pietro albano, giovane freestyler veronese, è

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pietro albano, giovane freestyler veronese, è
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PIETRO ALBANO, GIOVANE FREESTYLER VERONESE, È
SCAPPATO DAL GELIDO FEBBRAIO MILANESE, CITTÀ IN CUI
STA FREQUENTANDO LʼUNIVERSITÀ, PER RAGGIUNGERE
GOLLITO&CO. NELLE VENTOSA ISLA MARGARITA IN
VENUEZELA INSIEME AD UN GRUPPO DI SUOI AMICI. MANOVRE
FREESTYLE FINO ALLO SFINIMENTO, ANCHE SE LO SPOT
PRESENTA QUALCHE DIFFICOLTÀ.
“Ma chi me l’ha fatto fare…?”: questo è quello che mi chiedevo una gelida serata di fine
gennaio quando alle 11 e mezza di sera uscivo dalla biblioteca dell’università a Milano,
in bici e sotto una fitta nevicata. Ho passato praticamente tutta la sessione d’esami
invernale a farmi questa domanda. Il mio dubbio si faceva sempre più concreto ogni
qual volta accendevo il computer e vedevo qualche video di windsurf, di cui ero in
astinenza ,visto che la mia ultima uscita risaliva a metà ottobre… Quando per un mese e
mezzo non fai altro che studiare dalla mattina alla sera e l’unico momento di creatività
è nel prepararti la cena, beh lì capisci di quanto hai bisogno di cambiare aria e
soprattutto di fare windsurf… ne va della tua salute mentale.
Così mentre cercavo di preparare 4 esami per metà febbraio non sapendo se li avrei
passati, compromettendo una mia possibile migrazione al caldo, ho iniziato a curiosare
su internet su qualche possibile meta ventosa e soprattutto cercare qualcuno con cui
andare. La svolta è avvenuta nella prima decade di febbraio quando ho sentito Jacopo
Testa su Facebook con cui avevo già abbozzato molto vagamente per il Sud Africa. Dopo
averlo maledetto più volte come consuetudine mi scrive: “Andiamo a Margarita, El
Yaque!”. Alquanto stupito per questo cambio repentino di programma, scopro che il
progetto era già largamente avviato e dentro oltre a Japo, c’erano già altri tre amici
come Paolo Bacchini, Nicola Terenzi e Andrea Melis (che purtroppo alla fine non è
potuto venire) più un quarto, Francesco Corti, che non conoscevo; così senza pensarci
due volte mi ci sono buttato anch’io.
L’isola di Margarita è la più grande del Venezuela e soprattutto la più turistica. Si trova a
40 chilometri a nord-est dalle coste venezuelane. L’isola è situata nel mar dei Caraibi
anche se in alcune spiagge il colore dell’acqua è abbastanza sul marrone. La nostra
meta era la Playa di El Yaque, casa di un certo Gollito Estredo. Nei mesi “secchi”, da
gennaio a maggio l’isola è battuta costantemente dall’Aliseo e a El Yaque rinforza grazie
a un effetto termico. Sono partito il 23 febbraio con Paolo e Francesco, con rientro per il
17 marzo; Jacopo invece ci avrebbe raggiunto una settimana dopo (il poveretto aveva
posticipato il suo ritorno dal Brasile).
La compagnia con cui abbiamo volato è stata Ibera, con partenza da Milano e arrivo a
Caracas con scalo a Madrid. Il volo è abbastanza economico e il trasporto attrezzatura
lo fanno pagare 150 euro a tratta; almeno potevamo portare fino a 50 kg!
Per arrivare a Margarita poi c’è bisogno di un altro volo da Caracas, che abbiamo
prenotato con una certa fatica: sui vari siti di agenzie in Internet si trovano, ma costano
il quadruplo di quello che paghi comprandolo dal Venezuela. Così curiosando su qualche
forum ho trovato il contatto di una italiana che lavorava per un’agenzia di viaggi a
Margarita ed è stata lei a comprarci il biglietto risparmiando circa 150 euro.
Comunque sia per quanto riguarda il volo spendendo qualcosina in più c’è la possibilità
di comprare un volo unico per Margarita senza dover passare la notte a Caracas, come
avremmo dovuto fare noi. Gasati come pochi, a 2 giorni alla partenza mancava un
dettaglio abbastanza importante: dove avremmo dormito? Andrea si era informato e
aveva trovato una specie di pousada molto economica. Così abbiamo scritto al padrone,
un certo Josè, che ci ha offerto un appartamento per 3- 4 persone alla modesta cifra di
680 dollari al mese. Perfetto, risolto anche questo ho iniziato a preparare la sacca da
viaggio del windsurf e riempire le vele di adesivi visto che erano tutte bucate (forse
TESTO E FOTO DI Pietro Albano
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Pietro Albano in e-slider one hand.
sarebbe stato meglio ripararle un po’ prima): mi sono portato 3 vele, 4.2, 4.7 e 5.3 e il
100 litri freestyle che per i miei 78 kili vanno bene un po’ in ogni situazione. Comunque
alla fine le vele che ho usato di più sono state la 5.3 e la 4.7.
Arrivati a Caracas ci siamo trovati davanti subito ad una brutta sorpresa: le sacche da
windsurf di Paolo e Francesco non erano arrivate mentre per fortuna la mia c’era. Usciti
dal “ritiro bagagli” siamo stati letteralmente assaliti da una marea di uomini: chi ci
voleva aiutare a portare i bagagli ovviamente in cambio di soldi, chi sembrava essere un
poliziotto ma non lo era, chi ci faceva strani segni ma soprattutto moltissimi che ci
volevano cambiare i soldi.
In Venezuela la moneta attuale è il Bolivar, che vale circa 5- 6 volte un euro se li si
cambia in qualunque sportello di cambio o banca (anche se il ritiro dei soldi dal
bancomat non è consigliato visti gli innumerevoli casi di clonazione). Questi tizi in
aeroporto, ma che puoi trovare un po’ ovunque in Venezuela, invece ci proponevano un
cambio in nero di cui ovviamente eravamo a conoscenza e su cui speravamo: un Euro lo
scambiano a 10-11 Bolivar!!!
Il rischio di fregatura non è da sottovalutare, così abbiamo cambiato una piccola
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Gollito in air chachoo con un
prototipo a 4 stecche, la nuova
vela freestyle di North Sails.
somma, prima di trovare qualcuno a Margarita di
affidabilità maggiore e con cui cambiare più soldi.
Fatto anche questo, per fortuna dopo qualche minuto
abbiamo trovato l’autista dell’hotel che ci ha portato sani
e salvi a destinazione.
Il tasso di umidità in quel di Caracas è veramente elevato,
e dopo 9 ore di aereo non si riesce proprio a sopportare;
ovviamente la nostra camera d’albergo non ne era
risparmiata. All’alba ci hanno riportati in aeroporto e alle
8 e mezza eravamo già sull’aereo per Margarita: nota
positiva è stato il costo di 9 euro del trasporto
attrezzatura. Abbastanza traumatico invece era
camminare in aeroporto: la puzza di fritto era ovunque e
vedere tutti questi venezuelani fare colazione con
impanadas ripiene di formaggio o pollo, ricoperte di ogni
tipo di salsa ti fa capire che sei proprio dall’altra parte
del mondo. Ovviamente anche io ho provato questo tipo di
menu , ma direi che non è stata una grande mossa.
Con lo stomaco sottosopra alle 10 siamo atterrati a
Margarita finalmente. Vento e sole non mancavano e per
fortuna ancora una volta neanche i miei bagagli.
L’aeroporto non è molto distante da El Yaque così in 10
minuti di taxi eravamo già sullo spot e senza molta fatica
abbiamo trovato il nostro appartamento situato più
nell’entroterra. La Playa nel suo complesso non è molto
grande ed è concentrata per la maggior parte lungo i 600
metri di spiaggia dove palme e piccoli bar/ristorantini si
miscelano in un cocktail caraibico a cui fa da cornice il
sound tipicamente latino. Sempre sulla spiaggia ci sono
tutte le scuole di windsurf dietro le cui si ergono tutti i
principali hotel. Sulla strada invece che costeggia la
spiaggia alle spalle degli hotel, oltre ad altri ristoranti si
possono trovare anche qualche negozio di alimentari con
lo stretto necessario e qualche negozietto surf style. Oltre
la strada verso l’interno, si trovano diverse case che è
possibile affittare. Visti i circa 400 metri che separavano
il mare a casa nostra dopo una breve ricerca abbiamo
deciso quale sarebbe stato il nostro rimessaggio: era
una piccola scuola affianco ad un hotel e al ristorante
che si è rivelato uno dei migliori della spiaggia, lo
“Sharks”. Per il rimessaggio dell’attrezzatura ci hanno
chiesto 25 dollari a settimana e di fianco alle nostre vele
teneva le proprie Gollito!
Ok, adesso è arrivato il momento di entrare in acqua. Lo
stesso giorno di arrivo, dopo pranzo il vento si faceva già
sentire: ho montato subito la 4.7 e sono entrato in acqua.
A El Yaque il vento è side shore e si esce mure a sinistra;
sopravento ci sono 100 metri di Kite Zone, mentre
sottovento il mare è del tutto adibito al windsurf. Devo
dire la verità: i 4 mesi di non windsurf si facevano
sentire, ma l’acqua calda e gli shorts aiutavano a
superare il trauma di non chiudere nessuna manovra. La
prima impressione che dà lo spot non è molto positiva:
anche se l’affollamento non è particolarmente intenso
come per esempio sul Garda, la quantità di chop è
notevole. Mure a sinistra è quasi impossibile fare
qualche manovra o mettersi in switch con quell’acqua
che sembra bollire, a destra anche se nell’inside e
davanti alla spiaggia tra i bagnanti il chop si regolarizza,
il vento rafficato rende abbastanza difficile il tutto.
Un particolare apprezzabile invece è che si tocca fino a
200 metri da riva.
Comunque sia una volta che ci prendi la mano le session
diventano divertenti; anzi, mure a sinistra per chi vuole
imparare la shaka direi che è il posto ideale. Poi è
praticamente sempre presente uno “swell” di mezzo
metro che in alcuni giorni arrivava anche al metro.
L’onda non rompe dappertutto ma comunque sia è il top
del divertimento: air flaka, ponch, shaka e chi più ne ha
più ne metta. Molti pomeriggi per esempio, li passavamo
a fare a gara per chi faceva la shaka più alta (quelli
erano i nostri “shaka day”). Ora ho capito il perché dello
stile sempre imprevedibile e impulsivo di Gollito: qui non
si impara a fare i passaggi o a spinnare le manovre, qui
si impara a manovrare ignorantemente tra i bagnanti e a
saltare mixando salti tipo backloop ecc, alle new move
ma fatte sempre a 3 metri dal pelo dell’acqua.
Aprendo una parentesi su Gollito, purtroppo vedendolo
fuori dall’acqua bisogna ammettere che oggettivamente è
proprio tamarro: non so quante volte l’ho visto
sgommare con il suo pick-up per strada e presentarsi in
spiaggia pieno di cianfrusaglie attaccate al collo e
occhiali stile Kanye West. Ma a parte queste poco
importanti apparenze, in acqua non c’è storia. Appena
rientrato da un infortunio al braccio manovrava già con i
prototipi 2013 e si vedeva comunque che quella era casa
sua: faceva le manovre sul bagnasciuga in mezzo a
decine di persone che più di tanto non sembravano
curarsene, e nei salti era veramente imbarazzante. Da
notare che in acqua stava veramente poco: la massima
durata di una sua session sarà stata di un’ora senza
contare che molti giorni ventosi neanche usciva!
Ritornando a noi, la zona in cui l’ondina si fa un po’ più
verticale e rompe è proprio al limite sopravento della
zona kite, dove l’acqua non supera il mezzo metro
d’altezza; inoltre verso riva si può trovare qualche zona
da considerarsi più flat che sottovento, e nonostante il
vento rimanga abbastanza rafficato la situazione è più
che accettabile.
È bastato osservare 5 minuti Gollito come aspettava il set
giusto a riva per poi lanciarsi in aria in mezzo ai kite, per
capire un po’ come funzionasse.
Quasi 2 chilometri sottovento alla spiaggia di El Yaque si
trova una baia in cui una lingua di terra e l’acqua molto
bassa ovunque rende l’acqua completamente flat: è qui
che molte parti del famoso video di 3 anni fa di
Paskowski “two for ten” è stato girato. All’andata in
down wind ci si arriva abbastanza velocemente, ma al
ritorno per risalire fino alla playa ci si impiega minimo
mezz’ora. Unico neo di questo spot è la puzza di fogna e
il fondale che non è piacevole toccare con i piedi: gira
voce che qui convergono i vari scarichi di El Yaque cosa
che ti sprona ancora di più a chiudere ogni manovra in
piedi! Ormai i giorni passavano e noi lentamente
avevamo preso il ritmo venezuelano: la mattina ci
svegliavamo con calma verso le 9-10 (anche se poteva
variare di molto in rapporto alla serata passata) e dopo
una sostanziale colazione c’era abbastanza tempo per
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un buon libro o qualche esercizio di stretching prima
che entrasse vento .Poche volte mi è capitato di uscire
anche la mattina, visto che di solito il vento rinforza
intorno alle 12-13 per poi durare fino alle 17-18.
Conviene pranzare verso le 11:30, e mettersi abbastanza
energia in corpo per resistere tutto il pomeriggio in
acqua; secondo me il top era proprio l’orario di pranzo
quando il vento aveva appena rinforzato e in acqua c’era
ancora poca gente. Idem per il tramonto, quando si era
gli unici in acqua e si prendevano le ultime raffiche e la
musica dei vari locali sulla spiaggia che ti
accompagnava nei trick! Ovviamente usciti dall’acqua
non poteva mancare una buona birra o una Caipirinha
sulla sdraio ormai quasi col buio…
“Bacco” sfiora il kiter.
La sera molto spesso mangiavamo a casa, ma non ci
siamo fatti mancare qualche cena nei ristorantini sulla
spiaggia: i prezzi variano dai 7 ai 15 euro e si mangiano
degli ottimi piatti di carne o di pesce fresco pescato il
giorno stesso. Per quanto riguarda il dopo cena El Yaque
non offre molto oltre ai locali sulla spiaggia dove fanno
ottimi cocktail a prezzi irrisori. Qui la musica inizia
intorno alle 9 di sera per cui le serate non finiscono mai
molto tardi come siamo abituati qui in Italia; 3-4 sere a
settimana qualche localino prolunga la musica fino a
tardi trasformandosi in mini discoteca, oppure ci si
poteva spostare sulla strada interna dove si trova il
“Piratas”, che la possiamo definire la discoteca di El
Yaque. Le settimane in cui invece la festa è giorno e notte
sono quelle di carnevale e la settimana santa a Pasqua.
Rispetto al resto del paese il livello di sicurezza a
Margarita è più alto essendo per lo più una meta
turistica, ma bisogna sempre essere consapevoli di
essere in Venezuela e la criminalità è frequente, a partire
dalle forze dell’ordine, i Guardia National.
Comunque sia i giorni migliori in cui c’è un po’ di più
movimento notturno vanno dal venerdì al sabato, mentre
i restanti giorni si va a letto relativamente presto. Nei
week end la spiaggia si popola e si fa quasi fatica ad
entrare in acqua con il windsurf per il numero di
persone sulla sabbia. La cosa che colpisce di più è che
ogni gruppetino di persone nella playa ha il proprio kit
privato da cocktail, composto da svariate bottiglie di Rum
e di Coca-Cola e il sacco pieno di ghiaccio.
Già dalla mattina tutti i Venezuelani iniziano a bere e il
culmine si ha nel pomeriggio al tramonto quando c’è il
delirio sulla spiaggia ed è impossibile non farsi
trascinare nella festa! Arrivato alla fine della mia
permanenza con qualche manovra in più e mille nuove
esperienze di vita, potrei definire questo posto una
perfetta palestra per il windsurf. Qui si può trovare il
giusto compromesso tra sport, relax e divertimento,
visitando un paese che ha stili e cultura molto differenti
dall’Europa ma grazie al calore e l’allegria della gente,
entri a farne parte fin da subito.