla stessa ditta il
Maxwell® 16 DNA purification kit. Il DNA estratto, eluito in 400 µl di
tampone di eluizione, è stato utilizzato previa quantizzazione, come
target
nelle
reazioni
successive
di
PCR.
Le
letture
allo
spettrofotometro (Ultrospec 2100 pro Spectrophotometer, Amersharm
Biosciences Corporation, Piscataway, NJ) a λ 260 e il rapporto tra le
letture a λ 260 e a λ 280 sono state impiegate per la quantizzazione del
DNA ottenuto dall’estrazione e per determinare la sua purezza.
41
2.3.2. Amplificazione del DNA e sequenza nucleotidica degli
ampliconi.
Per mettere in evidenza la presenza di batteri nelle feci sono state
effettuate reazioni di PCR che sfruttano l’uso di primer universali
disegnati sulla sequenza nucleotidica del 16S rRNA. Due microlitri
del DNA estratto sono stati utilizzati come templato e aggiunti ad una
miscela di reazione composta da 10 µl di 5X Colorless Go Taq Flexi
buffer (Promega, Madison, Wi, USA), 1.5 mmol/L MgCl2, 200
µmol/L di ciascun deossinucleotide trifosfato, 50 pmol di primer 5’- 3’ e 5’--3’ (95), e 1.25 U di GoTaq flexi DNA polymerase (Promega,
Madison, Wi) per raggiungere un volume finale di 50 µl. I 35 cicli di
reazione: 94°C per 30 secondi, 55°C per 30 secondi, e 72°C per 60
secondi sono stati effettuati in un termocycler GeneAmp 9700
(Applied Biosystems, Foster City, CA). I prodotti di amplificazione
sono stati caricati su un gel di agarosio al 3% e quindi analizzati su gel
DGGE (Denaturing gradient gel electrophoresis).
2.3.3. PCR-DGGE
I primers utilizzati HDA1(5’-GAC TCC TAC GGG AGG CAG CAG
T-3’) e HDA2 (5’-GTA TTA CCG CGG CTG CTG GCA-3’) sono
descritti da Walter et al..2002. La reazione è stata condotta in un
volume finale di 25µl contenenti Master Mix 1X, 0,5 µM di ciascun
42
primer e 1µl di DNA. Il ciclo di amplificazione ha previsto una
denaturazione iniziale a 94°C per 4 min seguita da 35 cicli a 94°C per
1 min, 56°C per 1 min e 68°C per 1 min, estensione finale a 68°C per
7 min.
Per la DGGE sono stati utilizzati due gradienti denaturanti: 40-60%,
con gel di poliacrilammide al 8% (37,5:1 acrilamide/ bis acrilamide),
TAE 1X, 7M di urea e 40% di formamide: Lo strumento utilizzato è
l’IngenyphorU-2
system
(Ingeny
International,
Goes,
The
Netherlands). Il gel aveva dimensioni di 28-cm per 18-cm e 1-mm di
spessore. L’elettroforesi è stata condotta a 60°C per 18 ore a 80Volts.
Dopo la corsa i gel sono stati colorati in SYBR Green 1X, TAE 1X e
fotografati con raggi UV.
2.3.4. Sequenza degli ampliconi
Le bande da identificare sono state ritagliate con un bisturi ed
immerse in 100 µl di acqua. Il DNA così eluito è stato utilizzato in
reazioni di PCR allo scopo di ottenere una quantità di DNA sufficiente
per eseguire la sequenza nucleotidica. I prodotti di amplificazione
ottenuti sono stati purificati con il kit commerciale Wizard Plus SV
Minipreps- DNA Purification System (Promega, Madison, Wi).
L’eluato ottenuto da questa procedura è stato poi quantizzato e
sequenziato. Le sequenze nucleotidiche ottenute sono state analizzate
43
a scopo identificativo utilizzando i programmi NCBI BLAST (Basic
Local Alignment Search Tool) e RDP (Ribosomal Database Project).
2.4. Valutazione di parametri biochimici di danno epatico.
I campioni di sangue prelevati prima e dopo il trattamento sono stati
centrifugati a 3000 rpm per 10’ a temperatura ambiente per poter
separare il siero.
Sui camponi di siero così ottenuti è stata effettuata la determinazione
dei livelli di AST (alanina amminostransferasi), ALT (aspartato
amminotransferasi), γ-GT (γ-glutammiltransferasi), ALP (fosfatasi
alcalina) e bilirubina totale.
2.5. Determinazione di indice di flogosi su siero (TNF-α e IL-10)
I prelievi di sangue dei ratti di ciascun gruppo eseguiti prima e dopo il
trattamento, sono stati centrifugati ed il siero è stato congelato a -20°C
fino all’uso. I livelli sierici di mouse/rat TNFα e di mouse/rat Il-10
sono stati determinati mediante test quantitativi ELISA basati su
tecnica immunoenzimatica e secondo le indicazioni dei kit attualmente
presenti in commercio (Quantikine ELISA-R&D Systems,USA).
In questo test l’anticorpo policlonale specifico per le interleuchine è
già fissato con legame covalente all’interno di pozzetti di una
micropiastra. I campioni in esame, i controlli e gli standard sono stati
aggiunti ai pozzetti in modo da potersi legare all’anticorpo. Dopo aver
44
effettuato diversi lavaggi con soluzione tampone, per eliminare
sostanze non legate, è stato aggiunto un anticorpo secondario marcato
con perossidasi. Dopo un periodo di incubazione e successivi lavaggi
è stato aggiunto un substrato che, attraverso la produzione di una
reazione enzimatica, sviluppa un composto colorato la cui intensità è
direttamente proporzionale alla quantità di mouse/rat TNFα e di
mouse/rat Il-10 presente nel campione in esame. La reazione è stata
bloccata
aggiungendo
acido
solforico
1N.
Utilizzando
uno
spettrofotometro si è misurata la densità ottica a 450 nm e la
concentrazione di TNF-α e IL-10 è stata calcolata mediante l’utilizzo
di una curva standard (96, 97) .
2.6. Espressione genica di TNFα, IL-10, IL-1β, TLR2, TLR4, eNOS
ed iNOS mediante RT-PCR
2.6.1. Estrazione dell'RNA dal tessuto epatico.
L’estrazione dell’RNA dal tessuto epatico è stata effettuata seguendo
il metodo della guanidina isotiocianato (metodi TRIZOL). Tutti i
passaggi di estrazione sono stati eseguiti con materiali monouso e
sterili, privi di contaminazione con RNasi e DNasi.
Ogni campione di tessuto è stato omogeneizzato dopo aver aggiunto 1
ml di TRIZOL Reagent (Molecular Research Center,OH, US).
45
L’omogenato è stato raccolto e trasferito in un tubo Eppendorf da
1,5ml ed incubato a 4°C per 5 minuti per permettere la completa
dissociazione dei complessi nucleoproteici. Dopo aver aggiunto 200 µl
di cloroformio (Sigma), la miscela è stata agitata vigorosamente per
15 secondi e trasferita in ghiaccio per 10-15 minuti.
Il campione è stato centrifugato a 7500 rpm (centrifuga Eppendorf
mod. 5415R, rotore F45-24-11) per 20 minuti a 4°C. Dopo la
centrifugazione la miscela si separa in una fase inferiore rossa (fase
fenolo/cloroformio), un’interfase fioccosa e una fase acquosa
superiore.
L’RNA rimane esclusivamente nella fase acquosa, mentre DNA e
proteine sono nell’interfase e nella fase inferiore.
Il supernatante è stato recuperato delicatamente, vi è stato aggiunto
600µl di isopropanolo freddo (Fluka), è stato incubato a –20°C
overnight ed infine centrifugato a 14000 rpm per 20 minuti a 4°C per
far precipitare l’RNA.
Il precipitato è stato lavato per due volte con etanolo freddo al 70%,
poi seccato sotto lampada per evitare che permanessero tracce di
alcool ed infine il campione è stato risospeso in 50 µl di H2O
bidistillata trattata con dietilpirocarbonato (DEPC) (Sigma), che
inattiva varie Rnasi.
46
La soluzione è stata sottoposta a digestione per 30 minuti a 37°C
aggiungendo 1 µl di Dnasi I (2 unità/µl) (Ambion) e 0,1 volumi di
tampone DNasi I 10x fornito dal Kit (DNA-freeTM, Ambion). Per
eliminare la DNasi ed il DNA degradato sono stati eseguiti i seguenti
passaggi: aggiunta di 0,1 volumi di reagente disattivante della Dnasi I
(sempre fornito dal Kit) ed incubazione per 2 min a temperatura
ambiente; la soluzione è stata quindi centrifugata a 10000 x g per 1
minuto al fine di precipitare il reagente inattivante; il supernatante,
prelevato delicatamente, è stato posto in una nuova provetta. L’RNA è
stato quantizzato spettrofotometricamente. Il campione è stato diluito
200 volte in H2O trattata con DEPC e ne è stata determinata la
concentrazione in base al valore dell’assorbanza letta a 260 nm. La
concentrazione viene determinata moltiplicando il valore di densità
ottiche ottenuto per il fattore di diluizione. Si utilizza poi la relazione
matematica 25 OD = 1 mg/ml di RNA (98).
2.6.2. RT-PCR semiquantitativa
L’analisi dei livelli di mRNA dei geni TNFα, IL-10, IL-1β, TLR2,
TLR4, eNOS ed iNOS è stata effettuata mediante RT-PCR, seguendo
un protocollo opportunamente ottimizzato. La PCR è una tecnica che
consente di amplificare selettivamente una piccola regione genomica
delimitata da due sequenze specifiche.
47
Il frammento che si vuole amplificare è riconosciuto, ai suoi estremi,
da due corti segmenti di DNA, i cosiddetti “primers” o “inneschi”
(Tab. 3), oligonucleotidi di circa 20-mer complementari alle sequenze
di basi che fiancheggiano il frammento. I primers avviano la
polimerizzazione da parte della Taq-polimerasi; in ciascuno dei primi
cicli di polimerizzazione, il numero di copie della sequenza bersaglio
raddoppia, mentre in seguito la reazione perde il carattere di
esponenzialità fino a raggiungere un plateau. Studi di cinetica della
reazione hanno permesso di determinare che, nelle nostre condizioni,
con 29 – 32 cicli la reazione di amplificazione (il numero varia in
relazione ai tratti genici da amplificare) non raggiunge il plateau.
Questo dato è di fondamentale importanza per garantire delle
quantizzazioni attendibili; infatti, un’eventuale saturazione della
reazione di amplificazione non permetterebbe di apprezzare le
differenze quantitative fra i campioni.
La tecnica di RT-PCR semiquantitativa, opportunamente ottimizzata,
consente di ottenere indicazioni sui livelli di espressione di geni di
interesse, misurando l’abbondanza degli mRNA trascritti da questi
geni. Sono state determinate le variazioni del grado di espressione del
gene, confrontando i livelli di mRNA specifico amplificato nelle
cellule staminali stromali di midollo osseo con quelli dello stesso
mRNA amplificato nelle cellule di controllo.
48
Nei nostri esperimenti, 200 ng di RNA sono stati retrotrascritti in
cDNA in 25 µl di una soluzione contenente 32 ng/ml di una miscela di
oligo-esameri a sequenza casuale (Pharmacia), 800 µM di una miscela
di dNTP (Epicentre), 24 U di RNasina (Promega), tampone 1x per la
trascrittasi inversa (Promega) e 1U di trascrittasi inversa AMV
(Promega).
49
Tab.3 Primers utilizzati negli esperimenti di RT-PCR-semiquantitativa.
GENE
PRIMER
SEQUENZA
For
5’-AAATGGGCTCCCTCTCATCA-3’
Rev
5’-TCCTTAGGGCAAGGGCTCTT-3’
For
5’- TGGCTCAGCACTGCTATGTTG-3’
Rev
5’- TCCAGAGGGTCTTCAGCTTCTC-3’
For
5’- ACTTGGGCTGTCCAGATGAGA-3’
Rev
5’-GCCTGCAGTGCAGCTGTCTA-3’
For
5’-CGCATAGAGACATCCAAAGG-3’
Rev
5’-TTCTCACCCAGTCCTCATTC-3’
For
5’-CCCTTGACATCAGCAAGAAC-3’
Rev
5’-ACAGGAGTTCACAGGAGCAG-3’
For
5’- CTCAGGTTCTGTGTGTTTGG-3’
Rev
5’-GGATTTGCTGCTCTGTAGGT-3’
For
5’-AGCGAGTTGTGGATTGTTCT-3’
Rev
5’-CTTCGGGCTTCAGGTTATT-3’
For
5’-GTCATACCAGGAAATGAGCT-3’
Rev
5’-GCCAAAAGGGTCATCATCTC-3’
TNFα
IL-10
IL-1β
TLR4
TLR2
eNOS
iNOS
GAPDH
L
50
L’RNA è stato preincubato con gli esameri e l’H2O per 10’ a 65°C,
poi è stato raffreddato in ghiaccio per 5’ e, dopo l’aggiunta della
trascrittasi inversa, del tampone e dei dNTP, incubato per un’ora a
42°C. In seguito 1-3 µl del prodotto della retro-trascrizione (la
quantità dipende dal messaggio da amplificare) sono stati utilizzati per
la successiva amplificazione; la miscela di reazione conteneva, in un
volume finale di 25 µl, tampone 1x per la Taq polimerasi (Promega),
1,5 mM MgCl2 (Promega), 100 µM dNTP, 600 nM di ognuno dei due
opportuni primers e 0,75 U dell’enzima Taq polimerasi (Promega).
La reazione di amplificazione, effettuata con un apparecchio per PCR
(Gene Amp 9700 Perkin Elmer), ha seguito il seguente protocollo: il
primo passo della reazione di amplificazione prevede la denaturazione
del DNA a 94°C per 3 minuti.
Ad esso seguono 29 – 35 cicli che prevedono:
- Denaturazione del DNA a 94°C per un minuto
- Annealing tra DNA stampo e primers alla temperatura di annealing
tipica della coppia di primers utilizzata per un minuto
- Elongazione dell’amplicone a 72°C per un minuto.
In ciascun esperimento di RT-PCR sono stati effettuati dei controlli
negativi. I controlli negativi (che servono per dimostrare che il
prodotto di amplificazione non provenga da contaminazione di DNA
nell’RNA di partenza né sia il frutto di una contaminazione da parte
51
dell’operatore) sono stati effettuati sia sottoponendo a trascrizione
inversa un campione contenente tutti i reagenti della reazione, ad
eccezione dell’enzima della retro-trascrizione (controllo negativo della
RT), sia amplificando un campione contenente tutti i reagenti della
PCR tranne il cDNA (controllo negativo della PCR).
I primers sono stati scelti mediante il software PRIMER 3 basandosi
sulle sequenze di mRNA di GeneBank (DNASTAR Inc.,USA). Tutti i
primers avevano una lunghezza di 20-22 nucleotidi e contenevano una
percentuale in G-C compresa fra il 50 ed il 60%. Ogni campione è
stato amplificato in triplicato, 12 µl di ogni amplificazione sono stati
poi caricati su gel di agarosio al 2% e visualizzati mediante il “Gel
Doc 1000 UV system” (BIO-RAD). I campioni di DNA da caricare
sul gel sono stati appesantiti con una soluzione contenente 30%
glicerolo, 0.25% Blu di bromofenolo. La dimensione dei prodotti di
amplificazione è stata determinata mediante il confronto con il
marcatore di peso molecolare Ladder 100 (M-Medical), che presenta
bande di DNA di dimensione multipla di 100 paia di basi (cb).
L’analisi densitometrica semiquantitativa è stata condotta utilizzando
il software Quantity One (Bio-Rad). Per rendere i risultati
indipendenti da eventuali errori nella quantizzazione e dal grado di
purezza
dell’RNA
totale
di
partenza,
in
ogni
esperimento
l’amplificazione dei messaggi di interesse è stata accompagnata
52
dall’amplificazione dell’mRNA del gene GAPDH. Le variazioni dei
livelli dell’mRNA sono state calcolate normalizzando i valori rispetto
a questo controllo interno. La scelta è caduta su questo gene
housekeeping, poiché si ritiene che il suo livello di espressione
rimanga stabile nei processi da noi studiati.
2.7. Analisi istologica: colorazione rosso Sirio.
Tale colorazione sfrutta la particolare affinità del Rosso Sirio verso le
fibre collagene fornendo un utile parametro di valutazione del grado di
fibrosi nelle biopsie epatiche (tab.4). La selettività di questo colorante
nei confronti delle proteine collagene ci permette, inoltre, uno studio
quantitativo computer-assistito.
Tab.4. Colorazione Rosso Sirio.
Fissazione: formalina al 10%
Sezioni: 4 µm
Soluzioni:
A)
Rosso Sirio F3B
gr. 0.1
Ac.picrico Sol. Sat.
ml 100
Procedimento:
1.
Sparaffinare le sezioni e portarle in acqua distillata;
2.
Incubare al buio, a temperatura ambiente, nella soluzione A per 15 min.
3.
Effettuare una veloce disidratazione in tre cambi di alcool etilico
assoluto. Diafanizzare in 3 cambi di xilolo.
4.
Effettuare il montaggio dei vetrini.
Risultato:
Proteine collagene:
Rosso
53
2.7.1. Analisi morfometrica
Mediante l’uso del computer è possibile effettuare molteplici misure
morfometriche su immagini digitali acquisite (image analysis).
Tale principio è stato ampiamente sviluppato negli ultimi anni in vari
settori della medicina ed in particolare nel settore istopatologico,
fornendo utili elementi alla diagnosi terapeutica.
Le workstation utilizzate in istopatologia prevedono l’uso di un
computer collegato ad un microscopio provvisto di telecamera e ad
altre periferiche, solitamente stampanti (fig.6).
Fig.6. Workstation per IA Leica Quantimet Q500 IW.
Le tappe fondamentali di un’analisi morfometrica condotta su un
preparato istologico prevedono:
1. acquisizione e digitalizzazione delle immagini, ovvero la loro
conversione in un'informazione numerica comprensibile al computer;
54
2. ottimizzazione delle immagini mediante soppressione del rumore,
accentuazione del contrasto, rimozione di disomogeneità e strutture
estranee che falserebbero il risultato di una misurazione automatica;
segmentazione e classificazione delle immagini ottenute, intese come
loro scomposizione in «oggetti» e «sfondo», calcolo dei parametri
densitometrici, geometrici, classificazione e descrizione delle
immagini.
2.7.2. Procedura di analisi per la fibrosi epatica
I vetrini, opportunamente colorati con Rosso Sirio, vengono alloggiati
sul piatto del microscopio Leica DM-LB con ottica planare N-Plan. Le
sezioni subiscono un ingrandimento di 10x attraverso una video
camera Sony 3CCD a colori ( modello DXC-950P ). Il livello di
saturazione della luce deve essere regolato opportunamente per
osservare nel modo migliore l’immagine ottenuta. Viene effettuata
una scomposizione di immagine RGB, che utilizza i tre colori Rosso
(Red), Verde (Green) e Blu (Blue). Le immagini sono state processate
attraverso il sistema d' analisi d' immagine Leica Quantiment 500 IW
e le operazioni a computer eseguite impiegando Windows, attraverso
il software Leica QUIPS (Quantitative Interactive Programming
System) (fig.7). Per ciascuna sezione sono stati esaminati 10 campi
maggiormente rappresentativi attraverso acquisizione, digitalizzazione
e processi d’ analisi. La misurazione è stata effettuata in automatico
55
dal sistema, che ha fornito la percentuale di fibre collagene in rapporto
al tessuto stromale ed all’area totale. La procedura termina con la
stampa del report e l’archiviazione dei dati (fig.8).
a
b
c
Fig.7. Analisi di immagine attraverso il software Leica QUIPS (Quantitative
Interactive Programming System).
56
INIZIALIZZAZIONE:
• Scelta ingrandimento
• Livello di saturazione della luce
• Impostazione dei valori soglia in RGB
ANALISI
• Rilevazione delle aree
• Filtro morfometrico
• Correzione artefatti
Campo successivo
MISURA
Calcolo automatico:
• % RS/area stromale
• % RS/area totale
Archiviazione dati
Stampa report
Fig.8. Schema riassuntivo della procedura di analisi di immagine per la
valutazione dell’indice di fibrosi.
57
2. 8. Analisi statistica
Tutti i risultati delle analisi ottenute sono stati espressi come media ±
DS (deviazione standard) e per effettuare la comparazione tra le medie
è stato utilizzato il “ t test di Student” per dati appaiati.
Valori di p< 0.05 sono stati considerati statisticamente significativi.
58
3. RISULTATI
3.1. Permeabilità intestinale
I dati ottenuti dimostrano che sia l’induzione di fibrosi con CCl4 che il
trattamento con probiotico provocano un cambiamento delle
percentuali di recupero sia del mannitolo (p<0,05) che del lattulosio
(Fig.9).
Mannitolo (% di recupero)
Lattulosio (% di recupero)
1.6
5
0.07
*
1.1
0
0.03
**
*
0.00
Normali
CCl4
CCl4+ pr
0.5
5
0.0
0
Normal
i
CCl
CCl4 + pr
Fig.9. Percentuali di recupero di mannitolo e lattuolosio nelle urine escrete
nell’arco delle 24h. (* p<0.05 vs normali; **p<0.05 vs CCl4.
59
3.2. Analisi della microflora intestinale.
La valutazione della microflora intestinale effettuata mediante DGGE,
ha evidenziato nel colon dei ratti sani una flora batterica caratterizzata
essenzialmente da: Clostridium (la cui specie non è risultata
identificabile) ed una specie di Lactobaillus appartenente al gruppo
Lactobacillus acidophilus e Lactobacillus intestinalis. Nei ratti in cui
è stata indotta fibrosi con CCl4 è stato osservato un aumento di batteri
appartenenti
al
genere
Clostridium
(presumibilmente
specie
papirosolvens) mentre in quasi tutti i ratti trattati con L. paracasei è
stata osservata una diminuzione dei batteri appartenenti a questo
genere (fig.10).
60
Fig.10. Analisi della composizione della microflora intestinale su gel DGGE.
61
3.3 Livelli sierici di AST e ALT
I livelli sierici di AST, ALT, ALP e bilirubina totale risultano
aumentati nei ratti con fibrosi epatica rispetto ai ratti controllo
(p<0.05); tali valori risultano essere normalizzati dal trattamento con
L. paracasei (Tab.5 ; Fig.11).
Tab.5.Valutazione dei parametri biochimici su siero.
Ratti trattati
con CCl4
Controlli normali
Ratti trattati con
CCl4 + probiotico
ALT
51,20 ± 9,3
114,4 ± 35,7*
40,6 ± 17,6
AST
72,50 ± 13,9
183,4 ± 61,5*
117,8 ± 21,7
ALP
56 ± 25,4
467,6 ± 273*
365,6 ± 68,4*
γGT
4,2 ± 1,54
6,00 ± 1,60
4,4 ± 1,50
Bilirubina
totale
0,24 ± 0,05
0,42 ± 0,08*
0,32 ± 0,08*
(* p< 0.05 vs Normali).
150
250
AST
*
ALT
*
20
100
15
10
50
5
0
0
normali
CCl4
normali
CCl4+ pr
Fig.11. Livelli sierici di AST e ALT .
62
CCl4
CCl4+ pr
3.4. Livelli sierici di TNF-α e IL-10
I livelli di IL-10 sono risultati più bassi nel gruppo dei ratti con fibrosi
rispetto al gruppo controllo e risultano significativamente aumentati
dopo trattamento con probiotico (p<0.05; Tab.6; Fig.12) .
I livelli di TNF-α sono aumentati durante la fibrogenesi epatica
causata dal CCl4 rispetto ai valori misurati nei ratti del gruppo di
controllo e sono risultati significativamente ridotti in seguito al
trattamento con L. paracasei (p<0.05; Tab.6; Fig.12).
Tab.6. Livelli sierici di mouse/rat TNF-α e di mouse/rat IL-10 determinati
mediante test quantitativo ELISA.
Controlli
normali
Ratti trattati
con CCl4
Ratti trattati con
CCl4 + probiotico
IL-10
90±6,9
126,5±21,4
164,1±26,8* **
TNF-α
α
47,4 ± 12, 3
44,1 ± 12,9
9,1 ± 13,8*
( * p< 0.05 vs Normali; **p<0.05 vs CCl4)
TNF-α
100
*
*
**
IL-10
20
75
15
50
10
25
5
0
0
Normali
CCl4
CCl4+ pr
Normali
CCl4
CCl4+ pr
Fig.12. Livelli sierici di mouse/rat TNF-α e di mouse/rat IL-10 determinati
mediante test quantitativi ELISA (* p< 0.05 vs Normali; **p<0.05 vs CCl4).
63
3.5. Espressione di mRNA di citochine anti-infiammatorie e
proinfiammatorie su tessuto epatico di ratto
Nei ratti sottoposti ad induzione con CCl4 si è riscontrato, rispetto ai
ratti del gruppo di controllo, un aumento dei livelli dell’ mRNA per
TNF-α, TGF-β1, TLR2 e TLR4; al contrario si è osservata una
diminuzione dei livelli dell’mRNA per l’ IL-10.
Nel gruppo di animali a cui è stato somministrato il probiotico si è
invece evidenziata una diminuzione dei livelli degli mRNA per TNFα, TGF-β1, TLR2, TLR4 ed iNOS, rispetto ai ratti di controllo. I livelli
dell’ mRNA per IL-10 ed eNOS risultano invece aumentati in tale
gruppo di animali. I livelli di espressione del gene Il-1β non si sono
modificati in seguito al trattamento con L.paracasei (fig.13 A e B).
Fig.13.A. Effetto del trattamento con probiotico sulle citochine.
64
Fig.13.B. Effetto del trattamento con probiotico sui livelli di espressione dei
Toll- like receptor e sulle isoforme della ossido nitrico sintasi.
3.6. Analisi istologica del tessuto epatico
L’analisi istologica ha rivelato una normale architettura del tessuto
epatico nei ratti del gruppo controllo. Nei ratti trattati per 7 settimane
con CCl4 è presente una marcata fibrosi epatica con alterazione
dell’architettura del tessuto, formazione di larghi setti fibrosi,
separazione degli pseudolobi e accumulo di collagene (immagini
rappresentative della morfologia del fegato sono mostrate nella
fig.14).
Queste alterazioni
istopatologiche sia qualitative che quantitative
risultano notevolmente ridotte nelle sezioni epatiche dei ratti che
65
hanno ricevuto quotidianamente il probiotico(fig.14.C). La riduzione
della fibrosi è confermata anche dal dato quantitativo che mostra una
ridotta percentuale di deposito di collagene nel fegato di ratti trattati
con L. paracasei rispetto al gruppo di controllo (Tab.7).
A
B
C
Fig.14. (A) Fegato di ratto in cui è stata indotta fibrosi epatica con CCl4. (B)
Colorazione Rosso Sirio su tessuto epatico di ratto con fibrosi indotta da CCl4.
(C) ) Colorazione Rosso Sirio su tessuto epatico di ratto con fibrosi indotta da
CCl4 + probiotico (Flortec).
Tab.7. Determinazione della percentuale di fibre collagene sul fegato di ratti con
fibrosi indotta da CCl4 e ratti con fibrosi indotta da CCl4 ma trattati con
probiotico . *(p<0.05) vs Ratti CCl4.
Ratti CCl4
%collagene
9.2 ± 2.9
66
RattiCCl4 + probiotico
2.4 ± 0.5a *
4. DISCUSSIONE
La fibrosi epatica ed il suo stadio finale, la cirrosi, rappresentano il
quadro comune finale di tutte le malattie croniche del fegato. Il danno
epatico cronico che porta alla fibrosi avviene in risposta ad una varietà
di insulti che includono: epatite virale (in particolare le epatiti da virus
B e C), abuso di alcool, farmaci, disordini metabolici dovuti ad un
sovraccarico di ferro o rame, attacco autoimmune agli epatociti o
all’epitelio del dotto biliare, oppure anomalie congenite (99). La
normale matrice extracellulare subendoteliale (ECM) è essenziale per
il mantenimento delle differenti funzioni di tutte le cellule residenti
nel fegato. Non appena il fegato diventa fibrotico, si verificano
cambiamenti
sia
di
tipo
qualitativo
che
quantitativo
nella
composizione della ECM epatica. Il contenuto totale di collagene e di
componenti non-collagene, aumentano di 3-5 volte, accompagnate da
un cambiamento del tipo di ECM nello spazio subendoteliale per cui
si passa da una normale matrice a bassa densità, simile ad una
membrana basale, ad una matrice di tipo interstiziale contenente
collagene formante fibrille (100).
Le cellule stellate epatiche rappresentano il 15% del numero totale di
cellule residenti nel fegato. Nel fegato normale esse sono il principale
sito di accumulo dei retinoidi e costituiscono un gruppo eterogeneo di
cellule che sono funzionalmente e anatomicamente molto simili ma
67
differiscono nella loro espressione di filamenti citoscheletrici, nel loro
contenuto di retinoidi e nel loro potenziale per la produzione di ECM
(101).
In seguito a danno epatico di qualsiasi natura, le cellule stellate sono
sottoposte ad una risposta nota come “attivazione”, ossia il passaggio
da cellule quiescenti a miofibroblasti proliferativi, fibrogenici e
contrattili. L’attivazione delle cellule stellate è una risposta
notevolmente pleiotropica già altamente programmata.
Gli stimoli che danno inizio all’attivazione delle cellule stellate
derivano dagli epatociti danneggiati, dalle vicine cellule endoteliali e
dalle cellule di Kupffer in aggiunta a rapidi e sottili cambiamenti nella
composizione della ECM. Gli epatociti e le cellule di Kupffer sono
una potente fonte di intermedi reattivi dell’ossigeno (ROI); tali
composti esercitano una stimolazione paracrina delle cellule stellate
(102). Per di più la loro attività è amplificata in vivo dalla deplezione
di antiossidanti, come avviene normalmente nel fegato danneggiato.
La sovra-espressione nelle cellule stellate del citocromo P4502E1, che
genera i ROI, stimola l’espressione genica del collagene di tipo I e
questo effetto viene attenuato dagli antiossidanti (103). Le cellule
endoteliali giocano un duplice ruolo nell’attivazione precoce delle
cellule stellate. Il danno alle cellule sinusoidali endoteliali stimola la
produzione di una variante di splicing della fibronectina cellulare
68
(isoforma EIIIA), la quale ha un effetto attivante sulle cellule stellate
(104). In aggiunta le cellule endoteliali convertono il fattore di crescita
trasformante β1 (TGFβ1) nella forma attiva, fibrogenica, attraverso
l’attivazione della plasmina.
La perpetuazione dell’attivazione delle cellule stellate comprende
delle risposte fenotipiche cruciali mediate da un incremento degli
effetti delle citochine e dal rimodellamento della ECM (105).
L’aumento
della
risposta
delle
citochine
avviene
attraverso
meccanismi multipli (105), tra questi hanno una notevole importanza
l’aumentata espressione dei recettori della membrana cellulare e un
incremento del segnale (106). In modo particolare i recettori tirosinachinasi (RTKs), che mediano la maggior parte delle risposte delle
cellule stellate alle citochine, sono largamente sovra-regolate durante
il danno epatico (107). Durante questa fase la bassa densità della
matrice sub-endoteliale è progressivamente sostituita da una ricca in
collagene formante fibrille. Questo cambiamento fondamentale nella
composizione della ECM influenza il comportamento degli epatociti,
delle cellule sinusoidali endoteliali e accelera l’attivazione delle
cellule stellate. Questi effetti sono mediati non solo attraverso le
interazioni con le integrine, i classici recettori della ECM, ma anche
attraverso il legame a RTK (100). Si possono identificare delle
discrete reazioni fenotipiche delle cellule stellate man mano che la
69
loro attivazione viene perpetuata in risposta al danno epatico. Questi
cambiamenti includono: (a) proliferazione; (b) contrattilità; (c)
fibrogenesi; (d) degradazione della matrice; (e) chemotassi; (f) perdita
di retinoidi; (g) rilascio di citochine e chemoattrazione delle cellule
bianche del sangue.
Nel danno acuto nell’uomo e nel danno epatico sperimentale il
numero di cellule stellate attivate diminuisce non appena l’integrità
del tessuto è ricostituita. Ciò pone una questione intrigante: cosa
accade alle cellule stellate durante la risoluzione del danno? Esse
ritornano a cellule quiescenti o vengono eliminate? (100)
Una questione chiave non ancora risolta è se una cellula stellata
attivata può ritornare allo stato quiescente. Uno degli stimoli che
potrebbe controllare questa risposta è l’interleuchina-10 (IL-10). L’IL10 ha un effetto di down-regulation sull’infiammazione ed aumenta
l’attività della collagenasi interstiziale (108,109); inoltre, essa viene
indotta durante l’attivazione delle cellule stellate fornendo un segnale
di feedback negativo autocrino per limitare l’accumulo di cicatrici. In
aggiunta agli effetti delle citochine solubili, la regressione
dell’attivazione delle cellule stellate potrebbe essere possibile
mediante la ricostituzione della normale ECM subendoteliale.
Un possibile destino delle cellule stellate attivate è l’apoptosi (110).
L’apoptosi delle cellule stellate associata ad una ridotta espressione di
70
TIMP-1 è stata documentata durante la fase di recupero del danno
epatico indotto sperimentalmente (111). Le cellule stellate vanno
incontro ad apoptosi anche durante l’attivazione spontanea in parallelo
ad un’aumentata espressione di CD95L (ligando del Fas), Bcl-2 e p53
(110).
Sebbene siano noti i meccanismi patogenetici coinvolti nello sviluppo
della fibrosi epatica, non si è riusciti ancora a stabilire una possibile
terapia che possa prevenire la progressione di questa patologia o
addirittura indurne la regressione. Alla luce delle strette relazioni
esistenti tra intestino e fegato, abbiamo valutato il ruolo del
microbiota nell’ambito dei processi patologici che portano alla
formazione della fibrosi epatica, nonché il possibile effetto terapeutico
della
modulazione
della
flora
batterica
intestinale
mediante
somministrazione orale di probiotici. La somministrazione di Flortec
(ceppo B21060 di L. paracasei) si è rivelata efficace nel trattamento
della fibrosi epatica. Abbiamo osservato infatti non solo una riduzione
della percentuale di fibre collagene prodotte nel tessuto epatico in
seguito ad induzione del danno, ma anche una normalizzazione dei
parametri biochimici valutati su siero.
L’ induzione del danno epatico e l’effetto della somministrazione di
probiotico, sono stati inoltre valutati analizzando i livelli di mRNA dei
geni maggiormente implicati nel danno epatico. Le citochine
71
costituiscono un complesso network coinvolto nella regolazione delle
risposte infiammatorie e nell’omeostasi delle funzioni di un organo e,
nella fibrosi, un gran numero di citochine e di fattori di crescita
potrebbe essere coinvolto nella modulazione del danno.
I nostri esperimenti hanno evidenziato l’aumento dei livelli di mRNA
del gene TNF-α rispetto ai ratti normali insieme ad una diminuzione
dei livelli dell’mRNA per l’ IL-10, a dimostrazione del fatto che
l’epatotossicità mediata dal CCl4 gioca un ruolo importante nella
risposta infiammatoria.
Inizialmente il CCl4 viene metabolizzato negli epatociti dal citocromo
P450, dando origine a dei radicali triclorometilici altamente reattivi.
Nel processo finale vengono attivate le cellule di Kupffer, le cellule
stellate epatiche e le cellule endoteliali sinusoidali, per secernere le
citochine che mediano la fibrogenesi epatica quali TGF-β1
(Transforming growth factor β1), associato all’attivazione delle HSC
(Hepatic stellate cells) e alla conseguente produzione di ECM
(extracellular matrix), e TNF-α considerato il principale mediatore di
epatotossicità in diversi modelli sperimentali di danno epatico (112).
Al contrario la diminuzione dei livelli di IL-10, che abbiamo
riscontrato nei ratti indotti con CCl4, è in accordo con il ruolo di questa
citochina che, riducendo l’effetto epatotossico, agisce come
modulatore della risposta infiammatoria.
72
Dal momento che i Toll-like receptors (TLR) giocano un ruolo
importante nella fisiopatologia del fegato, abbiamo valutato l’
espressione dei geni TLR2 e TLR4. Anche in questo caso il
trattamento con L. paracasei ha portato ad una diminuzione dei livelli
degli mRNA di questi due recettori e in modo particolare del TLR2.
Secondo studi recenti l’espressione di TLR2 negli epatociti è upregolata dai lipopolisaccaridi (LPS), dal TNF-α, dalla lipoproteina
batterica e dall’ IL1β in un modo NF-kB dipendente, indicando che gli
epatociti diventano più responsivi ai ligandi di TLR2 in corso di
infiammazione. Al contrario l’espressione di TLR4 negli epatociti
sembra non essere up-regolata dai mediatori pro-infiammatori. TLR4
viene espresso su due mediatori chiave della fibrogenesi epatica: le
cellule di Kupffer e le cellule stellate epatiche. Le cellule di Kupffer
esprimono nel fegato livelli più elevati di TLR4 e sono considerate il
principale target dell’ LPS, inoltre il TLR4 espresso sulle cellule
stellate quiescenti e attivate, è il principale mediatore di fibrosi.
L’attivazione
di
TLR4
induce
una
downregulation
dello
pseudorecettore di TGF-β (Bambi) sulle cellule stellate. Ciò promuove
l’attivazione delle cellule stellate epatiche attraverso il TGF-β
prodotto dalle cellule di Kupffer e, di conseguenza, la fibrosi (113).
Il trattamento con L.paracasei riduce il livello di mRNA per TNF-α,
TGF-β1, TLR2, TLR4 ed iNOS e aumenta i livelli di mRNA per IL-10
73
ed eNOS. Per quanto riguarda l’espressione delle due isoforme della
ossido nitrico sintasi, le variazioni osservate sono in accordo con il
dverso ruolo svolto da questi due enzimi nel danno epatico cronico.
L’aumento di espressione di iNOS durante la fibrosi genera stress
ossidativo ed uno stato pro-infiammatorio al contrario, la minore
espressione di eNOS, influenza la microcircolazione epatica (114). Gli
effetti benefici derivati dal trattamento con il probiotico possono
essere
correlati
al
fatto
che
la
colonizzazione
del
tratto
gastrointestinale, da parte di questo batterio, risulti in una
modificazione della flora batterica a scapito di specie batteriche proinfiammatorie. La rimozione dell’insulto infiammatorio potrebbe
essere uno dei potenziali meccanismi mediante i quali i batteri
probiotici possono modulare la gravità di un danno. Inoltre il
probiotico potrebbe avere una più diretta interazione con il sistema
immunitario a livello della mucosa intestinale.
Dati preliminari indicano una diminuzione della permeabilità
intestinale nei ratti trattati con L.paracasei, come si evince dalla
diminuzione dell’assorbimento di lattulosio e di mannitolo registrata
in seguito al test di permeabilità. Tuttavia nei nostri esperimenti
l’assorbimento delle sonde è risultato molto basso, in particolare per il
mannitolo e per il saccarosio mentre il rapporto La/Ma è risultato
invertito, a differenza di quanto riportato in letteratura oltre che
74
nell’uomo. Le analisi di composizione della microflora intestinale
effettuate mediante DGGE hanno evidenziato, nei ratti in cui è stata
indotta fibrosi con CCl4, un aumento di batteri appartenenti al genere
Clostridium di cui non è stato possibile identificarne la specie. In
quasi tutti i ratti trattati con L. paracasei è stata osservata una
diminuzione dei batteri appartenenti a questo genere.
Alla luce delle diverse problematiche riscontrate sono in corso
ulteriori esperimenti per poter indagare ulteriormente sull’aspetto di
permeabilità e sulla composizione della microflora intestinale.
75
5. CONCLUSIONI
I nostri risultati hanno dimostrato che il ceppo B21060 di
Lactobacillus paracasei migliora il danno epatico in quanto:
• riduce la permeabilità intestinale al mannitolo
• riduce i livelli sierici dei parametri biochimici
• riduce la quantità di collagene presente nel tessuto epatico
• riduce l’ espressione genica di TNF-α, iNOS, TLR2 e TLR4
• riduce i livelli di TNF-α nel siero
• aumenta i livelli di IL-10 nel siero
• aumenta i livelli di mRNA per eNOS ed IL-10 nel tessuto
epatico.
Questi dati indicano che tali batteri probiotici possono essere degli
interessanti “agenti bio-terapeutici” per il trattamento della fibrosi
epatica, agendo sulla composizione della flora batterica intestinale e
sull’attività del sistema immunitario.
76
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