La Malattia di Ménière

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La Malattia di Ménière
otoneurologia
2000
Serie editoriale:
CLINICAL CASE
MANAGEMENT
otoneurologia
2000
Settembre 2004 / n.18
SPECIALE
Aggiornamento periodico:
Seconda Giornata Materana di Vestibologia
OTONEUROLOGIA 2000
Settembre 2004 / n.18
Matera 23 aprile 2004
Simposio Internazionale di Vestibologia
Coordinamento Scientifico:
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Extended Abstracts
Dr. Giorgio Guidetti
Audio-Vestibologia e
Rieducazione Vestibolare
Azienda Unitaria Sanitaria Locale
di Modena
Università degli Studi di Modena
e Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
Coordinamento editoriale:
Mediserve
© 2004 MEDISERVE S.r.l
Milano - Firenze - Napoli
Presidente:
Dott. Gennaro Larotonda
Direttore Scientifico:
Dott. Giacinto Asprella Libonati
Relatori e Moderatori:
Dott. Giacinto Asprella Libonati - Matera
Dott. Aldo Campanini - Forlì
Dott. Rocco Cantore - Potenza
Dott. Augusto Casani - Pisa
Prof. Michele De Benedetto - Lecce
Dott. Beatrice Giannoni - Firenze
Dott. Mauro Gufoni - Livorno
Dott. Giorgio Guidetti - Modena
Dott. Gennaro Larotonda - Matera
Prof. Thomas Lempert - Berlino (Germany)
Dott. Marco Manfrin - Pavia
Dott. Vincenzo Marcelli - Napoli
Prof Eugenio Mira - Pavia
Dott. Giovanni Modugno - Bologna
Prof. Daniele Nuti - Siena
Prof. Paolo Pagnini - Firenze
Prof. Franco Salonna - Bari
Dott. Paolo Vannucchi - Firenze
Prof. Claudio Vicini - Forlì
Prof Antonio Quaranta - Bari
Dott. Nicola Quaranta - Roma
OTONEUROLOGIA
2
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
SOMMARIO
La sfida di Ménière
PRIMA SESSIONE
La Malattia di Ménière. Inquadramento generale e riferimenti storici . . .
3
G. Asprella Libonati, D. Cifarelli, G. LAROTONDA
Epidemiologia della Malattia di Ménière . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
M. GUFONI
Istopatologia, patogenesi ed eziologia della Malattia di Ménière . . . . . . .
7
E. MIRA, R. Spasiano
La semeiotica vestibolare e audiologica nella Malattia di Ménière . . . . . . 10
P. VANNUCCHI
VEMPs e Ménière . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
A. Campanini, C. VICINI, C. Marchi
La diagnosi differenziale della Malattia di Ménière . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
G.C. MODUGNO, Cristina Brandolini, Giorgio Magnani
SECONDA SESSIONE
Malattia di Ménière: forma tipica e sindromi menieriformi . . . . . . . . . . . 19
A. CAMPANINI, C. Vicini
Fase di Tumarkin e variante di Lermoyez . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
A.P. CASANI
La Malattia di Ménière: forme inveterate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
V. MARCELLI
La Malattia di Ménière bilaterale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
F. Bertone, M. MANFRIN
Idrope endolinfatica ritardata: revisione e casistica personale . . . . . . . . . 28
B. GIANNONI, C. Mezzedimi, P. Vannucchi
TERZA SESSIONE
Malattia di Ménière e labirintolitiasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
G. ASPRELLA LIBONATI, G. gliardi
Malattia di Ménière ed emicrania. Aspetti neurologici . . . . . . . . . . . . . . . 34
THOMAS LEMPERT
La sindrome di Ménière e l’otosclerosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
J.A. WHITE
QUARTA SESSIONE
La malattia di Ménière: terapia intercritica, terapia medica . . . . . . . . . . . 38
G. ASPRELLA LIBONATI, G. Gagliardi
La Malattia di Ménière rappresenta un
capitolo dell’otoneurologia che, a
distanza di quasi 150 anni dalla
relativa comunicazione di Prosper
Ménière all’Accademia Imperiale di
Medicina di Francia, continua ad
affascinare i cultori della materia,
rappresentando una sfida ancora
irrisolta per molti suoi aspetti e forse, quindi,
inconsciamente temuta e poco ricorrente come tema
congressuale. Le moderne acquisizioni nel campo
della neurofisiopatologia, i rapporti evidenziati con
altre patologie (emicrania, otosclerosi, VPPB), le
possibilità diagnostiche offerte da nuove metodiche
di indagine (VEMPs, VVS), i risultati incoraggianti
prospettati da nuove recenti proposte terapeutiche, la
grande sfida sempre aperta del problema riabilitativo,
rivelano l’attualità di un argomento quale quello
della Malattia di Ménière.
Proporre di fare il punto su di un tema così
intrigante, cercando di far emergere, se possibile,
qualcosa di nuovo, era un invito, ed al tempo stesso
una sfida, irrinunciabile per degli autentici
appassionati della materia otoneurologica.
L’invito ad incontrarsi a Matera per rimettere in
discussione le conoscenze, ed il lavoro fatto negli
ultimi anni ha, quindi, immediatamente incontrato
risposta favorevole ed entusiastica in un nutrito
gruppo di veri cultori della otoneurologia.
Alla schiera di amici otoneurologi italiani, che
rappresentano le esperienze di alcune tra le più
prestigiose scuole di vestibologia nazionali, si è
aggiunta una altrettanto autorevole partecipazione
internazionale, con i contributi di Thomas Lempert e
Judith White, che hanno accolto con pari entusiasmo
l’idea di partecipare ad un confronto culturale in
tema di vestibologia, in uno scenario unico come
quello offerto dai “Sassi” di Matera.
La possibilità di raccogliere in un numero unico di
“Otoneurologia 2000” i preziosi contributi di tutti i
relatori è un’occasione ineguagliabile offertaci da
Giorgio Guidetti, che lascerà traccia di questa
Giornata Materana di Vestibologia, invogliandoci
forse a riproporla per future edizioni.
Un vivo ringraziamento va dunque a tutti coloro che
hanno contribuito alla realizzazione di questo evento,
animati dal condividere una passione comune per
l’Otoneurologia, e non ultimo a mia moglie Patrizia,
insostituibile sostegno nel lungo e duro lavoro di
preparazione organizzativa.
Giacinto Asprella Libonati
3
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
INQUADRAMENTO E DEFINIZIONE
La Malattia di Ménière. Inquadramento generale e riferimenti storici
Giacinto Asprella Libonati, Domenico Cifarelli, GENNARO LAROTONDA
U.O. Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale - Ospedale “Madonna delle Grazie”, Matera
e-mail: [email protected] web: www.otorinomatera.wide.it
Cenni storici
A Prosper Ménière (1799-1862), va il merito di aver capito per
primo che l’associazione di acufeni, ipoacusia e vertigini poteva
originare da una malattia dell’orecchio interno e che le vertigini non erano espressione esclusiva dell’apoplessia cerebrale,
come fino a quel tempo si era ritenuto, ma erano il sintomo di
una sofferenza del labirinto. Di fronte alle assurdità commesse
nel passato nel vano tentativo di guarire la sordità, già nel 1853.
Ménière, davanti all’Accademia di Medicina, osò apertamente
criticare un celebre collega che aveva trapanato il cranio ad un
giovane: “Da questa apertura, il bambino avrebbe dovuto percepire i suoni (...) il bambino non ode nulla, o almeno è rimasto
sordomuto e stiamo facendo in modo di proteggergli la testa
contro gli choc esterni che potrebbero facilmente ucciderlo”. Per
curare la sordità, alle volte, si possono fare gravi danni, verrebbe
da dire guardando alla storia (1). Ménière, succeduto a Itard nel
1838 come medico capo dell’Istituto imperiale dei sordomuti a
Parigi, nel 1861 riferì all’Accademia imperiale di Medicina il caso
clinico di una giovane donna morta pochi giorni dopo aver accusato sordità improvvisa, vertigine e vomito (2). L’autopsia mise
in evidenza una congestione emorragica diffusa intralabirintica, escludendo qualsiasi compartecipazione del sistema nervoso centrale. L’immenso merito di questa comunicazione fu
quello di collegare per la prima volta all’orecchio interno una
sintomatologia allora sistematicamente attribuita ad un disturbo
del sistema nervoso centrale, e di convalidare al tempo stesso
le classiche leggi della fisiologia vestibolare decretate qualche
anno prima da Fluorens ed Ewald.
Altre due date importanti caratterizzano la storia della Malattia di Ménière (MdM): sono il 1927 e il 1938.
Nel 1927 Guild dimostrò per primo, nella cavia, la teoria del
flusso longitudinale dell’endolinfa verso il sacco endolinfatico.
Portmann nello stesso anno parlò della MdM come di un “glaucoma dell’orecchio” e per la prima volta pensò che la causa ne
poteva essere l’alterato assorbimento dell’endolinfa da parte del
sacco endolinfatico; lo stesso Portmann descrisse la chirurgia
del sacco endolinfatico per il trattamento della MdM (3), mentre Dandy rendeva popolare la sezione del nervo vestibolare nel
trattamento della vertigine, operazione impiegata con successo
per la prima volta da Parry nel 1904. Shaumbaugh osservò inoltre le alterazioni del sacco endolinfatico dei pazienti menierici
che appariva ischemico, con lume obliterato per aderenza delle
sue pareti, spesso dislocato rispetto alla tradizionale sede immediatamente al di dietro del canale semicircolare orizzontale.
Gli anatomopatologi Hallpike e Cairns, nel 1938, confermarono
le ipotesi di Portmann, sezionando le ossa temporali di due
pazienti deceduti in seguito alla sezione intracranica dell’ottavo nervo per ottenere la risoluzione di una grave sindrome
vertiginosa; in entrambi i casi fu documentata una dilatazione
spiccata del labirinto endolinfatico, a livello della chiocciola e
del vestibolo (4,5).
La prova definitiva che il deficit di riassorbimento del sacco può
dar luogo all’idrope endolinfatica fu data da Naito, Kimura e
Schuknecht che provocarono nelle cavie un’idrope cocleare tipica
già dopo un giorno dall’obliterazione del dotto endolinfatico,
idrope che diveniva progressivamente grave due o tre settimane
dopo, determinando la sporgenza della membrana di Reissner
nella scala vestibolare (6,7).
Da queste importanti date non si è percorsa molta strada e quasi
tutto rimane incerto su questa malattia, a partire dalla definizione e dalla terminologia utilizzata per definire il complesso
sintomatologico e le sue possibili varianti, fino al substrato anatomopatologico e ai meccanismi patogenetici che ne sono alla
base. Per queste ragioni sono ancora valide le parole usate da
Shea che descrisse la complessità della MdM, utilizzando la
frase di W. Churchill sulla Cina “A mistery within a riddle within
a paradox”: un mistero in un enigma in un paradosso.
Definizione e inquadramento
La MdM può essere definita come un’affezione idiopatica dell’insieme del labirinto membranoso che colpisce l’adulto senza
predominanza di sesso, realizzando un’entità clinica caratterizzata dalla comparsa di crisi vertiginose accompagnate da
segni neurovegetativi marcati, da acufeni e da ipoacusia con
sensazione di orecchio pieno, ad evoluzione parossistica, ma
imprevedibile, che ha per substrato anatomopatologico, probabilmente, un’idrope endolinfatica. La MdM è generalmente
monolaterale, ma in una percentuale variabile di casi (5-46%)
può diventare bilaterale.
Il termine “sindrome” sottende una possibile eziologia alla combinazione dei sintomi caratteristici della malattia, sintomi che
possono essere osservati nel decorso di altre patologie quali la
sindrome di Cogan, la sifilide o alcune patologie autoimmuni.
La MdM è per definizione idiopatica e deve essere individualizzata come tale. Il termine “malattia” sembra dunque essere il
più adatto.
Dal momento che è tutto il labirinto membranoso ad essere colpito, la sintomatologia è, e deve essere, allo stesso tempo
cocleare e vestibolare: così un’ipoacusia fluttuante o delle vertigini periferiche isolate non possono essere assimilate alla MdM,
e solo con riserva possono essere considerate varianti cocleari
4
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
o vestibolari della malattia. L’ipoacusia, l’ovattamento auricolare e gli acufeni (sintomi cocleari) e la vertigine (sintomo vestibolare) devono essere contemporaneamente presenti durante
la crisi e interessare l’orecchio colpito. La vertigine, accompagnata da nausea e vomito, deve durare non meno di 20 minuti,
sino a qualche ora (in media 4 - 5 ore) e deve presentarsi in
almeno due episodi. Durante la crisi, è presente un movimento
oculare patologico (nistagmo - Ny) spontaneo, orizzontale-rotatorio, il cui movimento rapido è diretto in un primo momento
(fugace) verso l’orecchio patologico e successivamente verso
l’orecchio sano. L’ipoacusia è di tipo percettivo (neurosensoriale) e abitualmente fluttuante nelle fasi precoci della malattia, anche se tali oscillazioni dell’udito non sono sempre presenti né necessarie per la diagnosi. Inizialmente coinvolge le
frequenze gravi (250Hz-500Hz), estendendosi in seguito alle
frequenze medie (1000Hz-2000Hz) e acute (4000Hz-8000Hz)
con curva piatta (pantonale). L’entità dell’ipoacusia consente la
stadiazione della malattia in 4 gradi (Tab. 1) e deve essere accertata strumentalmente in almeno una occasione.
Tabella 1 - Stadiazione della Malattia di Ménière*
STADIO
PTA (dB)
1
2
3
4
25
26-40
41-70
>70
* La stadiazione è basata sulla media di 4 toni (media aritmetica arrotondata al
numero intero più vicino) della soglia uditiva tonale a 0.5, 1, 2, e 3 KHz del peggiore audiogramma rilevato nei sei mesi precedenti l’inizio della terapia.
L’acufene e la fullness devono essere presenti nell’orecchio patologico e rivestono carattere variabile da soggetto a soggetto.
È molto importante la diagnosi differenziale con tutte le patologie in grado di manifestarsi con un quadro clinico simile alla
MdM: in particolare, i disturbi immunitari dell’orecchio interno,
le neoformazioni dell’ottavo nervo cranico, le alterazioni metaboliche sistemiche e le patologie vascolari.
L’evoluzione, la cui durata è imprevedibile, è caratterizzata da
una progressiva riduzione delle crisi vertiginose che vengono
sostituite da una instabilità continua.
L’ipoacusia raggiunge gradi elevati, senza più fluttuazioni e si
associa ad una povera discriminazione vocale, con abbassamento della soglia del fastidio (recruitment). In Italia l’incidenza
calcolata è di 8,2 per 100.000. Non sembra esservi una differenza statisticamente significativa tra i sessi, mentre l’età maggiormente colpita varia tra i 40 e i 60 anni.
È possibile identificare alcune varianti cliniche in base a criteri
sintomatologici o alla successione temporale della comparsa
dei sintomi. Esse comprendono:
• MdM vestibolare: forma clinica caratterizzata dai soli attacchi vertiginosi di tipo menierico (durata) senza i sintomi
cocleari associati. Spesso precede di qualche anno la com-
•
•
•
•
•
parsa della malattia conclamata. Pone problemi di diagnosi
differenziale con altre vestibolopatie ricorrenti.
MdM cocleare: forma clinica caratterizzata da ipoacusia, fullness e acufeni, con le stesse caratteristiche audiologiche
descritte nella malattia classica, senza crisi vertiginose. Analogamente alla forma vestibolare può precedere la forma conclamata. Pone problemi con altre patologie cocleari ad andamento più o meno fluttuante;
Sindrome di Lermoyez: definita come “la vertigine che fa
udire” è caratterizzata dalla comparsa di ipoacusia, seguita
dopo un periodo variabile da una vertigine di tipo menierico
durante la quale migliora l’udito.
Sindrome di Tumarkin (variante otolitica): forma clinica tardiva della MdM in cui il paziente va incontro a episodi di “drop
attack”, con caduta a terra, senza perdita di coscienza.
Sindrome di Ohresser: quadro clinico di MdM ad insorgenza
pre o perimestruale.
ldrope endolinfatica ritardata: manifestazione clinica contrassegnata da crisi vertiginose di tipo menierico insorgenti
in un soggetto già affetto da anacusia monolaterale di vecchia data. L’idrope può colpire l’orecchio anacusico o quello
controlaterale, con un intervallo di tempo rispetto all’anacusia molto variabile, anche di anni.
Conclusioni
Lo studio clinico dei pazienti, i metodi di trattamento utilizzati
e i loro risultati, le ricerche condotte nei laboratori dell’osso
temporale e gli studi epidemiologici ci aiuteranno a far luce su
questa malattia sempre più diffusa, soprattutto se sapremo adottare terminologie comuni e metodi di studio scientificamente
controllabili. Non deve mancare la convinzione che le future
acquisizioni cambieranno molto nelle conoscenze attuali e porteranno, probabilmente, a modificare non solo i criteri di diagnosi e le classificazioni utilizzate, ma anche i metodi di trattamento medico e chirurgico della malattia.
Bibliografia
1. Le pouvoir des signes. Exposition, Chapelle de la Sorbonne. Parigi
13.12.1989-22.1.1990.
2. Ménière P. Mémoire sur les lésion de l’oreille interne donnant lieu
à des symptòmes de congestion cérébrale apoplectiforme. Gaz Méd
Paris 1861;16:597-601.
3. Portmann G. Vertigo surgical treatment by opening of the saccus
endolymphaticus. Arch Otolarylngol 1927;6:309-19.
4. Hallpike C, Cairns H. Observations on the pathology of Ménière’s
sindrome. J Laryngol Otol 1938;53:625-55.
5. Hallpike C, Wright A. On the histological changes in the temporal bones of a case of Ménière’s disease. J Laryngol Otol 1940;55:
59-66.
6. Naito T. Experimental studies on Ménière’s disease. Jpn J Otol
1950;53:19-20.
7. Kimura RS, Schuknecht HF. Membranous hydrops in the inner ear
of the guinea pig after obliteration of the endolymphatic sac. Prat
Otorhinolaryngol (Basel) 1965;27:343-54.
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
EPIDEMIOLOGIA
Epidemiologia della Malattia di Ménière
MAURO GUFONI
Sezione di Audiologia, Reparto Otorinolaringoiatrico - Spedali Riuniti di Livorno
Introduzione
Tabella 2 - Epidemiologia della Malattia di Ménière*
La Malattia di Ménière (MdM) è stata ed è misteriosa riguardo
ad eziologia, patogenesi e anatomia patologica: al suo attivo si
trova una letteratura sterminata e una serie infinita di terapie,
la cui essenza varia con la fantasia e le possibilità tecnologiche
del tempo (dalle applicazioni galvaniche degli anni ’30 alla terapia iperbarica dei nostri tempi), ma con un dato costante: le frequenti delusioni. In queste condizioni, anche i dati riguardanti
l’epidemiologia hanno evidenziato sbandamenti (è il caso di
dirlo!) enormi, con dati discordanti in maniera sospetta (Tab. 1).
La variabilità delle casistiche risentiva evidentemente della difficoltà nell’elaborazione dei dati, perché l’esordio della malattia può essere monosintomatico, per la variabilità dell’afflusso
della popolazione al centro di studio, per l’evoluzione imprevedibile della malattia (1).
Tabella 1 - Incidenza della Malattia di Ménière (1)
AUTORI
ANNO
INCIDENZA
%
Cawthorne e Hewlett
Harrison e Naftalin
Stahle, Stahle, Aremberg
1954
1968
1977
1 caso su 636
1 caso su 1000
1 caso su 2163
1,6
0,1
0,05
Una standardizzazione della diagnosi è stata resa possibile dopo
la redazione di norme precise e rigorose alle quali i laboratori
di Vestibologia si sono adeguati, con la pubblicazione dei criteri diagnostici da parte del Comitato per l’equilibrio dell’Accademia Americana di Oftalmologia e Otorinolaringoiatria del
1972 e del 1995. Da allora la MdM si definisce come: “malattia dell’orecchio interno membranoso caratterizzata da ipoacusia, vertigine e ronzio che ha come substrato anatomo-patologico la dilatazione idropica del sistema endolinfatico”. L’ipoacusia è di tipo neurosensoriale, fluttuante, generalmente unilaterale e progressiva. La vertigine è episodica, di durata variabile
tra i 20 minuti e le 24 ore, e associata a sintomi neuro-vegetativi” (2).
Letteratura
Tra i numerosi dati della letteratura, si riportano in Tab. 2 quelli
di Nuti et al. del 1991 (3) e quelli di Kotimaki et al. del 2003 (4).
I dati dello studio del 1991 sono stati scelti perché: 1) riguardano la popolazione italiana; 2) sono estesi con buona approssimazione ad una intera regione, la Toscana, con omogeneità
nei metodi diagnostici e affinità di approccio al malato.
AUTORI
ETÀ (ANNI)
SESSO
LATO DI ESORDIO
Nuti et al. (3)
39,72
(s = 12,8)
Maschi 39,1%
Femmine 40,2%
Destro 44,7%
Sinistro 49,3%
Kotimaki et al. (4) 58,9
(s = 10,8)
Maschi 38,5%
Femmine 61,5%
Destro 40,3%
Sinistro 46,2%
* MM diagnosticata secondo i criteri AAO-HNS, 1972 e 1975
Dallo studio di Kotimaki et al. la pubblicazione più recente che
è stato possibile consultare al momento della stesura di questo
lavoro, risulta che (4)
1. I menierici sposati sono il 61%, i single il 12%, i vedovi il 5%
e i divorziati il 9% (mancano i dati del restante 13%).
2. Nel 15 % dei casi la prima diagnosi non è stata quella di
MdM ma quella di sordità improvvisa (6,3%), neuronite vestibolare (2,9%), ipoacusia percettiva idiopatica (2,7%), vertigine idiopatica (2,7%), vertigine parossistica posizionale
(0,5%).
3. Secondo i malati intervistati, i sintomi più disabilitanti sono
stati la vertigine nel 64,7% dei casi, la sordità (24,9%), gli
acufeni (10,4%).
4. Le crisi di vertigini durano: >3 ore (52,5%); 1-3 ore (37,6%);
<1 ora (5,5%); dati mancanti (4,4%).
Casistica personale
Si riportano in Tab. 3 i dati relativi alla MdM presso il Reparto
Otorinolaringoiatrico di Livorno, negli anni che vanno dal 1995
al 2003 compresi. La diagnosi è stata effettuata sulla base dei
criteri AAO-HNS, 1972 (2).
Tabella 3 - Frequenza della Malattia di Ménière*
Incidenza media
Casi /Totale pz. vertiginosi
Età
Sesso
Lato
Crisi otolitiche
5/200.000
43/11267
48,4 anni (s = 12,4)
Maschi 47,4 %
Femmine 52,6 %
Destro 34,9 %
Sinistro 58,1 %
Bilaterale 7 %
2 (età 61 e 66 anni)
* Calcolata sul totale dei pazienti vertiginosi osservati negli anni 1995-2003
(Dati Reparto ORL di Livorno)
6
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
La casistica si discosta significativamente da quella della letteratura, soprattutto per l’incidenza molto bassa (una media di
cinque nuovi casi l’anno, su una popolazione media di 200.000
abitanti).
Viene riportata nella tabella la frequenza della MdM in rapporto
al numero totale dei vertiginosi esaminati.
È interessante notare che i due soli casi di pazienti menierici
con crisi otolitiche siano i due soggetti più anziani.
Considerazioni
Anche sulla base degli studi epidemiologici si possono trarre
poche conclusioni, ma si può notare che la MdM:
1. È una malattia rara.
2. È una “malattia dell’età matura” (1).
3. Le forme bilaterali esistono ma sono poco frequenti: questo
dato riveste grande importanza per il trattamento terapeutico ablativo con gentamicina che, sulla base di questi dati,
dovrebbe esporre al rischio di atassia per areflessia bilaterale un numero di casi molto limitato.
4. Le crisi otolitiche, da considerare complicanze temibili di una
malattia già disabilitante di per sé, sembrano insorgere nei
pazienti con una lunga storia di crisi.
Bibliografia
1. Bergomi A. Malattia di Ménière e sindromi menieriformi. V Giornata Italiana di Nistagmografia Clinica (A. Dufour. ed), San Marino
1985.
2. AAOO Committee on hearing and equilibrium and its measurement.
Ménièrès disease criteria and evaluation of therapy for reporting.
Trans Amer Acad Ophtalmology Otolaryngol 1972;76:1462.
3. Nuti D, et al. Problematiche e aspetti epidemiologici della malattia
di Ménière. XI Giornata Italiana di Nistagmografia Clinica (A. Dufour,
ed), Parma 1991.
4. Kotimani J, et al. Clinical picture and audiometric configurations in
Ménière’s disease. Audiological Medicine 2003; 123-31.
7
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
PATOGENESI ED EZIOLOGIA
Istopatologia, patogenesi ed eziologia della Malattia di Ménière
EUGENIO MIRA, Roberto Spasiano
Dipartimento di Scienze Sensoriali, Università di Pavia - Clinica Otorinolaringoiatrica, IRCCS Policlinico “S. Matteo”, Pavia
e-mail: [email protected]
Parole chiave: Ménière, idrope, endolinfa, sacco endolinfatico
La malattia di Ménière (MdM) è un’affezione dell’orecchio interno
di causa sconosciuta, ma il cui sostrato anatomopatologico è
un’idrope endolinfatica (1). Pertanto, per definizione l’idrope
endolinfatica idiopatica è l’equivalente sul piano patologico
della MdM. Un reperto di idrope può essere diagnosticato definitivamente solo attraverso un esame post-mortem su preparato di osso temporale. Tuttavia, per scopi clinici, la presenza di
un’idrope può essere desunta in vita dalla presenza della nota
triade sintomatologica: vertigine spontanea episodica e ricorrente - perdita dell’udito - acufeni con sensazione auricolare di
ovattamento.
L’esistenza di una distensione del labirinto membranoso, definita poi “idrope endolinfatica”, venne per la prima volta descritta
in contemporanea e indipendentemente nel 1938 da Yamakawa
(2) e Hallpike e Cairns (3) su rocche di pazienti deceduti di
seguito a neurectomie vestibolari. Presto poi il concetto di idrope,
in seguito ad altri riscontri autoptici similari, venne incorporato
nella definizione di MdM già nel 1972, dal Committee on Hearing and Equilibrium della American Academy of Ophtalmology
and Otolaryngology (4).
Dal punto di vista istopatologico, l’idrope è caratterizzata da
dilatazione e distorsione delle strutture a contenuto in endolinfa del labirinto. Il riscontro istologico primario è una dilatazione dello spazio endolinfatico con risultante decremento degli
spazi perilinfatici, che a loro volta non possono espandersi a
causa del loro involucro osseo (5). Tale idrope è costantemente
osservata nel canale cocleare, dove si traduce in una deformazione della membrana vestibolare o di Reissner (Fig. 1) che,
Figura 1. Sezione istologica della coclea con distensione della scala media (sm)
da idrope endolinfatica (24).
secondo lo stadio dell’affezione, può essere localizzata o generalizzata (6). Essa inizia praticamente sempre all’apice, quindi
si estende al resto della coclea. La membrana di Reissner si
distende progressivamente e, negli stadi avanzati, può occupare
quasi interamente la rampa vestibolare ed estendersi nella rampa
timpanica attraverso l’elicotrema. Alla base, il ceco vestibolare
del canale cocleare disteso emerge nel vestibolo. L’idrope si
ritrova ugualmente e altrettanto costantemente nel sacculo,
mentre l’utricolo e i canali semicircolari sono interessati meno
frequentemente dal processo idropico, forse grazie alla protezione della valvola otricolo-endolinfatica.
Lesioni meno significative, o comunque incostanti e forse indipendenti dal processo menierico, ma piuttosto correlate all’invecchiamento fisiologico, sono state localizzate negli organi
sensoriali, stria vascolare e tessuti secretori (7). Al contrario, a
livello del sacco endolinfatico, parrebbero costituire stigmate
istopatologiche costanti la fibrosi perisacculare e la scomparsa
del tessuto connettivo sottoepiteliale, anche se il valore patologico di esse è ancora discusso (7). Altri autori hanno rilevato
sempre a livello del sacco segni evocatori di ischemia (8), quindi
ancora, come lesioni suscettibili a generare idrope, agenesia (8)
o atrofia (9) del sacco stesso o ancora ostruzione o obliterazione del canale endolinfatico da osteoma o esostosi (10). Va
ricordato che nel complesso tale serie di lesioni non rappresenta
un riscontro né costante né comunque specifico.
Che cosa causa la dilatazione dello spazio endolinfatico? Essa
in teoria potrebbe risultare o da una iperproduzione o da un
insufficiente riassorbimento dell’endolinfa. Attualmente, l’ipotesi più comunemente accettata è quella di un insufficiente
riassorbimento dell’endolinfa da parte del sacco endolinfatico
(7). Più specificatamente, tale ipotesi riposa sulla teoria del
“flusso longitudinale”, come proposta già nel 1927 da Guild (11),
secondo la quale l’endolinfa scorre longitudinalmente per un
gradiente osmotico mantenuto dalla stria vascolare (12) verso
il sacco, dove viene riassorbita (13). Tale teoria è stata rafforzata da studi in microscopia elettronica (14), che hanno mostrato
come il sacco endolinfatico sia provvisto di una batteria cellulare caratteristica degli epiteli impegnati nei fenomeni di trasporto e di scambi metabolici. Si aggiunge che recenti studi (15)
hanno anche mostrato la capacità dello stesso epitelio di secernere glicoproteine idrofiliche e una sorta di ormone detto “saccina”, in grado di richiamare liquidi nell’endolinfa. Si delinea
pertanto l’idea di un sacco endolinfatico non più come spazio
passivo, ma come organo attivo con capacità di riassorbimento
e secrezione. A ulteriore rinforzo dell’ipotesi del difetto di riassorbimento di endolinfa come diretta causa dell’idrope, sono
8
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
comparsi studi istopatologici su umano, già prima accennati,
mostranti nei soggetti menierici una fibrosi perisacculare (3) e
una ipoplasia o atrofia del sacco endolinfatico stesso (9).
Sul piano eziologico, l’idrope è classificata come malformativa,
acquisita o idiopatica (16). La forma malformativa è rara e può
essere secondaria a una displasia tipo Mondini (17). Il tipo acquisito può essere dovuto a una aggressione del labirinto, di tipo
infiammatorio o traumatico (16). Nel tipo idiopatico, quello
appunto correlato alla MdM, l’eziologia dell’idrope rimane oscura.
In generale in quest’ultimo caso il concetto di eziologia multifattoriale sembra essere ampiamente accettato dalla letteratura. È probabile che diversi fattori possano portare all’idrope
endolinfatica, che quindi si manifesta clinicamente con il quadro della MdM. Tra i fattori eziologici proposti ricordiamo: allergia (18); infezioni virali, in particolare da herpes simplex virus
(19); meccanismi autoimmunitari (20); fattori genetici: rilevata
una ereditarietà menierica variabile (5-15 %) a seconda degli
studi; alterato metabolismo glicoproteico (15); fattori stressogeni (discussi) (21).
A questo punto è doveroso chiarire che, nonostante la stretta
correlazione o supposta equivalenza sui due rispettivi piani clinico e anatomopatologico tra MdM e idrope endolinfatica, l’idrope endolinfatica stessa può non essere accompagnata dall’espressione dei sintomi menierici. Il dogma centrale, come derivato dalla proposizione del Committee on Hearing and Hequilibrium del 1972 (4), e come formulato da Kiang (22), secondo
cui “ogni chiaro caso di sindrome di Ménière deve avere un’idrope endolinfatica e ogni caso di idrope deve presentare i sintomi clinici” (Fig. 2), è stato messo in discussione da Rauch nel
1989 (23).
Autoimmune reactions
Dizziness
Allergic responses
Blocked drainage
Excess
endolymph
Autonomic
imbalances
Hearing loss
ENDOLYMPHATIC
HYDROPS
Viral infections
Dietary deficiencies
Vascular irregularities
Tinnitus
Fullness
Figura 2. Il dogma centrale secondo Kiang per la MdM: molti possibili fattori
eziologici possono portare all’idrope endolinfatica, che a sua volta genera il
quadro clinico della malattia stessa (23).
Quest’ultimo ha sì dimostrato la presenza di idrope idiopatica
in tutte le rocche dei pazienti menierici da lui studiati, ma anche
in alcuni pazienti non sintomatici per MdM. Ne emerge che l’idrope di per sé non genererebbe direttamente il quadro clinico
menierico, ma che una serie di fattori, includendo anche quelli
elencati di sopra, alterando il bilancio dei fluidi nell’orecchio
interno, produrrebbero sia il quadro clinico della MdM che il
quadro istopatologico dell’idrope endolinfatica (Fig. 3).
Autoimmune reactions
Dizziness
Allergic responses
Blocked drainage
Excess
endolymph
Autonomic
imbalances
Viral infections
Dietary deficiencies
Vascular irregularities
Hearing loss
?
Tinnitus
Fullness
Endolymphatic
hydrops
Figura 3. Dogma centrale modificato da Rauch per la MdM: una serie di fattori che interferiscono con il bilancio di fluidi nell’orecchio interno producono
sia il quadro clinico della malattia stessa che l’idrope endolinfatica (23).
Per concludere, un approccio critico a tale materia induce a considerare che il concetto stesso di idrope come sostrato istopatologico della MdM non può essere accettato senza riserve: 1.
essa non è costante nei pazienti che hanno presentato tutti i
sintomi caratteristici della malattia; 2. dalla sua descrizione nel
1938, l’osservazione di un’idrope non si basa che su l’esame di
circa 150 rocche umane in tutto, cifra che non autorizza delle
conclusioni di assoluta certezza; 3. il riscontro di idrope è riportato anche in affezioni diverse dalla MdM.
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Eugenio Mira - PATOGENESI ED EZIOLOGIA
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10
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
La semeiotica vestibolare e audiologica nella Malattia di Ménière
PAOLO VANNUCCHI
U.O Audiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche OtoNeuroOftalmologiche - Università di Firenze
Parole chiave: Test audiometrici, test vestibolari, nistagmo, VEMPs
La diagnosi di Malattia di Ménière (MdM) è spesso abbastanza
semplice sulla base della sola storia clinica, ma l’esatta conoscenza degli aspetti semeiologici, audiometrici e vestibolari può
essere di grande aiuto per l’evoluzione e la gestione del paziente
menierico. Il paziente, più frequentemente di età compresa fra
i 30 e i 60 anni (1), racconta quasi sempre con esattezza gli acufeni, il senso di pienezza auricolare, l’ipoacusia e le vertigini
intense che lo costringono all’immobilità.La crisi ha durata variabile da pochi minuti a molte ore, ma più frequentemente è di
2-3 ore. L’esame obiettivo otologico è negativo, mentre fondamentale risulta l’audiometria tonale con una tipica ipoacusia
percettiva che è stata descritta di 4 tipi:
I. Ipoacusia sulle basse frequenze.
II. Perdita sui toni acuti.
III. Ipoacusia pantonale “piatta”.
IV. Ipoacusia a cupola con calo sulle basse e le alte frequenze
mentre vengono risparmiate le frequenze centrali.
Le ipoacusie in salita sono più frequenti nelle fasi iniziali della
malattia; successivamente le “piatte” rappresentano circa il 75%
dei casi (2). L’ipoacusia tende a risolversi quando si conclude la
crisi vertiginosa e, nelle fasi iniziali della malattia, l’udito torna
normale. Successivamente l’ipoacusia permane con caratteristiche variabili e progressivo deterioramento fino a livelli di
profonda ipoacusia.
Un test diagnostico è quello del glicerolo in cui la somministrazione di iperosmolari (glicerolo, urea, mannitolo, isosorbide)
può determinare una riduzione dell’idrope e un miglioramento
della condizione uditiva; le dosi impiegate sono variabili a
seconda degli autori (3-4) (da 1,3 g/kg a 2,4 ml/kg). La sensibilità e la specificità del test sono abbastanza modeste (5). Una
migliore specificità si può ottenere usando l’elettrococleografia come test che verifica l’effetto del farmaco. Alcuni autori (6)
hanno infatti riportato che l’ampiezza del potenziale d’azione
aumenta, mentre il potenziale di sommazione si riduce, modificandosi nettamente il rapporto fra potenziale di sommazione
e potenziale d’azione. Tale fenomeno non si verifica in soggetti
normali a cui vengono somministrati gli iperosmolari.
L’audiometria vocale risulta poco significativa a fini diagnostici
e comunque è spesso compromessa con deterioramento della
soglia di percezione e della massima discriminazione, mentre il
roll-over non supera normalmente il 20%.
L’esame impedenzometrico mostra un timpanogramma di tipo
A e un riflesso stapediale presente con profilo di Metz positivo
per patologia cocleare. In questi pazienti, infatti, ad una riduzione della soglia audiometria tonale è associata una soglia del
riflesso stapediale sostanzialmente invariata, con conseguente
riduzione del campo dinamico.
Nonostante la perdita uditiva o, forse meglio, grazie alla perdita uditiva sui toni gravi, gli ABR nelle prime fasi della MdM
possono essere i più belli che si possano ottenere. Infatti, le
diverse componenti del tracciato si temporizzano nelle risposte
che derivano dal giro medio e basale, mentre quelle che derivano dal giro apicale non vengono a sommarsi e quindi a deteriorare la risposta. Gli ABR sono un esame irrinunciabile, soprattutto per la diagnosi differenziale con il neurinoma dell’ottavo
nervo cranico. Sappiamo che normalmente in tale patologia si
osserva una ipoacusia sui toni acuti, ma oggi non possiamo permetterci di trascurare alcuna ipoacusia monolaterale, anche se
solo sui toni gravi.
Le TEOAEs trovano nell’ipoacusia il loro principale limite clinico;
peraltro Bonfils e Uziel (7) le hanno riscontrate nel 38,2% dei
casi esaminati e in un 19% di casi le TEOAEs sono comparse
dopo la somministrazione di glicerolo.
Lo studio della funzionalità vestibolare è un momento irrinunciabile dello studio del paziente menierico, anche perché il sintomo più coinvolgente è certamente la vertigine, che può portare il paziente ad un livello di vita assolutamente scadente. Lo
studio del riflesso vestibolo-oculomotore attraverso l’osservazione dei nistagmi è semplice e rapido e fornisce una notevole
variabilità.
L’osservazione di un nistagmo “irritativo”, diretto cioè verso l’orecchio interessato, nella fase iniziale della crisi, è stato a lungo
dibattuto e, sebbene di non facile osservazione per la sua breve
durata, è certamente presente (8). Personalmente ho avuto l’occasione in tre casi di vedere un nistagmo irritativo, essendo
casualmente presente all’insorgere della crisi. Il ny è orizzontale diretto verso l’orecchio patologico e viene sostituito nel
giro di pochi minuti da un nistagmo deficitario diretto verso l’orecchio sano.
Durante la crisi, il ny è sempre presente ma con una notevole
variabilità. Infatti, più frequentemente è presente un ny deficitario cioè diretto verso l’orecchio sano, ma talvolta è possibile
osservare un ny di “recupero”, diretto cioè verso l’orecchio patologico. Raramente si osservano ny pluridirezionali e questo deve
indurre dei sospetti diagnostici e/o considerare l’eventualità che
quella “Ménière” sia da inserire in un quadro sindromico più complesso, con coinvolgimento anche centrale, di probabile natura
vascolare (9). Peraltro, sappiamo come la MdM sia una patologia
che coinvolge tutto il blocco labirintico e quindi sia possibile un
interessamento anche dei canali verticali e delle macule, con conseguente comparsa di componenti verticali del nistagmo.
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Paolo Vannucchi - SEMEIOTICA
Nelle fasi intercritiche è frequente l’assenza di ny, ma talvolta
il ny è presente e ha caratteristiche variabili. In queste fasi è
fondamentale lo studio dei nistagmi nelle posizioni di fianco o
con testa iperestesa, perché non raramente ci permette di osservare ny altrimenti non rilevabili, oltre alla possibilità di verificare l’influenza maculare sul ny, con rinforzi che più spesso sono
apogeotropi e talvolta geotropi. Talvolta è rilevabile il ny solo
in una posizione, spesso quando il paziente giace sul fianco
affetto, configurandosi un ny monodirezionale e monoposizionale, con la fase rapida diretta verso l’orecchio sano. In sintesi
nelle fasi intercritiche il reperto più frequente è quello di una
assenza di ny ma a volte permane un ny orizzontale che più
spesso è “deficitario” e solo talvolta di “recupero” (10).
Le stimolazioni caloriche forniscono spesso un netto deficit
canalare; è anche possibile rilevare una normoreflettività e talvolta una preponderanza direzionale del nistagmo (11). Nelle
fasi iniziali della malattia è frequente che la funzionalità labirintica sia nella norma, ma con il ripetersi delle crisi il danno
risulta quasi sempre bene evidente. Tale osservazione può essere
ottenuta sia con le prove termiche classiche di Fitzgeral-Hallpike, ma anche con la prova termica simultanea; con tale metodica il ny provocato sarà diretto verso il lato interessato, dimostrando una maggiore capacità di inibirsi dell’orecchio sano (9).
Attualmente un esame vestibolare completo prevede sempre
l’esecuzione dell’head shaking test e dell’head impulsive test. Il
primo più frequentemente mostra un head shaking nystagmus
che batte verso l’orecchio sano, ma non sono eccezionali i casi
in cui non è presente ny o il ny batte verso il lato interessato. I
meccanismi centrali che portano a tale situazione sono ancora
non precisati e sono da riferirsi ai complessi fenomeni di compenso che si verificano dopo le crisi. L’head impulsive test è
spesso negativo, ma talvolta la sua positività è chiara con un
saccadico di recupero verso l’orecchio sano dopo un rapido movimento della testa verso il lato patologico.
Essendo nella MdM coinvolto tutto il labirinto, c’è spesso un
coinvolgimento delle strutture che proiettano in via discendente
e questo può portare alla positività dei test che indagano le vie
vestibolo-spinali come la stabilometria e i VEMPs.
Nella posturografia statica, i patterns della MdM sono: oscillazioni ampie, irregolari a bassa frequenza soprattutto sul piano
orizzontale, centro di gravità irregolare e differente nel tempo,
lateropulsione ipsilaterale alla lesione ad occhi aperti ma soprat-
tutto ad occhi chiusi. Con la stabilometria dinamica è possibile
evidenziare una lateropulsione ipsilaterale alla lesione e instabilità alle condizioni esclusivamente vestibolo-dipendenti (8-12).
I VEMPs sono aboliti circa nel 50% dei pazienti; nei casi in cui
i VEMPs siano conservati i loro valori di latenza (P13-N23) e di
ampiezza sono nella norma. De Waele et al (13) non hanno
riscontrato correlazioni fra le alterazioni dei VEMPs e sia l’iporiflessia labirintica sia il deficit cocleare. Sulla base di tale osservazioni, uno studio dei VEMPs dovrebbe essere sempre eseguito
anche in previsione di un trattamento fisioterapico mirato.
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12
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
VEMPs e Ménière
Aldo Campanini, CLAUDIO VICINI, C. Marchi
U.O. di ORL e Chirurgia Cervico-facciale - Servizio di Stomatologia e Chirurgia Orale
Dipartimento Chirurgico - Ospedale “G.B. Morgagni - L. Pierantoni” - Azienda USL di Forlì
Un’applicazione di sicuro interesse pratico oltre che teorico dei
VEMPs è quella dello studio della malattia di Ménière (MdM).
Ricordiamo come il sacculo, area di squisita esplorabilità VEMPs,
sia una struttura anatomicamente a ponte tra chiocciola e otricolo con i suoi canali semicircolari. Ricordiamo inoltre come l’idrope tenda ad essere prevalente in ambito cocleare, e pertanto
a coinvolgere più facilmente le strutture viciniori (sacculo)
rispetto ai CS. Nel 54% dei pazienti menierici valutati da De
Waele et al. in uno studio del 1999, i VEMPs erano assenti dal
lato patologico (1). Lo stesso studio ha documentato una correlazione statistica molto significativa tra ipoacusia percettiva
menierica ascendente e alterazione dei VEMPs, confermando
l’elevata probabilità di avere come prima subunità vestibolare
coinvolta dall’idrope proprio il sacculo, anche in presenza di una
perfetta reflettività calorica del CSL al BVC (1). Recentemente
Young et al. (2) hanno potuto studiare la gravità della MdM con
i VEMPs, partendo dalla considerazione che il sacculo, dopo la
chiocciola, è l’organo endolinfatico più colpito dall’idrope. Il
profilo VEMPs è stato positivamente correlato con la stadiazione audiometrica della American Academy (1995). Interessante lo studio di Suzuki et al. (3) sul comportamento comparativo dei VEMPs da un lato e dei riscontri ENG, oltre che del
fenomeno di Tullio e del segno della fistola nell’andamento clinico del paziente menierico: il fenomeno di Tullio e il segno della
fistola scomparivano in associazione con la riduzione della risposta calorica, che implica la funzione ampollare del canale laterale. L’applicazione del test depletivo al glicerolo ai VEMPs ha
prodotto un nuovo test diagnostico il cui acronimo è stato designato come GVEMP (4). 22 pazienti menierici e/o con Delayed
Endolymphatic Hydrops (DEH) sono stati testati in associazione
ad un test al glicerolo convenzionale, con ECochG, con furosemide VOR test (FVOR). Una quota sostanziale di pazienti è risultata sensibile al test, allargando le possibilità di applicazione e
misurazione dei tests depletivi. Una trilogia di lavori delinea
l’impiego dei VEMPs nel DEH: in generale (5), nella forma ipsilaterale (6) e in quella controlaterale (7). Come noto, un certo
grado di dilatazione sacculare è stato osservato in molti casi di
DEH studiati istopatologicamente. Young et al. (5) hanno studiato un campione selezionato di 20 pazienti con un protocollo
otoneurologico che includeva i VEMPs. Le conclusioni sono che
il persistere di un tracciato VEMPs dopo ipoacusia improvvisa
(o in casi di ipoacusia severa di vecchia data), può predire la
comparsa a distanza di un DEH. Nel DEH ipsilaterale Ohki et al.
(6) hanno potuto svelare la fluttuazione della funzione sacculare testata con VEMPs, a seguito di somministrazione di glicerolo orale. Analoghe osservazioni sono state compiute dagli
stessi Autori (7) nell’orecchio controlaterale nel contesto della
cosiddetta “Contralateral DEH”. Sempre molto interessante nel
campo dell’idrope la osservazione anedottica singola, ma elegantemente documentata, di Seo et al. (8). Gli autori descrivono
un caso di disequilibrio acuto ricorrente con alterazione dei
VEMPs monolaterale, che regredisce totalmente a seguito di
infusione con furosemide. Al di là della singola osservazione, il
lavoro si raccomanda per l’intuizione di impiegare l’associazione
di challenge osmotico e VEMPs nella diagnostica della possibile
idrope sacculare.
Salvo casi di severo defedamento, età molto avanzata, o cooperazione inattuabile, l’esame appare sempre possibile, magari
riducendo il numero degli stimoli e pertanto la durata dell’esame (già a 50 ripetizioni in molti casi il complesso p13-n23
appare perfettamente leggibile), o più semplicemente studiando
il paziente comodamente coricato con la testa lateroruotata
senza contrazione muscolare. Impossibile l’esecuzione in bambini piccoli non cooperanti, pazienti incoscienti, dementi o per
qualche motivo deliberatamente non cooperativi. Altro criterio
di esclusione: pregressi interventi cervicali con danno dello spinale o dello SCM. L’esame per praticità risulta eccellente nello
screening vestibolare, o nei monitoraggi ripetuti, come in corso
di sublabirintectomia con gentamicina per MdM intrattabile
farmacologicamente.
La registrazione
Descriveremo di seguito l’assetto di esame adottato presso il
Laboratorio di Otoneurologia della Divisione ORL di Forlì dal
marzo del 1999. Non abbiamo introdotto varianti specifiche allo
studio della MdM in termini di tecnica di registrazione. L’esame
viene da noi realizzato in ambiente iposonorizzato e ipoecoico,
non in cabina silente, con l’operatore accanto al paziente. Si
richiede un lettino da visita per collocare il paziente in posizione
supina, con il capo eventualmente sollevato di 30°. Abbiamo
optato per elettrodi monouso di superficie a tipo ECG, con collaretto autoadesivo e con spugnetta intrisa di gel. Sono necessari 5 elettrodi per ogni paziente. La cute viene preparata con
sgrassaggio, strofinando sull’area prescelta una miscela di alcooletere con una semplice garza. Personalmente abbiamo limitato
lo studio dei VEMPs alla registrazione dai muscoli SCM. Sono
individuati due punti di repere simmetrici in ogni lato per gli
elettrodi attivi e un punto centrale per la terra. L’elettrodo negativo viene collocato al terzo medio dello SCM, reso più saliente
dalla sua contrazione ottenuta da rotazione controlaterale del
capo contro resistenza. L’altezza del punto di installazione del-
13
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Claudio Vicini - VEMPs
l’elettrodo si trova all’incirca equidistante dalla mastoide e dal
manubrio sternale. Preferiamo il terzo medio al terzo superiore,
poiché nelle nostre mani fornisce risposte più ampie e meglio
conformate rispetto al terzo superiore. Il centro dell’elettrodo si
colloca nel mezzo del ventre muscolare, equidistante dal bordo
anteriore e posteriore. L’elettrodo positivo si colloca sulla salienza
del corpo clavicolare, esattamente a metà della clavicola stessa.
Il ground trova posto esattamente al centro del manubrio sternale, in posizione perfettamente mediana.
La maggiore quota degli esami complessivi e la nostra routine
attuale sono basati sull’impiego di poligrafo Medelec Amplaid
MK12.
La stimolazione binaurale simultanea è divenuta attualmente la
nostra scelta esclusiva per la routine corrente. Attualmente la
stimolazione separata viene riservata a casi particolari, e solo in
seconda battuta. Qualora non si disponga di LOGON a 500 Hz,
si potranno, con soddisfazione leggermente minore, impiegare
STB a 500 Hz, e qualora anche questi ultimi risultino indisponibili, ripiegare non senza qualche problema di affidabilità sui broad
band clicks. Il paziente viene invitato a coricarsi supino sul lettino da visita, il cui testale è mantenuto in posizione orizzontale
o sollevato di 30°, in caso di paziente con ridotta capacità muscolare. All’inizio di ogni registrazione, il paziente viene richiesto di
sollevare di circa 4-5 cm la nuca dal piano di appoggio, senza
ruotare il capo in alcun modo di lato, e di rimanere in questa
posizione per tutto il tempo della registrazione (circa 1 minuto).
Questa preattivazione muscolare è essenziale per la registrazione
di un evento che, in effetti, deve essere interpretato dal punto
di vista neurofisiologico come un evento fasico inibitorio sul tono
muscolare di fondo. Per facilitare la simmetria del movimento,
si suggerisce al paziente di fissare un punto immaginario esattamente al centro dei due piedi. In ogni caso, la simmetria della
manovra di preattivazione muscolare in flessione anteriore del
capo viene verificata continuamente dall’esaminatore, e corretta
istante per istante, in caso di imperfetta esecuzione. Teoricamente, la massima preattivazione si ottiene per motivi geometrici e fisici con il capo appena sollevato dalla superficie, piuttosto che con il capo fortemente flesso in avanti. Di fatto, l’angolo di flessione può variare anche ampiamente tra un paziente
e l’altro. È buona regola rimanga invece il più possibile costante
per lo stesso paziente, nelle diverse ripetizioni che si succedono.
In caso di impossibilità a mantenere questa posizione, o qualora
si intendano eseguire numerose misure successive (es: intensity
series) il capo può essere lateroruotato prima da un lato e poi
dall’altro, per l’esplorazione dei due risistemi. Il tracciato, spesso
già ben visibile con capo ruotato a riposo, può essere incrementato con rotazione forzata contro resistenza o con manovra di
Jendrassik. In ogni caso, e quale che sia la manovra di preattivazione, il tono muscolare viene verificato sull’ongoing, per sincerarsi di un tono minimo indispensabile alla registrazione di un
evento inibitorio. Nella esecuzione di routine si procede con una
stimolazione binaurale simultanea con capo flesso in avanti senza
rotazioni, test e retest, smoothing e sovrapposizione dei due tracciati. Ogni registrazione richiede circa 1 minuto, avendo accor-
tezza, prima di invitare il paziente ad alzare il capo, di stabilizzare la posizione e iniziare la registrazione solo a stabilizzazione
avvenuta. Durante le fasi di lettura, smoothing, superimposizione
e modifiche del settaggio, il paziente viene convenientemente
fatto riposare prima del trial successivo. Al termine dell’esame,
i tracciati vengono sia stampati su carta che processati al Data
Base specifico ASA. Dall’ingresso all’uscita del paziente passano
30’ in caso di sola esecuzione della binaurale simultanea. Qualora il paziente non sia in grado di mantenere questa posizione,
si eseguono le due rotazioni laterali, test e retest per ogni lato.
In caso di mancata evocazione dei VEMPs per via aerea (air
VEMPs), si procede ad una ulteriore stimolazione con vibratore
osseo (bone VEMPs). In questo caso l’assetto è il medesimo di
cui sopra, con la sola differenza d’impiego del vibratore al massimo della sua uscita. Se anche dopo questa ultima fase non si
repertano onde riconoscibili, e solo in questo caso, si può definire l’assenza dei VEMPs. In caso di sospetta idrope endolinfatica, la registrazione viene ripetuta dopo somministrazione di
furosemide o glicerolo per os e le variazioni del pattern VEMPs
seguite ogni 2 ore per 6 ore. Ci è apparso ragionevole, dopo accurata analisi dei nostri tracciati, e per consentire di confrontare
anche rilievi provenienti da altri Centri, utilizzare il criterio di
numerare in ordine progressivo con un numero arabo i successivi elementi: p1, p2, p3 , n1, n2, n3, etc., in maniera analoga a
quello che si usa per gli ABR , piuttosto che designarli in relazione ai ms di latenza (es.: p13 ed n23). Arbitrariamente, un piccolo e incostante grafoelemento negativo precoce è stato denominato n0, proprio per stressare la sua estrema incostanza. Sulla
base di questa scelta arbitraria, nel nostro tracciato ipsilaterale
tipo (sostanzialmente identico nel normale ad un tracciato ottenuto con stimolazione binaurale) siamo in grado quindi di riconoscere e designare:
a. una incostante n0
b. una costante p1
c. una costante n1, o per meglio dire un complesso n1
d. una frequente p2
e. una frequente n2
f. una sporadica ed eterogenea popolazione di n maggiore di 2
g. una sporadica ed eterogenea popolazione di p maggiore di 2
Sempre a scopo eminentemente descrittivo, potremo accorpare
morfologicamente più onde di opposta polarità in cosiddetti
complessi multionda (ricordiamo che a rigore anche la n1 può
essere interpretata come un complesso multionda, ma in questo caso di identica polarità):
a. complesso bifasico precoce, CBP (p1+n1), espressione di una
attivazione del riflesso vestibolo-collico, e pertanto indicatore essenziale nella diagnostica VEMPs
b. complesso bifasico intermedio, CBI (p2+n2), correlabile ad
un’attivazione della via uditiva, e pertanto extra vestibolare
c. complesso multifasico tardivo, CMT (p3+n3,etc), di incerto
significato e di nessuna importanza clinica.
I VEMPs da stimolazione simultanea, attualmente gli unici da
noi utilizzati, sono con ottima approssimazione concepibili come
14
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
una rappresentazione dei due singoli tracciati ipsilaterali compattati nella stessa schermata, con in alto per convenzione la
risposta dell’emisistema destro e in basso quella della via vestibolo-collica sinistra. Questa approssimazione è resa molto vicina
al vero dalla incostanza o comunque dal basso voltaggio delle
piccole risposte controlaterali, che vanno come a “diluirsi” nell’ampio contingente ipsi, che comunque prevale o meglio si assolutizza nel prodotto finale. Abbiamo eseguito preliminarmente
una valutazione su 100 casi consecutivi di tracciati con derivazione monoaurale destra, sinistra e binaurale. Abbiamo verificato la corrispondenza tra CDPM dx e sn e corrispettivo grafoelemento nel tracciato binaurale, che abbiamo chiamato CDPB
dx e sn. Abbiamo avuto una completa corrispondenza in 99 dei
100 casi esaminati. In un solo caso un CDPB dx era presente in
assenza del corrispettivo CDPM. In sintesi, la significatività del
tracciato binaurale è semiologicante sovrapponibile a quella dei
due tracciati monoaurali, e pertanto riteniamo possa per semplicità sostituirne in maniera sintetica e per dovere di praticità
l’impiego, senza con questo svilire l’esame in potere diagnostico. Ricordiamo infine come abbiamo già descritto una fisiologica asimmetria in ampiezza delle risposte destra e sinistra
nel tracciato da stimolazione binaurale. In termini generali, la
situazione più ricorrente è quella di una prevalenza delle risposte del lato sinistro (43% delle osservazioni). In poco meno del
30%, i due lati risultano all’incirca equivalenti. Pertanto in meno
di un quinto dei casi il lato destro appare prevalente.
Attuali criteri di normalità di un tracciato: dei numerosi parametri considerabili (presenza o assenza del CBP, morfologia,
ampiezza e latenza), nella nostra esperienza attuale noi ci siamo
fino ad ora basati sul criterio molto restrittivo di:
1. presenza/assenza del CBP ipsilaterale, senza ulteriori valutazioni quantitative, in caso di indicazioni otologiche all’esame;
2. in caso di sospetta patologia neurologica (es.: sospetta SM),
il parametro di scelta, poiché più sensibile, è dato dall’aumento di latenza del CBP.
In estrema sintesi la Tab. 1 esprime il nostro algoritmo interpretativo otologico attualmente adottato, rudimentale ma di
grande utilità pratica sul campo:
Tabella 1 - Algoritmo interpretativo di normalità/anormalità
dei VEMPs
1. CBP ipsi presente: integrità del riflesso vestibolo-collico ipsilaterale
2. CBP ipsi assente: alterazione significativa del riflesso vestibolo-collico ipsilaterale
3. CBC ipsi discutibile: non valutabile con certezza l’integrità del riflesso
vestibolo-collico ipsilaterale
Significato semiologico dell’assenza dei VEMPs
L’assenza del CBP ipsilaterale viene interpretata come un’alterazione significativa del riflesso vestibolo-collico ipsilaterale, a
qualunque livello nel suo decorso. Non esistono patterns disfun-
zionali selettivi dei VEMPs che attualmente consentano una
topodiagnosi più fine, separando lesioni recettoriali da afferrenti neurali, da centrali ad efferente neurali o muscolari. I casi
sotto riportati sono un’esemplificazione sintetica di quanto
appena asserito.
ALTERAZIONE TRASMISSIVA - Esiste una elevata probabilità di
assenza del tracciato in caso di air-bone gap anche modesto. Pertanto l’assenza di air VEMPs ci impone di testare il
sistema per via ossea con vibratore o con tapping, per escludere un falso positivo di tipo “trasmissivo”. A questo scopo,
rammentiamo come ogni VEMP debba essere di necessità
preceduto e corredato da una precisa anamnesi audiologica
(es.: familiarità di otosclerosi?) e da una minimale valutazione strumentale (es.: esame audiometrico tonale liminare
associato a impedenzometria con reflessometria stapediale
acustica) allo scopo di screenare eventuali alterazioni dell’orecchio medio, in caso di interferire con la dinamica stapediale e la successiva stimolazione sacculare.
LESIONE RECETTORIALE - L’esempio classico il caso di Ménière
monolaterale intercritica con buona soglia tonale e reflettività calorica ben conservata. In questo caso, l’alterazione
dei VEMPs può costituire l’unico indizio di alterazione del
sistema vestibolare dal lato affetto nell’intervallo tra le crisi.
Dato ancora più rilevante, la possibilità di riosservare un
pattern VEMPs ben leggibile dopo carico idrodepletivo.
LESIONE NEURALE AFFERENTE - In caso di neurinoma dell’VIII
intracanalicolare, con BVC ancora nei limiti, il tracciato
VEMPs può essere piatto, e costituire un buon indizio di probabile origine della neoplasia dal nervo vestibolare inferiore,
con le conseguenti implicazioni chirurgiche e prognostiche.
LESIONE DELLE CONNESSIONI CENTRALI - Evenienza non
comune, o forse non ancora largamente studiata, appare
ben rappresentato dalla S, in cui l’alterazione dei VEMPs
contribuisce ad infittire le maglie della rete diagnostica con
la quale catturare alterazioni funzionali subcliniche.
LESIONE NEURALE EFFERENTE - Occorre considerare tra le possibili cause di assenza dei VEMPS anche le possibili alterazioni a carico del nervo spinale.
LESIONE MUSCOLARE- Interessante la nozione di una possibile
alterazione del tracciato imputabile ad alterazione dell’ultimo anello della catena vestibolo-collica, cioè dello SCM.
ALGORITMO OPERATIVO - Tutti i pazienti sufficientemente cooperanti sono sottoposti in prima istanza a stimolo aereo
binaurale con capo anteroflesso su lettino orizzontale. Qualora si percepisca un certo grado di sforzo del paziente si
può rialzare lo schienale di 30°. In caso invece di pazienti
defedati, anziani o comunque incapaci di mantenere per
almeno 1’ la posizione richiesta, si esegue il test separato,
destro e sinistro, con laterorotazione del capo senza contrazione muscolare (rotazione “passiva”). In tutti i casi si
deve procedere alla sequenza test/retest per validare il riconoscimento dei grafoelementi costanti e sovrapponibili, gli
unici con dignità di onda. In caso di mancata produzione di
un CBP, occorre procedere alla check list in Tab. 2.
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Claudio Vicini - VEMPs
Tabella 2 - Assenza di P1-N1: check list delle verifiche da fare
1. Corretta uscita dalla cuffie (verifica l’intensità sonora)
2. Adeguato pretensionamento dello SCM (cambia posizione, palpa il
ventre muscolare, ripeti dopo riposo)
3. Verifica l’audiogramma per air-bone gap, cerca effetto on-off su
RSA, anamnesi di OTS o altra otopatia con possibile blocco stapedio-ovalare
4. Se disponibile registra un bone VEMP
5. In alternativa registra un tap VEMP
6. Se hai fatto tutto da 1 a 6 e rimane assente P1-N1 il VEMP è da considerarsi assente ed il RVC non evocabile
7. Se sussiste il sospetto clinico di una idrope si eseguirà un test depletivo con furosemide o glicerolo.
In caso di posizione anteroflessa, si passa a quella laterale;
in caso di posizione laterale, dopo avere tentato con una
rotazione attiva contro resistenza e con Jendrassik, si passa
a posizione anteroflessa. Qualora, alla fine di queste verifiche, il CBP sia ancora assente, occorre di necessità procedere ad una stimolazione per via ossea, con vibratore (bone
VEMPs) o con martelletto per riflessi (tap VEMPs). Qualora
anche la stimolazione di questo tipo non esiti in un VEMP,
e solo allora, si potrà parlare a rigore di riflesso vestibolocollico non evocabile. In caso di sospetta idrope, si praticheranno i tests depletivi.
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Palermo, 30 marzo 2001.
16
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
La diagnosi differenziale della Malattia di Ménière
GIOVANNI CARLO MODUGNO, Cristina Brandolini, Giorgio Magnani
DSSA (Sezione di Otorinolaringoiatria) - Università di Bologna - Policlinico S.Orsola-Malpighi
e-mail: [email protected] - http//:open.cineca.it/entunibo
Parole chiave: Malattia di Méniére, fistola perilinfatica, potenziali evocati vestibolari miogenici
Pur rappresentando l’archetipo delle malattie a carattere ricorrente dell’orecchio interno, la diagnosi di Malattia di Ménière
(MdM) può, in talune circostanze, rappresentare un problema
di difficile soluzione. Espressione di tale difficoltà sono i diversi schemi classificativi proposti, alcuni dei quali, a torto o a
ragione, possono considerarsi ormai unanimemente condivisi
(1). Il relativo grado di incertezza nella diagnosi si riflette d’altronde nella diagnosi differenziale, che contempla praticamente tutti i quadri patologici in grado di determinare sintomi
ricorrenti della sfera audio-vestibologica, soprattutto di fronte
all’esigenza di una diagnosi differenziale con i quadri (o varianti) di MdM a prevalente espressione monosintomatica. Se, d’altronde, si preferisce seguire un algoritmo diagnostico basato su
criteri di esclusione, piuttosto che fare riferimento a rigidi (e
anche fin troppo semplicistici) schemi classificativi basati sui
criteri di inclusione, è evidente come l’esigenza stessa di una
diagnosi differenziale perda il suo principale significato,
venendo quest’ultima a coincidere con il vero e proprio processo diagnostico. Fortunatamente, il sempre più diffuso impiego
delle tecniche radiologiche ed elettrofisiologiche e il perfezionamento di nuove tecniche di studio dell’apparato audio-vestibolare ha enormemente facilitato il compito del clinico, che è
oggi in grado di giungere alla diagnosi della MdM con un margine di errore sempre più esiguo. Considerata d’altronde la
sempre più ampia diffusione di tecniche terapeutiche di tipo
“ablativo”, alcune delle quali non scevre da rischi iatrogeni su
strutture extra-otologiche, è evidente come sia assolutamente
necessario tendere ad una diagnosi di certezza di MdM, pur
considerando i limiti di tale termine, soprattutto a fronte di
una patologia ad eziopatogenesi incerta. Nell’orientamento
diagnostico della MdM è opportuno considerare fondamentalmente la presenza di quattro elementi:
1. L’analisi della ricorrenza dei sintomi della sfera cocleovestibolare deve aver previsto un periodo di osservazione
sufficientemente lungo.
2. L’iter diagnostico deve aver contemplato almeno una indagine di RM (effettuata con m.d.c. paramagnetico o con
tecnica Fast Spin-Echo). Inoltre, anche se la RM è considerata l’esame strumentale di riferimento (“Gold Standard”),
per l’analisi di sensibilità di tutte le indagini otoneurologiche, deve sempre essere tenuta in considerazione la possibilità che tale indagine possa non essere in grado di giungere ad una diagnosi di natura (falso-negativo) per un limite intrinseco di risoluzione spaziale. Sulla base di tale considerazione, appare infatti giustificato ripetere l’indagine di
RM soprattutto se, durante l’evoluzione naturale del pro-
cesso patologico, il corteo dei sintomi si arricchisce con
elementi nuovi non necessariamente classici o se gli elementi di dubbio diagnostico erano già presenti all’esordio
della sintomatologia cocleo-vestibolare.
3. L’iter diagnostico deve aver previsto l’effettuazione dei test
laboratoristici per escludere patologie ad eziologia nota o
condizioni metaboliche in grado di giustificare sintomi
della sfera cocleo-vestibolare a carattere ricorrente.
4. L’elevata incidenza della labirintolitiasi, che peraltro condivide con la MdM il triste primato dell’eziologia ancora sconosciuta, potrebbe condizionare, seppure in minima parte,
un errore diagnostico soprattutto se l’analisi della ricorrenza
dei fenomeni vertiginosi si basa soprattutto sull’interrogatorio anamnestico e non sull’acquisizione diretta degli elementi semeiologici vestibolari che, come è noto, assumono un
valore diagnostico a volte anche superiore al dato strumentale. In altri termini, l’associazione casuale tra la presenza di
un deficit cocleare monolaterale o bilaterale asimmetrico di
cui non è possibile chiarire con certezza il carattere fluttuante e una labirintolitiasi a carattere ricorrente potrebbe
far sorgere il sospetto di una MdM ad espressione asincrona.
Il corretto inquadramento semeiologico di un episodio di
labirintolitiasi, in un paziente con un quadro clinico-anamnestico conclamato e precedentemente già definito di MdM,
non deve d’altronde necessariamente comportare la rivalutazione diagnostica del caso, in considerazione della possibile
associazione tra i due quadri patologici (2).
Pur considerando gli elementi sopraelencati è comunque possibile, seppure in una piccola percentuale di casi, incorrere in
un errore diagnostico. Se, d’altronde, l’applicazione sistematica di un algoritmo diagnostico operante con regole di esclusione basato fondamentalmente sull’utilizzo delle indagini
audiologiche di base (esame audiometrico tonale e studio
della funzionalità vestibolare), della RM cerebrale e dei test di
laboratorio immuno-ematologici (oltre che ovviamente sul
dato clinico-anamnestico e semeiologico) non è in grado di
fornire una diagnosi “sicura”, sarebbe utile conoscere quali
sono i quadri patologici più frequentemente misinterpretati.
Purtroppo, l’estrema variabilità e il lungo decorso della MdM,
come dei molti quadri patologici “affini”, non ha facilitato
questo tipo di analisi e pertanto i dati della letteratura sono
scarsi, essendo peraltro soprattutto circoscritti al periodo storico successivo all’avvento della RM. Nella Tab. 1 sono riportati i quadri patologici che più frequentemente possono
“simulare” i sintomi della MdM, facendo ovviamente riferi-
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Giovanni Carlo Modugno - DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Tabella 1 - Diagnosi differenziale della MM
QUADRO PATOLOGICO
ANAMN
RM
LAB
ALTRE INDAGINI
SEM
Fistola Perilinfatica
Conflitto Neurovascolare
Insufficienza Vascolare
Neurinoma dell’VII n.c.
Malattia Demielinizzante SNC
Arnold Chiari
Pat. Metabolismo (distir., diab., ecc.)
Sifilide
M. Cogan ed altre pat. autoimm.
Labirintolitiasi
++–
++++––
––
++–
+–
+–
––
+++
––
+–
+–
++–
++–
+++
––
––
––
––
––
––
+–
––
+–
––
+++
+++
+++
+–
Espl. Chir./VEMPs
ABR/Espl. Chir.
Doppler/PET/Holter pressorio
ABR / EON
Liquor / EON/ABR/VEMPs
+–
+–
+–
––
+–
++–
––
––
––
+++
mento anche ai quadri mono- o paucisintomatici. In tale schema classificativo si è anche inteso indicare, con una valutazione semiquantitativa (–––/+++), come l’apporto delle diverse fasi diagnostiche (anamnesi, semiologia clinica e strumentale, laboratorio, indagini strumentali audiologiche e neuroradiologiche, ecc.) possa incidere sulla diagnosi definitiva. Dalla
tabella si evince come siano soprattutto tre le condizioni
patologiche (fistola perilinfatica, conflitto neurovascolare,
vertigine su base vascolare), il cui orientamento diagnostico si
basa essenzialmente, se non esclusivamente, su elementi di
tipo anamnestico-clinico piuttosto che sui dati semeiologici,
laboratoristici e strumentali. Mentre per le prime due condizioni patologiche si può giungere alla conferma diagnostica
attraverso una procedura chirurgica intesa ad esplorare il cavo
timpanico o l’angolo ponto-cerebellare, nel caso di una insufficienza vascolare del circolo cocleo-vestibolare è estremamente difficile confermare l’ipotesi diagnostica (anche se validamente sostenuta dalla positività dei dati ananmestici, laboratoristici e strumentali extra-vestibolari), tranne nei casi (per
i quali peraltro il problema della diagnosi differenziale non si
pone) in cui l’evento cocleo-vestibolare si associa ad un corteo più o meno variegato di sintomi neurologici evocativi di
lesione cerebrale di tipo vascolare (si pensi, ad esempio, alle
sindromi neurologiche alterne) confermabile con uno studio
radiologico. È comunque rara la possibilità che sintomi isolati
della sfera cocleo-vestibolare a carattere ricorrente possano
dipendere da una insufficienza vascolare (3). Se la patogenesi
è imputabile ad un’alterazione emodinamica transitoria del
circolo vertebro-basilare o carotideo indotta dai movimenti di
roto-estensione del capo (4), si potrebbe prospettare l’utilizzo
di una angiografia dinamica per dimostrare la sede della lesione, mentre se la patogenesi è imputabile ad altri fattori come
l’iperviscosità ematica (5) o l’ipotensione sistemica (6), solo il
miglioramento delle condizioni cliniche dopo opportuna correzione della condizione di base, in funzione di un lungo
periodo di osservazione, potrà rappresentare un valido elemento (comunque non assoluto) in grado di confermare l’ipotesi diagnostica.
EOO
––
Per quanto concerne la fistola perilinfatica, è utile sottolineare come spesso il dato anamnestico dell’evento traumatico o baro-traumatico che ha verosimilmente rappresentato
l’evento causale o concausale del quadro morboso può non
emergere: in assenza di un test diagnostico ad alta sensibilità
e specificità, è stata infatti proposta l’esplorazione chirurgica
sistematica in tutti i casi sospetti compresa la MdM (7). Il
recente avvento dei potenziali evocati vestibolari miogeni
(VEMPs) ha consentito, d’altronde, di sperimentare nuovi algoritmi diagnostici strumentali per le patologie dell’orecchio
interno. Il risultato di questa nuova e stimolante fase di studio ha, infatti, permesso non solo di migliorare la sensibilità e
specificità diagnostica dei test diagnostici osmotici per la
MdM (8), ma anche di valutare il ruolo diagnostico dei VEMPs
nella diagnosi della fistola perilinfatica (9).
Seguendo questa linea di ricerca, stiamo valutando da più di
un anno un algoritmo diagnostico per le malattie dell’orecchio
Trattamento
terapeutico
“invasivo”
Criteri diagnostici
AAO-HNS 1995
RM God/(Angio RM)
ABR
ENG
VEMPs
Osservazione
Riduzione soglia
di detenzione del
complesso primario
Patologia da deiscenza
della capsula labirintica
HRTC
Orecchio
Timponotomia
Esplorativa
Figura 1. Algoritmo diagnostico utilizzato in tutti i casi di sospetta malattia di
Ménière. L’indicazione ad un trattamento “invasivo” (slabirintazione chimica o
chirurgica, decompressione del sacco endolinfatico, ecc.) impone una diagnosi
“tendente” alla certezza. L’esclusione di una patologia “centrale” si fonda sullo
studio RM, mentre l’esclusione di una patologia “periferica” si fonda sullo studio
dei VEMPs e sullo studio TC dell’orecchio ad alta risoluzione.
18
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Figura 2. Paziente con sindrome menieriforme, affetto da fistola perilinfatica post-traumatica documentata chirurgicamente. L’esame audiometrico documenta un deficit neurosensoriale (fluttuante) di tipo ascendente. Lo studio dei VEMPs in fase acuta documenta (Logon di 500Hz in stimolo monoaurale) una riduzione della soglia di
detezione del complesso primario (evidenziabile fino a 110 dB SPL) rispetto al soggetto normale (è raro il riscontro di una soglia di detezione pari a 120 dB SPL). Il pattern
elettrofisiologico si modifica dopo 10 gg. dal trattamento chirurgico.
interno basato sul sistematico impiego dei VEMPs, che prevede l’analisi della soglia di detezione del complesso primario
N1-P1 e il confronto di ampiezza dello stesso tra i due lati al
massimo livello di stimolazione acustica ottenibile (Logon di
500 Hz a 132 dB SPL). Questo tipo di protocollo (Fig. 1) ci ha
consentito di diagnosticare 3 casi di fistola perilinfatica (confermata in 2 casi sulla base del riscontro intraoperatorio) nei
quali il complesso primario era risultato abnormemente asimmetrico (in ampiezza) tra i due lati e con una soglia di detezione ridotta nel lato patologico, nel solo caso che era stato
possibile osservare in fase di riacutizzazione dei sintomi. A
tale proposito, è utile considerare che in tutti i casi il trattamento terapeutico (di tipo conservativo in 1 caso) ha permesso di modificare il pattern elettrofisiologico emerso in fase
diagnostica. (Fig. 2)
In conclusione, la diagnosi differenziale della MdM, oltre a
basarsi sull’impiego sistematico delle tecniche più avanzate di
imaging neuro-radiologico e su una particolareggiata analisi
semeiologica e laboratoristica, può oggi avvalersi anche delle
nuove metodologie di studio dell’apparato vestibolare
(VEMPs).
Bibliografia
1. Commitee on hearing and equilibrium. Guidelines for the diagnosis and evaluation on therapy in Ménière’s disease. Otolaryngol
Head Neck Surg 1995;113:181-5.
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SIOeChCF, 2003.
19
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
FORMA TIPICA E SINDROMI MENIERIFORMI
Malattia di Ménière: forma tipica e sindromi menieriformi
ALDO CAMPANINI, Claudio Vicini
U.O. ORL e Chirurgia Cervico-Facciale – Ospedale Morgagni-Pierantoni - Forlì
Parole chiave: Ménière Disease, atypical Ménière Disease, drop attacks, Tumarkin falls, delayed endolimphatic hydrops
Nella Malattia di Ménière (MdM) nessun segno semeiologico
clinico e strumentale è di per sé patognomonico: pertanto la
diagnosi è anamnestica. In altre parole, la diagnosi di MdM è
possibile solo se la storia clinica del paziente è congruente: esiste cioè una “forma tipica” che consente di fare diagnosi di MdM.
Richiamando un noto lavoro pirandelliano, potremmo invece
parafrasare che, mentre la MdM è “una”, le sindromi menieriformi (SM) sono “nessuna o centomila”, in quanto nel tempo
il termine di SM è stato abusato, includendovi ogni sorta di
manifestazione clinica che presenti alcuni suoi sintomi o ne
condivida alcuni aspetti temporali. È importante riconoscere la
forma tipica quanto saper mettere ordine nell’oscuro capitolo
delle sindromi menieriformi.
La forma tipica
Quando presente nella totalità dei suoi sintomi, il quadro anamnestico è così tipico, da condurre ad una facile diagnosi, basata
su tre sintomi (la classica triade: acufeni, ipoacusia e vertigini)
e sul loro andamento temporale.
1. Gli acufeni sono spesso il primo sintomo a comparire e quasi
sempre accompagnati da senso di pienezza auricolare.
2. La vertigine, ad insorgenza brusca, è intensa e accompagnata
da marcati sintomi neurovegetativi (nausea, vomito, ipotensione, pallore, sudorazione, etc.).
3. L’ipoacusia è preceduta oppure associata a senso di “orecchio pieno”, è fluttuante e, nelle fasi iniziali, di tipo misto
(idrope + sofferenza cocleare) con possibile restitutio ad integrum, mentre successivamente la cocleopatia è irreversibile
(ipoacusia neurosensoriale con recruitment, abbassamento
di soglia del dolore e distorsione nella percezione del messaggio verbale), con sovrapposte fluttuazioni e inevitabile
andamento evolutivo.
Molteplici sono poi gli aspetti temporali:
• tipica è l’evoluzione da acufeni a vertigini a ipoacusia evolutiva;
• nella fase iniziale la sintomatologia è episodica, ossia con
periodi intercritici asintomatici o paucisintomatici;
• le crisi vertiginose violente hanno generalmente durata variabile da ore a giorni (più frequentemente intorno alle 3 ore),
ma non infrequentemente possono manifestarsi anche “perturbazioni vestibolari minori” con instabilità accentuata dai
movimenti del capo per ore (o giorni), magari non enfatizzate dal paziente, che al colloquio anamnestico è giustamente più portato a riferire lo stato di prostrazione e angoscia in cui cade durante le improvvise crisi maggiori;
• oltre alla brusca insorgenza, le crisi vertiginose maggiori presentano una risoluzione altrettanto rapida, con frequente
ritorno ad uno stato di benessere non comune nelle altre labirintopatie acute;
• le crisi vertiginose maggiori (vestibolopatia acuta) si accompagnano a segni di cocleopatia acuta (acufeni e senso di pienezza auricolare), realizzando la triade sintomatologia che
identifica la cocleo-vestibolopatia acuta;
• la frequenza delle crisi vertiginose è assolutamente imprevedibile, passando da serie di crisi ravvicinate a lunghi periodi
di completo benessere;
• gli acufeni sono inizialmente episodici e di tonalità preferibilmente grave (rumore di pentola che bolle, rumore di scroscio d’acqua, etc.), mentre con l’evolvere della malattia divengono fastidiosamente costanti, più acuti (fischi, sibili, etc.);
• l’aggravamento progressivo della ipoacusia avviene inesorabilmente in sintonia con il ripetersi delle crisi vertiginose,
anche se il parziale recupero uditivo successivo agli accessi
conferisce al danno uditivo un caratteristico comportamento
fluttuante;
• nella fase più avanzata, il paziente lamenta un acufene ormai
continuo e un’ipoacusia costante su cui possono inscriversi
ulteriori fluttuazioni, mentre le crisi vertiginose divengono
tanto meno intense quanto maggiore è la vestibolopatia permanente.
Un altro evento classicamente descritto nella MdM è rappresentato dalle crisi di caduta (“drop attacks”), caratterizzate da
improvvise perdite di equilibrio di breve durata, con o senza
caduta, sempre senza perdita di coscienza. Sono note anche
come fenomeno di Tumarkin e imputate a “crisi otolitiche”. L’insorgenza improvvisa e la frequenza inducono angoscia e insicurezza, fino a condizionare la vita quotidiana. Secondo un
recente studio, su 243 pazienti consecutivi con MdM (1), le crisi
di caduta sono molto frequenti (73%) e nettamente più comuni
nella fase più avanzata della MdM. Peraltro il fenomeno di
Tumarkin non è presente solo nella MdM, come evidenziato da
un recente studio retrospettivo (2) su 6 pazienti consecutivi con
drop attacks, crisi vertiginose ricorrenti ma normale funzione
uditiva per almeno 1 anno dopo insorgenza dei sintomi vestibolari, selezionati da un gruppo di 55 pazienti consecutivi con
drop attacks. Tutti (6/6) presentavano un deficit vestibolare calorico (5 mono e 1 bilaterale) e 5/6 avevano una storia personale
o familiare di emicrania: gli Autori concludevano affermando
la possibilità di fenomeno di Tumarkin in pazienti non classificabili come MdM ed evidenziando l’elevata incidenza di emicrania in questo sottogruppo con udito normale.
20
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Le sindromi menieriformi
Nella diatriba fra MdM e SM, non sarà difficile per un cultore
di patologia vestibolare cogliere una netta somiglianza con la
distinzione fra nistagmo parossistico posizionale (NyPP) tipico
e atipico: da sempre lo sforzo è stato quello di riconoscere un
NyPP patognomonico a topodiagnosi canalare (tipico) dai NyPP
non patognomonici e a topodiagnosi incerta (atipici), ponendo
il NyPP tipico in una teca preziosa di affidabilità e confinando
i NyPP atipici in un nero, oscuro contenitore di incertezze diagnostiche.
Da sempre la conoscenza riduce le incertezze, così la progressione delle conoscenze vestibolari ha consentito di riconoscere
molti NyPP ieri oscuri come patognomonici di nuove forme tipiche canalari: la conoscenza avanza e con essa aumenta ciò che
è conosciuto (tipico) e si riduce ciò che non appare sistematizzabile (atipico).
La MdM ha da sempre rappresentato il modello più classico di
cocleo-vestibolopatia, a cui ci si è istintivamente rapportati per
definire le differenze: da questo confronto col modello MdM
sono nate le SM, un nero, oscuro contenitore di “MdM atipiche”
in cui è stato messo di tutto, purché condividesse un qualche
aspetto di cocleo- e/o vestibolopatia.
In questo inizio di nuovo millennio, pensiamo che sia doveroso
non parlare più di “sindromi menieriformi”, etichetta confusa
dove nel tempo hanno trovato rifugio ogni sorta di incertezza
e incapacità diagnostica.
Siccome esiste una forma tipica (MdM), vogliamo riconoscere
solo varianti cliniche accomunate da una patogenesi condivisa
(sospetta idrope endolinfatica) e da un andamento temporale
comune almeno per alcuni sintomi.
Si riconoscono così tre sole entità cliniche che si affiancano alla
MdM idiopatica:
1. Menière cocleare, caratterizzata da ipoacusia neurosensoriale monolaterale fluttuante, ad andamento progressivo e
con acufeni;
2. Menière vestibolare, con ricorrenti crisi vertiginose periferiche tipiche (oggettive, accessionali, violente, con intensi
fenomeni neurovegetativi), della durata generalmente di ore,
senza sintomi cocleari associati;
3. idrope endolinfatica ritardata (o “Delayed Endolymphatic
Hydrops”), dove le crisi vertiginose insorgono a distanza
anche di molti anni dalla cocleopatia.
A sottolinearne la stretta analogia patogenetica e la sola distinzione distrettuale (cocleare o vestibolare), spesso nel tempo la
Ménière cocleare o quella vestibolare si “arricchiscono” dei segni
di interessamento del distretto inizialmente risparmiato, sfociando così in un quadro di cocleo-vestibolopatia idropica o
MdM.
Nel caso poi dell’idrope endolinfatica ritardata, si tratta di una
cocleo-vestibolopatia distinta dalla MdM principalmente per
criteri di ordine temporale.
Gli stretti rapporti fra forma tipica (MdM) e forme atipiche emergono anche da un recente studio (3) che valuta la progressione
della Ménière atipica in MdM: confrontando i risultati della ElettroCocleografia (ECoG), del test al glicerolo e del test alla furosemide ottenuti su 118 pazienti con MdM e su 99 pazienti che
alla prima visita presentavano solo vertigini (Ménière vestibolare) o ipoacusia-acufeni (Ménière cocleare) ma che successivamente sono progrediti fino alla MdM, gli Autori hanno rilevato la presenza di almeno un indicatore uditivo positivo nel
97% dei casi di MdM (115/118) e del 92% dei casi con Ménière
atipica (92/99). La combinazione dei tre tests non solo si è dimostrata utile nella diagnosi di idrope endolinfatica, ma soprattutto ECoG e test al glicerolo si sono dimostrati indicatori predittivi di progressione in MdM in pazienti con Ménière atipica,
nelle ipoacusie improvvise e nelle altre malattie cocleo-vestibolari.
Bibliografia
Kentala E, Havia M, Pyykko I. Short lasting drop attacks in Ménière’s
disease. Otolaryngol Head Neck Surg 2001;124:526-30.
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21
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
FASE DI TUMARKIN E VARIANTE DI LERMOYEZ
Fase di Tumarkin e variante di Lermoyez
AUGUSTO PIETRO CASANI
Dipartimento di Neuroscienze Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa
Parole chiave: Tumarkin, Malattia di Menière, Lermoyez
La crisi otolitica di Tumarkin o Drop Attack Vestibolare (DAV) si
manifesta nel corso della malattia di Ménière (MdM) e si caratterizza per una improvvisa perdita del tono posturale degli arti
inferiori, da cui deriva una caduta a terra del soggetto, senza che
ciò si accompagni ad una perdita di coscienza e in assenza di sintomi di tipo neurologico come diplopia, parestesie, paralisi o disartria. La migliore descrizione di questo fenomeno è stata fornita
dallo stesso Tumarkin: “Un giorno il paziente si trovava alla scrivania e stava parlando con un cliente, quando cadde improvvisamente a terra. Non aveva vertigini, non aveva perso coscienza
e non accusava alcun malessere. Il fatto sopraggiunse come un
fulmine a ciel sereno, ma egli fu subito in grado di assicurare ai
presenti che si sentiva bene e quasi immediatamente si rialzò,
riprendendo il discorso” (1). L’episodio critico ha una durata variabile da alcuni secondi a non più di un minuto e generalmente si
realizza in pazienti affetti da MdM inveterata; solo raramente
può rappresentarne il sintomo di esordio (2). Gli acufeni, l’ipoacusia, la sensazione di ovattamento auricolare rappresentano,
invece, sintomi che possono essere anche presenti durante l’attacco, ma assumono generalmente scarsa rilevanza in quanto
sovrastati dall’imponenza della crisi posturale (3). La crisi otolitica di Tumarkin consegue ad un’alterazione della funzione otolitica, la cui più nota e comune manifestazione è rappresentata
dalla vertigine otolitica post-traumatica, verosimilmente legata
ad una perdita parziale di materiale calcareo maculare. In questo caso la asimmetrica azione di peso sul letto recettoriale comporta una alterazione della simmetricità dell’input utricolo-sacculare (4). In quest’ultimo caso, tuttavia, la sintomatologia riferita dal paziente assume caratteri completamente diversi, in quanto
caratterizzata da una sensazione vertiginosa non rotatoria (oscillazione o tilt) scatenata più spesso da accelerazioni lineari della
testa, nonché da instabilità sia alla stazione eretta che nella deambulazione (sensazione di camminare su una superficie soffice).
Una sintomatologia simile è spesso costantemente presente,
soprattutto nelle fasi terminali della MdM (2), quando il paziente
non riesce più a interpretare correttamente le informazioni di origine vestibolare nel meccanismo di mantenimento dell’equilibrio,
divenendo così strettamente dipendente dalle informazioni visive
e propriocettive. L’origine di questo disturbo potrebbe essere legato
alla presenza di un danno maculare indotto dai ripetuti episodi
idropici. In questo ambito, lo studio dei VEMPs potrebbe essere
di estrema utilità allo scopo di valutare la funzionalità delle strutture sacculari, come abbiamo dimostrato in una nostra recente
esperienza (5). All’opposto, la crisi otolitica di Tumarkin insorge
senza sintomi prodromici o fattori scatenanti, tanto che il paziente
descrive l’episodio come se avesse avvertito una violenta forza
esterna che lo ha gettato a terra (3,4,6). In alcuni casi, egli riferisce anche la sensazione che l’ambiente circostante si muova o
si inclini in modo del tutto improvviso, simultaneamente alla
caduta (3,4,6). La caduta a terra nel corso del DAV avviene senza
che vi sia la possibilità di mettere in atto appropriate reazioni
posturali riflesse, tanto che sono comuni importanti conseguenze
traumatiche. Talvolta la crisi può essere accompagnata da pallore, diaforesi, nausea e vomito e ogni pur modesto movimento
della testa può accentuare la sintomatologia. L’elemento distintivo rispetto a patologie di tipo neurologico è rappresentato dalla
totale preservazione del sensorio: durante l’intero attacco, il
paziente rimane totalmente orientato, senza che si manifestino
segni di sofferenza del SNC, tanto che egli è in grado di alzarsi
immediatamente dopo la fine dell’episodio critico. Questi caratteri permettono agevolmente la diagnosi differenziale rispetto
agli episodi sincopali o epilettici (7).
Da un punto di vista patogenetico, l’ipotesi più accreditata indica
che alla base dell’evento vi sia una deformazione meccanica dei
sistemi maculari utricolo-sacculari indotta da una improvvisa e
intensa variazione della pressione endolinfatica, da cui deriva una
rottura delle membrane e una conseguente commistione tra perilinfa ed endolinfa (3). Questa inappropriata stimolazione delle cellule sensoriali induce un’attivazione delle vie vestibolo-spinali da
cui deriverebbe una perdita improvvisa del tono posturale. In effetti,
le macule rispondono alle accelerazioni lineari e di conseguenza
al vettore gravitazionale, attraverso input sensoriali che permettono di mantenere un corretto orientamento della testa e del corpo
rispetto allo spazio. Naturalmente, è necessaria un’integrazione
neurale con le variazioni, indotte dai movimenti, degli input visivo
e propriocettivo. Pertanto, se l’input vestibolare viene improvvisamente alterato, i riflessi posturali compensatori che vengono conseguentemente attivati, possono indurre un erroneo allineamento
del corpo rispetto al vettore gravitazionale, per cui il paziente tende
a cadere come spinto a terra da una forza esterna (6).
L’incidenza dei DAV nel corso di MdM non è ben conosciuta. Sono,
in effetti, poco numerosi gli studi prospettici in cui viene messa
in chiara evidenza la presenza delle crisi otolitiche, tanto che si
passa da valori del 6-7% (3,6,8) al 72% (2). Laddove è stata riscontrata un’alta prevalenza di DAV, probabilmente sono stati presi
in considerazione anche episodi di entità molto più lieve, tali da
non causare una vera e propria inabilità e pertanto non direttamente inquadrabili nell’ambito dell’attacco classicamente descritto.
Dall’altro lato un possibile motivo di sottostima potrebbe risiedere nel fatto che la sintomatologia potrebbe essere attribuita ad
eventi di natura neurologica. Questa rilevante diversità potrebbe
essere anche spiegata dal fatto che i DAV sembrano più tipici delle
22
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
fasi avanzate della malattia; pertanto la reale incidenza dipende
dall’anzianità globale dei gruppi di pazienti menierici studiati.
Nella serie di Baloh, il primo DAV compariva da meno di 1 anno
fino a 29 anni dopo l’esordio della MM, mentre il numero degli
attacchi variava tra 2 e 18, ma solo in 2 casi su 12 pazienti si
erano registrati più di 6 attacchi (3). Di questi 12 soggetti, 5 avevano un’età superiore ai 65 anni (3). È necessario, tuttavia, fare
una distinzione tra i casi di MdM di vecchia data in cui compaiono
segni di riattivazione della malattia, rispetto ai casi insorti in età
avanzata: in quest’ultimo gruppo l’incidenza dei DAV appare nettamente superiore, giungendo fino al 25% (9). Sembra quindi che
più che la durata della MdM, sia importante l’età del paziente.
Forse la diminuita compliance delle strutture otolitiche, che ne
comporta una ridotta capacità di distensione idropica, porterebbe
più facilmente all’insorgenza del DAV. All’opposto, nel soggetto
più giovane, anche con MdM di lunga data, si potrebbe verificare
una maggiore possibilità di distensione delle strutture maculari
che, accanto ad una migliore funzionalità del controllo posturale,
ridurrebbe il rischio della comparsa di episodi di DAV.
Comunque, la ragione per cui i DAV sono più frequenti nell’anziano non è ben chiara. È noto, tuttavia, che in questa fascia d’età
la tendenza alla caduta è molto comune, a causa del fisiologico
declino delle capacità di controllo posturale. In effetti, in un gruppo
generico di pazienti affetti da MdM, è stata dimostrata una correlazione significativa tra la presenza di DAV e deficit, pur parziali, delle funzioni visive, deambulatorie e cognitive (2). Queste
funzioni sono indubbiamente suscettibili a presentare evidenti
alterazioni nell’anziano, per cui il menierico di età superiore ai 65
anni potrebbe andare più facilmente incontro alla caduta anche
per disfunzioni otolitiche di entità limitata.
Generalmente, i DAV hanno la tendenza a risolversi spontaneamente perlopiù entro 6 mesi dall’insorgenza e con una rarissima
tendenza a recidivare, tanto che viene consigliato di limitare il
trattamento a terapie conservative (3,9). All’opposto, in virtù del
carattere fortemente invalidante che queste manifestazioni cliniche possono indurre, altri Autori consigliano il trattamento chirurgico consistente nella neurectomia vestibolare (6). Recentemente è stato proposto anche l’utilizzo della gentamicina endotimpanica, anche se i suoi effetti sembrano essere controversi:
Odkvist e Bergenius (10) hanno riscontrato la scomparsa degli
attacchi in tutti i pazienti, mentre Kaasinen et al. (11) hanno riportato un effetto benefico solo nel 60% dei pazienti trattati.
Sebbene i DAV non siano stati riscontrati in altre patologie dell’orecchio interno, fatta eccezione per l’idrope endolinfatica,
recentemente sono stati osservati casi associati a vertigini ricorrenti senza compromissione uditiva. Questi pazienti presentavano tuttavia emicrania, la cui associazione con diverse patologie vestibolari appare, allo stato attuale delle conoscenze,
piuttosto evidente. Su questa base quindi è possibile ipotizzare
che nel corso di una vertigine ricorrente emicranica possono
comparire crisi di Tumarkin, come espressione di un danno del
sistema vestibolare periferico indotto dal vasospasmo delle piccole arterie dell’orecchio interno (12).
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che i DAV possono anche
originare da patologie neurologiche come l’insufficienza verte-
bro-basilare, condizione che generalmente compare in soggetti
di età superiore ai 65 anni. Questa osservazione appare di un
certo rilievo, dato che nei pazienti anziani affetti da MdM con
DAV possono non essere ben evidenti i sintomi otologici, così
come può accadere in soggetti affetti da idrope endolinfatica
ritardata, ponendo quindi problemi di diagnosi differenziale con
patologie infartuali del tronco (7,9).
La sindrome di Lermoyez rappresenta una condizione patologica
che si suppone essere strettamente correlata alla MdM, della
quale riproduce il quadro sintomatologico caratterizzato da ipoacusia fluttuante, con prevalente interessamento delle basse frequenze, acufeni e vertigini (13). La principale differenza tra le due
condizioni consiste nel fatto che in questo tipo di sindrome la
crisi vertiginosa è preceduta da un miglioramento uditivo e seguita
da un recupero uditivo rapido, tant’è che è stata definita anche
“la vertige qui fait entendre”. Lermoyez ipotizzò che alla base di
questa situazione vi fosse un processo ischemico a carico dell’orecchio interno, tanto che si è parlato di “malattia di Raynaud del
labirinto”. Probabilmente si tratta semplicemente di un modo atipico di presentazione della MdM che con il tempo tende a manifestarsi con le tipiche caratteristiche legate al danno idropico a
carico del labirinto membranoso (14). Con il tempo, indipendentemente dall’intensità e dalla frequenza delle crisi, si instaura un
quadro di ipoacusia neurosensoriale che si aggrava progressivamente in associazione alle manifestazioni vertiginose.
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23
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
FORME INVETERATE
La Malattia di Ménière: forme inveterate
VINCENZO MARCELLI
Unità di Audiologia, Dipartimento di Neuroscienze e di Scienze del Comportamento - Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Parole chiave: Malattia di Ménière, idrope endolinfatica, storia naturale
Introduzione
Nonostante ipotesi di tipo genetico (1,2), psicogeno (3,4), immunologico (5,6,7,8), la malattia di Ménière (MdM) è ancora oggi
definita una sindrome idiopatica; caratterizzata fisiopatologicamente dall’idrope endolinfatica (9,10,11,12,13), nella fase
“florida” la malattia si manifesta con episodi ricorrenti di vertigine oggettiva, ipoacusia neurosensoriale e acufeni a bassa tonalità, associati o meno a senso di pienezza auricolare (9,10) quale
conseguenza delle alterazioni macro e/o micromeccaniche delle
strutture recettoriali (14) e chimico-fisiche dei liquidi endolabirintici (15). Nonostante la terapia medica, si assiste nel tempo
ad un deterioramento progressivo delle funzioni uditiva e vestibolare (16); si tratta di un decorso “naturale” nel quale le alterazioni biomeccaniche e morfologiche delle strutture labirintiche e la fistolizzazione spontanea permanente tra spazi endolinfatici e perilinfatici determinano, entro 5-10 anni (17), un
nuovo quadro clinico caratterizzato prevalentemente da ipoacusia stabile e disequilibrio (18): la fase “inveterata” o “burned
out”. Una rara ma temibile evenienza in tale fase è la “catastrofe
otolitica” di Tumarkin (19). Infine, una fistolizzazione incompleta o solo temporanea e/o la bilateralizzazione della malattia (20,21,22) possono rompere la “tregua labirintica” e riportare il paziente nella fase florida.
Si riportano di seguito i dati relativi a 341 pazienti affetti da
MdM afferiti al nostro servizio di Audiologia dal 1984 al 1994;
di questi, 278 sono stati sottoposti soltanto a terapia medica e
219 pazienti sono tuttora seguiti dal nostro centro. Il followup va pertanto da un minimo di 10 ad un massimo di 20 anni.
Materiali e metodi
Sono stati inclusi nello studio solo i pazienti con minore ritardo
diagnostico; si tratta di 141 pazienti, le cui caratteristiche sono
riportate in Tab. 1.
Tabella 1 - Il campione: 141 pz (80 maschi)
Età media di insorgenza: 42 + 13 aa (19-66 aa)
Ritardo diagnostico: 8 + 5 mm
Sintomi d’esordio (accertati solo in 109 pz):
– Cocleari: 26 pz
– Vestibolari: 18 pz
– Cocleo-Vestibolari: 65 pz
Esordio monolaterale: 129 pz (71 a destra)
– Bilateralizzazione: 16 pz in 8 + 5 aa
Esordio bilaterale: 12 pz
Passaggio alla fase inveterata: 9 + 4 aa
Al momento della prima visita, e quindi ad intervalli di 6-9 mesi,
tutti i pazienti sono stati sottoposti ad audiometria tonale e
vocale, a timpanometria con studio dei riflessi stapediali, ai
potenziali evocati uditivi, ad esame vestibolare con prova di stimolazione bitermica secondo la metodica di Fitzgerald-Hallpike. Negli ultimi tre anni, i pazienti sono stati sottoposti anche
allo studio dei potenziali evocati vestibolari miogenici da stimolo acustico (VEMPs).
Relativamente alla funzione uditiva, nelle fasi iniziali della malattia la soglia tonale si presentava generalmente in salita o a V
invertita ed era caratteristicamente fluttuante; la curva peggiorava progressivamente ed entro i due anni assumeva un andamento pantonale con deficit uditivo massimo pari a 55 + 10 dB
HTL per le frequenze 500, 1000, 2000 e 3000 Hz. Un andamento
simile si è evidenziato per la soglia di percezione vocale (deficit massimo pari a 50 + 10 dB HTL) mentre la soglia di discriminazione vocale ha mostrato un peggioramento, passando dal
55% medio valutato al secondo-terzo anno al 36% medio dopo
10 anni, a parità di deficit uditivo all’esame tonale.
Relativamente alla funzione vestibolare, i dati raccolti si riferiscono ad esami eseguiti in fase intercritica. Nelle primissime
fasi della malattia, si è evidenziato un nistagmo deficitario in
59 pazienti: 28 pazienti con nistagmo spontaneo-posizionale
(ny s-p) e 31 pazienti con nistagmo post head shaking test (hs ny); in 12 pazienti il nistagmo post head shaking era diretto
verso il lato ipoacusico. Adottando la formula di Jongkees per
la paresi canalare (nel nostro centro, le prove bitermiche sono
considerate simmetriche se la differenza tra la risposta di un
lato e quella controlaterale è inferiore al 23%) le prove termiche risultavano asimmetriche per ipofunzione del lato ipoacusico in 45 pazienti (differenza media del 29%) ed asimmetriche
per prevalenza del lato normoacusico nei restanti 11 (differenza
media del 27%). Con l’avanzare della malattia, entro 1-3 anni
il deficit labirintico è divenuto più evidente e costante: un
nistagmo deficitario era presente in 89 pazienti (ny s-p in 48
pz e h-s ny in altri 41 pazienti) mentre in 16 pazienti si è evidenziato un nistagmo “irritativo”. In questa fase, in 93 pazienti
la differenza media alla prove termiche era pari al 33%; 16
pazienti presentavano una risposta “irritativa”, con differenza
media alla prove termiche pari al 26%; siamo nella fase florida
della malattia, con le crisi che raggiungono la massima espressione clinica. Nei 3-6 anni successivi, abbiamo assistito ad una
modesta riduzione della sintomatologia vestibolare acuta; il
nistagmo deficitario si è riscontrato in 98 pazienti (ny s-p in 31
pz e h-s ny in altri 67 pazienti) mentre in 12 pazienti si è evidenziato un nistagmo “irritativo”. In 101 pazienti era presente
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otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
un deficit monolaterale con asimmetria alle prove termiche lievemente ridotta rispetto alla fase precedente (differenza media
27%); 13 pazienti presentavano una risposta “irritativa”, con
differenza media alla prove termiche pari al 27%. Entro 9 + 4
anni dall’esordio della sintomatologia 113 pazienti del nostro
campione si trovavano nella fase inveterata, sintomatologia
caratterizzata prevalentemente da disequilibrio; il nistagmo
deficitario era presente in 62 pazienti (ny s-p in 23 pz e h-s ny
in altri 39 pazienti) e in 17 pazienti si è evidenziato un nistagmo
“irritativo”. In 104 pazienti le prove termiche evidenziavano un’asimmetria con differenza media del 25% mentre 14 pazienti
presentavano una risposta “irritativa”, con differenza media alla
prove termiche pari al 27%.
A tali variazioni dell’espressione clinica ha fatto evidentemente
riscontro un differente approccio terapeutico: prevalentemente
farmacologico nelle prime fasi, quasi esclusivamente riabilitativo nelle fasi avanzate.
Nella fase inveterata, 12 pazienti hanno riportato ulteriori crisi
di vertigine oggettiva; l’esame vestibolare ha evidenziato la presenza di un nuovo netto aumento dell’asimmetria alle prove termiche (valore medio 29%), accompagnata al rilievo di un
nistagmo spontaneo-posizionale e post head shaking diretti
verso il lato sano. Tale nuova fase florida ha avuto una durata
in media di 2 + 2 anni; successivamente la sintomatologia si è
nuovamente ridotta e i dati vestibolari hanno confermato l’evoluzione verso una nuova fase inveterata.
Sempre in fase inveterata, 11 pazienti hanno riferito una sintomatologia suggestiva per una crisi otolitica di Tumarkin: in 9
pazienti le crisi si sono ripetute con una frequenza media di 1,5
all’anno per 3 anni e sono quindi scomparse. In due paziente
invece le crisi sono risultate molto numerose (in media 7 all’anno
per 2 anni) ed invalidanti: si è pertanto proposto un trattamento
con gentamicina intratimpanica, che ha determinato la scomparsa della sintomatologia.
Infine, dei 129 pazienti ad esordio monolaterale, in 16 la malattia ha interessato anche l’orecchio controlaterale, dopo un intervallo medio pari a 8 + 5 anni. Tutti i pazienti erano in fase inveterata; particolarmente interessante è il dato relativo a 10 di
essi: nei controlli degli ultimi 2 anni non si evidenziava nistagmo
spontaneo e l’asimmetria labirintica alle termiche era pari al
25%; nei successivi controlli si è evidenziata la scomparsa di
tale asimmetria (valore medio pari al 20%) e dopo un intervallo
medio di 4 + 6 mesi sono comparsi sintomi cocleari seguiti dalla
sintomatologia vertiginosa dopo un intervallo medio di 45 + di
30 giorni.
Discussione e conclusioni
Un problema non marginale è quello della stadiazione della
malattia; è infatti evidente che la mole di dati appena riportati
non dà immediatamente l’idea della fase in cui si trova il
paziente. Pertanto, di fronte alle ampie possibilità offerte dalle
linee guide AAO-HNS (9,10) e dall’Inner Ear Disorder Profile di
Arenberg (23,24) di quantizzare il deficit uditivo e vestibolare
e di valutare il livello funzionale, nel nostro studio abbiamo
voluto utilizzare, una scala che stadiasse il paziente e non soltanto i suoi sintomi; molto comoda a tale proposito è la stadiazione proposta da Filipo e Barbara (22). In tale scala, lo stadio 0 è quello dei prodromi. Lo stadio I è quello della malattia
“disabilitante” o della fase florida, che viene suddiviso in Ia ed
Ib a seconda rispettivamente della presenza o meno di fluttuazione della ipoacusia. Lo stadio II è quello della malattia “stabilizzata”, caratterizzata prevalentemente da disequilibrio ed
ipoacusia stabile. Dallo stadio II il paziente può rientrare nello
stadio I (per una ripresa della sintomatologia ad esempio da
incompleta fistolizzazione) o entrare nella fase III che caratterizza la malattia bilaterale. Ogni stadio consente di individuare
immediatamente la fase clinica in cui si trova il paziente, i cui
deficit possono essere valutati con le note guide già citate.
Nel nostro campione, la MdM esordisce con la classica triade
in oltre il 50% dei casi. La fase prodromica (stadio 0) si è riscontrata in 26/109 pazienti. Entro i primi due anni tutti i nostri
pazienti si trovano nella fase florida disabilitante (stadio I) e
dopo una fase iniziale in cui è apprezzabile la fluttuazione della
ipoacusia (stadio Ia), il deficit uditivo raggiunge il massimo e si
stabilizza (stadio Ib); il deterioramento della discriminazione
vocale continua invece fino al 10° anno. In 59 pazienti è presente un nistagmo deficitario, e in 38 pazienti l’asimmetria alle
prove termiche è del 29%. Entro un intervallo di circa 1-3 anni
si assiste ad un aumento del numero di pazienti con nistagmo
deficitario (99) e con asimmetria alle prove termiche (93), la cui
entità raggiunge valori massimi (33%). Nei successivi 3-6 anni,
la sintomatologia vestibolare si fa leggermente meno intensa
ma è ancora caratterizzata da crisi di vertigine oggettiva; in tale
fase, si riduce sia il numero di pazienti con nistagmo deficitario (75) sia l’entità dell’asimmetria alle prove termiche (27%),
che è presente in un numero pressoché stabile di pazienti (101).
Negli anni successivi ed entro un intervallo di 9 + 4 anni dall’esordio della sintomatologia in 113 pazienti si è assistito ad
una progressiva e netta riduzione della sintomatologia vestibolare, dominata ora essenzialmente da disequilibrio: si riduce
ancora il numero dei pazienti con nistagmo deficitario (52) così
come l’entità dell’asimmetria alle prove termiche (25%), che
persiste in 104 pazienti. Siamo ormai nella fase inveterata “stabilizzata” della malattia (stadio II) nella quale si assiste ad una
riduzione dell’asimmetria labirintica spontanea e provocata,
verosimilmente per fenomeni di compenso. In Tab. 2 si riporta
il follow-up della funzione vestibolare.
Dallo stadio II, 12 pazienti sono rientrati nello stadio I, mentre
in 16 pazienti si è verificata la bilateralizzazione della malattia
(stadio III), dopo un intervallo medio pari a 8 + 5 anni. In particolare, in 10 pazienti si è assistito alla scomparsa dell’asimmetria alle prove termiche (del 25% al 20%) e, dopo un intervallo medio di 8 + 6 mesi da tale reperto, si è manifestata la
triade sintomatologia. In tali casi, la riduzione dell’asimmetria
non è imputabile a fenomeni di compenso (come del resto confermato dai valori di velocità angolare della fase lenta non inferiori a quelli dei precedenti controlli) ma è evidentemente da
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Vincenzo Marcelli - FORME INVETERATE
Tabella 2 - Follow-up della funzione vestibolare in fase intercritica
Ny “deficitario”1
Ny “irritativo”2
Ny assente
Ipo. lato leso e D%3
Ipo. lato sano e D%3
Non asimmetrie
0-1 aa
1-3 aa
3-6 aa
> 6 aa
46%
9%
45%
35% (D 29%)
8% (D 27%)
57%
69%
12%
19%
72% (D 33%)
12% (D 26%)
16%
76%
9%
15%
78% (D 27%)
10% (D 27%)
12%
48%
13%
39%
80% (D 25%)
11% (D 27%)
9%
1 Nistagmo spontaneo-posizionale + nistagmo post head shaking diretto verso il lato sano.
2 Nistagmo spontaneo-posizionale + nistagmo post head shaking diretto verso il lato leso.
3 La D% indica la percentuale di asimmetria alle prove bitermiche secondo Jongkees.
attribuire alla compromissione dell’orecchio fino ad allora non
interessato: il successivo follow-up ha evidenziato l’instaurarsi
di una nuova sindrome deficitaria spontanea e provocata.
Sempre nello stadio II, 11 pazienti hanno riferito una sintomatologia suggestiva per una crisi otolitica di Tumarkin e per 2 di
loro è stato necessario ricorrere al trattamento con gentamicina intratimpanica, che è risultato risolutivo.
Negli ultimi tre anni infine, i pazienti sono stati sottoposti anche
allo studio dei VEMPs: anche in questo caso, le osservazioni preliminari tendono a mostrare risultati differenti a seconda della
fase della malattia: in un campione di 44 pazienti nello stadio
I o fase florida, i VEMPs esaminati nell’orecchio patologico tendono ad essere nella norma (65%), di ampiezza maggiore (13%)
o assenti (22%); è da notare che nel 13% dei pazienti, i VEMPs
sono risultati di ampiezza maggiore nell’orecchio sano e la
latenza è risultata ridotta in maniera statisticamente significativa nel 9% dei casi esaminati. In un campione di 31 pazienti
nello stadio II o fase inveterata, i VEMPs sono nella norma nel
34% dei pazienti, assenti nel 58% e di dubbia interpretazione
nel restante 8%.
Il tentativo di correlare una “irritazione” labirintica spontanea
e/o provocata con l’imminenza di una crisi ha offerto risultati
non univoci.
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26
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
La Malattia di Ménière bilaterale
Fabio Bertone, MARCO MANFRIN
Dipartimento di Scienze Sensoriali, Università di Pavia - Clinica Otorinolaringoiatrica, IRCCS Policlinico “S. Matteo”, Pavia
e-mail: [email protected]
Parole chiave: Ménière, idrope, bilateralità
Introduzione
La malattia di Ménière (MdM) bilaterale rappresenta una situazione clinica abbastanza rara che, tuttavia, pone grossi problemi
di ordine terapeutico e prognostico. Caratterizzata da un’evoluzione imprevedibile, può esitare in una grave e invalidante
ipoacusia neurosensoriale interessante entrambe le orecchie e
in un’insidiosa instabilità cronica, dopo periodi variabili di crisi
vertiginose ricorrenti, difficilmente controllate e compensabili
da parte del sistema nervoso centrale. Gli acufeni e il senso di
ovattamento auricolare mostrano una tendenza evolutiva del
tutto imprevedibile.
Tutti gli studi epidemiologici sono concordi nel ritenere che,
quanto più dura nel tempo la malattia, maggiore è l’incidenza
della bilateralità. Ne deriva che quanto più è precoce la prima
manifestazione (età giovanile) tanto più è elevata la probabilità che essa interessi anche l’orecchio controlaterale. Questo
dato può condizionare la scelta terapeutica nelle fasi in cui la
malattia è monolaterale, poiché, qualora si decidesse di ricorrere alle tecniche ablative o distruttive della funzionalità labirintica, l’eventuale perdita uditiva ad esse associata rappresenterebbe un ulteriore handicap se la MdM colpisse l’unico orecchio udente.
Epidemiologia
In termini generici, l’incidenza della MdM bilaterale varia nelle
diverse statistiche (4-46% dei casi) (1-5), con punte del 78%
(2). I dati devono, tuttavia, essere considerati in maniera critica,
in quanto vengono considerati casi in cui uno dei due lati affetti
si presenta con forme di vertigine atipica o di ipoacusia neurosensoriale non idropica. Mancano, insomma, dati omogenei che
facciano riferimento alla MdM bilaterale diagnosticata secondo
i criteri dell’AAOO del 1995 (6) applicati ad entrambe le orecchie interessate.
Nella casistica personale la forma bilaterale è rara, con una prevalenza del 9% in una popolazione menierica omogenea per i
criteri diagnostici già citati. I dati relativi all’intervallo di tempo
che trascorre tra l’esordio monolaterale e la manifestazione bilaterale sono stabili nell’indicare un periodo compreso tra i 5 e i
10 anni. Nei pazienti anziani, è relativamente maggiore l’esordio bilaterale e simultaneo della malattia.
Fisiopatologia
Tra le numerose ipotesi eziopatogenetiche poste alla base dell’idrope endolinfatica, tutte verosimili, nessuna certamente dimo-
strata, prende risalto quella che si riferisce a possibili meccanismi immunitari.
Una componente di natura immunomediata deve essere presa
in considerazione quando un paziente presenti: una malattia
dell’orecchio interno bilaterale e progressiva; sintomi congrui
con un’idrope endolinfatica resistenti alla terapia tradizionale
(dieta iposodica, diuretici, betaistina); disturbi immunitari associati (più frequentemente a carico della tiroide); sintomi associati alle stagioni, all’assunzione di certi cibi, all’esposizione di
particolari sostanze chimiche o che sia già riconosciuto uno
stato allergico (7).
La definizione della MdM esclude, comunque, la presenza di
cause accertate o accertabili; ma è anche vero che una percentuale di pazienti menierici (10%) trae giovamento dalla terapia steroidea associata (8).
È quindi molto probabile che nelle forme di MdM bilaterale vi
siano in gioco meccanismi di carattere immunitario, più di quanto
non si verifichi nelle forme monolaterali.
Clinica
In base al momento di esordio della MdM bilaterale, si distinguono una forma sincrona, in cui entrambi i lati sono coinvolti
contemporaneamente con sequenze variabili ed embricate di
sintomi cocleovestibolari, ed una forma metacrona, in cui ad
un esordio monolaterale fa seguito, nel tempo, un coinvolgimento anche dell’orecchio interno controlaterale.
Vertigini di tipo menierico (da 20 minuti a ore), ipoacusia neurosensoriale a sede cocleare (da fluttuante a ingravescente/stabilizzata), fullness e acufeni contraddistinguono il decorso della
malattia.
L’esito finale, talvolta contraddistinto da crisi otolitiche tipo
Tumarkin, è quello di un’instabilità cronica con marcata ipofunzione labirintica bilaterale e di un’ipoacusia percettiva con
recruitment di entità medio-grave (Fig. 1). Acufeni e fullness
presentano un’evoluzione imprevedibile.
Terapia
Il trattamento medico della MdM risulta efficace nell’85% dei
casi e si basa, anche per le forme bilaterali, sulle consuete norme
igienico-dietetiche (dieta iposodica, normoidrica), l’impiego di
diuretici (tiazidici, inibitori dell’anidrasi carbonica, osmotici),
di istaminergici ad alte dosi e per lungo tempo (almeno sei mesi).
Come già detto, nelle forme bilaterali trova maggiore razionale
l’impiego di steroidi (prednisone o betametasone), per una set-
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Marco Manfrin - MÉNIÈRE BILATERALE
Figura 1. Ipoacusia percettiva da MdM bilaterale.
timana a cicli intervallati di tre settimane, per sei mesi e con
dosi a scalare.
Anche la terapia medica dell’attacco acuto non varia in caso di
MdM, essendo finalizzata all’impiego di vestibolosoppressori e
sedativi del tutto simili a quelli impiegati nelle forme monolaterali.
Più complessa è la scelta terapeutica di quel 15% di pazienti
affetti da MdM bilaterale che non rispondono al trattamento
medico tradizionale.
La limitazione alle procedure chirurgiche mirate alla soppressione della funzione labirintica di un lato è evidente (quale lato
si opera?); non solo, ma gli esiti funzionali di una deafferentazione bilaterale del labirinto, anche se eseguita in differita, sono
fortemente invalidanti per l’oscillopsia inevitabile e la marcata
atassia che ne consegue.
Attualmente, il trattamento d’elezione è rappresentato dall’ablazione farmacologica dei labirinti mediante l’impiego di streptomicina solfato per via sistemica (9-11). Lo schema terapeutico prevede la somministrazione dell’aminoglicoside sino ad
una quantità globale di 30-35 g, limite oltre il quale si rende
forte la possibilità di indurre un peggioramento uditivo su base
ototossica. I risultati di tale trattamento sono buoni per quanto
riguarda il controllo delle crisi vertiginose, anche se spesso l’esito in oscillopsia e instabilità può essere altrettanto fastidioso
per il paziente, specie se anziano.
Se fallisce il trattamento ablativo e il paziente si mantiene sintomatico con funzionalità labirintica presente, l’unica soluzione
palliativa può essere quella di eseguire una decompressione
semplice del sacco endolinfatico, bilaterale in differita di qualche mese. Tale procedura, caratterizzata dalla più bassa percentuale di anacusia postoperatoria, mantiene la sua nicchia di
valore come estrema “ratio” in casi particolarmente ribelli, fortunatamente molto rari.
Oltre al contenimento degli episodi vertiginosi, i provvedimenti
terapeutici già citati devono essere finalizzati anche alla stabilizzazione dell’ipoacusia, qualora vi fossero fluttuazioni significative, con lo scopo finale di rendere relativamente più agevole la protesizzazione acustica.
Altri presidi terapeutici di svariata natura, di cui la letteratura
riguardante la MdM è ricca, non garantiscono i risultati con sufficiente attendibilità.
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28
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Idrope endolinfatica ritardata: revisione e casistica personale
BEATRICE GIANNONI, C. Mezzedimi, Paolo Vannucchi
Servizio di Audiologia – Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oto-Neuro-Oftalmologiche, Università degli Studi di Firenze
Cenni storici e definizione
Nel 1975 Nadol et al. (1) e Wolfson e Leiberman (2) descrissero
contemporaneamente un’entità clinica caratterizzata da attacchi ricorrenti di vertigine di tipo menierico, associati ai sintomi
audiologici dell’idrope cocleare in soggetti con pregressa grave
ipoacusia neurosensoriale monolaterale, ipsilaterale all’orecchio in cui i disturbi uditivi comparivano. Nel 1978 Schuknecht
(3) identificava, oltre alla forma “ipsilaterale” di tale sindrome,
anche una forma che egli definiva “controlaterale”: di 12 pazienti
studiati, 6 soggetti, con pregresso danno cocleare monolaterale, presentavano un’ipoacusia fluttuante nell’orecchio sano,
talora accompagnata da vertigini ricorrenti. Da allora numerose
casistiche sono state presentate in letteratura, che lo stesso
Schuknecht riassume in un lavoro del 1990 (4) assieme alla propria esperienza personale, operando una vera e propria revisione
di tale entità clinica e definendola nei suoi aspetti eziologici,
istopatologici fisiopatologici e clinici. Da allora l’idrope endolinfatica viene sempre più frequentemente suddivisa in tre quadri clinici distinti: 1. la malattia di Ménière (MdM); 2. le sindromi menieriformi (SM); 3. l’idrope endolinfatica ritardata (IER).
La MdM è caratterizzata da vertigini rotatorie oggettive che
durano da minuti ad ore ad andamento periodico ricorrente,
ipoacusia neurosensoriale almeno inizialmente fluttuante, acufeni ad intensità variabile e senso di pienezza o pressione nell’orecchio coinvolto. Si tratta di una patologia più spesso monolaterale, anche se può esistere in forma bilaterale, che origina
in un orecchio fino ad allora sano. L’ipoacusia tende a peggiorare negli anni senza raggiungere mai l’anacusia. Le SM sono
simili alla MdM per alcuni aspetti, ma alcuni sintomi possono
essere assenti oppure presentarsi con modalità diverse. L’IER è
un’entità patologica caratterizzata da un evento precoce consistente in un’ipoacusia profonda neurosensoriale monolaterale
e da un evento tardivo rappresentato da una sintomatologia
idropica che compare dopo un lasso di tempo da 1 a 68 anni (5)
nell’orecchio omo- o controlaterale all’ipoacusia.
Schuknecht (4) individua sette aspetti caratteristici dell’IER:
1. Può presentarsi in un orecchio reso gravemente ipoacusico
per molteplici cause e determina l’insorgenza tardiva di vertigini episodiche, se gli organi vestibolari sono rimasti funzionanti. Tale forma consiste nell’IER ipsilaterale.
2. Può interessare l’orecchio controlaterale al lato dell’ipoacusia primitiva e può determinare ipoacusia fluttuante, con o
senza vertigine episodica, nell’orecchio fino ad allora sano
(IER controlaterale).
3. L’eziologia è sconosciuta nella maggior parte dei casi.
4. Nelle forme controlaterali, gli aspetti istopatologici dell’orecchio con pregressa ipoacusia sono simili in alcuni casi a
quelli delle labirintiti da parotite e morbillo.
5. Nelle forme controlaterali, gli aspetti istopatologici dell’orecchio con ipoacusia fluttuante sono simili a quelli della
MdM.
6. Ha una probabilità di eziologia virale, così come la MdM.
7. L’espressione clinica è variabile riguardo a gravità e spettro
sintomatologico: da una totale perdita della funzione acustica e vestibolare, a ipoacusia fluttuante accompagnata o
meno da vertigini episodiche.
Eziologia, fisiopatologia e istopatologia
Gli agenti virali sembrano essere i principali responsabili dell’evento precoce dello IER, ovvero dell’ipoacusia neurosensoriale
monolaterale (parotite, morbillo, influenza, citomegalovirus) (68). Sono stati comunque riportati anche casi ad eziologia traumatica (9), ormonale (10), autoimmune (11).
È stato ipotizzato (4) che l’agente lesivo originale, indipendentemente da quale esso sia, possa danneggiare il sacco endolinfatico o bloccare l’acquedotto vestibolare ipsi- e/o controlaterale, compromettendo così il riassorbimento dell’endolinfa.
D’altra parte, gli aspetti istopatologici dell’IER sembrerebbero
confermare tale ipotesi. I reperti degli orecchi sede dell’evento
precoce sono suggestivi di labirintite virale. Sono presenti vari
gradi di atrofia degli organi audio-vestibolari, con degenerazione
neuronale retrograda e idrope endolinfatica, senza reazione fibroo osteoproliferativa. L’orecchio sede dell’evento tardivo nelle
forme controlaterali presenta il classico pattern della MdM, con
idrope endolinfatica di vario grado, scarsa atrofia degli organi di
senso o dei neuroni. Sembrerebbe altamente probabile che l’orecchio controlaterale che sviluppa l’idrope ritardato abbia avuto
comunque un danno dallo stesso agente che ha determinato l’ipoacusia nell’altro orecchio. Questa ipotesi è suffragata dal fatto
che in alcuni casi di IER controlaterali è presente iporiflessia bilaterale vestibolare fin dalla prima infanzia, prima della comparsa
dell’ipoacusia nell’orecchio controlaterale.
Clinica
L’evento precoce dell’IER, ovvero la comparsa di una ipoacusia
neurosensoriale generalmente di grado profondo, si instaura
bruscamente e non sembra avere caratteri di progressività. L’età
di insorgenza può variare dalla prima infanzia fino a 60-70 anni,
29
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Beatrice Giannoni - IDROPE ENDOLINFATICA RITARDATA
e anche il periodo di intervallo tra la comparsa dell’ipoacusia e
quella dei sintomi otoneurologici è estremamente variabile: dai
2 ai 70 anni nelle forme ipsilaterali e da 1 anno a 50-60 anni
nelle forme controlaterali (12).
L’evento tardivo è rappresentato nella forma ipsilaterale dalla
comparsa di attacchi vertiginosi oggettivi, Ménière-simili, ad
insorgenza subacuta, della durata da minuti ad alcune ore,
accompagnati da corredo vagale. Le crisi sono seguite da relativo benessere e i periodi intercritici possono variare da giorni
a mesi. Nelle forme ipsilaterali generalmente non sono percepiti acufeni o fluttuazioni uditive, vista la preesistente profonda
ipoacusia, anche se alcuni soggetti possono lamentare sintomi
simili alla “fullness”. Nella maggior parte dei casi, è presente
ipo-areflessia labirintica calorica, mentre la reflettività labirintica è normale nell’orecchio controlaterale.
Nell’IER controlaterale compaiono invece ipoacusia fluttuante
nell’orecchio in precedenza normoudente, dalle caratteristiche
del tutto sovrapponibili a quelle della MdM, acufeni e sensazione
di pressione nell’orecchio che va di pari passo con il peggioramento dell’udito per le frequenze gravi. Spesso si associa anche
la sintomatologia vertiginosa simil-menierica. La funzionalità
vestibolare periferica appare compromessa bilateralmente, anche
se maggiormente nell’orecchio con ipoacusia pregressa.
Esiste infine quel quadro clinico che Schuknecht definisce “idrope
endolinfatica ritardata bilaterale” e osservato da Karmody (13)
in 4 casi di pazienti con ipoacusia apparentemente congenita,
profonda e bilaterale che hanno successivamente sviluppato
vertigini ricorrenti compatibili con idrope endolinfatica.
Casistica personale
Si tratta di una valutazione retrospettiva dei pazienti che nel
2003 si sono rivolti al Dipartimento di Audiologia dell’Università degli Studi di Firenze per sintomi audiologici e/o vestibolari compatibili con una patologia idropica.
In totale sono stati ricoverati nel nostro reparto 49 pazienti con
sintomatologia tipica di idrope endolifatico. Di questi, 43 erano
affetti da MdM, 1 da una sindrome etichettata come menieriforme e 5 da IER.
Tutti i pazienti affetti da IER sono stati sottoposti a:
• audiometria tonale liminare
• impedenzometria
• studio dei potenziali evocati uditivi (ABR)
• ricerca del Ny spontaneo/posizionale
• Head Shaking Test
• Stimolazione calorica secondo Fitzgerald-Hallpike
• RMN encefalo con gadolinio con particolare riguardo alla
fossa cranica posteriore e all’angolo pontocerebellare.
Quattro pazienti presentavano IER controlaterale ed 1 ipsilaterale. L’età media era compresa tra 44 e 62 anni, i pazienti erano
3 uomini e 2 donne.
L’intervallo tra l’evento precoce e quello tardivo variava da 15
a 30 anni.
Tutti i pazienti hanno riferito anamnesticamente la comparsa di
un’ipoacusia improvvisa, della quale non sono stati in gradi di
riferire la causa: 3 su 5 ricordavano la presenza di una sindrome
influenzale comparsa prima dell’insorgenza dell’ipoacusia.
Tutti i pazienti presentavano, ad intervalli di tempo estremamente variabile dall’evento precoce, episodi ricorrenti di vertigine rotatoria associata a corredo vagale. Erano inoltre presenti
acufeni e ipoacusia fluttuante che erano riferiti in 4 casi all’orecchio controlaterale e in 1 caso a quello ipsilaterale all’orecchio primitivamente danneggiato.
Tabella 1 - Dati clinici relativi ai 5 pazienti
PAZIENTE
SESSO
ETÀ
LATO
IPOACUSICO
LATO
CON IER
EZIOLOGIA
A.G.
L.B.
R.M.
T.S.
G.P.
F
F
M
M
M
56
56
62
44
53
Dx
Sn
Sn
Dx
Dx
Sn
Dx
Dx
Dx
Sn
Virale
Virale
?
Virale
?
L’esame vestibolare non ha evidenziato la presenza di nistagmo
spontaneo in nessun caso. Le prove caloriche hanno rilevato,
nel caso dei pazienti con IER controlaterale, un caso di ariflessia calorica nel lato con grave ipoacusia neurosensoriale e iporiflessia controlaterale; in due casi iporiflessia bilaterale e in un
caso un bilancio vestibolare calorico normale.
Nel paziente con la forma ipsilaterale era presente una iporiflessia ipsilaterale.
Tabella 2 - Prove caloriche nei pazienti con IER controlaterale
PAZIENTE
LATO IPOACUSICO
LATO CON IER
A.G.
L.B.
R.M.
G.P.
Iporiflessia
Iporiflessia
Normale
Ariflessia
Iporiflessia
Iporiflessia
Normale
Iporiflessia
La RMN dell’angolo pontocerebellare era negativa in tutti i casi.
Trattamento
I dati riportati in letteratura (14) indicano nelle forme ipsilaterali la terapia chirurgica come trattamento di scelta. La labirintectomia dell’orecchio ipoacusico sembrerebbe altamente
efficace e priva di problemi di conservazione dell’udito, in quanto
si va ad agire su orecchi già fortemente compromessi da questo punto di vista. Wright et al. (14) suggeriscono nelle forme
più precoci la chirurgia del sacco endolinfatico, basandosi sul
concetto, in realtà arbitrario, secondo il quale sotto i 50 anni è
più probabile che si abbia il coinvolgimento dell’orecchio migliore.
Nelle forme controlaterali il trattamento chirurgico con labirintectomia è improponibile, visto che si agirebbe sull’unico orecchio udente e la chirurgia del sacco endolinfatico è dibattuta.
30
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Secondo la nostra esperienza, il primo approccio in entrambe
le forme, ipsi- e controlaterali deve essere medico, utilizzando
i farmaci indicati per l’idrope endolinfatica (cortisonici, diuretici e vasoattivi). Se i risultati non sono soddisfacenti, il paziente
può essere sottoposto ad una riduzione e/o ablazione farmacologica del labirinto con farmaci ototossici selettivi per la funzione vestibolare. Nel nostro Dipartimento utilizziamo l’iniezione di gentamicina endotimpanica a una concentrazione di
27-30 mg/ml. Generalmente la prima iniezione risulta efficace,
ma in caso contrario si procede a ripetere in seguito il trattamento. Tale terapia si rivela particolarmente utile nelle forme
controlaterali, in quanto, come riportano vari Autori (15), farmaci come la gentamicina non sembrano compromettere in
maniera significativa la funzione cocleare.
Dei 5 pazienti giunti alla nostra osservazione per IER, 1 caso con
IER controlaterale è stato trattato con la gentamicina endotimpanica, ottenendo buoni risultati. Tutti gli altri per il momento
sono stati sottoposti ad un trattamento medico a base dei farmaci utilizzati per il trattamento della fase acuta dell’attacco
menierico e solo in seguito, se opportuno, saranno candidati ad
ablazione farmacologica labirintica con gentamicina.
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31
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
LABIRINTOLITIASI
Malattia di Ménière e labirintolitiasi
GIACINTO ASPRELLA LIBONATI*, Giuseppe Gagliardi**
*Responsabile Ambulatori di Audio-Vestibologia - ** Tecnico Audiometrista Ambulatori di Audio-Vestibologia
U.O. ORL Ospedale “Madonna delle Grazie”, Matera
e-mail: [email protected]
Parole chiave: VPPB, Ménière, manovra liberatoria, idrope endolinfatica
Introduzione
Aspetti clinici della VPPB
La classificazione potogenetica della Vertigine Parossistica Posizionale Benigna (VPPB) distingue forme primitive e secondarie:
nelle primitive il distacco otolitico si realizza in assenza di patologia labirintica conclamata, nelle secondarie in conseguenza
di una patologia labirintica accertata (1).
In letteratura è stata più volte riportata la frequente coesistenza
tra Malattia di Ménière (MdM) e VPPB, se pure con percentuali
variabili tra i diversi Autori (2-6).
Il meccanismo causale delle VPPB secondarie a MdM non è del
tutto chiarito, ma potrebbe essere spiegato sulla base del danno
indotto dall’idrope ricorrente sugli organi maculari dell’utricolo
e del sacculo (2,7), o da una parziale ostruzione del labirinto
membranoso (4).
Sempre più frequentemente vengono sottolineati in letteratura
gli stretti rapporti fra MdM ed emicrania, sia in termini di comorbidità delle due patologie (8,9), sia di una probabile correlazione
patogenetica tra le stesse (9-13). Inoltre vari Autori (14,15) riportano una più alta incidenza di emicrania nei pazienti con VPPB,
ed una più alta ricorrenza della VPPB negli emicranici. Una così
stretta interrelazione fra le due patologie è sicuramente riconducibile ad un rapporto causale tra emicrania e sofferenza del
labirinto (macule), da vasospasmo o altro meccanismo, che predispone alla ricorrenza della VPPB (11). A tale proposito è importante differenziare la VPPB, dalla Vertigine Emicranica Episodica
Posizionale (VEEP) o pseudo VPPB (16). Ai criteri diagnostici differenziali suggeriti da von Brevern et al. (Tab. 1), riteniamo di
dover aggiungere un criterio ex adiuvantibus: la risoluzione della
sintomatologia vertiginosa posizionale e del nistagmo a seguito
della esecuzione di manovre liberatorie nelle sole labirintolitiasi.
• Forme tipiche, con vertigine posizionale intensa, associata
spesso a corredo neurovegetativo, e a nistagmo parossistico
posizionale tipico.
• Forme subcliniche.
Riteniamo di definire “VPPB subcliniche” quei casi associati ad
un corredo sintomatologico più sfumato: vertigine posizionale
meno intensa, e/o dizziness (imbalance, disequilibrium, ecc.), ny
senza chiaro carattere di parossismo, ma, alle manovre diagnostiche, tipicamente antiorario in caso di VPPB del CSP destro, e
orario nelle VPPB del CSP sinistro, scarso corredo neurovegetativo, tutti sintomi, comunque, esacerbati dai cambiamenti di
posizione del capo.
Le forme subcliniche potrebbero essere assimilabili, dunque, a
quelle forme di VPPB definite “soggettive” da alcuni Autori (1719). Probabilmente si tratta di forme con ny talmente piccolo
che può sfuggire all’osservazione (7). Tali pazienti lamentano
dizziness, a volte anche continua, sempre esacerbata dai movimenti di flesso estensione del capo, o nel passaggio da seduto a
supino. Nell’anamnesi vi è, a volte, una storia suggestiva di VPPB
risoltasi apparentemente in modo spontaneo, ma in realtà con
persistenza di sintomi meno intensi. A volte un disturbo posturale permane dopo risoluzione, con manovre liberatorie, di una
VPPB caratterizzata da vertigine e ny particolarmente violenti
(grosso impegno otolitico canalare). Altre volte, infine, a fronte
di una anamnesi negativa per episodi di vertigine intensa, l’esordio è con la sola dizziness, soprattutto nelle VPPB secondarie, a MM ed emicrania. L’esecuzione delle manovre liberatorie
conduce, in tali casi, alla scomparsa della sintomatologia vertiginosa e posturale, e del relativo ny, e costituisce, a nostro parere,
il criterio diagnostico differenziale più significativo, soprattutto
nei riguardi della VEEP.
Tabella 1 - Diagnosi differenziale fra VEEP E VPPB (von Brevern 2004)
CRITERI DIAGNOSTICI
VEEP
VPPB
Sintomi emicranici
durante gli episodi
Durata degli episodi
Frequenti
Rari
Ore/giorni
Ricorrenza
Due o più episodi
per anno
Età di esordio
Precoce (anche in
adolescenti)
Atipico
Settimane/mesi
non trattata
Solo nel 15%
più episodi per
anno
Rara in giovane età
Caratteristiche del ny
Tipico
Materiali e metodo
Abbiamo osservato un campione di 25 pazienti affetti da MdM
classificati secondo i criteri dell’AAO-HNS 1995 (20). Di questi,
9 pazienti (31%) soffrivano di emicrania, diagnosticata secondo
i criteri IHS 1988, 5 di emicrania senza aura, e 4 con aura. Dei
25 pazienti menierici, 9 hanno sofferto di VPPB (31%), sempre
omolaterale alla Ménière, e ricorrente in 8 casi (Tab. 2). La VPPB
si è presentata in forma tipica associata a episodi subclinici in
5 pazienti, e in forma esclusivamente subclinica in altri 4. In 6
pazienti abbiamo riscontrato il solo interessamento del CSP, in
altri 2 il cointeressamento del CSP e del CSL, solo 1 paziente ha
32
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Tabella 2 - VPPB in Ménière
N.
SESSO/ETÀ ES: EMICRANIA SENZA AURA SCALA DIAGNOSTICA STADIO MM
EA: EMICRANIA CON AURA
AAO-HNS 1995
VPPB TIPICA
O SUBCLINICA
CSL/CSP
LATO: OMOLATERALE(O) N. EPISODI
CONTROLATERALE(C)
1
M/63
2
3
4
5
F/41
F/42
M/52
F/65
6
F/67
7
definita bilaterale
3
Sub+tipica
Csl geo+apo
definita
definita
definita
definita
1
2
3
4
Sub
Sub
Sub
Sub+tipica
Csp
Csp
Csp
Csp + Csl geo
O
(soglia peggiore)
O
O
O
O
probabile
2
Sub+tipica
Csp
O
F/80
definita
3
Sub+tipica
Csp
O
8
M/58
definita
2
Sub+tipica
Csp + Csl geo
O
9
F/43
definita
2
sub
Csp
O
Ea
Es
Es
presentato una VPPB del CSL recidivata sia in forma apo- che
geotropa. Tre pazienti con VPPB ricorrente (37%) erano affetti
sia da MdM che da Emicrania.
Il nostro atteggiamento diagnostico-terapeutico è sempre
improntato a conseguire, ove possibile, la risoluzione della VPPB
già nel corso della prima seduta, procurando il minor fastidio al
paziente (minor numero di vertigini), ed è definibile come: “strategia del minimo stimolo”.
4 tipici
3 sub.
1
3
2
3 tipici
2 sub.
2 tipici
3 sub.
1 tipico
3 sub.
2 tipici
4 sub.
2 sub.
zione di Hallpike. L’intensificarsi del ny evocato conferma la diagnosi di VPPB del CSP. In caso, invece, di ny orizzontale si propende per una VPPB del CSL; un ny destro (ad es.) indirizza verso
una forma geotropa sinistra, o apogeotropa destra; ruotiamo,
quindi, il capo verso il lato dove batte il ny: se il ny incrementa
si conferma una forma geotropa; se il ny diminuisce o cessa, ci
si orienta verso una forma apogeotropa.
VPPB del CSP: strategia terapeutica
VPPB del CSP: strategia diagnostica
Utilizziamo abitualmente la manovra di Semont in fase diagnostica, salvo impedimenti specifici, come ad es. condizioni
fisiche particolari del paziente. Riserviamo la Dix-Hallpike, ai
casi in cui non è utilizzabile la Semont, e alle forme subcliniche. In pazienti che per motivi psicologici (ansioso/fobici), e/o
per un ricco corredo neurovegetativo associato, siano poco disponibili all’idea di sottoporsi ad una procedura diagnostico/terapeutica, che procuri il disagio di stimolare ripetutamente la vertigine, adottiamo la “manovra diagnostica unica” di Asprella:
passaggio rapido da seduto a supino, sotto controllo videonistagmoscopico (VNS) (Fig. 1). Se si evoca un ny rotatorio, si completa la manovra ruotando il capo di 45°, a destra se antiorario, e a sinistra se orario, abbassando, quindi, in rapida successione la testiera del lettino, così da portare il paziente in posi-
Figura 1. Manovra diagnostica unica di Asprella per la VPPB del CSP e del CSL.
Adottiamo anche nel tempo terapeutico la “strategia del minimo
stimolo”, controllando l’effettiva progressione dell’ammasso
otolitico mediante monitoraggio del ny con VNS.
Nei casi in cui si esegue la Semont a scopo diagnostico, se si
evoca un NyPP tipico, si prosegue contestualmente con il tempo
terapeutico; in tale circostanza consideriamo altamente indicativo di risoluzione il ny liberatorio (nyL), consensuale al ny
diagnostico, antiorario CSP-ds, orario CSP-sn, per cui la procedura terapeutica può essere di volta in volta modificata al fine
di evocare il nyL. Il manifestarsi di tale Ny può verificarsi con
latenza più o meno lunga. Spesso può essere elicitato ricercando
la posizione più favorevole del capo: con variazioni nel suo grado
di rotazione, e/o del suo angolo di inclinazione (antero/posteriore, o latero/laterale) rispetto al tronco. In alcuni casi, riusciamo ad evocare il ny liberatorio eseguendo un head shaking
in posizione terapeutica (21). Al ritorno in posizione seduta, un
ny rotatorio di direzione inversa rispetto a quello liberatorio,
indica un reflusso ampullipeto dell’ammasso otoconiale, e quindi
quasi certamente un insuccesso terapeutico.
Nei casi in cui si adotta la Dix-Hallpike a scopo diagnostico, se
si evoca un NyPP tipico, si prosegue contestualmente con la
manovra di Epley. Nell’eseguire la Epley, scomponiamo la rotazione del capo dal lato affetto al lato sano con uno step intermedio (capo dritto in Rose), riteniamo possa rendere più graduale e omogenea la progressione endocanalare degli otoliti.
Spesso, ruotato il capo sul lato sano, si evidenzia un piccolo ny
con componente rotatoria consensuale al verso del ny diagno-
33
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Giacinto Asprella Libonati - LABIRINTOLITIASI
stico, e quindi indice di progressione ampullifuga degli otoliti.
Rileviamo, in genere, nello step finale (viso rivolto verso il pavimento), un ny solitamente con carattere non parossistico, verticale in basso (down beating), che riteniamo possa avere significato liberatorio.
Nelle forme subcliniche di VPPB del CSP abbiamo riscontrato
una maggiore risposta terapeutica alla manovra di Epley, probabilmente per il minor effetto massa della scarsa quantità di
detriti otoconiali presenti nel CSP, con risoluzione della sintomatologia vertiginosa e/o posturale dopo manovra liberatoria.
VPPB del CSL: anche nelle VPPB da canalolitiasi del CSL adottiamo una strategia diagnostico/terapeutica “step by step sotto
controllo videonistagmoscopico” (22).
Il monitoraggio in tempo reale del nistagmo evocato, nel corso
di ciascuno step della fase sia diagnostica che terapeutica, consente, alla luce delle note leggi di Ewald, di prevedere il percorso endocanalare degli otoliti.
La progressione utriculipeta degli otoliti è attestata dalla comparsa di un ny diretto verso il lato sano, quindi inibitorio, da
deflessione ampullifuga della cupola ampollare. In tal modo il
programma terapeutico può essere variato nel corso della seduta
adattandolo di volta in volta alle necessità del paziente.
Prediligiamo le “manovre di barbecue”, associate a volte alla
Gufoni, e in particolare la Vannucchi-Asprella, in quanto quest’ultima consente in una buona percentuale di casi di ottenere
la risoluzione di forme sia geotrope che apogeotrope. In una
parte delle apogeotrope consente, inoltre, la trasformazione in
geotrope.
Risultati
La strategia diagnostico/terapeutica da noi adottata per le VPPB
secondarie a MdM ci ha consentito di ottenere la risoluzione
nelle forme tipiche in tutti i casi già nel corso della prima seduta,
mentre nelle forme subcliniche la risoluzione è stata ottenuta
nel 98% nella prima seduta, e nel 100% nel corso della seconda.
Discussione
Poiché la VPPB può, dunque, manifestarsi con semplice instabilità, e non necessariamente con vertigine oggettiva violenta
(23); riteniamo che l’imbalance posturale delle fasi intercritiche della MdM possa essere spesso riferibile a forme subcliniche di VPPB, soprattutto se esacerbata dai cambiamenti di posizione. Considerata la comorbidità della MdM e dell’emicrania,
è importante differenziare la vertigine posizionale da VPPB,
soprattutto in forma subclinica, dalla VEEP. Una strategia diagnostico/terapeutica individualizzata, che si adatti al singolo
caso, e attuata mediante il monitoraggio del ny con VNS in corso
di trattamento, consente di abbandonare il rigido schematismo
ripetitivo delle manovre sinora proposte, adattando, quindi, la
terapia di volta in volta al singolo caso, così da ottenere la risoluzione già nella prima seduta in una percentuale di casi vicina
al 100%.
Conclusioni
La nostra esperienza conferma un’incidenza significativa di VPPB
secondarie alla MdM e all’emicrania. È ipotizzabile una maggiore dispersione otolitica da sofferenza maculare, con conseguente maggiore ricorrenza della VPPB nei menierici, sia in forma
tipica che subclinica.
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34
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
Malattia di Ménière ed emicrania. Aspetti neurologici
THOMAS LEMPERT
Universitätsklinik Charité and Schlosspark-Klinik, Berlin, Germany
e-mail: [email protected]
La Malattia di Ménière (MdM) e l’emicrania sono correlate tra
loro in almeno due modi: in primo luogo, negli ultimi venti anni
l’emicrania di per sé è stata identificata come una causa comune
di vertigine (1-3). La cosiddetta vertigine emicranica (VE) può
essere associata a sintomi cocleari quali ipoacusia, acufene e fullness e pertanto può essere confusa con la MdM. In secondo luogo,
Prosper Ménière aveva già notato che il disturbo da lui descritto
era spesso legato all’emicrania. In questo articolo analizzerò i due
aspetti separatamente: le vertigini emicraniche che simulano la
MdM e i sintomi dell’emicrania in pazienti menierici.
Vertigini emicraniche che simulano la MdM
Sia le cefalee emicraniche che la dizziness sono malori comuni
nella maggior parte della popolazione ed entrambi possono verificarsi casualmente anche nello stesso paziente. Tuttavia, le vertigini sono tre volte più comuni nei pazienti con emicrania che
nei pazienti di controllo (1). Nei pazienti con dizziness, invece,
l’emicrania ha una prevalenza quasi doppia rispetto ai pazienti
di controllo (2). La semplice associazione di vertigine ad episodi
di emicrania nel singolo paziente è certamente insufficiente a
formulare una diagnosi di VE. Anzi, è necessario avere una prova
clinica che attesti l’emicrania come causa della vertigine. Di
conseguenza, i criteri diagnostici della VE non solo devono includere i sintomi vestibolari ricorrenti e una diagnosi di emicrania,
ma anche un’associazione temporale di vertigine e di sintomi
emicranici (2) (Tab. 1).
Tabella 1 - Criteri diagnostici della vertigine emicranica “definita” (2)
Sintomi vestibolari episodici (vertigini rotatorie, altra sensazione illusoria di movimento, vertigini posizionali oppure intolleranza ai movimenti del capo, per esempio, sensazione di imbalance o vertigine provocata dal movimento della testa)
Emicrania secondo i criteri dell’International Headache Society (IHS)
Almeno un sintomo di emicrania durante almeno due crisi di vertigine:
1. cefalea emicranica;
2. fotofobia;
3. aure visive o di altro tipo
Esclusione di altre cause mediante opportune indagini diagnostiche.
Nei pazienti che non soddisfano pienamente i criteri summenzionati, ma che possono ancora essere verosimilmente considerati affetti da VE, si utilizza una categoria diversa di criteri
diagnostici per identificare una VE probabile. Alcuni di loro soffrono di cefalea che non soddisfa i criteri diagnostici dell’IHS
per l’emicrania o non soffrono affatto di cefalea; altri possono
non avere sintomi emicranici durante le crisi di vertigine. In questi pazienti, altre caratteristiche possono orientare verso la diagnosi di VE, come lo scatenamento della vertigine a seguito di
cambiamenti ormonali o una risposta positiva ai farmaci antiemicranici (4) (Tab. 2).
Tabella 2 - Criteri diagnostici della vertigine emicranica “probabile”
Sintomi vestibolari episodici di gravità almeno moderata
Almeno uno dei seguenti:
1. emicrania secondo i criteri dell’IHS;
2. sintomi emicranici durante le vertigini;
3. fattori scatenanti le vertigini tipici dell’emicrania, per esempio determinati alimenti, sonno irregolare, variazioni ormonali;
4. risposta ai farmaci antiemicranici
Esclusione di altre cause mediante opportune indagini diagnostiche
Caratteristiche cliniche delle vertigini emicraniche
Distribuzione dell’età e del sesso. Le VE possono manifestarsi
a qualsiasi età. Circa l’80% delle persone affette da VE è di sesso
femminile (6). Una ricorrenza familiare suggerisce che un’ereditarietà autosomica dominante è molto frequente.
Tipo di vertigine. I pazienti con VE possono accusare vertigini
rotatorie spontanee, vertigini posizionali o intolleranza al movimento del capo che è un tipo di dizziness simile al mal di mare
causata da movimenti della testa. Queste varianti possono manifestarsi isolatamente, simultaneamente o sequenzialmente.
Durata delle crisi. È estremamente variabile: da pochi secondi
ad alcune settimane. Soltanto nel 20-30% dei pazienti le crisi
hanno una durata che varia dai cinque minuti ad un’ora come
nel caso di aura emicranica tipica, mentre nel 50-70% dei pazienti
le vertigini hanno una durata di ore o persino di giorni (5,6).
Associazione temporale di vertigini e cefalea. Varia da paziente
a paziente. Soltanto una minoranza accusa cefalea emicranica
regolarmente associata a vertigine, altri riportano crisi di vertigine con o senza cefalea, mentre alcuni non hanno mai accusato i due sintomi contemporaneamente (5,2).
Risultati. Di solito, nell’intervallo tra le crisi si effettuano l’esame neurologico e i test di funzionalità vestibolare. Sono stati
riportati un’iporeflettività termica monolaterale (5) e sfumati
segni oculomotori cerebellari (7), che possono indicare un coinvolgimento del sistema vestibolare periferico o centrale. Recenti
registrazioni videoculografiche durante la crisi acuta, effettuate
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
35
Thomas Lempert - ASPETTI NEUROLOGICI: EMICRANIA
nel nostro laboratorio, hanno evidenziato come la più comune
anomalia vari tipi di nistagmi posizionali centrali, con o senza
nistagmi spontanei. Alcuni pazienti riportavano nistagmi spontanei torsionali-orizzontali e un’ipofunzione del riflesso vestibolo-oculare monolaterale causato da un problema periferico.
La fisiopatologia della VE è sconosciuta. Ipotesi attuali includono il vasospasmo dell’arteria labirintica, il rilascio dei neurotrasmettitori che modulano l’attività vestibolare come la noradrenalina, la 5-idrossitriptamina, la dopamina e il neuropeptide
CGRP, l’alterazione dei canali ionici e una “spreading depression wave” nelle aree corticali che elaborano le informazioni
vestibolari (8).
Terapia. Crisi più lunghe possono essere alleviate da farmaci
inibitori vestibolari. In alternativa, si possono provare i triptani
(4). Nella profilassi della VE sono stati somministrati con successo molti farmaci già risultati efficaci nella prevenzione dell’emicrania (5,7).
Le vertigini emicraniche sono complicate da sintomi cocleari
nel 20-50% dei pazienti. L’ipoacusia causata dalle vertigini emicraniche è spesso fluttuante rendendo pertanto ancora più difficile la distinzione dalla MdM (9,10). Tuttavia, rispetto alla MdM,
le vertigini emicraniche non comportano ipoacusia severa e
ingravescente, come è stato mostrato da Johnson che ha seguito
8 pazienti affetti da VE con ipoacusia fluttuante la cui durata
variava dai 5 ai 17 anni (10). Pertanto, un’ipoacusia grave indurrebbe ad una diagnosi di MdM; un follow-up audiometrico a
lungo termine può servire a chiarire casi dubbi. Un altro approccio terapeutico potrebbe prevedere la somministrazione di farmaci specifici nella profilassi dell’emicrania o farmaci utilizzati
nella MdM come la betaistina oppure diuretici associati ad una
dieta a basso contenuto di sale. Tuttavia, non si dovrebbe dimenticare che una risposta positiva non necessariamente dimostra
un effetto terapeutico, ma può semplicemente rispecchiare il
naturale decorso della malattia.
Sintomi dell’emicrania in pazienti menierici
Molti autori hanno enfatizzato la frequente comorbosità di emicrania e MdM (11). Inoltre, in alcuni pazienti, questi due disturbi
parossistici possono verificarsi contemporaneamente (11), con
crisi aventi le caratteristiche sia dell’emicrania sia della MdM.
Recentemente, il nostro gruppo ha studiato il legame esistente
tra l’emicrania e la MdM in uno studio (12) realizzato su 78
pazienti menierici e 78 pazienti di controllo raggruppati in base
al sesso e all’età. Abbiamo condotto una lunga intervista telefonica, per analizzare l’emicrania secondo i criteri dell’IHS e il verificarsi dei sintomi dell’emicrania durante le crisi di Ménière. La
prevalenza dell’emicrania è stata del 56% nei pazienti menierici contro il 25% nel campione di controllo (p<0.001). Dalle
nostre interviste è risultato che il 56% dei pazienti ha riportato
i sintomi dell’emicrania durante le crisi di Ménière. Il 45% ha
riferito di avere avuto almeno un sintomo di emicrania regolarmente associato alla crisi. La fotofobia (52%) era il sintomo
più comune seguito da cefalea emicranica (28%) e dall’aura
emicranica (10%).
La stretta associazione tra l’emicrania e la MdM può essere
interpretata in due modi: o alcuni dei nostri pazienti avevano
avuto realmente una VE oppure vi è un legame fisiopatologico
tra MdM ed emicrania. Tuttavia, considerando la gravità e la
progressività dell’ipoacusia, non è possibile effettuare una diagnosi alternativa di VE. Pertanto, una base genetica o fisiopatologica comune per entrambe le condizioni sembra più probabile. L’eziologia precisa della MdM e delle VE è sconosciuta.
Recentemente, le canalopatie sono state considerate come la
causa di vari disturbi parossistici come la paralisi ipokaliemica,
l’atassia episodica oppure l’emicrania emiplegica familiare. Di
conseguenza, è stato affermato che nella VE una disfunzione
dei canali ionici predominante nel cervello e nell’orecchio interno
può portare ad un aumento locale del potassio extracellulare,
causando sia la depressione neuronale diffusa, che si ritiene sia
responsabile dell’inizio dell’aura emicranica, sia uno squilibrio
osmotico parossistico, con conseguenti idropi endolinfatiche e
aumento del potassio perilinfatico con intossicazione delle cellule ciliate nell’orecchio interno (13).
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36
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
La sindrome di Ménière e l’otosclerosi
JUDITH A. WHITE, MD, PhD
Program of Vestibular and Balance Disorders - Otolaryngology and Communicative Disorders - The Cleveland Clinic, Cleveland, Ohio, USA
e-mail: [email protected]
Parole chiave: Sindrome di Ménière, otosclerosi, vertigine, disturbo vestibolare
Esistono opinioni controverse riguardo alla relazione tra l’otosclerosi e la sindrome di Ménière. Entrambi i disturbi otologici
sono relativamente comuni e nei pazienti affetti da entrambe
le malattie possono manifestarsi in successione tra loro. La verifica istopatologica di uno stretto legame eziologico è ancora
limitata. In questo articolo saranno analizzati i casi di pazienti
che manifestano entrambe le malattie, nonché il trattamento
medico e chirurgico.
L’otosclerosi è una malattia dell’osso che si manifesta esclusivamente nell’uomo, causando lesioni displastiche graduali della
capsula otica, caratterizzate da un maggiore riassorbimento,
rimodellamento e deposito del tessuto osseo. Da un punto di
vista istologico, i focolai otosclerotici si ritrovano nel 12% delle
ossa temporali caucasiche, ma da un punto di vista clinico soltanto il 2% di questi causa un’ipoacusia significativa (1).
L’ipoacusia è di solito bilaterale e si manifesta come un’ipoacusia graduale di trasmissione dovuta ad una fissazione progressiva della platina della staffa, con deposito di nuovo tessuto osseo (2). I focolai otosclerotici si possono inoltre verificare nello strato endosteale della capsula otica, con associata
ipoacusia neurosensoriale nel 25% dei pazienti, di solito in associazione con un’ipoacusia di trasmissione (3).
I disturbi vestibolari sono comuni nell’otosclerosi. Più della metà
dei pazienti riporta i sintomi vestibolari più comuni (4): sensazioni di oscillazione, evidente instabilità dell’ambiente visivo
esacerbata da movimenti del capo. Il disequilibrium può essere
presente, in modo particolare, negli ambienti che mettono alla
prova la funzione vestibolare come le superfici sconnesse al
buio. Nel 35-57% dei pazienti affetti da otosclerosi, l’esame
vestibolare ha riportato risultati anomali, come il nistagmo posizionale o spontaneo, la preponderanza direzionale e l’iporeflettività termica. (4). Le anomalie degli esami sono più comuni nei
pazienti con ipoacusia neurosensoriale concomitante. Non sono
state riscontrate correlazioni istopatologiche tra l’otosclerosi e
la malattia di Paget che possono spiegare i sintomi vestibolari.
(5). Saim e Nadol (6) hanno riscontrato un interessamento dell’area cribrosa e del canale endosteale del nervo vestibolare,
nonché una notevole correlazione tra i sintomi vestibolari e il
numero delle cellule del ganglio di Scarpa, ipotizzando una correlazione tra i sintomi vestibolari e una degenerazione del nervo
vestibolare nell’otosclerosi.
Alcuni autori ritengono che ci potrebbe essere una relazione
causale, tra l’otosclerosi e la sindrome di Ménière riscontrata in
pazienti che manifestano entrambe le malattie (7). Le fotomicrografie dei focolai otosclerotici con interessamento del sacco
endolinfatico sono state pubblicate nella raccolta dell’univer-
sità del Minnesota (8). I focolai otosclerotici potrebbero interessare il dotto e il sacco endolinfatici, causando l’ostruzione
del flusso endolinfatico e la classica idrope endolinfatica tipica
della Ménière. Tuttavia, la verifica sull’osso temporale di un’ostruzione da focolai otosclerotici del sacco e del dotto endolinfatici, con la conseguente ostruzione dell’idrope, è ancora abbastanza limitata. Yoon et al. (9) hanno riscontrato soltanto in due
pazienti, su 128 ossa temporali otosclerotiche esaminate, focolai attivi che ostruivano il sacco e il dotto endolinfatici con
idrope endolinfatica concomitante della pars inferior. Allo stesso
modo, Franklin (10) su 187 ossa temporali esaminate con otosclerosi capsulare diffusa, solo in un caso ha riscontrato occlusione otosclerotica del dotto endolinfatico con idrope. Un possibile meccanismo alternativo della variazione del volume endolinfatico, dovuto probabilmente ad un’ostruzione vascolare con
otosclerosi endosteale, è stato riportato da Johnson (11), che ha
riscontrato una perdita delle venule radiate e la dilatazione dei
vasi della stria vascolare con alcuni shunts vascolari nella scala
timpanica in ossa temporali otosclerotiche.
Contrariamente all’otosclerosi, la sindrome di Ménière è caratterizzata da ipoacusia neurosensoriale fluttuante, vertigini, acufene e fullness, e di solito è monolaterale. La natura fluttuante
dell’ipoacusia neurosensoriale permette di fare una distinzione
molto più chiara tra la Ménière e l’otosclerosi. Alcuni autori
hanno riportato un elemento fluttuante di trasmissione, spesso
associato ad episodi di fullness nei menierici (12), rendendo questa distinzione ancora più difficile. Controlli su pazienti con otosclerosi coesistente con la Ménière, hanno confermato quanto
sia difficile formulare una diagnosi in tali casi. Inizialmente, l’otosclerosi non è stata presa in considerazione nella maggior
parte di questi pazienti e pertanto una maggiore attenzione
all’ipoacusia bilaterale di trasmissione ha suggerito una maggiore sensibilità verso l’otosclerosi coesistente con la Ménière’s
(13). In alcuni casi l’elettrococleografia e il test al glicerolo sono
utili per formulare una diagnosi differenziale. L’esame vestibolare non è certamente utile nella Ménière e non chiarirebbe i
casi ambigui di diagnosi.
L’indicazione alla stapedectomia è controversa nell’otosclerosi
concomitante alla sindrome di Ménière. Alcuni autori consigliano una stapedectomia/sacculotomia nei pazienti che sviluppano la Ménière in un orecchio già otosclerotico (7). Tuttavia, a causa della dilatazione del sacculo e della membrana di
Reissner a contatto con la platina riscontrata nella Ménière, il
rischio di ipoacusia neurosensoriale nella stapedectomia può
aumentare a causa della rottura della membrana. Infatti, molti
autori consigliano l’intervento chirurgico nei pazienti otoscle-
37
SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Judith A. White - OTOSCLEROSI
rotici/menierici con una buona soglia ossea (35 db o migliore e
assenza di ipoacusia sulle alte frequenze) (14). Molti otochirurghi non considerano le vertigini come una controindicazione
alla stapedectomia. Tuttavia, l’esame audiometrico e clinico
della Ménière in fase attiva può comportare una cura medica
aggressiva per stabilizzare i sintomi e migliorare l’udito prima
di aprire la platina. Questo richiederebbe la somministrazione
di diuretici e una dieta a basso contenuto di sodio. L’uso di fluoro
nella cura dell’ipoacusia neurosensoriale associata all’otosclerosi (15) rappresenta un’opzione interessante per controllare i
sintomi vestibolari in questi pazienti, ma i dati non sono controllati (13).
La Ménière può manifestarsi anche successivamente ad una stapedectomia andata a buon fine e può essere dovuta ad un insulto
chirurgico al labirinto stesso o secondaria all’otosclerosi. In questi casi sono state riportate alcune anomalie dell’elettrococleografia con una fluttazione dell’udito neurosensoriale e vertigini episodiche. (16,17). Il trattamento di queste forme prevede la terapia medica.
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38
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
La Malattia di Ménière: terapia intercritica, terapia medica
GIACINTO ASPRELLA LIBONATI*, Giuseppe Gagliardi**
*Responsabile Ambulatori di Audio-Vestibologia - [email protected]
**Tecnico Audiometrista Ambulatori di Audio-Vestibologia
U.O. ORL Ospedale “Madonna delle Grazie” - Matera
Parole chiave: Ménière, vertigine, ipoacusia, acufene, fullness
L’interesse per la Malattia di Ménière (MdM) è andato progressivamente crescendo; in particolare negli ultimi 30 anni si è
assistito ad un notevole incremento delle pubblicazioni scientifiche relative alla terapia medica di tale patologia. Effettuando,
infatti, una ricerca su PubMed per “medical treatment for ménière’s disease”, nel periodo dal 01/01/1974 al 01/01/2004, il numero
totale degli articoli trovati è di 416, che divisi per decennio risultano pari a 55 dal 1974 al 1984, 129 dal 1984 al 1994 e 232
dal 1994 al 2004.
Lo scopo della terapia medica nelle fasi intercritiche della malattia, è sostanzialmente quello di prolungare quanto più possibile
gli intervalli liberi da crisi vertiginose, arrestare la progressione
del danno uditivo e ridurre il fastidio della fullness e dell’acufene.
Gli studi clinici sull’efficacia della terapia medica sono stati per
la maggior parte condotti sulla base di criteri empirici, basati
su presupposti teorici fisiopatologici non del tutto definiti e su
casistiche non sempre basate sui criteri diagnostici e classificativi suggeriti nelle linee guida della AAO-HNS (1) del 1995
(2,3,4,5,6,7). In particolare, non essendo noto un meccanismo
ezio/patogenetico sicuramente dimostrato e unico, il razionale
a cui si sono ispirate le terapie sinora proposte è sostanzialmente riconducibile al tentativo di agire sull’idrope, cercando
di ridurla per mezzo dell’azione depletiva dei diuretici, e/o di
prevenirla per mezzo di farmaci vasoattivi ed emoreologici, associati o meno ad una restrizione dietetica nell’apporto di sodio.
Esclusivamente nelle forme in cui sia stata ipotizzata una componente patogenetica immunologica, è stata proposta la somministrazione di corticosteroidi ed eventualmente di immunosoppressori.
L’efficacia dei trattamenti sinora proposti in letteratura è stata
verificata, e dimostrata attraverso studi prospettici controllati,
solo per alcune terapie con diuretici, associati o meno a diete
restrittive, ed in particolare per alcuni inibitori dell’anidrasi carbonica (acetazolamide) e tiazidici, entrambi appartenenti alle
sulfonamidi.
Negli ultimi anni, inoltre, si sono moltiplicati gli studi tesi a
dimostrare possibili correlazioni ed affinità fra MdM, Emicrania e Vertigine Emicranica (VE) (8,9,10), come del resto già preconizzato dallo stesso Prospero Ménière nel 1861 (11). In particolare sono stati evidenziati: una maggiore incidenza della
MdM negli emicranici e della emicrania nei menierici, sintomi
di tipo emicranico durante le crisi di Ménière, sintomi
cocleo/vestibolari nei pazienti emicranici (8). Le evidenti correlazioni sintomatologiche fra MdM ed Emicrania consentono di
ipotizzare la possibilità di un comune meccanismo fisio/pato-
logico (9). Esiste, inoltre, un gruppo di patologie, a ricorrenza
sintomatologica parossistica, determinate da un alterato trasporto ionico del calcio (Ca++), trasmesso su base genetica (12):
Emicrania emiplegica familiare (FHM), Atassia episodica familiare (EA-2), Atassia spino-cerebellare 6 (SCA6), Emicrania familiare con vestibulopatia bilaterale (13), Emicrania familiare con
vertigine ricorrente e tremore essenziale (14). Tali patologie sono
accomunate oltre che da una alterata funzione dei canali del
Ca++, anche dall’essere associate a: emicrania, sintomi neuro/otologici e in particolare vertigo ricorrente, e ad una spiccata risposta terapeutica all’acetazolamide (inibitore dell’anidrasi carbonica).
Nonostante i molteplici legami tra MdM ed emicrania sempre
più evidenti nella recente produzione scientifica, e in particolare di una loro plausibile correlazione patogenetica, pochi studi
sono stati condotti per razionalizzare una condotta terapeutica
che accomuni e colleghi le due patologie.
Il plausibile concatenamento fra i dati fin qui esposti – a) efficacia profilattica nella MdM provata solo per i diuretici (acetazolamide, e tiazidici, entrambi sulfonamidi); b) correlazioni fra
MdM ed emicrania/VE; c) efficacia terapeutica dell’acetazolamide nelle canalopatie del Ca++ – ci ha indotti a sperimentare
negli ultimi anni un inibitore dell’anidrasi carbonica, la diclofenamide, allo scopo di prevenire la ricorrenza della MdM e
della VE.
Materiali e metodo
Abbiamo inserito nel nostro protocollo terapeutico un gruppo di
25 pazienti con MdM, classificati secondo i criteri della AAO-HNS
1995 (1). Di questi, 9 sono stati seguiti per due anni, valutando
gli effetti della terapia fra il 18° e il 24° mese di follow up, secondo
quanto suggerito dalle linee guide AAO-HNS 1995 (Tab. 1). Gli
altri 16 pazienti sono stati seguiti per i primi sei mesi del protocollo terapeutico.
Un secondo gruppo di 7 pazienti affetti da VE, tutti con frequenza plurimensile, è stato classificato sia secondo i criteri di
Pagnini (15,16), che di Neuhauser (17) (Tab. 2).
La diclofenamide è stata somministrata in un range posologico
compreso tra 17.5 mg e 75 mg/die.
La posologia variava in tale range, così da consentire di raggiungere in ciascun paziente la massima efficacia terapeutica,
limitando al contempo la comparsa di effetti collaterali; inoltre ogni paziente veniva istruito nel rilevare, e prontamente riferire, i sintomi premonitori di una eventuale ripresa della malattia: comparsa di fullness, incremento dell’acufene, comparsa
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SPECIALE - Seconda Giornata Materana di Vestibologia
Giacinto Asprella Libonati - TERAPIA INTERCRITICA, TERAPIA MEDICA
Tabella 1 - Protocollo terapeutico con follow-up a due anni
N.
Sesso/età
Es: emicrania senza aura
Ea: emicrania con aura
Scala diagnostica
AAO-HNS 1995
Stadio
AAO.HNS 95
Baseline
FV/HT/FL/Fullness
18/24
FV/HT/FL/Fullness
Freq/Emicrania
(episodi/mese)
pre/post terapia
4/36/4/s
0/15/1/n
4/1
4/45/5/s
0/28/2/n
Posologia
1
F/35
M Es
definita
2
2
M/63
M bilaterale
definita
3
3
M/34
M
definita
1
0.5/25/3/s
0/10/1/n
4
M/35
M Ea
definita
4
1/80/4/s
0/10/1/n
5
F/65
M
definita
4
4/85/4/s
0/50/2/n
6
F/40
M Es
definita
3
4/61/4/s
0/50/1/<
7
F/54
M
definita
3
1/60/3/s
0/55/1/<
50 mg/die
8
F/52
M
definita
3
4/69/4/s
0,2/47,5/2/s
50 mg/die
9
M/58
M
definita
2
2/33/3/s
0/33/1/n
50 mg/die
50 mg/die
50 mg/die
50 mg/die
1/0
50 mg/die
50 mg/die
1/0.5
50 mg/die
Legenda:
FV/HT/FLS/Fullness baseline=pre-terapia. FV= frequenza degli episodi di vertigine. HT= soglia audiometrica. FLS= Functional Level Scale. Fullness: s=presente, n=assente,
<=ridotta
Tabella 2 - Classificazione della VE (Pagnini/Neuhauser)
N.
Sesso/età
Es: emicrania senza aura
Ea: emicrania con aura
Classificazione VE
* Pagnini
+ Neuheuser
Freq/emicrania
(episodi/mese)
pre/post terapia
Freq/vertigine
(episodi/mese)
pre/post terapia
Periodii
Posologia
mesi terapia
1
F/53
Es
* VEA concomitante
+ VED
3/0
3/0
persiste dizzness
2
25 mg/die
sospende per
depressione
2
F/36
Ea
* VEA concomitante
+ VED
2/0
1/0
3
25 mg/die
3
M/77
Ea
* VEE epigona
+VEP (VEEP)
––/––
4/0
normalizza ABR
e ny posiz
3
25/17,5 mg/die
4
F/40
Es
* VEE intercritica
+ VED (VEEP)
2/0
2/0
normalizza
ny posiz
3
50 mg/die
5
F/37
Ea
* VEE intercritica
+ VED
1
2
1 sett
sospende per
depressione
50 mg/die
6
F/34
Es
* VEA concomitante
+ VED
4/0
4/0
3
50 mg/die
7
F/30
Es
* VEA concomitante
+ VED
4/1
4/0
3
25 mg/die
Legenda:
* Pagnini VEA= Vertigine Emicranica Associata; VEE= Vertigine Emicranica Equivalente
+ Neuhauser VED= Vertigine Emicranica Definita; VEP= Vertigine Emicranica Probabile
e/o incremento della dizzness, al fine di modificare la posologia del farmaco, adattandola alla evoluzione temporale della
malattia, con aggiustamenti graduali di 17.5 mg (1/4-cpr).
Risultati
Nei 9 pazienti valutati con follow up a 2 anni, tra il 18° ed il
24° mese di osservazione, 8 non hanno accusato episodi ver-
tiginosi, il 9° ne ha comunque ridotto drasticamente la frequenza. In 3 pazienti che soffrivano anche di emicrania se ne
è ridotta la frequenza e la intensità degli attacchi. In 8 di tali
pazienti si è evidenziata, inoltre, una stabilizzazione e/o miglioramento della soglia uditiva. Tutti i pazienti valutati con la
Functional Level Scale AAO-HNS 1995 (FLS) presentano un
netto miglioramento della qualità di vita. Nei 16 pazienti osservati nel corso dei primi sei mesi di terapia, si registra ugual-
40
otoneurologia 2000 n. 18 - 2004
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
mente un miglioramento della sintomatologia in termini di
riduzione della frequenza degli attacchi vertiginosi, associata
a riduzione di quelli di emicrania in 4 soggetti che ne soffrivano contemporaneamente alla MdM. Ugualmente migliorate
erano le prestazioni quotidiane ed il livello di qualità di vita
valutati con la FLS. Due pazienti hanno dovuto sospendere il
trattamento per l’insorgenza di effetti collaterali.
Nei 7 pazienti con VE il follow up è stato di tre mesi. Sei pazienti
hanno diminuito la frequenza della VE, migliorando anche la
sintomatologia emicranica, sia in termini di frequenza che intensità degli attacchi. Due di questi 7 pazienti presentavano un
quadro sintomatologico di dizzness subcontinua, con crisi vertiginose posizionali, associate a ny up beating, che incrementava in Rose, e Dix-Hallpike (prevalentemente su di un lato).
Tale quadro poteva essere compatibile con una Vertigine Emicranica Episodica Posizionale (VEEP) (18). In uno di questi ultimi
pazienti coesisteva, a fronte di una normale soglia audiometrica bilaterale, un tracciato ABR parzialmente destrutturato, e
con latenza aumentata del complesso III-V. La sintomatologia
vertiginosa si è risolta in entrambi dopo terapia con diclofenamide, con scomparsa del ny e normalizzazione dell’ABR. Due
pazienti hanno dovuto sospendere la terapia per la comparsa di
effetti collaterali.
Considerazioni
Si potrebbe ipotizzare una azione della diclofenamide di stabilizzazione dei canali ionici del Ca++ attraverso una diminuzione
del pH a livello cerebrale/troncoencefalico e del labirinto (19,20).
Studi in vitro hanno dimostrato che la genesi del potenziale
transepiteliale a livello del sacco endolinfatico è altamente correlata con il sistema di trasporto acido/base e con l’anidrasi carbonica in particolare (21).
A fronte di scarsi effetti collaterali, che solo in una minoranza
di casi ci hanno costretto a sospendere la terapia, abbiamo
riscontrato una buona risposta terapeutica al nostro protocollo
con diclofenamide.
Tutti i pazienti hanno, nel periodo di osservazione, una ripresa
delle attività quotidiane e lavorative più che soddisfacente, e
una ottima compliance al nostro protocollo posologico adattabile alla variabilità temporale della sintomatologia.
In nessun paziente trattato con diclofenamide abbiamo trovato,
sinora, la necessità di indicare un trattamento farmacologico
trans-timpanico ablativo, o chirurgico.
Conclusioni
Gli stretti rapporti esistenti tra MdM, ed emicrania con VE, dimostrati da una rilevante produzione scientifica negli ultimi anni,
inducono a indagare tale possibile legame anche in campo terapeutico, aprendo la ricerca a terapie farmacologiche efficaci in
entrambe le patologie.
Il protocollo terapeutico da noi proposto, pur mostrando risultati incoraggianti nella prevenzione della MdM e della VE, necessita di una più ampia casistica con un più lungo follow up, che
ne possa dimostrare la effettiva validità.
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