La codificazione latina e orientale - Edizioni Dehoniane

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La codificazione latina e orientale - Edizioni Dehoniane
Capitolo 1
La codificazione latina e orientale
1. Struttura generale
del Codice di diritto canonico
Il CIC (Codex iuris canonici) per la Chiesa latina è stato
promulgato il 25 gennaio 1983, ha avuto la presentazione
ufficiale il 3 febbraio dello stesso anno ed è entrato in vigore il 27 novembre 1983. Contiene la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, la prefazione storico-giuridica e i sette libri di cui si compone.
Il CIC-’17 (Codex iuris canonici dell’anno 1917) era
impostato secondo la distinzione romanistica in persone,
cose e azioni, cioè l’organizzazione delle persone e delle
istituzioni, l’insieme strutturato delle cose necessarie al
procedere dell’ordinamento ecclesiale (sacramenti, luoghi
e tempi sacri, culto divino, magistero ecclesiastico, benefici, beni temporali) e le azioni per la tutela dei diritti personali e comunitari. Quindi era suddiviso in cinque libri:
le norme generali, le persone, le cose, i processi, i delitti e
le pene.
Il CIC è strutturato in maniera diversa, dal momento
che si basa sulla visione ecclesiologica del Vaticano II:
consta di sette libri, divisi in parti eccetto i libri I, III e V;
le parti di alcuni libri sono suddivise in sezioni.
La divisione dei libri in parti deriva praticamente dal
CIC-’17; il Codice vigente mantiene questa divisione per
i libri II, IV, VI-VII, mentre gli altri – I, III, V – non
hanno parti. I titoli, che con i libri formano la divisione
più importante secondo la tradizione canonica iniziata uf-
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ficialmente con il Liber extra (1234), le decretali di Gregorio IX (1227-1241), sono sempre suddivisi nel CIC in
capitoli, oppure direttamente in canoni.
Nel Decretum magistri Gratiani la suddivisione finale
per le disposizioni legislative, ordinatamente e organicamente disposte, era in canoni, secondo l’intitolazione originale data dal maestro stesso: Concordia discordantium
canonum. Le decretali seguenti, da quelle di Gregorio IX
in poi, ebbero invece, come suddivisione ultima, quella in
capitoli.
La divisione in libri delle collezioni di leggi ha origine
dalla Compilatio I antiqua, redatta negli anni 1188-1192
da Bernardo di Pavia; la materia era disposta secondo il
verso latino iudex, iudicium, clerus, connubia, crimen.
Senza dimenticare la tradizione giuridico-legislativa
della Chiesa, il CIC mantiene la divisione in libri, strutturandola però in maniera diversa sia dalla tradizione canonica sia da quella romanistica. Lumen gentium1 ha riscoperto il mistero della Chiesa nel suo aspetto visibile e sociale come «il nuovo popolo di Dio»; di conseguenza il
supremo legislatore ha posto al centro della legislazione
canonica ecclesiale appunto la struttura organizzativa personale e comunitaria di essa: libro II, Il popolo di Dio. Si
passa poi all’azione della Chiesa, popolo di Dio, nel compiere la missione affidatale da Cristo: libro III, La funzione di insegnare; libro IV, La funzione di santificare; con i
mezzi non solo soprannaturali, ma anche naturali a sua
disposizione: libro V, I beni temporali della Chiesa. Il concilio Vaticano II, considerando la Chiesa come popolo di
Dio, ha pure approfondito l’aspetto che unisce in sé questo popolo nella visione della Chiesa-comunione; ecco
quindi che la normativa canonica è volta al recupero della
comunione, quando essa venga turbata da un delitto contro la comunione stessa, vale a dire contro la Chiesa me1
Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, 21 novembre 1964: EV 1/284-456.
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desima, perché il fedele e le comunità ecclesiali possano
rientrare nella sua pienezza: libro VI, Le sanzioni nella
Chiesa. Dalle affermazioni solenni dei diritti dei fedeli
nella Chiesa, si giunge alla loro effettiva tutela, come alla
difesa dei diritti personali e comunitari e alle dichiarazioni di verità nelle diverse situazioni di conflitto che si possono verificare nel popolo di Dio: libro VII, I processi. Nel
rispetto della tradizione giuridico-legislativa, prima
dell’esposizione delle leggi fondamentali della Chiesa nei
vari settori in modo sistematico e organico, è posto il libro
I, Norme generali, ampliato rispetto alla trattazione precedente sia nei concetti che nelle tematiche normative.
2. Natura del Codice di diritto canonico
Codex deriva etimologicamente da caudex, cioè tronco
d’albero, poi tavoletta su cui si scriveva; anticamente era
un libro formato da più tavolette messe insieme. Il termine opposto era volumen, che indicava un rotolo di pergamena oppure un rotolo di fogli di papiro. Formalmente
nella scienza giuridica codex indica il corpo organico delle
leggi fondamentali che disciplinano un dato ramo del diritto; nella scienza canonica è una collezione sistematica e
sintetica di leggi ecclesiastiche.
Ius deriva da iustitia e ne indica l’oggetto specifico: lo
iustum, nei rapporti giuridici tra privati (giustizia commutativa), dei membri verso la società (giustizia legale), della
società verso i suoi membri (giustizia distributiva). Da
quest’ultima accezione deriva il significato oggettivo causale o normativo, usando la derivazione ius da iussum, inteso come regula iusti, vale a dire regola di ciò che è giusto, norma oggettiva che impone un determinato comportamento ai membri della società, e quindi lex.
Si presentano allora i diversi significati di ius come lex:
legge divina naturale, che ha il suo fondamento nella
crea­zione; legge divina positiva, che ha il suo fondamento
nella rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento;
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legge umana positiva civile, che ha come autore l’autorità
civile; e legge umana positiva ecclesiastica, che ha come
autore la legittima autorità della Chiesa.
Inoltre ius ha un significato soggettivo che tradizionalmente si definisce come facoltà morale inviolabile di
possedere, fare o esigere qualcosa.
I termini delle lingue moderne che traducono ius
(«diritto», «droit», «derecho», «direito», «dret», «Recht»,
«right») hanno una diversa radice; derivano da directum,
aggettivo sostantivato del tardo latino, in opposizione a
tortum, e indicano l’idea di direzione, rettitudine, regola,
per cui si ritrovano praticamente con il significato oggettivo formale di ius, regula iusti, lex.
La voce ius significa anche la scienza che ha come oggetto lo studio dei rapporti giuridici in tutta la loro estensione. Il termine «diritto», soprattutto nell’espressione «il
nuovo diritto», indica impropriamente anche il Codice di
diritto canonico in vigore.
L’espressione ius canonicum, oltre a significare la scienza corrispondente, viene a indicare tutto il complesso delle leggi della Chiesa: il diritto divino che la Chiesa propone; il diritto positivo ecclesiastico che la Chiesa costituisce; il diritto positivo civile che la Chiesa recepisce e «canonizza» nelle sue leggi mediante un rimando specifico e
condizionato.
Si deve notare pure che «diritto ecclesiastico» viene oggigiorno usato per indicare la disciplina giurisprudenziale
che tratta della legislazione civile in materia di religione.
Volendo, infine, definire propriamente la natura del
Codice, si deve dire in primo luogo che è una collezione
di leggi, quindi un insieme ordinato e sistematico di disposizioni normative, con caratteristiche ben definite; si
tratta di una collezione autentica, in quanto proviene con
certezza da chi ne è indicato come autore, e in questo caso
dalla suprema autorità della Chiesa, che l’ha approvata e
promulgata come tale; unica, cioè promulgata con un unico atto autoritativo, sia per il tempo di promulgazione sia
per il momento dell’obbligatorietà; universale, nel senso
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che riguarda tutta e sola la Chiesa latina, ed esclusiva rispetto alle leggi precedenti.
3. Iter di codificazione
del Codex iuris canonici
L’antichissima consuetudine di redigere collezioni nei
primi dieci secoli della storia della Chiesa fu realizzata per
iniziativa privata. Alla mirabile sintesi operata dal maestro Graziano seguirono altri tentativi di sistemazione
della materia legislativa, giunta ormai, specie con il concilio di Trento (1545-1563) e i numerosi documenti dei
dicasteri della Curia romana, a un accumulo di disposizioni normative, per cui i vescovi già nel concilio Vaticano I (1869-1870) richiesero che si approntasse una nuova
e unica collezione di leggi per la cura pastorale del popolo
di Dio; al riguardo Pio IX (1846-1878) aveva costituito
una commissione nel 1867. Vennero approntate codificazioni private, sull’esempio della codificazione napoleonica. L’iniziativa della codificazione ufficiale si deve a Pio X
(1903-1914), seguendo in ciò l’idea dell’insigne giurista
Pietro Gasparri; il papa ne comandò l’esecuzione con la
lettera Arduum sane,2 del 14 aprile 1904, come realizzazione di parte del motto del suo pontificato: Instaurare
omnia in Christo.
L’impresa, davvero ardua, proseguì fino al 1914 e continuò con Benedetto XIV (1914-1922), che promulgò il
primo Codex iuris canonici con la costituzione Providentissima Mater Ecclesia, del 27 maggio 1917.3
Nonostante l’universale consenso per il Codice pio-benedettino, sia le condizioni esterne della Chiesa nel mondo contemporaneo sia le progressive trasformazioni inter2
Pio X, lettera apostolica Arduum sane, sulle leggi della Chiesa da redigere
in unum, 14 aprile 1904, in ASS 36(1903-1904), 449-451.
3
Benedetto XIV, costituzione Providentissima Mater Ecclesia, 27 maggio
1917: AAS 9(1917)2, 5-8.
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ne della comunità ecclesiale resero necessaria e urgente
una nuova riforma della legislazione ecclesiastica nel suo
complesso. Giovanni XXIII (1958-1963) ne dà l’annuncio il 25 gennaio 1959 e costituisce la Pontificia commissio
Codici iuris canonici recognoscendo il 28 marzo 1963. Nella
prima sessione plenaria che la commissione tenne il 12
novembre 1963, i padri convennero di iniziare i lavori di
codificazione solo dopo la conclusione del concilio Vaticano II, perché in base ad esso si doveva impostare l’opera
di revisione. Paolo VI (1963-1978) rese internazionale la
commissione, introducendovi 70 consultori scelti da ogni
parte del mondo e altri membri cardinali.
Paolo VI, il 20 novembre 1965, convocò un’assemblea
plenaria della commissione per celebrare l’inaugurazione
pubblica dei lavori e pose il principio fondamentale per la
revisione del Codice. Momento culmine di questo periodo iniziale dei lavori di riforma fu l’enunciazione dei dieci
principi direttivi della revisione: discussi e approvati dal
30 settembre al 4 ottobre, durante la prima assemblea generale del sinodo dei vescovi (29 settembre-29 ottobre
1967), costituirono l’iter da seguire in futuro. Questi
sono:
– l’indole giuridica del Codice;
– il collegamento tra foro interno e foro esterno;
– i mezzi per favorire la cura pastorale nel Codice;
– l’incorporazione delle facoltà speciali nel Codice;
– il principio di sussidiarietà nella Chiesa;
– la tutela dei diritti delle persone;
– la procedura per la tutela dei diritti soggettivi;
– il principio di territorialità;
– la revisione del diritto penale;
– la nuova disposizione sistematica del Codice.
Nel frattempo, il 15 gennaio 1966, era stata inviata
una lettera ai presidenti delle conferenze episcopali perché tutti i vescovi indicassero nomi di esperti canonisti
come consultori e perché le stesse conferenze episcopali
offrissero suggerimenti per la revisione del Codice. Dopo
aver trattato e risolto diverse questioni, vennero costituiti
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vari gruppi di studio per preparare gli schemi del futuro
Codice. Questi schemi, dapprima inviati al papa con una
relazione esplicativa, successivamente venivano mandati a
tutti gli episcopati, ai dicasteri della Curia romana, alle
università ecclesiastiche, all’unione dei superiori generali
per le osservazioni. Ricevute le osservazioni, la segreteria
della commissione procedette a un immenso lavoro per
ordinare, sintetizzare, trasmettere ai consultori, discutere
e valutare con loro ogni osservazione. Dopo di ciò, si procedette all’opera di coordinamento interno, uniformità
terminologica, redazione sintetica dei canoni e loro disposizione sistematica in base ai principi direttivi. Tutto
questo lavoro confluì nell’edizione dello schema dell’intero Codice del 29 giugno 1980.
Tale schema, composto di 1728 canoni, venne inviato
ai cardinali della commissione e ad altri cardinali ad essa
aggiuntisi per volontà di Giovanni Paolo II, fino a raggiungere il numero di 74. Le osservazioni dei cardinali, la
sintesi e le risposte della segreteria vennero raccolte in un
unico volume, inviato poi a tutti i padri della commissione.
Nell’aula del sinodo dei vescovi si tenne la sessione
plenaria della commissione, dal 20 al 28 ottobre 1981;
vennero esaminate e discusse la Relatio del 1981 e soprattutto sei grandi questioni di natura teologica e giuridica,
oltre ad altre 41 questioni proposte da almeno dieci padri.
Alla fine, il testo emendato fu presentato al papa il 22
aprile 1982.
Il papa esaminò il testo del nuovo Codice sia personalmente sia con l’aiuto di due commissioni: la prima composta da sette esperti, teologi e giuristi; la seconda composta da tre cardinali e da un vescovo. Dopo l’ultima discussione, svoltasi il 23 dicembre 1982, il papa decise che
la promulgazione del Codice di diritto canonico dovesse
avvenire il 25 gennaio 1983, a 24 anni dall’annuncio della
sua revisione dato da Giovanni XXIII.
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4. La codificazione orientale
Con la costituzione apostolica Sacri canones4 del 18 ottobre 1990, Giovanni Paolo II ha promulgato il CCEO
(Codex canonum Ecclesiarum orientalium), entrato in vigore il 1° ottobre 1991.
Già prima del concilio Vaticano I vi furono tentativi di
unificare le varie normative canoniche delle Chiese orientali cattoliche, ad esempio con la pubblicazione di Bullaria e di Collectanea, che contenevano solo atti pontifici
emessi per gli orientali cattolici e in genere per i cattolici
in Oriente. Prima di queste raccolte, gli orientali cattolici
seguivano i canoni antichi contenuti nelle antiche collezioni, gli Acta della Sede apostolica, i sinodi delle proprie
Chiese (approvati o non approvati dalla Sede apostolica),
le loro proprie consuetudini, il diritto patriarcale e le leggi
ecclesiastiche emanate dall’autorità civile. Benedetto XV
non solo promulgò il CIC-’17 per la Chiesa latina, ma
istituì anche la Sacra congregazione per la Chiesa orientale come un organismo a sé stante della Santa Sede, cioè
distaccato dalla Congregazione di Propaganda Fide. La
nuova Congregazione si rese conto della necessità della
promulgazione di un Codice per tutte le Chiese orientali
cattoliche.
L’iter storico della codificazione del diritto canonico
delle Chiese orientali cattoliche viene descritto sia nella
costituzione apostolica Sacri canones, sia nella prefazione
del CCEO. Pio XI, nell’udienza concessa al cardinale segretario della Sacra congregazione per la Chiesa orientale
il 3 agosto 1927, indicò tra gli affari più urgenti la codificazione del diritto canonico orientale, che ebbe inizio nel
1929. Il 27 aprile dello stesso anno Pio XI costituì uno
speciale consiglio di presidenza della codificazione orientale e vi aggiunse una commissione di consultori compo Giovanni Paolo II, costituzione apostolica Sacri canones, con la quale
viene promulgato il Codice dei canoni delle Chiese orientali, 18 ottobre 1990:
EV 12/507-530.
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