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Realtà storica e fantasia ne
Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino
Rabie Salama
Personaggio di spicco nella storia della narrativa italiana del Novecento,
Italo Calvino, è considerato a giusta ragione un raffinato ed impegnato
interprete della storia sociale, politica, culturale del secondo dopoguerra, un
originale e colto scrittore di romanzi, saggi, e, fin da giovanissimo, di
numerosi racconti.
Il Sentiero dei nidi di ragno fu il suo primo romanzo, scaturito dalla sua
esperienza di partigiano, scritto sotto la spinta e l’entusiasmo della vittoria,
frutto di un’esperienza irripetibile: “l’esplosione letteraria di quegli anni in
Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale,
collettivo. Avevamo vissuto la guerra e noi più giovani – che avevamo fatto
appena in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti,
bruciati, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena
conclusa, depositari esclusivi di una sua eredità. Non era facile ottimismo
però o gratuita euforia, tutt’altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un
senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un novello
problematico generale, anche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo
sbaraglio: ma l’accento che vi mettevamo era quello di una spavalda allegria.
Molte cose nacquero da quel clima e anche il piglio dei miei primi racconti e
del mio primo romanzo”1.
Il giovane Calvino non scrive solo racconti e romanzi. In quegli anni di
fermento si cimenta come critico, si interessa di cinema, cresce la sua
passione per il teatro e per la musica anche se la letteratura sarà sempre la
sua ragione di vita. C’è in lui una forza e una vitalità che sembra non
possano esaurirsi. “ La letteratura italiana gli sta stretta quasi da subito. Si
lamenta che la letteratura (siamo nel 1946) sia ‘diventata sempre più affare
da specialisti, localizzata in ben determinate cerchie, una carriera come il
capostazione e il chirurgo, che non ammette dilettantismi’. Da noi, sostiene,
manca ‘quell’osmosi di uomini tra vita e letteratura, per cui nella biografia
dei narratori americani c’è già tutta la poliedricità delle loro esperienze e dei
loro incontri; scaricatori di porto, giornalai, commessi viaggiatori diventati
scrittori, non solo uomini da tavolino, chiusi a ogni via di esperienza nel
tran-tran di una redazione’…”2.
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Il modello letterario più vicino agli scrittori dell’epoca era quello
americano, capace di farsi leggere da tutti. Per gli scrittori d’oltre oceano il
popolo non era altro da sé, da osservare da lontano a volte con spavento,
altre con commiserazione, il popolo era parte di sé. Calvino vuole
avvicinarsi a questo modello e ci racconta una storia dove il popolo è
protagonista, ma il protagonista è anche lui che quella storia aveva vissuto in
prima persona, anche se preferiva non scrivere un romanzo autobiografico:
“Per mesi, dopo la fine della guerra, avevo provato a raccontare l’esperienza
partigiana in prima persona o con un protagonista simile a me. Scrissi
qualche racconto che pubblicai, altri che buttai nel cestino; mi muovevo a
disagio; non riuscivo a smorzare mai del tutto le vibrazioni sentimentali e
moralistiche; veniva sempre fuori qualche stonatura…quando cominciai a
scrivere storie in cui non entravo io tutto prese a funzionare: il linguaggio, il
ritmo, il taglio erano esatti”.3
Eppure la vita dello scrittore è presente in ogni pagina del romanzo Il
sentiero dei nidi di ragno, nato dalla sua partecipazione al movimento
partigiano, ma anche frutto delle sue esperienze presso gli ambienti letterari
intorno ai quali gravitavano i più impegnati intellettuali dell’epoca. Una
biografia sempre presente e sempre negata: “Io sono ancora di quelli che
credono che di un autore contano solo le opere (quando contano,
naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o cerco sempre
di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quello che vuol sapere e
glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura”4. Italo
Calvino nasce il 15 Ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, presso l’Avana. Il
padre, Mario, agronomo proviene da una famiglia di San Remo e a Cuba
dirige una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola agraria. La
madre, Eva, Evelina Mameli, originaria di Sassari, è laureata in Scienze
Naturali. La famiglia Calvino rientra in Italia, a San Remo, nel 1925. I
genitori non aderiscono al regime, ma la loro condanna è rivolta in generale
a tutto il mondo politico.Tra il 1929 e il 1933 Calvino frequenta la Scuola
Valdese e negli ultimi anni delle elementari, come d’obbligo per tutti i
bambini della sua età, diventa “balilla”. Nel 1934 è ammesso al Liceo
Ginnasio G. D. Cassini e per volere dei genitori viene esonerato dalle
lezioni di religione e da ogni servizio di culto. Tutto questo per l’epoca era
anticonformista, ma il giovanissimo Italo lo aveva accettato come cosa
indiscutibile anzi…“non credo- affermava Calvino- che questo mi abbia
nuociuto: ci si abitua ad avere ostinazione nelle proprie abitudini, trovarsi
isolati per motivi giusti, a sopportare il disagio che ne deriva, a trovare la
linea giusta per mantenere posizioni che non sono condivise dai più. Ma
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soprattutto sono cresciuto tollerante verso le opinioni altrui, soprattutto nel
campo religioso”5. Erano i primi momenti di approccio con il sentimento
della “solitudine”, quella solitudine che sarà compagna di vita anche di
alcuni suoi personaggi, soprattutto di Pin il protagonista de Il sentiero dei nidi
di ragno: “Pin sale per il carruggio, già quasi buio; e si sente solo e sperduto
in quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini.”6Negli anni del liceo scopre il piacere della lettura: “il vero piacere della
lettura lo provai abbastanza tardi, avevo già dodici o tredici anni e fu con
Kipling, il primo e, soprattutto, il secondo libro della Giungla. Non ricordo
se ci arrivai attraverso una biblioteca scolastica o perché lo ebbi in regalo.
Da allora in poi avevo qualcosa da cercare nei libri: vedere se si ripeteva
quel piacere della lettura provato con Kipling”7.
Tra il 1939-40 scrive anche brevi racconti, poesie, alcuni testi per il
teatro, tra i 16 e i 20 anni sogna di diventare uno scrittore di teatro. In
quegli anni coltiva anche la sua passione per il disegno e la caricatura; riesce
anche a pubblicare vignette con lo pseudonimo di Jago su Il Bertoldo di
Giovanni Guareschi.
Nel 1941 consegue la licenza liceale senza sostenere gli esami sospesi a
causa della guerra. S' iscrive alla Facoltà di Agraria all’Università di Torino
dove si approfondisce l’amicizia con Eugenio Scalfari, già compagno di
liceo: “a poco a poco, attraverso le lettere e le discussioni estive con
Eugenio venivo a seguire il risveglio dell’antifascismo clandestino e ad
avere un orientamento nei libri da leggere : leggi Huinzinga, leggi Montale,
leggi Vittorini, leggi Pisacane: le novità letterarie di quegli anni segnavano le
tappe d’una nostra disordinata educazione etico-letteraria”8.
Si definiscono le sue opinioni politiche; Mussolini viene arrestato,
Badoglio ha l’incarico per il nuovo governo e Calvino dal campo militare di
Mercatale di Vernio fa ritorno a San Remo.
Renitente alla leva della Repubblica di Salò, dopo l’8 settembre passa un
periodo di alcuni mesi nascosto. E’ questo un periodo di solitudine e di
intense letture che avranno un grande peso nella sua vocazione di scrittore.
Dopo aver saputo della morte in combattimento del giovane medico
comunista Felice Cascione, chiede ad un amico di presentarlo al PCI, poi,
insieme al fratello sedicenne si unisce alla divisione partigiana di assalto
“Garibaldi” che opera sulle Alpi Marittime dove per quasi due anni si
registrano aspri scontri tra partigiani e nazi-fascisti. L’esperienza partigiana
incide sulla sua formazione politica, ma soprattutto umana. E’ nel 1946 che,
per partecipare ad un concorso indetto dalla Mondadori scrive Il Sentiero dei
nidi di ragno che non figurerà tra i vincitori. Anche se molto giovane già
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collaborava a quotidiani come L’Unità e a riviste di spicco come Aretusa e Il
Politecnico dove aveva modo di frequentare Vittorini e Pavese, su esortazione
del quale aveva scritto la storia di Pin. Sempre Pavese lo introduce alla casa
editrice Einaudi dove il libro fu pubblicato nel 1947.
Con Il sentiero dei nidi di ragno Calvino si afferma quale scrittore realistico
ed impegnato sì, nel senso che affronta temi pertinenti a quello che è
l’effettivo dato di fatto della vita reale, sia a livello materiale sia a livello
spirituale. Peraltro, questo suo aggancio alla realtà rimane solo tale: la
trattazione degli spunti da questa realtà suggeritigli, lo sviluppo “allegro,
scanzonato, monellesco”9 delle vicende dell’opera nonché il “perenne
sentore di aria aperta”10 che gira per i capitoli del romanzo proiettano questa
realtà, per quanto dura e tremenda nel suo “incalzare di eventi e
catastrofi”11, in altri livelli; la fissano sotto un’altra ottica che si scrolla di
dosso pesantezza e inerzia dell’iterativo ritmo della realtà, avvalendosi del
dominante “peso del fantastico”12 che la equilibra, per spiccare un salto
verso una dimensione dove la narrazione apparterrà sempre alla realtà, e in
ciò consiste la modernità del fantastico.13
Pertanto, quantunque la realtà possa trascorrere “scontrosa sboccata
maligna”14 l’opera rimane sempre “tutta fresca”15. E, se un critico quale
Franco Petroni vede nell’approccio fantastico dell’autore “l’insufficienza
ideologica che ha spinto Calvino a trattare della Resistenza solo «di
scorcio»”16, la verità è che egli ha trasformato la crudezza della guerra in una
favola da raccontare e cantare dove “le cose ritornano misteriose e magiche,
la vita degli uomini piena di miracoli”17.
Lo spirito di Calvino è quello di chi crede nella funzione della finzione
della letteratura, la quale non è (solo) una menzogna: “con insolenza, con
industriosa pazienza, essa fruga e cerca e cava fuori affanni, e malattie, e
morti: con appassionata indifferenza, con sdegnato furore, con cinismo
ostentato li sceglie, giustappone, scuce, manipola, ritaglia”.18 La grandezza
della letteratura sta appunto in questo: la sua abilità ad essere al contempo
finzione e realtà, quando si finge estranea ad una società dove invece è
coinvolta dalla testa ai piedi; quando, pur facendolo, sa convincere il lettore
che sta parlando di tutt’altro tranne il suo tedioso quotidiano. “Il fantastico,
intento a pronunciare l’universo, è il creatore dei segni […], il lessicografo
che diligentemente elenca le cose inesistenti, secondo il loro naturale ordine
alfabetico, che egli ci ha insegnato[…]. ”19 Non che la letteratura schernisca
il lettore: essa, per la sua medesima natura e conformazione, per poter
svolgere questa sua missione salvatrice, quando è questa la responsabilità
ancora tale, deve saper fingere. Deve saper creare. Inventare. L’arte è l’unica
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a saper inventare la realtà, e così è la letteratura.
La scelta di narratori di giovane età, com’è il caso del Il sentiero dei nidi di
ragno, è molto eloquente al riguardo: i bambini credono facilmente. Difatti,
affidare la responsabilità della narrazione ad un giovanotto, un bambino, ha
una sua valenza emblematica, in quanto afferma il valore della finzione
artistica e esalta il gusto dell’avventura, perché il primo di questi due
concetti porta al secondo: la finzione originerà in qualche modo una nuova
avventura. Quindi il bambino ci tiene a raccontare, a narrare, a favellare, ma
senza rendersi tanto conto della finzione artistica o della funzione che
questa sua narrazione svolge all’interno del racconto. Diventa una favola che
è felice di narrare. E gli viene spontaneo. Ed è questa sua felicità di riportare
l’avventura che attribuisce lo spirito giocondo all’opera riscattandola dalla
pesantezza dei fatti narrati, tra guerra, sangue e morte20. Solo narrate da un
bambino queste vicende non appesantiscono la lettura, se non nei limiti in
cui vi sveglia ciò che routine e guerra e distruzione e morte, ormai all’ordine
del giorno, hanno sfatato e stuccato: solo recando la vocina dei piccoli ed i
loro saltelli, la morte si accetta quale fatto reale e non pericolo incombente
perché evitabile.
Affidare la narrazione ai bambini ha anche un senso: la fiducia nei
piccini. Se, pur sapendo che già la fertile immaginazione umana può
modificare tanto degli eventi raccontati, Calvino affida la narrazione ad un
bambino che sicuramente, pur con tutta la buona volontà di riportare
fedelmente i diversi accaduti, la fedeltà sarà sempre più alla sua indole
immaginosa che non ai fatti di cui narra: ci aggiungerà del suo spirito ilare e
della sua inclinazione favolistica. Ciò significa che Calvino si fida che,
comunque vada, il bambino non deformerà la sua narrazione e che, a
prescindere, la narrazione arriverà vera al destinatario: “Per arrivare fino in
fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti
fredde, tenute discoste a forza d'arcate che traversano la striscia di cielo
azzurro carico. Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe
qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro
pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato,
fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l'orina dei muli.
Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all’aria
sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di
Pietromagro il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché
dai davanzali nasca un’eco di richiami e d’insulti.”…
Con questa descrizione di poetica scenografia Italo Calvino inizia la
stesura del suo primo romanzo “Il sentiero dei nidi di ragno” che poi
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riprenderà e correggerà per una nuova edizione del 1964 introdotta da una
lunga prefazione dove lo scrittore quasi colloquia con il lettore illustrandogli
il periodo storico e le proprie motivazioni letterarie ed umane: “Questo
romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho
scritto se si eccettuano pochi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo
in mano adesso? Più che un’opera mia lo leggo come un libro nato
anonimamente dal clima generale d’un epoca, da una tensione morale, da un
gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva,
dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale”21.
A proposito delle varianti fra le due edizioni, Calvino diceva nel 1983:
“ad un certo punto ho fatto delle correzioni perché avevo scritto delle cose
che mi parevano troppo brutali o troppo esasperate. C’era nel Sentiero dei
nidi di ragno, tra le varie cose, una specie di nevrosi nella quale non mi
riconoscevo più... Forse è stato anche il fatto che, quando ho scritto il libro,
pensavo che avrebbe avuto un pubblico di poche centinaia di persone come
succedeva allora per i libri di letteratura italiana. Vedendo invece che lo
leggeva tanta gente, il libro è anche cambiato di fronte ai miei occhi;
rileggendolo ho pensato ‘ma come ho fatto a scrivere queste cose?’, quindi
ho fatto delle correzioni”22.
La prima parte del romanzo è tutta dedicata alla vita di un bambino, Pin,
durante il periodo della Resistenza, dopo l’armistizio dell’8 settembre e
l’invasione tedesca in Italia. La sua vita è certamente diversa dalla vita di un
comune bambino, lui non ha coetanei con cui giocare ma è solo in
compagnia dei “ grandi”, quei grandi che si ritrovano ogni giorno all’osteria
e che hanno la vita fatta di fumo, alcool e donne. In fondo Pin vorrebbe
tanto poter avere amici della sua età, ma questi lo rifiutano : “e Pin si trova
solo a girare nei vicoli, con tutti che gli gridano improperi e lo cacciano
via…Pin alle volte vorrebbe mettersi coi ragazzi della sua età, chiedere che
lo lascino giocare a testa e pila, e che gli spieghino la via per un sotterraneo
che arriva fino in piazza del Mercato. Ma i ragazzi lo lasciano a parte , e a un
certo punto si mettono a picchiarlo”23.
La figura del bambino è delineata con precisione: “Pin ha una voce rauca
da bambino vecchio: dice ogni battuta a bassa voce, serio, poi tutt’a un
tratto sbotta in una risata in i che sembra un fischio e le lentiggini rosse e
nere gli si affollano intorno agli occhi come un volo di vespe”24. Pin è un
bambino magro, debole ed ha “nebbia di solitudine” in un mondo di adulti,
impreparato sia anagraficamente che intellettualmente a capire le ragioni
politiche di ciò che succede, che si concretizzano per lui in una serie di
parole misteriose (sten, trotskista, Gap). Privo dei genitori Pin vive con la
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sorella prostituta La Nera del Carrugio Lungo, figura lasciva e disonesta, il
cui comportamento lascia già intravedere la sua fine: “La sorella di Pin è
sempre stata sciatta nelle faccende di casa, fin da bambina: Pin faceva dei
grandi pianti in braccio a lei, da piccolo con la testa piena di croste, e allora
lei lo lasciava sul muretto del lavatoio e andava a saltare con i monelli nei
rettangoli tracciati col gesso sui marciapiedi 25.”
All’inizio il tema della resistenza resta solo in sottofondo, poi le cose
cambiano con la richiesta che viene fatta a Pin dai “grandi” dell’osteria di
rubare una pistola, una P38, quella del marinaio tedesco che ogni sera
andava da sua sorella. Pin esegue l’ordine, ruba la pistola dell'amante tedesco
di sua sorella ma, quando cerca di farsi notare dagli adulti per il coraggio
dimostrato, nessuno gli presta attenzione e allora corre a nasconderla dove i
ragni fanno il nido : “Pin va per i sentieri che girano intorno al torrente, posti
scoscesi dove nessuno coltiva. Ci sono strade che lui solo conosce e che gli
altri ragazzi si struggerebbero si sapere: un posto, c’è, dove fanno il nido i
ragni, e solo Pin lo sa ed è l’unico in tutta la vallata, forse in tutta la regione:
ma nessun ragazzo ha saputo di ragni che facciano il nido, tranne Pin .
Forse un giorno Pin troverà un amico, un vero amico che capisca e che si
possa capire, e allora a quello, mostrerà il posto delle tane dei ragni” 26.
Arrestato e picchiato dai nazifascisti perchè trovato in possesso del
cinturone, viene messo in prigione e conosce Lupo Rosso, leggendario
partigiano giovanissimo molto noto e temuto. Lupo Rosso è un eroe
scatenato in difesa della propria ideologia, e seguendo lui Pin evade dal
carcere. Il bambino pensa di aver finalmente trovato quell'amico tanto
sognato, ma Lupo Rosso lo lascia più solo che mai, e Pin, sconsolato, decide
di tornar al suo posto magico, dove i ragni fanno il nido, e dove ha nascosto
il suo talismano, la pistola. Deve essere un posto magico davvero, perchè lì
trova Cugino, un partigiano molto più grande di lui che lo prende con sé e
lo porta al distaccamento. Questo è il primo incontro vero di Pin con un
partigiano adulto che sarà anche fondamentale nel finale del libro.
Qui, al distaccamento del Dritto, trova una serie di personaggi che non
sono mai eroi positivi, sono partigiani quasi per caso, per motivi tra i più
disparati, certo non per quella ideologia di riscatto che ci si aspetterebbe da
dei partecipanti alla liberazione nazionale: “Non rappresenterò i migliori
partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un
reparto tutto composto di tipi un po’ storti … Anche in chi si è gettato nella
lotta senza un chiaro perché ha agito una elementare spinta di riscatto
umano” 27. I personaggi hanno una rapida caratterizzazione esteriore che
risente del punto di vista di Pin, piccoli particolari fisici che sembrano
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proporre il modo di ragionare del bambino che ricorda di una persona solo
ciò che lo ha colpito di più. Inoltre caratteristica comune nella descrizione
dei personaggi sta nel fatto che sono identificati non con il nome ma col
soprannome; fatto che empre di più li fa assomigliare ai personaggi di una
favola. La sensazione che si ha dalla loro caratterizzazione interiore è quella
di essere alle prese con le impressioni di un bambino che non giudica, ma
resta meravigliato o in positivo o in negativo: i personaggi sono gli abitanti
di un mondo fiabesco, e con le loro azioni tanto incomprensibili fanno
quella che è per Pin la Storia.
Tramite gli occhi di Pin, che trova misterioso e assurdo il mondo degli
adulti, Calvino ci offre dunque una vera galleria di antieroi. Incontriamo il
Cuoco Mancino, una specie di gnomo del bosco, col falchetto Babeuf che
gli si posa sulla spalla; sua moglie Giglia che lo tradisce; i quattro cognati
calabresi che sembra combattano una piccola guerra per conto loro; Zena il
Lungo detto Berretta – di – legno, sempre alle prese con un libro intitolato
“supergiallo”. Pin scopre che tra i partigiani c’è chi tradisce (Pelle), c’è chi
si perde per una infatuazione amorosa (Dritto). Il più inadeguato di tutti è
proprio il dritto, colui che dovrebbe invece essere la guida del gruppo.
Questi, invaghitosi di Giglia, la moglie del cuoco, prima dà per distrazione
fuoco all’accampamento, poi, per restare da solo con lei, finge di essere
malato e non segue i compagni in battaglia.
Prima dell’offensiva arrivano dal comando di brigata il comandante
Ferreira e il commissario Kim per avvertire che i tedeschi stanno
preparando un’azione partendo da valle per rastrellare tutte le montagne.
I due ufficiali, usciti dal distaccamento, camminano nel buio inquietante
della notte per raggiungere entro la nottata tutti i distaccamenti e dare le
necessarie indicazioni per la battaglia del giorno successivo. Mentre
camminano, i due parlano e si apre una lunga parentesi riflessiva che occupa
l’intero capitolo IX del romanzo.
Le loro riflessioni sono politiche, ed è questo l’unico punto del romanzo
dove l’autore si sofferma sull’aspetto politico dell’azione partigiana. Perché i
partigiani combattono, si chiedono i due ufficiali. Kim prova a rispondere
dicendo che le risposte che essi darebbero sarebbero le più diverse: c’è chi
vuol difendere le proprie terre e le proprie vacche, c’è chi spera di poter
avere un giorno il controllo delle fabbriche dove lavora, sul modello
sovietico, c’è anche chi combatte per tornare al passato, ed è il caso dei
partigiani del distaccamento del Dritto, che Kim apprezza proprio perché
combattono con fervore, con accanimento, pur avendo ben poco da
difendere del presente e meno ancora da sperare per il futuro: “Gli uomini
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combattono tutti, c’è lo stesso furore in loro, cioè non lo stesso, ognuno ha
il suo furore, ma ora combattono tutti insieme, tutti ugualmente,
uniti…Basta un nulla per salvarli o per perderli…Questo è il lavoro
politico…Dare loro un senso” 28.
Nessuno combatte per gli ideali, nessuno combatte per un’indefinita
libertà, per la patria, per ogni partigiano la libertà e la patria sono entità
precise, ben definite e circoscritte: per il contadino la patria da difendere è il
suo orto e le sue vacche, per l’operaio la libertà da raggiungere è
l’eliminazione del superiore e il raggiungimento del controllo della fabbrica,
per i partigiani del distaccamento del Dritto invece, che cosa sono la libertà
e la patria? Cosa hanno da difendere o da sperare? Niente, ma hanno da
riconquistare un passato perduto, riconquistare la gioia di vivere e di agire
senza essere arrestati o limitati. Anche per loro la libertà è qualcosa di
preciso: per il commissario di distaccamento la libertà è poter fare tranquillo
il suo lavoro, la patria è la sua casa distrutta dai bombardamenti.
Al comandante Ferreira questi discorsi non interessano e non piacciono:
non si cura del perché si combatte, non crede nel fervore della lotta, vede
l’azione partigiana come qualcosa di meccanico, preciso, in cui si deve agire
secondo regole precise per ottenere un solo obiettivo preciso comune, la
libertà dallo straniero, l’unità e l’indipendenza della patria.
Soltanto dopo la battaglia il Dritto torna tra i suoi uomini ma Pin,
intonando i versi di una canzone popolare, svela i suoi intrighi amorosi.
Vista la reazione generale, Pin scappa e va di corsa al suo luogo magico, il
sentiero dei nidi di ragno, dove teneva nascosta la pistola rubata al marinaio
tedesco. Quella pistola però non c’è più: Pelle, che conosceva quella zona
bene quanto lui, l’aveva trovata e poi aveva tradito i compagni partigiani
arruolandosi nella brigata nera. Pelle sarà poi ucciso da Lupo Rosso, il
giustiziere che attraversa paesaggi avventurosi, ed il racconto di questa
uccisione, con tutti quegli impermeabili che si vedono spuntare da ogni
parte sulle scale, che si moltiplicano per quanti sono gli uomini che gli
danno la caccia, fanno pensare ad una scena cinematografica e ci svelano la
passione di Calvino per il Bogart di Casablanca. Disperato per la
profanazione del suo luogo magico e per la scomparsa del talismano, Pin
torna alla città vecchia da sua sorella, giusto per mangiare qualcosa salvo poi
scappare nuovamente. E' un incontro comunque importante, perchè la
sorella gli rende la pistola, quell'arma che Cugino userà poi per ucciderla a
causa del suo collaborazionismo filo-nazista. Ed uccidendo la sorella,
sopprimendo così l'unico legame col passato, Cugino porta Pin all'inizio di
una nuova esistenza, se migliore o peggiore non ci è dato sapere, sappiamo
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però che non sarà un’esistenza di solitudine:
- C’è pieno di lucciole, - dice il Cugino.
- A vederle da vicino, le lucciole, - dice Pin, - sono bestie schifose anche
loro, rossicce.
-Si, - dice il Cugino, - ma viste così sono belle.
E continuano a camminare, l’omone e il bambino, nella notte, in mezzo
alle lucciole, tenendosi per mano.29
Se è certamente vero che in tutti i romanzi troviamo elementi sia reali
che fantastici è altrettanto vero che in questo romanzo il reale e il fantastico
sono presenti sia nella situazione illustrata che nello stile stesso del racconto
come anche nella prospettiva usata per introdurci la storia e i personaggi. La
storia è collocata in un momento storico ben preciso, la Resistenza, ma
trasfigurata come se vista attraverso un caleidoscopio dove le tessere
colorate si muovono in continuazione cambiando ogni volta la scena.
Sulla vita dello scrittore è basata l’ambientazione, infatti Italo Calvino
partecipò alla Resistenza ed operò sulle Alpi Marittime con il nome di
battaglia di Santiago. Nel 1944 entra a far parte della Brigata Matteotti,
famosa per le azioni a sorpresa, dove militava anche Lupo Rosso,
personaggio del suo romanzo. Il 25 novembre 1944 fu catturato e si salvò
grazie ad una falsa licenza. Santiago partecipò alla battaglia di Bregalla e
Baiardo, esperienza che, a suo dire, fu il modo migliore per scoprire la sua
identità e che gli servì come universale esperienza di vita: “tutti i grandi
avvenimenti storici sono passati senza ispirare nessun grande romanzo…ma
credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica ci si
sente presi da una responsabilità speciale”. 30
Dopo la liberazione una specie di euforia si era impadronita dell’Italia.
Ognuno, dal più semplice dei contadini al più colto degli intellettuali si
rendeva conto di aver vissuto un periodo storico unico, affollato di
avvenimenti contrastanti dove tutti in qualche modo avevano avuto un
ruolo da protagonisti, anche i semplici spettatori ed ognuno aveva tante
storie da raccontare ed urgenza di raccontarle:
“Esprimere. Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che
avevamo appreso allora allora…”31.
Il racconto di tali eventi sconvolgenti ed il desiderio di narrarli che
prepotentemente si faceva strada in tutte le arti, dal cinema alla pittura alla
letteratura, non poteva in quest’ultima assumere una veste lirica o simbolica,
ma doveva assolutamente essere reso attraverso lo stile del neorealismo,
l’unico capace di rappresentare la realtà nelle sue infinite sfaccettature. Gli
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scrittori di quel tempo hanno avuto la grande responsabilità di descrivere
una generazione reduce da una vittoria e piena di illusioni politiche e questa
generazione che, come affermava Cesare Pavese, “nacque al raccontare in
mezzo alla guerra civile” fu raccontata da Vittorini con Uomini e no , da
Renata Vigano con L’Agnese va a morire, da Fenoglio con Una questione
privata.
Le istanze politiche, sociali della resistenza e di quegli anni così ricchi di
evoluzioni, di revisioni, di neo-avanguardie, di incidenze ad esempi stranieri,
di concitata ricerca di equilibri tra differenze e confronti personali ed
universali, vengono rivissute ne Il Sentiero “con una grande immediatezza di
comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla
pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva la sua, ognuno aveva
vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di
bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di
raccontare” 32.
Scritto in pieno periodo neorealista Il Sentiero dei nidi di ragno è un
romanzo molto fresco, con alcune sfumature di quella luce fiabesca che
caratterizzerà le opere successive di Calvino. Il “neorealismo” non fu una
scuola, scriveva egli stesso, nella prefazione al Sentiero dei nidi di ragno del
1964, ma “un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice
scoperta delle diverse Italie”, in un momento storico in cui “la rinata libertà
di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare” e per gli scrittori
fu anche sensazione di “un’immediatezza di comunicazione” con il proprio
pubblico. I più giovani poi, dice Calvino, dopo l'esperienza bellica e
resistenziale non si sentivano “schiacciati, vinti, ‘bruciati’, ma vincitori” e
“depositari esclusivi della sua eredità”33.
Elementi del Neorealismo sono sia il rinnovato contatto con la realtà
della società e della storia, sia lo stile della prosa che vuole tradurre
l’esperienza della guerra e della Resistenza con immediatezza, il più possibile
senza artifici. Ma il modello del Realismo è seguito e nello stesso tempo è
tenuto a distanza perché quel nuovo realismo, sgorgato dalle ferite della
storia insieme al sangue e alle lacrime doveva anche essere lontano dal
naturalismo e dal populismo.
Il sentiero è anche un libro dove scene quasi cinematografiche per la loro
immediata visibilità si alternano a lunghe pause meditative, La restaurazione
realistica della narrativa dell’immediato dopoguerra (Vittorini, Pavese,
Fenoglio, Moravia, Pratolini, Tobino, Viganò) va infatti senza dubbio
confrontata anche con gli importanti ed essenziali risultati del neorealismo
nell’ambito cinematografico. Ci fu infatti un processo di liberazione dagli
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schemi del cinema di regime e dal cinema spettacolare, che era insieme
prodotto di consumo e di intrattenimento con intenti più o meno dichiarati
di propaganda, e ci si rifece alla tradizione realistica della letteratura italiana
di fine ‘800 per fare del cinema, e di quel particolare cinema neorealistico di
Rossellini (Roma città,1945; Paisà, 1946), di De Sica (Sciuscià, 1946), di
Visconti (La terra trema, 1948), di De Santis (Riso amaro, 1949) uno strumento
di conoscenza e commento della realtà quotidiana in quel periodo storico
vissuto così tanto drammaticamente. Caratteristiche del cinema neorealistico
sono state la forza drammatica del film e soprattutto la novità del
linguaggio, aperto alle suggestioni di una realtà che non era raccontata ma
colta al momento come se i fatti e le situazioni si mostrassero direttamente
alla macchina da presa. Film come specchio di un popolo, del suo modo di
vivere e di pensare, in uno dei momenti più difficili della sua storia.
Ma l’eredità del Neorealismo fu raccolta da Italo Calvino in modo
estremamente personale, ed il suo neorealismo nel Sentiero è certamente un
neorealismo “sui generis”.
“La segreta aspirazione di Calvino, nello scrivere Il sentiero dei nidi di ragno,
è di cancellare se stesso, non sovrapporre cioè il suo ‘io lirico-intellettuale’,
con tutto il carico di cultura che questa definizione comporta, all’io
collettivo. Insomma, per non cadere nell'autobiografismo patetico, né nel
documento, Calvino si fa narratore anonimo. Il sentiero dei nidi di ragno ha,
nonostante i fatti storici raccontati, il tono e la struttura di una favola.
L’ideologia c’è, la volontà di comunicare la grande esperienza sulla guerra
civile c’è, ma è come assorbita dall'impianto favolistico... E' il tributo che
Calvino paga all'impegno civile […]. Ma al tempo stesso rimane saldo il suo
principio di non mitizzare la Resistenza, di non idoleggiarla, di non
strumentalizzarla. La Resistenza è stata fatta da autentici eroi, con tetragoni
ideali marxisti, ma anche da gente che non aveva alcuna idea politica, se non
quella che estrinsecava dalla necessità istintiva di sentirsi libera. Questo è il
messaggio di Calvino che perciò vive ed è valido oltre i confini storici e
nazionali, nascendo da un ideale universale dell'umanità. E l’umanità non è
fatta di buoni e di cattivi divisi da uno steccato: questo concetto dà luogo al
razzismo, o al razzismo dell'antirazzismo. L’umanità è un miscuglio di bene
e di male...” 34
Il romanzo è in realtà una fiaba e questo appellativo di “scrittore
fiabesco” come lo definì Cesare Pavese non fu mai più messo in
discussione. Una fiaba scritta da uno scrittore colto che non si vergogna di
dimostrarlo e che si rivolge a tutti perché tutti possono qui riconoscere o
meno un patrimonio culturale entrato ormai a far parte dell’immaginario
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Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino
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collettivo.
Il sentiero non è un racconto fresco e ingenuo fatto da un bambino ma
una costruzione elaborata da un intellettuale che gioca a mostrare e
nascondere. Ed è qui che appaiono per la prima volta le due direzioni che
Calvino seguirà nel suo percorso letterario degli anni successivi: il realismo e
la dimensione fantastica.E proprio per prendere le distanze dal naturalismo
il punto di vista è quello di un bambino, anche se bambino cresciuto a forza
troppo in fretta, “bambino adulto”, e parlando di bambini e di storie il
collegamento con la fiaba è inevitabile.
Il riferimento alla fiaba è diffuso in tutto il libro, Pin pensa che Mancino
sia uno gnomo che abita in una casetta in mezzo al bosco oppure Pin che
vuole lasciare una scia di noccioli di ciliegia perché Lupo Grigio possa
trovarlo fanno capire che “il fiabesco non è dunque in nessun modo una
congettura critica, esso è il vissuto stesso del protagonista adolescente” (C.
Calligaris – Italo Calvino – 1973) così come gli stessi nomi dei personaggi
(Duca, Lupo Rosso, Barone, Conte, Marchese, Pietromagro,Il Giraffa, Kim)
riportano il pensiero a personaggi di libri o caricature. Come poi dirà
Pavese: “Ma l’Ariosto dei nostri tempi si chiama Stevenson, Kipling,
Dickens, Nievo, e si traveste volentieri da ragazzo”35. Preme qui ricordare
quest'altra sua osservazione:
L’astuzia di Calvino, scoiattolo della penna, è stata questa, di arrampicarsi
sulle piante, più per gioco che per paura e osservare la vita partigiana come
una favola di bosco, clamorosa, variopinta e diversa.36
Elementi fiabeschi accompagnano tutto il romanzo: dal senso di stupore
di Pin verso uomini e paesaggio, al rapporto del ragazzo con la pistola
rubata, vero oggetto magico e misterioso per eccellenza, che lui tocca,
accarezza, osserva e infine nasconde nel suo posto segreto: il sentiero dei
nidi di ragno.
Anche gli oggetti non sono qui semplici strumenti del lavoro umano o
della guerra ma assumono una dimensione di favola, un significato magico,
prima fra tutte la pistola, quella P38 che già nel nome sconosciuto al
bambino evoca l’ignoto e che lui nasconde in un luogo a lui solo conosciuto
proteggendola così dalla realtà.
La lotta partigiana, la Resistenza, sono visti nella loro cruda realtà, sono
reali gli scontri a fuoco con i tedeschi e i fascisti, sono reali i tradimenti di
Pelle e della sorella di Pin, la Nera del Carruggio, e sono reali anche le
esecuzioni dei traditori, ma la prospettiva infantile investe tutto di una luce
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di innocenza e di stupore. Proprio l’elemento della luce, con cui si apre il
libro e che ritroviamo spesso, illumina scenari tipici della fiaba: il villaggio, il
bosco. Il bosco è poi elemento fiabesco per eccellenza, ricco di simboli e di
mistero. Nel libro a volte il bosco è oscuro, ma più spesso è amico perché
nasconde l’accampamento dei partigiani e perché è qui che Pin incontra
Cugino, il grosso partigiano cui il bambino si affida fiducioso. Lo stesso
sentiero è elemento tipico della fiaba, qui addirittura è un sentiero dove i
ragni fanno il nido, “il luogo privato di Pin che nessun altro conosce, il luogo
della rivalsa sempre possibile perché immaginaria, lo spazio sempre aperto a
una libertà che non si urta ad alcuna resistenza . Questi sono luoghi magici,
dove ogni volta si compie un incantesimo”37. La presenza di queste due
dimensioni contemporaneamente nella sua produzione letteraria, ha
originato un eterno dibattito su Calvino: scrittore neorealista o scrittore
fantastico?
Questo bipolarismo tra l’intonazione onirico - fiabesca38 e quella dicasi storica,
o come lo chiama il Barilli, nella sua Barriera del naturalismo, un insolito
bifrontismo39 che unisce le due tensioni, che mescola la fiaba alla realtà, la
dimensione immaginosa e fantasiosa ai dati realistici della storia e
dell’ambiente, è destinato a discriminare irrisolvibilmente l’opera di Calvino
lungo e pure dopo il suo cammino dell’arte, trasformando la dialettica
Calvino e il realismo. Calvino e la fiaba in una tra Calvino e l’impegno, Calvino e il
disimpegno40 dissociando addirittura il lato fantasioso da quello impegnativo e
realistico.
Difatti, in merito a questo approccio da Calvino scelto per affrontare la
realtà, si sono sempre espressi forti dubbi se il mondo delle fiabe non fosse
stato altro che l’ancora della salvezza per uno scrittore che non voleva tanto
affrontarla quanto evaderne; per chi, da buon ex-partigiano, avendo vissuto
in prima persona crudezza e crudeltà di “un’esperienza – guerra, guerra
civile – che non aveva risparmiato nessuno”41 ha cercato, non di trovarsi un
altro mondo, ma di crearsene uno che non fosse villano; quello ritoccato dal
gusto dell’orrendo e del tragico che ormai “[…] si manifesta come collasso,
come frana, come cancrena (o, nelle sue apparenze meno catastrofiche,
come vita alla giornata); e la letteratura sopravvive dispersa nelle crepe e
nelle sconnessure, come coscienza che nessun crollo sarà tanto definitivo da
escludere altri crolli.”42
D’altra parte, studiosi e critici, come Giorgio Bertone e Albert Howard
Carter III, sono invece dell’opinione che Calvino, in merito giustappunto a
questa sua esperienza personale, da non considerarsi indipendentemente da
quella generale degli ambienti socio-culturali dei tempi, dal “la voce
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Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino
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anonima dell’epoca”43, anziché lasciarsi pervadere dal cupo della realtà, “[ha
cercato] di cogliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo,
ora drammatico ora grottesco”44 e l’indole stessa di lui, “il ritmo interiore
picaresco e avventuroso”45 che in fondo era la tensione che lo spingeva a
scrivere. Donde il ricorso alla fantasia quale migliore soluzione narrativa con
cui affrontarla senza troppa logorrea, senza troppa “letteratura” poiché “le
letture e l’esperienza di vita non sono due universi ma uno”46 : “solo da ciò
che si è vissuto senza intenzioni letterarie si può far poesia”47. La fantasia ha
la “capacità […] di oltrepassare le cose reali, e di trasferirsi dalla loro
immaginazione alla loro rappresentazione” e proprio pertanto è reputata
“dote essenziale del genio artistico.”48
A dire il vero, i libri di Calvino sembrano collocarsi in una dimensione
tutta loro, dove le città sono invisibili e i cavalieri inesistenti; dove i sentieri
portano verso sbocchi magici, riuscendo a focalizzare la realtà, malgrado la
grande distanza che apparentemente li separa gli uni dall’altra. Lo sembrano
però. Così è (se vi pare)49, è vero. Ma può anche essere altrimenti, anche se vi
pare sia così. Partendo dall’esempio lampante appena citato, quello del
Sentiero dei nidi di ragno, rifacendosi ai suoi propri scritti, esaminando
attentamente il nesso tra le sue opere e la realtà contemporanea alla loro
composizione, si capisce che queste sue creazioni immaginose altro non
sono se non la stessa realtà, di cui sono stati stemperati i lineamenti della
loro ambientazione e verace collocazione per esser vista sotto una lente
fiabesca; che, per quanto apparentemente sorrida spensierata, ammicca la
sua presenza attiva seppure “a gran distanza”50.
Pin, bambino tra i grandi, piccolo tra adulti, richiama alla mente gli
gnomi, i personaggi delle fiabe ed anche il suo linguaggio è ricco di canzoni
che ricordano molto da vicino le filastrocche delle favole.
E come in tutte le favole che si rispettino anche qui abbiamo un
incantesimo, il talismano rubato riappare, i cattivi muoiono, il bene trionfa.
Il bene trionfa, proprio come nella Resistenza che ha visto la sconfitta
dell’oppressore e la vittoria di chi lottava per la libertà, ma nel libro la
coscienza politica dei personaggi è pressoché nulla. Certo Pin è un bambino
e non si rende conto di quello che succede, ma anche i suoi compagni non
sono da meno. Ognuno di loro ha la sua concezione politica, una più
astrusa dell’altra. Secondo Carabiniere “ci sono due forze in lotta, i
carabinieri, povera gente che vuol tenere l’ordine e gli studenti”, secondo
Cugino la guerra è colpa delle donne mentre il commissario politico
Giacinto pensa che “il comunismo è che non ci siano più delle case dove ti
sbattano la porta in faccia, da essere costretti a entrarci dai pollai, la notte. Il
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comunismo è che se entri in una casa e mangiano della minestra ti diano
della minestra” fino alla concezione di Pietromagro:
A fare i reati politici si va in galera come a fare i reati comuni, chiunque fa qualcosa
va in galera, ma se non altro c’è la speranza che un giorno ci sia un mondo migliore, senza
più prigioni”.
E’ nel IX capitolo del romanzo, quello delle riflessioni di Kim, che lo
scrittore non usa più il punto di vista del bambino ma il dialogo tra due
personaggi, adulti, Ferriera, il comandante, Kim, il commissario. Ferriera “è
un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido; sta a sentire tutti
con un lieve sorriso d’assenso e intanto ha già deciso per conto suo: come si
schiererà la brigata, come s’han da disporre le pesanti, quando dovranno
entrare in azione i mortai. La guerra partigiana è una cosa esatta, perfetta per
lui come una macchina, è l’aspirazione rivoluzionaria maturatagli nelle
officine, portata sullo scenario delle sue montagne, conosciute palmo a
palmo. Dove può giocare d’ardire e d’astuzia.
“Kim è studente, invece: ha un desiderio enorme di logica, di sicurezza
sulle cause e gli effetti, eppure la sua mente s’affolla a ogni istante di
interrogativi irrisolti. C’è un enorme interesse per il genere umano, in lui:
per questo studia medicina, perché sa che la spiegazione di tutto è in quella
macina di cellule in moto, non nelle categorie della filosofia.”51.
E’ sicuro di stare dalla parte giusta, che la storia sia dalla nostra parte e
quando Ferriera chiede “lo spirito dei nostri … e quello della brigata
nera… la stessa cosa?” Kim risponde:
la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato…noi
siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra.
Eppure anche in questo capitolo, costruito per dare un senso a tutto il
romanzo, protagonista non è la realtà ma “l’illusione di un’intera
generazione, l’illusione di una classe rivoluzionaria che, vinta grazie ad un
complesso sistema di alleanze la battaglia con il suo nemico più immediato,
il fascismo, crede di aver vinto la guerra, dimenticando nell’euforia del
momento che gli alleati di oggi sono i nemici di domani”52. (C. Calligaris –
Italo Calvino – 1973).
La posizione di Calvino non è quella ottimistica di una certa parte della
cultura italiana di sinistra, ma cerca uno spiraglio per uscire dalla trappola
della delusione e la sua risposta è il “raccontare”, raccontare una sua
esperienza trasfigurandola e rendendola universale anche se questo significa
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un poco perderla:
Un libro scritto non mi consolerà mai di ciò che ho distrutto scrivendolo:
quell’esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servita a scrivere
l’ultimo libro, e non mi è bastata che a scrivere il primo.
Ne Il sentiero dei nidi di ragno le valli tortuose delle Prealpi Ligure, i boschi
ed i vicoli della città vecchia, le colline liguri dove svolsero le guerre tra
partigiani e tedechi ed i torrenti contribuiscono a rappresentare un
paesaggio “secondario rispetto a qualcos’altro: a delle persone, a delle storie.
La Resistenza rappresentò la fusione tra personaggio e persone. Il romanzo
che altrimenti mai sarei riuscito a scrivere, è qui. Lo scenario quotidiano di
tutta la mia vita era diventato interamente straordinario e romanzesco: una
storia sola si dipanava dai bui archivolti della Città vecchia fin su ai boschi:
era l’inseguirsi e il nascondersi d’uomini armati; anche le ville, riuscivo a
rappresentare, ora che le avevo viste requisite e trasformate in corpi di
guardia e prigioni; anche i campi di garofano, da quando erano diventati
terreni allo scoperto, pericolosi ad attraversare, evocanti uno sgranare di
raffiche nell’aria.”53 Difatti a Calvino bastano poche parole per schizzare
l'ambiente, e le vicende stesse contribuiscono a dare vitalità ai luoghi.
Suggestiva è la visione della natura agli occhi di Pin, il bambino sfoga la sua
sofferenza sempre nascosta sulla natura che lo circonda: come quando il
Dritto gli di seppellire il falchetto morto di uno dei partigiani “Pin non vede
che montagne intorno a sé, valli grandissime di cui non s’indovina il fondo,
versanti alti e scoscesi, nèri di bochi, e montagne, file di montagne una
dietro l'altra, all'infinito (… ) Il falchetto stecchito è ai suoi piedi. Nel cielo
ventoso volano le nuvole, grandissime sopra di lui. Pin scava una fossa per
il volatile ucciso. Basta una piccola fossa; un falchetto non è un uomo. Pin
prende il falchetto in mano, ha gli occhi chiusi, delle palpebre bianche e
nude, quasi umane. A cercare di aprirle, si vede sotto l'occhio tondo e giallo.
Verrebbe voglia di buttare il falchetto nella grande aria della vallata e vederlo
aprire le ali, e alzarsi a volo, fare un giro sulla sua testa e poi partire verso
un punto lontano. E lui, come nei racconti delle fate, andargli dietro,
camminando per monti e per pianure, fino a un paese incantato in cui tutti
siano buoni. Invece Pin depone il falchetto nella fossa e fa franare la terra
sopra, con il calcio della zappa"54.
Favolosa e bella è anche la descrizione dei partigiani nei bochi
dell'entroterra ligure: “Possono sembrare anche dei soldati, una compagnia
di soldati che si sia smarrita durante una guerra di tanti anni fa, e sia rimasta
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a vagare per le foreste, senza più trovare la via del ritorno, con le divise a
brandelli, le scarpe a pezzi, i capelli e le barbe incolte, con le armi che ormai
servono solo a uccidere gli animali selvatici”55.
Calvino ha una straordinaria capacità di condurci attraverso tragedie e
violenze con stile arioso, inframmezzato da qualche termine dialettale e da
squarci descrittivi molto belli: “Il mare che ieri era un torbido fondo di
nuvola ai margini del cielo, si fa una striscia d’un cupo sempre più denso ed
ora è un grande urlo azzurro al di là d'una balaustra di colline e case”56.
Altra particolarità a livello linguistico è l’uso di parole, spesso inglesi, che
Pin non conosce, si crea così un effetto particolare in cui le parole sono
sconosciute da chi le usa, ma prendono significato da parte degli altri
personaggi e da parte del lettore. Si crea un effetto di parziale mancanza di
comunicazione colmata da una serie di fantasticazioni sul significato dei
termini da parte di Pin. In questo senso sono riportati alcuni termini militari
e partigiani che affascinano Pin, ad esempio gap che indica
un’organizzazione partigiana.
Importante peculiarità di questo romanzo è il tema del “bambino e la
guerra”. Un tema che coniuga l’universalità della tematica ad una evoluta
attualità. Purtroppo è ancora molto viva in molte parti del mondo la
presenza degli orrori della guerra, la resistenza e la lotta dei popoli oppressi
contro l’oppressore. Ma soprattutto è ancora molto presente la figura triste
ed altamente drammatica dell’infanzia massacrata dalla guerra, ed ancor
peggio dei “bambini della guerra”, distrutti, come Pin, nel corpo e
nell’anima dal gioco perverso di armi e violenza. Molti, troppi bambini,
come Pin nati già “vecchi” non si sono mai permessi il lusso di credere alle
favole, e troppo spesso, e troppo presto, le loro favole sono finite sotto le
mine o sotto le bombe.
Il Sentiero dei nidi ragno è infine il romanzo che inserisce Italo Calvino negli
attuali percorsi narrativi prescelti dai docenti di Istituti Superiori come testo
di lettura e riflessione critica in numerose scuole italiane .
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Note
Italo Calvino, 1964, presentazione al Sentiero dei nidi di ragno, Mondatori, Milano:VI.
Cfr. Silvio Perrella, 1999, Calvino, Ed. Laterza, Bari: 23-24.
3 Italo Calvino, presentazione al Sentiero dei nidi di ragno, op.cit.:.XIX-XX.
4 Lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno 1964 e riportata nella Cronologia curata da
Mario Barenghi e Bruno Falcetto per l’Edizione dei Romanzi e Racconti di Italo
Calvino nei “Meridiani”, Mondadori, Milano 1991.
5 Cronologia riportata in Sentiero dei nidi di ragno, op.cit.: XXIX-XXX.
6 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno; op.cit.: 13.
7 Ibidem.
8 Ivi : XXXI-XXXII.
9 Cesare Pavese, 1968, Il Sentiero dei nidi di ragno in Saggi letterari, Einaudi ,Torino: 245.
10 Ivi: 247.
11 Ivi: 246.
12 Sergio Pautasso, 1973, “Favola, allegoria, utopia nell’opera di Italo Calvino”, in Nuovi
Argomenti, n. 35-36, settembre dicembre: 69.
13 Cfr. Italo Calvino, Racconti fantastici dell’Ottocento, vol. I, Milano, Mondatori, 1983: 5.
14 Cesare Pavese, Il Sentiero dei nidi di ragno in Saggi letterari, op.cit, . p. 246.
15 Ivi: 248.
16 Franco Petroni, “Italo Calvino: Dall’«impegno» all’arcadia neocapitalista” in Studi
Novecenteschi, V, n. 13-14, marzo-luglio 1976.
17 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, op.cit, : 148-149.
18 Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna in La letteratura come menzogna, Milano,
Feltrinelli, 1967: 171.
19 Ivi: 46.
20 Sergio Pautasso, “Favola, allegoria, utopia nell’opera di Italo Calvino” in Nuovi Argomenti,
art.cit.: 73 – 75.
21 Italo Calvino, presentazione al Sentiero dei nidi di ragno: I – II.
22 Intervista con gli studenti di Pesaro, 11 maggio 1983, trascritta e pubblicata in Il gusto dei
contemporanei, Quaderno n. 3, Italo Calvino, Pesaro 1987: 17.
23 Italo calvino, Il Sentiero dei nidi di ragno, op.cit.: 9.
24 Ivi:4.
25 Ivi:14
26 Ivi:23.
27 Italo Calvino, presentazione al Sentiero dei nidi di ragno: XIII.
28 Ivi: 111- 112.
29 Ivi:159.
30 Italo Calvino, Presentazione Sentiero dei nidi di ragno: XII.
31 Ivi: VI.
32 Ibidem
33 Cfr Ivi: 8.
34 Giuseppe Bonura, 1999, Invito alla lettura di Italo Calvino, Mursia, Milano: 85-86.
35 C. Pavese, “Il sentiero dei nidi di ragno”, in L’Unità, art.cit.
36 Ibidem.
1
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C. Calligaris,1973, Italo Calvino, Mursia , Milano.
Licia Badesi, 1995, Parlar male di Garibaldi. Svevo. Gadda. Calvino. Note critiche, Como,
Tipografia Editrice Cesae e Nani: 111.
39 Renato Barilli, 1964, La barriera del naturalismo. Studi sulla narrativa italiana contemporanea,
Mursia, Milano: 210.
40 Antonia Mazza, 1971, “Italo Calvino: uno scrittore dimezzato?”, in Letture, gennaio, 1/71
: 3.
41 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, op.cit.: 7.
42 Italo Calvino,1995, Presentazione in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, ,
Mondadori , Milano: 4.
43 Italo
Calvino, 1995, Presentazione in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società,
Mondadori , Milano: 7.
44 Italo Calvino, 1993, Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori ,
Milano: 8.
45 Ibidem
46 Italo Calvino, Presentazione in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, op.cit.: 7.
47 Italo Calvino, 1959, “I racconti che non ho scritto” in Marsia, anno III nn. 1-2, gennaioaprile: 12.
48 Angelo Gianni, 1988, [et. Al.], Dizionario italiano ragionato, G. D'Anna. Sintesi, Firenze:
665-666.
49 L’osservazione è ispirata al titolo della commedia di Luigi Pirandello Così è (se vi pare),
pubblicata per la prima volta su Nuova Antologia, v. CXCIII, s. VI, i gennaio 1918: 3–19
(atto primo); 16 gennaio 1918: 128 – 151 (atto secondo e terzo). Dopodiché è passata a
collocarsi in tutte e tre le raccolte delle Maschere nude del 1918, 1925 e 1935. cfr. Luigi
Pirandello, Maschere nude, a cura di Silvio d’Amico, 1986, Mondadori, Milano, Tomo I:
983 – 985.
50 Cesare Pavese, Il sentiero dei nidi di ragno in Saggi Letterari, op.cit.: 247.
51 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, op.cit,: 106-107.
52 C. Calligaris, Italo Calvino, op.cit: .
53 Italo Calvino, Presentazione al sentiero dei nidi di ragno, op.cit.: IX.
54 Italo Cavino, Il sentiero dei nidi di ragno, op.cit.: 132-133.
55 Ivi:68.
56 Ivi:187.
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