Il danno punitivo: trapianto possibile nell`ordinamento giuridico

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Il danno punitivo: trapianto possibile nell`ordinamento giuridico
Il danno punitivo: trapianto possibile nell’ordinamento giuridico
italiano?
Mario Tocci
Avvocato e dottorando di ricerca in “Impresa, Stato e Mercato” - Università degli Studi della Calabria
SOMMARIO: 1. Premessa ed inquadramento della problematica - 2. L’atteggiamento ori ginario della giurisprudenza italiana di legittimità: disarmonie rispetto alla giurisprudenza di
merito - 3. L’atteggiamento attuale della giurisprudenza di legittimità: qualcosa è cambiato 4. Conclusivi auspici di risveglio della magistratura
1. Premessa ed inquadramento della problematica
Appare opportuno parlare adesso di danno punitivo in quanto, forse (e finalmente) il suo
riconoscimento ha da poco fatto ingresso, attraverso l’autorevole porta della giurisprudenza di legittimità, nell’ordinamento giuridico italiano.
Un ingresso non agevole, anzi timido e addirittura osteggiato, da altra e decisamente
contraria giurisprudenza di legittimità, purtroppo e inspiegabilmente molto suggestiva per la
maggior parte degli studiosi italiani.
Per danno, melius risarcimento (ovviamente, per equivalente), punitivo deve intendersi il
ristoro del pregiudizio patito da un soggetto e di misura eccessiva rispetto a quella effettivamente necessaria alla riparazione della lesione verificatasi, con finalità sanzionatorie
complementari alle minime di natura compensativa.
In virtù della condanna al risarcimento punitivo, dunque, al danneggiante viene imperato di elargire a favore del danneggiato, a scopo meramente afflittivo, una somma di denaro superiore a quella effettivamente occorrenda per il riequilibrio delle situazioni soggettive
diminuite ovvero annientate.
La figura del risarcimento punitivo nasce e si sviluppa nell’ordinamento statunitense, che
conosce e contempla i punitive damages ovvero i danni (melius risarcimenti) esemplari proprio a livello normativo; va comunque rilevato che i punitive damages, secondo quanto statuito dalla Corte Suprema il 7 aprile 2003, soggiacciono al principio di ragionevolezza sicché il loro ammontare deve comunque essere proporzionale all’offesa presidiata 1.
1 Ponzanelli, La “costituzionalizzazione” dei danni punitivi: tempi duri per gli avvocati nordamericani in Foro
It. 2003, IV, 356.
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La ratio dei punitive damages è rinvenibile nell’esigenza di deterrenza dei consociati dell’ordinamento giuridico dalla posizione in essere di condotte dannose per i terzi 2.
Così delineati, i punitive damages assolvono a un compito tradizionalmente affidato alle
norme del diritto penale e rappresentano un formidabile punto di contatto, anzi di fusione,
tra il diritto privato e il diritto pubblico a conforto della giustezza della visione unitaria ancorché polifenomenica dell’ordinamento giuridico.
La dottrina si pone in modo favorevole riguardo alla configurabilità teorica del risarcimento punitivo, salvo poi esecrarne l’applicazione pratica in ragione del timore di derive economiche conseguenti a causa del malgoverno di essa.
Autorevolissima dottrina 3 ha paventato la distorsione dell’optimal deterrence (deterrenza ottimale) verso un’overdeterrence (sovradeterrenza) con il rischio probabile di crisi economiche dovute all’uscita dal mercato di imprese incapaci di sostenere il peso dei risarcimenti imposti per l’impreparazione dei giudici chiamati ad occuparsene.
L’argomentazione convince, alla luce del principio di parità dei vari attori del mercato,
scaturigine di quello generale di eguaglianza, che informa ed ispira gli ordinamenti di tutti
gli Stati democratici contemporanei e grazie al quale è stato possibile creare il diritto consumeristico.
Tale argomentazione, d’altronde, non può e non deve costituire un alibi per rallentare l’evoluzione di un ordinamento.
In sostanza, è assolutamente impensabile che la presenza (ipotetica ed eventuale) di
una classe giudiziaria mediocre sia baluardo idoneo per frapporre ostacoli al dinamico e
naturale funzionamento del processo nomopoietico.
Nell’ipotesi appena prospettata, infatti, l’elemento da mutare è proprio quello della classe giudiziaria.
2. L’atteggiamento originario della giurisprudenza italiana di legittimità: disarmonie rispetto alla giurisprudenza di merito
La giurisprudenza italiana di legittimità è stata investita dalla problematica afferente alla
configurabilità del risarcimento punitivo in sede di giudizio di delibazione di una sentenza
della Corte Distrettuale della Contea di Jefferson in Alabama (U.S.A.).
Tale sentenza aveva condannato un’azienda italiana produttrice di fibbie di chiusura per
caschi da motociclisti al risarcimento del danno cagionato alla madre di un soggetto sbal2 Ponzanelli, I punitive damages nell’esperienza nordamericana in Riv. Dir. Civ. 1983, I, 435; Sirena, Il risar cimento dei danni c.d. punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa in Riv. Dir. Civ. 2006, I, 531.
3 Ponzanelli, Danni punitivi? No, grazie in Foro It. 2007, I, 1461.
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zato dalla moto condotta e impattato mortalmente col capo a terra a causa della perdita del
casco indossato per il malfunzionamento della fibbia di chiusura prodotta appunto dalla
società convenuta.
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 1183/2007 4, ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia del 15 ottobre 2001 5 e affermato il principio secondo cui l’idea di punizione e sanzione è estranea al risarcimento del danno sicché non è possibile la delibazione per contrarietà all’ordine pubblico interno (ai sensi del disposto dell’ormai abrogato art. 797 c.p.c., ora sostituito dall’art. 64, lett. g, della L. n. 218/1995) della sentenza straniera di condanna al risarcimento punitivo, attesa la caratterizzazione dello stesso in ordine alla sproporzione tra importo liquidato e pregiudizio subito.
Gli ermellini di piazza Cavour hanno dunque aderito alla tesi secondo cui la sanzione è
correlata alla funzione punitiva propria del diritto pubblico mentre il risarcimento integra il
rimedio precipuamente privatistico di una lesione ingiusta 6.
Tesi, quella da ultimo argomentata, non unanimemente condivisa 7.
Peraltro, non bisogna dimenticare che in precedenza si erano registrate nella giurisprudenza di merito (valgano per tutte le sentenze emesse dal Tribunale di Torre Annunziata in
date 14 marzo 2000 e 21 febbraio 2000 8) condanne a risarcimenti punitivi nei confronti di
compagnie assicuratrici che, sussistendone le condizioni, non si erano prodigate per la liquidazione stragiudiziale di danni ed avevano costretto i danneggiati ad agire giudizialmente.
3. L’atteggiamento attuale della giurisprudenza di legittimità: qualcosa è cambiato
Attualmente la giurisprudenza di legittimità sembra avere mutato orientamento.
La sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione ha affermato, con sentenza
15067/2008, che il diritto civile non ignora anzi contempla istituti risarcitori sanzionatori di
carattere afflittivo con funzioni di deterrenza, qual è quello previsto dall’art. 18 comma quarto della L. n. 300/1970 in materia di risarcimento del danno da reintegrazione del lavoratore licenziato, cui spetta la liquidazione ristorativa di una somma pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione indipendentemente dall’entità del pregiudizio patito.
4 Per un commento: Ponzanelli, Danni punitivi? No, grazie, op. cit..
5 De Pauli, Danni punitivi, ordine pubblico e sentenze straniere delibande a contenuto anfibio in Nuova Giur.
Civ. 2002, I, 771.
6 Franzoni, Fatti illeciti-supplemento (artt. 2043, 2056, 2059 c.c.) in Galgano, Commentario Scialoja-Branca,
Bologna 2004, 666.
7 Ferrari, La funzione di garanzia nella responsabilità civile, Napoli 2005.
8 Per un commento: Musy, Punitive damages e resistenza temeraria in giudizio: regole, definizioni e modelli
istituzionali a confronto in Danno e Responsabilità 2000, 1123.
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4. Conclusivi auspici di risveglio della magistratura
Il problema della configurabilità dei punitive damages nell’ordinamento giuridico italiano 9
è percepito.
La sentenza della Cassazione 1183/2007 è per il momento isolata, a fronte della sentenza sempre di legittimità 15067/2008 e di altre interessanti pronunce di merito.
Il risarcimento punitivo (con riguardo, oltre che ai danni da lite temeraria e da reintegrazione del lavoratore licenziato, ai danni da diffamazione a mezzo della stampa) è compatibile con le norme sulla responsabilità civile dell’ordinamento giuridico italiano.
Sarebbe opportuno che la magistratura ne prendesse cognizione e atto anziché arroccarsi su posizioni difficilmente credibili.
Di certo, non bisogna esagerare.
Pertanto, non è da criticare l’orientamento espresso dalla Corte Suprema U.S.A. nel
2003 in relazione alla controversia “State Farm vs Campbell” 10, che ha negato il diritto al
risarcimento punitivo a soggetti che avevano patito il medesimo pregiudizio di coloro i quali
avevano agito in giudizio per il ristoro senza tuttavia partecipare al giudizio stesso.
9 Broggini, Compatibilità di sentenze statunitensi di condanna al risarcimento di “punitive damages” con il dirit to europeo della responsabilità civile in Europa e dir. Privato 1999, 479; Corongiu, Pregiudizio subito e quan tum risarcitorio nelle sentenze di punitive damages: l’impossibile risconoscimento in Italia in Int’l lis 2004, 89;
Saravalle, I “punitive damages” nelle sentenze delle corti europee e dei tribunali arbitrali in Riv. Dir. Int. Priv.
e Proc., 1993, 867.
10 Per un commento: Gardenal-Linares, La Corte Suprema degli Stati Uniti e i “punitive damages” in
Commercio Internaz., 2003, XII, 9; Lanucara, I danni punitivi nell’ultima rilettura della Corte Suprema: più
“damages” e meno “punitive” (in margine a U.S. Supreme Court, 07 aprile 2003, State Farm vs Campbell) in
Int’l lis 2004, 46; Ponzanelli, La “costituzionalizzazione” dei danni punitivi: tempi duri per gli avvocati norda mericani, op. cit..
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