Newsweek al re dell`hi-fi un dollaro per la salvezza

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Newsweek al re dell`hi-fi un dollaro per la salvezza
MARTEDÌ 3 AGOSTO 2010
@
LA STORIA
R2MONDO
PER SAPERNE DI PIÙ
www.newsweek.com
www.harmankardon.com
■ 31
Il “Washington Post” cede per una cifra simbolica lo storico settimanale
Sydney Harman promette di sanare i debiti e contenere i licenziamenti
La scheda
L’IMPRENDITORE
Sydney Harman, 91
anni, fondatore della
“Harman Kardon”
SCOOP MANCATO
I DEBITI
Newsweek nasce
a New York nel
1933, fondato da
Thomas Martyn
L’investimento fu
di 2,5 milioni di
dollari. Sulla
prima copertina,
sette fotografie
Newsweek è il
primo ad avere i
nastri delle
telefonate di
Monica Lewinski
che incastrano
Bill Clinton, ma
decide di non
pubblicarli
A maggio di
quest’anno la
società editrice
Washington Post
Company lo
mette in vendita:
il settimanale ha
70 milioni di
dollari di debiti
Newsweek al re dell’hi-fi
un dollaro per la salvezza
(segue dalla prima pagina)
VITTORIO ZUCCONI
ncor meglio dei quotidiani pur influenti
come il Post di Washington, il Times di
New York o il Wall
Street Journal, condannati al respiro corto del giorno dopo giorno, quei due periodici erano, come disse il più autorevole direttore di Newsweek, Ed Kosner, «il
momento nel quale la frammentazione dei fatti si ricomponeva in
un quadro riconoscibile e la realtà
tornava a sembrare razionale». In
parole meno tronfie: contano soltanto quelli che vi diciamo noi
che contano. Si poteva preferire
la coloritura più moderata e tradizionalista di Time, orgoglio della
famiglia Luce, apostoli frenetici
dell’anticomunismo nel dopoguerra, o il taglio più spregiudicato e progressista di Newsweek,
che fu il primo a scoprire e spingere il fenomeno dei Beatles («anche se musicalmente sono un obbrobrio» tromboneggiò il critico
musicale) ma entrambi offrivano
una piattaforma comune e sensata di discussione e di consenso.
Ma nel tempo della polverizzazione della notizia e della radicalizzazione dell’opinione partorito prima dall’avvento delle tv via
satellite e delle “all news
network” 24 ore al giorno per sette giorni e poi di Internet nelle sue
infinite articolazioni, la pretesa, o
la presunzione, di rappresentare
il Virgilio che guida il lettore nel
giorni del mondo ha condannato
Newsweeke sta erodendo anche il
concorrente Time, secondo il
principio del “simul stabant et si-
LE ORIGINI
A
Magra consolazione è vedere
come altre testate meno auguste,
come TV Guide, l’equivalente
americano di Tv Sorrisi e Canzoni
ha fatto la stessa fine, scaricato
per un dollaro, Business Week, un
tempo Bibbia indiscussa dell’informazione economica, è stato venduto per la più dignitosa,
ma sempre modestissima, som-
consorziocreativi.com
TUTTO QUELLO CHE SEI
PASSA PER LA MENTE.
ma di 5 milioni, mentre il Reader’s
Digest, organo ufficioso dell’americanità nel mondo, è da un
anno in bancarotta e in amministrazione controllata.
Ai detrattori di Newsweek, che
mai gli avevano perdonato il taglio “liberal”, troppo progressista
fin dagli anni della fiera opposizione alla guerra in Vietnam per
arrivare alla critiche pacate ma
forti di columinist come Fareed
Zakaria alle avventura bushiste in
Afghanistan e in Iraq, l’agonia
dell’odiato settimanale sembra la
campana a morto per l’informazione critica. Già circola il sospetto che la cessione all’industriale
degli altoparlanti e degli amplificatori, Harman, della HarmanKardon e soprattutto alla moglie,
la deputata della California Jane
Harman segnali la sua trasformazione in giornale di famiglia, piegato a interessi di partito extra
giornalistici, secondo criteri più
italiani che anglosassoni.
Ma più che una condanna alle
inclinazioni ideologiche, in verità
assai blande, del settimanale che
per primo scoprì gli amorazzi
clintoniani con la carnosa stagista, ma esitò a pubblicarli, la svendita di Newsweek a cifre da asta
giudiziaria marca un pietra miliare nella crisi del giornalismo pe-
La testata è stata
acquistata dal
91enne fondatore
dell’azienda di
casse acustiche
L’imprenditore
coprirà un passivo
di quasi 250 milioni
“Non toccheremo
i 328 giornalisti”
mul cadent”, insieme si reggeranno e insieme cadranno. Il settimanale del gruppo Washington
Post che nel 1990 vendeva 4 milioni di copie, nell’anno 2000 ancora diffondeva 3 milioni e 140
mila copie ogni lunedì, era crollato nel 2009 a un milione e 970mila, mentre il rivale scendeva nell’ultimo decennio da quasi 5 milioni a tre. Con il collasso delle
vendite e soprattutto degli abbonamenti, gli inserzionisti pubblicitari avevano cominciato a diradarsi, fino all’esodo scatenato
dalla grande crisi finanziaria ed
economica del 2008. Newsweek,
già gallina dalle uova d’oro, aveva
visto dimezzarsi gli introiti e
quindi raddoppiare le perdite.
Quattordici milioni in rosso nel
2008, 28 nel 2009, 50 previsti nell’anno in corso.
A questo punto, bandiera o
non bandiera, più che l’amore ha
potuto la fame, visto che neppure
la casa madre, il Washington Post
galleggia nei profitti. Il settimanale è stato messo in vendite e alla fine ceduto gratis — più i debiti
di ormai oltre 250 milioni — al solo compratore che avesse promesso di mantenere al lavoro i
328 giornalisti rimasti dopo le
inutili cure dimagranti degli scorsi anni.
riodico in generale. Mentre Time
perdeva un milione di copie,
Newsweek si dimezzava e veniva
gettato via dal proprietario pur di
scaricare i debiti, anche le testate
più popolari e senza altre pretese
che l’intrattenimento pettegolo
da parrucchiere o attesa del dentista precipitavano, People, Us
Weekly, Star. Vanno malissimo
anche i giornaletti più faziosi e di
nicchia, come il Weekly Standard
a destra, o Mother Jones per la sinistra alternativa e soltanto diete
radicali di spese e di personale li
tengono ancora precariamente
in vita. Trionfa, ormai a detrimento dei telegiornali generalisti
delle grandi network da anni in
collasso verticale di ascolti, il “fast food” della informazione via
Internet, blog, Facebook, Twitter,
di immediata e soprattutto gratuita digestione, mentre tutti gli
editori promettono di abbandonare la ricerca e produzione di
notizie accertate e di scoop in favore di opinioni e basta. Una
scommessa disperata, per chi ricorda un monito celebre nelle redazioni che anche il mondo di Internet potrebbe meditare: «Le
opinioni sono come il sedere.
Tutti ne abbiamo uno, ma non è
detto che interessi agli altri».
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