Crisi e possibilità

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Crisi e possibilità
Crisi dei giovani e sfiducia nei contesti locali di appartenenza. Un approccio di psicologia
ecologica.
Caterina Arcidiacono°, Immacolata Di Napoli°°
° Prof. Psicologia sociale e di comunità,Università Federico II, Napoli
°° PhD, Psicologa, Università Federico II, Napoli
L’incalzare degli eventi connessi alle incertezze individuali, all’impossibilità di distinguere tra
transizione, mutamento e situazioni regressive, impongono alle persone attente riflessioni ed
irrimandabili ricerche di punti di riferimento stabili e di osservazioni congruenti
(Roberto Gentile,1983)
La crisi è la rottura di un ordine, ma spesso è l’ espressione di ciò che nell’ordine era senza ordine:
rifiutato, negato, obsoleto, in eccesso rispetto alle esigenze primarie. Stato temporaneo di
turbamento e di disorganizzazione, alimentato dalla incapacità dell’individuo a far fronte ad una
particolare situazione in cui i suoi abituali mezzi di risoluzione dei problemi risultano essere
inadeguati. Essa è ciò che non ha legittimità per esistere ed è, pertanto, perfino non pensato: sia esso
desiderio inconcepibile, sia angoscia preoccupante, irrapresentabile. La crisi, si colloca come
momento del cambiamento, della morte e della malattia sia a livello intrapsichico, sia
interrelazionale, sia sociale. Essa è tuttavia anche il momento della vita. In tedesco Scheide è
vagina, luogo dell’incontro, del piacere, della nascita, ma sulla stessa radice si inscrive Scheidung
separazione, rottura. Si definisce così, crisi lo stato in cui la morte può essere vista come vita e
quest’ultima prospettata come risposta al timore di morte.
Essa è laddove i due termini esprimono la piena realizzazione dei desideri e dei progetti
dell’individuo o la totale impossibilità alla loro realizzazione. Pertanto, dalla premessa che vita e
morte, crisi e cambiamento sono dal punto di vista epistemologico inscindibilmente interconnessi, il
presente contributo intende esaminare come gli elementi di crisi s’inscrivono nel rapporto che
l’individuo ha con il tempo passato, presente e futuro, non tanto in relazione alla vita psichica, ma
nella vita collettiva in relazione alla propria iscrizione in identità collettive o nella possibilità di
costruzione del futuro.
Quando al termine crisi è attribuita un’accezione negativa, diventa evento inusuale, pericoloso,
portatore di svantaggi e/o difficoltà. Un’analisi più attenta del termine greco κριειν, indica che per
crisi vada intesa un’occasione per scegliere, una potenziale opportunità di cambiamento.
La crisi, pertanto, comporta una ricostruzione delle risorse di cui il soggetto dispone a livello
individuale e sociale; in un approccio ecologico, vuol dire uscire da una prospettiva centrata sul
singolo, in cui la riorganizzazione delle risorse parte dalla sola considerazione delle modalità
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individuali di far fronte allo stress, tratti di personalità e resilience, allargando lo sguardo alle
interazioni tra il soggetto, il suo spazio di vita, le forme da cui quest’ultimo è costituito e il modo
con cui esso è percepito.(Lewin, 1953).
Lo sguardo al contesto nella prospettiva ecologica: come affrontare la crisi
La psicologia di comunità propone di leggere la crisi tenendo come punti fermi per la nostra
disamina: lo spazio di vita, ovvero la persona e l’ambiente psicologico, così come viene visto dalla
stessa; la molteplicità di processi che si svolgono entro il mondo fisico e sociale e che non
influiscono sullo spazio di vita del soggetto in quel dato momento; ed, infine, una zona di confine
dello spazio di vita, quale parte del mondo fisico o sociale che influisce sullo stato dello spazio di
vita in quel dato momento.
Nella prospettiva ecologica il focus è sulle dimensioni psicologiche delle interazioni dell’individuo
con il contesto; più esattamente la conoscenza e lo studio sono centrati sulla interazione tra fattori
sociali, economici, ambientali, individuali e relazionali che inibiscono e favoriscono il benessere
individuale nell’interazione con i processi locali e che ne determinano in maniera significativa
l’evoluzione. L’approccio ecologico si caratterizza nell’esaminare le interazioni tra tre specifici
livelli: il contesto comunitario, le reti sociali e le caratteristiche personali e del gruppo considerato.
Il presupposto teorico del modello ecologico è quello di agire, a partire dalle risorse disponibili,
tenendo conto delle diverse forze del sistema che possono facilitare e al contempo ostacolare le
evoluzioni dello stesso. In un’ottica empowerizzante, suo scopo è l’individuazione dei punti di forza
e di debolezza e la disponibilità dei contatti all’interno dei diversi contesti di appartenenza (Garcia,
2007)
In un approccio ecologico la categoria fondate il rapporto tra individuo e contesto è il potere
declinato come opportunità e forze che agiscono per l’individuo, che lo opprimono, che sono a sua
disposizione come risorse. (Fisher, 2007; Cristens, & Perkins, 2008; Prilleltensky, 2008)
GIOVANI E CONTESTO LOCALE: CRISI O OPPORTUNITÀ?
Si vuole qui proporre una lettura del rapporto tra soggetto e contesti locali di appartenenza,
considerando le condizioni che generano crisi e situazioni di stallo nella progettazione dei giovani
cittadini rispetto ai propri contesti di vita. Ci si vuole interrogare sulle azione trasformativa nel
contesto sociale al fine di migliorare le condizioni di vita degli individui e delle organizzazioni,
rilevando i punti di forza e di debolezza funzionali al benessere individuale e collettivo, oltre che
favorire processi di partecipazione e sviluppo locale per una finalità empowerizzante.
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Armstrong (2000) ha per primo proposto l’esame dei contesti sociali in virtù di quattro categorie:
forze, debolezze, opportunità e minacce. Il suo modello, SWOT Analysis dall’ acronimo inglese, è
largamente usato nelle scienze economiche per la valutazione dei contesti sociali e organizzativi;
tuttavia in psicologia (Arcidiacono 1990) esso viene ugualmente utilizzato nell’analisi dei fattori
che ineriscono il rapporto degli individui nei contesti di vita e la definizione degli strumenti per
migliorare tale interazione.
Le riflessioni che proponiamo sono il frutto di studi e ricerche condotte nelle comunità territoriali
campane (Arcidiacono, Sommantico, & Procentese, 2001; Arcidiacono, Procentese, & Di Napoli,
2007) per esplorare il legame tra giovani e comunità locali di appartenenza, rispetto al livello di
connessione emotiva, al senso di opportunità e di progettualità percepite in esse di giovani di età
compresa tra 18 e 34 anni, fascia di età che corrisponde ai parametri indicati in Italia dal Rapporto
IARD del 2000 per individuare i giovani e i cosiddetti giovani adulti.
L’interesse per i giovani campani si inserisce nel più ampio discorso sulla transizione all’età adulta
che in questo particolare momento storico si configura sempre più caratterizzata dalla precarietà e
dalla possibile condizione di vulnerabilità in cui i giovani, sempre più spesso, possono imbattersi,
dando luogo a ciò che Dogana (2002) definisce identità lieve.
Il contesto locale, quale nicchia dove le discrepanze tra sé reali e sé possibili trovano sia espressioni
che utili risorse per poter essere risolte, è il luogo di incontro e negoziazione di specifici significati
che orientano la formazione di nuove identità emergenti (Clausen, 1995; Rutter, 1996) dei giovani.
L’interesse dei nostri lavori è stato quello di indagare come la comunità territoriale viene ad essere
percepita dai giovani cittadini, se come risorsa o come attivatrice di crisi nella prospettiva futura.
Approfondire il ruolo della comunità di appartenenza nasce dall’esigenza di superare le
semplicistiche rappresentazioni del contesto di appartenenza dei giovani inteso come una sorta di
madre simbolica che non ha sufficiente nutrimento per i propri figli e che li costringe a cercare
fortuna altrove (Carli, 2002).
Il ruolo del contesto locale: senso di oppressione, di potere e di benessere percepito
Dal lavoro di lettura ed interpretazione del materiale testuale raccolto nelle ricerche finora condotte,
secondo il metodo di analisi sistematica suggerito dall’approccio della Grounded Theory (Strauss,
& Corbin, 1990), è emerso quale dato, sempre presente ed interessante, la presenza costante di una
forma di legame ambivalente (Arcidiacono, 2001, 2004); dato dalla contrapposizione di un forte
senso di appartenenza al luogo e l’assenza di fiducia verso la propria progettualità futura nei propri
contesti di appartenenza.
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Nello specifico, l’appartenenza ambivalente si caratterizza per un legame al contesto che assume,
valenze differenti in relazione al tempo di riferimento: rispetto al passato si avverte un forte senso
di appartenenza alla comunità locale, che sembra radicarsi nel legame affettivo con famiglia ed
amici; nel riconoscimento e nella sedimentazione delle feste religiose e pagane, considerate quale
memoria delle tradizioni e dei valori propri della propria comunità locale; nel senso di integrazione
con gli altri abitanti e nel rispecchiamento nelle abitudini di quest’ultimi; rispetto al presente si
legge l’insoddisfazione e il risentimento per l’assenza di luoghi riconosciuti di appartenenza
collettiva ad esempio piazze o altri specifici luoghi , ciò a causa della cattiva gestione da parte delle
autorità e il fallimento dei progetti atti a riqualificare il territorio; scuola ed contesti religiosi
(parrocchia) vengono, invece, più spesso riconosciuti come luoghi distintivi della propria comunità
territoriale; rispetto al futuro si legge, infine, la scarsa fiducia che porta i giovani intervistati ad
immaginarsi per la loro realizzazione lavorativa altrove, poiché il proprio paese non offre
opportunità (Arcidiacono, Di Napoli, 2008).
Gli intervistati presentano un intreccio tra risorse locali e prospettive globali, tra memorie e
competenze del passato insieme a potenzialità della comunità per affrontare il futuro, solo intraviste
e non attualizzate.
Ilaria una giovane psicologa che vive in un comune alle pendici del Vesuvio così descrive il suo
paese:
Il piccolo spazio crea sicurezza e appartenenza, ma a volte soffoca........è vero che forse non vivrei bene in città ma a
volte desidero un po’ di sana anomia che protegga dalla cultura dell’inciucio e del pettegolezzo, dove alcune persone
sanno già cosa ti succede prima che lo sappia tu stesso e dove è difficile liberarsi dei pregiudizi giusti o falsi che siano.
Mi piacerebbe poi che s’incominciasse e guardare un po’ più da vicino i problemi senza pensare che “i panni sporchi si
lavano in famiglia” per cui è bene che le difficoltà restino nascoste così che tutti continuano a pensare che nel nostro
paese sono inutili i servizi e i progetti nel sociale perchè i problemi non ci sono! (in Arcidiacono 2006).
Alla presenza di questa forma di legame ambivalente è attribuibile la percezione di una impotente e
dolorosa contrapposizione tra vissuti di appartenenza ed impossibilità di realizzarsi nel contesto
locale che genera uno stato di crisi e di stallo nei giovani campani.
Dalle parole degli intervistati, nel rapporto con il territorio sembra focale la ricerca del potere inteso
come opportunità positiva, fonte di ricchezza. Nel lavoro di rilettura di alcune ricerche secondo il
modello ecologico prima citato è emerso che per i giovani da noi intervistati a Napoli e Provincia
rispetto al rapporto con i luoghi sia fondamentale la categoria dell’opportunità. Il luogo di
riferimento che viene ritenuto di maggior pregio ed interesse è quello in grado di fornire opportunità
(Arcidiacono et al, 2007). Per i più piccoli (età media 21 anni) si tratta in particolare di opportunità
di incontro, per i più grandi (range 20-35 anni; età media 23,5; mediana 22) opportunità nel senso
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più lato: divertimento, lavoro, formazione mirata (Sarnacchiaro, Di Napoli, & Arcidiacono, 2008). I
luoghi di vita acquistano per i giovani pregio ed interesse in virtù delle opportunità che possono
offrire. La dimensione “possibilità di opportunità “ è criterio fondante la qualità della vita nei
contesti giovanili.
In questa prospettiva di attenzione alla valutazione del contesto locale in termini di possibilità di
progettualità personali e per la comunità locale qui vogliamo riportare anche quanto emerso in un
focus group realizzato durante un’esperienza didattica con trenta studenti di psicologia residenti a
Napoli e in comuni della Campania che ha avuto quale finalità la discussione sul tema del senso di
oppressione, potere e benessere percepito nei propri contesti di vita.
L’attenzione degli studenti si è catalizzata sul senso di insicurezza percepito nei propri contesti di
vita dove la microcriminalità come affermato da una studentessa che vive al centro di Napoli “non
consente di spostarsi”. La conseguente paura genera una sensazione di immobilità e di impossibilità
e l’esigenza di dirigersi altrove per poter vivere e realizzarsi nella sensazione di sicurezza. È questa
sensazione di immobilismo sembra, come riferiscono gli stessi studenti con l’affermazione “spesso
ci si assuefa”, suscitare uno stato di crisi data dalla difficoltà e dalla sfiducia a vedersi in maniera
differente all’interno del proprio contesto di vita. All’assenza di controllo nella comunità territoriale
si contrappone una chiusura difensiva e ipercontrollante del sistema familiare, che diviene l’unico
sistema relazionale sicuro per i giovani studenti. È in siffatta situazione che si genera un impasse
nella generazione dei giovani adulti, i quali sentono di voler tendere ed esplorare la comunità
sociale e si ritrovano, invece, a dover rientrare nel mondo familiare, che diviene come descritto nel
nostro lavoro (Arcidiacono, Procentese, & Di Napoli, 2007) sia risorsa, ma al contempo anche
vincolo.
L’appartenenza ad un “ingroup scelto”, quale in questo contesto quello familiare, assume spesso,
forme totalizzanti soverchiando dimensioni personali e impedendo ogni modulazione opzionale
connessa a contesti e situazioni; si intende, provocatoriamente, denominare tale fenomeno
dipendenza identitaria, inserendolo nel quadro delle dipendenze per i vissuti di necessità e
imprescindibilità che lo connotano. In tal senso l’appartenenza diventa un modo per sfuggire la crisi
e difendersi dal cambiamento, ripiegando nel privato, privilegiando l’area della “socialità ristretta”
(Arcidiacono, 2008). “ L’incertezza sul proprio futuro e la difficoltà di costruire un progetto di vita
si riflettono sulle abitudini e i modi di vita delle giovani generazioni. Di fronte a un mondo poco
decifrabile e non controllabile la reazione più diffusa è rifugiarsi nella più ristretta cerchia degli
amici e dei familiari. Da qui derivano l’indifferenza o il disinteresse verso la collettività e le
istituzioni, la chiusura vero gli estranei, ma anche la voglia di stordirsi, di divertirsi, di ampliare le
proprie esperienze di vivere intensamente l’oggi” (de Lillo, 2007).
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Anche secondo l’ultimo rapporto Iard (2007) dalla lettura dei problemi dei giovani emerge una
alleanza pregante tra giovani e famiglia in casa, ma allo stesso tempo un conflitto sociale tra giovani
e adulti. Infatti, tutto il sostegno che il giovane riceve dalla famiglia, si sconta sul piano sociale con
l’impossibilità ad accedere a spazi sociali di lavoro e riconoscimento, saldamente tenuti in mano
dalle generazioni più adulte.
Appare interessante ritrovare nelle testimonianza dei giovani studenti la difficoltà di passare dal
senso di oppressione al senso di potere e benessere percepito nei propri contesti locali, ciò sembra
ancora una volta sottolineare la difficoltà
di trovare nei propri contesti di appartenenza la
percezione di possibilità.
Le caratterizzazioni soggettive che i nostri intervistati esplicitano sono lette dal rapporto IARD
nell’ambito di variabili socioculturali più complesse. Secondo Grassi, esperto Iard, (2008),
nell’attuale scenario globale il bagaglio dei giovani si compone della capacità di saper raggiungere
le informazioni, saper gestire le emozioni e le informazioni. Pertanto, strumenti di forza sono la
localizzazione di partenza (nel senso di maggiore o minore vicinanza ai luoghi delle decisioni), il
possesso di conoscenze tecnologiche e comunicative (inglese e informatica di base). Sono questi i
mezzi per l’accesso al mercato delle opportunità, di cui nelle realtà del Sud c’è non sufficiente
consapevolezza.
La crisi come assenza di un’aspettativa positiva nei confronti del proprio contesto locale
La situazione di stallo e di appartenenze ambivalenti,rilevate tra i giovani da noi intervistati
(Arcidiacono, 2001) ha aperto lo sguardo alla mancanza di fiducia e speranza verso il proprio
contesto locale. Nella risoluzione della crisi, il focus attivatore di cambiamento risiede invece, nel
valore che il legame porta in sé come promotore di valori quali fede, speranza e uguaglianza con gli
altri (Cigoli, 1999).
Si vuole così offrire una digressione sulla definizione e valore che la fiducia sociale ha assunto nei
nostri lavori di studio e di ricerca sul campo.
La fiducia assurge quale elemento trasversale in differenti contesti di studio e di ricerca, ed è
interessante, quanto essa sia ritenuta centrale nella promozione e tutela dello stato di salute delle
comunità siano esse territoriali che di interesse.
Ripercorrendo la letteratura sociopsicologica attraverso le pubblicazioni degli ultimi decenni, la
fiducia si caratterizza come chiave di lettura centrale per la prevenzione alla salute (Public Health;
Social Science & Medicine; Health and Place; Health Policy; American Journal of Preventive
Medicine); nella promozione di forme di cittadinanza attiva (Social Networks; Government
Information Quarterly), nell’ambito delle comunità di interesse (Journal of Business Research;
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Decision Support Systems; World Development; Industrial Marketing Management; The
Leadership Quarterly; Accounting Forum; Journal of Economic Psychology; Int. J. HumanComputer Studies) nell’ambito delle relazioni interpersonali (Journal of Experimental Social
Psychology).
La fiducia è al contempo fattore indipendente che induce e condiziona azioni individuali e sociali e
fattore dipendente che deriva da altre variabili: “la fiducia, infatti, rappresenta un tassello
intermedio tra rappresentazioni, percezioni, sistemi di credenze, attese, priorità valoriali da una
parte e la partecipazione alla vita pubblica, l’impegno, l’affezione (o disaffezione) alla res publica,
dall’altra”.
Sistemi di credenze
Rappresentazioni
Percezioni
Fiducia
Riferimenti valoriali
Partecipazione
Impegno
Affezione/Disaffezione
Alla res pubblica
Attese
(Bazzanella et al, 2007)
A partire da qualsiasi prospettiva si voglia scegliere, percorrendo idealmente il modello ecologico
presentato da Bronfrenbrenner, appare interessante come la fiducia rappresenti nell’immaginario di
tutti i ricercatori un filo conduttore che collega e attraversa i sistemi dell’ambiente ecologico
tracciato dall’autore. Essa, infatti, è presente ad un livello di microsistema quale valore che
caratterizza la relazione tra il soggetto e coloro con cui è in stretto contatto; ad un mesolivello è
nella relazione tra i diversi sistemi in cui il soggetto interagisce: relazioni del singolo con i cittadini
e con le istituzioni; ad un eso e macro sistema si esprime verso i sistemi con cui il soggetto entra in
contatto solo indirettamente.
È in questa prospettiva multilivello possiamo collocare il pensiero di Putnam (1995), rispetto alle
comunità locali, quando individua la fiducia rispetto agli altri concittadini, la fiducia nelle pubbliche
istituzioni, un piano politico ugualitario e strutture sociali che sostengono le interazioni tra i
cittadini. La fiducia assurge dunque quale determinate di comportamenti di benessere sia a livello
soggettivo, che sociale (McDowell, & Newell, 1987).
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Nella lettura dei contesti locali la fiducia si connota quale caratteristica del capitale sociale (Putnam,
1993; Fukuyama, 1999; Subramanian et al., 2002)
L’approccio privilegiato per la definizione della fiducia sociale è quello che fa riferimento alla
teoria della scelta razionale, secondo il quale gli attori orientano le proprie azioni sulla base di
decisioni originate dalla valutazione del rapporto costo/benefici. Facendo riferimento ad Edwards
(1956), proponiamo una lettura della fiducia sociale come aspettativa positiva di utilità soggettiva
in un dato contesto, come aspettativa di Ego relativa al comportamento futuro di Alter (Barber,
1983).
È in questa accezione che la fiducia sembra afferire principalmente alla sfera cognitiva del singolo,
facendo così riferimento alle percezioni e cognizioni rispetto alla possibilità del capitale sociale
(Bain, & Hicks, 1998; Lochner, Kawachi, Brennan, & Buka, 2003)
In tale prospettiva, la fiducia sociale, quale aspettativa per valore (Klandermans,1984), è il risultato
tra benefici attesi e costi percepiti, come si ricorda nella teoria economica classica (Olson, 1965) e
nella teoria del valore dell’utilità attesa (Ramsey, 1926).
In riferimento a quest’ultima la scelta avviene in base all’utilità e ai vantaggi relativi all’alternativa
presa in considerazione; la decisione dipende dunque da una sorta di calcolo che il soggetto effettua
sulla probabilità che si verifichi un dato evento e sul vantaggio relativo alle conseguenze personali
di un dato fatto, vantaggio che viene ad essere valutato in termini di piacere e di fastidio in
relazione alla rappresentazione che il soggetto ha delle condizioni che gli si profilano.
La fiducia è espressione di un atteggiamento, stato mentale organizzato attraverso l’esperienza, che
esercita un’influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell’individuo nei confronti (Allport, 1935)
alla propria comunità di appartenenza.
Tale atteggiamento risente delle informazioni e delle credenze relative alla propria comunità di vita,
a partire dai propri livelli di aspettativa rispetto a quel dato contesto.
Entrando in un ambito politologico apprezziamo anzitutto il lavoro di Banfield sugli abitanti di
Montegrano/Chiaromonte. Come noto, l’autore attribuiva il mancato sviluppo di questi abitanti del
sud alla incapacità di creare associazionismo e aggregazione sociale. In realtà il suo lavoro
pionieristico costituiva una anticipazione degli sviluppi sulla nozione di fiducia e di capitale sociale,
così come la produzione posteriore sul tema sembra indicare (Roux, 2003). In Banfield, la cultura
locale viene invocata come tara che impedisce di associarsi e di organizzarsi e quindi che impedisce
il loro progresso. Ma, in una prospettiva a nostro dire ecologica,è la considerazione delle poche
prospettive che il contesto offre che induce gli abitanti a ripiegarsi su loro stessi e sullo stretto
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ambito familiare. In questo senso una visione negativa delle effettive opportunità sociali impedisce
di investire in una progettualità comune. “Un tempo che si presume ormai passato - il contadino non
doveva fidarsi mai se voleva sopravvivere: e così questa mancanza di fiducia è diventata un tratto
profondamente radicato del suo carattere – è anzi istintiva” ( ed. 2006, p.135). Se per Coleman
(1990) il capitale sociale è l’insieme delle risorse per l’azione che derivano dal tessuto di relazioni
in cui una persona è inserita, esse prendono valore solo se ad esse viene attribuito valore e le
persone pensano di farvi ricorso. Pertanto la sfiducia impedisce di entrare in un circuito di relazioni,
di promuoverle e di agire al loro interno.
Come ricreare fiducia nell’umanità e costruire domani?
Frontini confrontando i dati Iard relativi alla Campania (183 soggetti) con quelli raccolti nella
ricerca di Savonardo (2007) non evidenzia specifiche differenze in relazione alla sfiducia. In
Campania la popolazione giovanile ha un tasso di disoccupazione del 71% contro una media
nazionale del 33% e tra le femmine il dato è ancor più stridente; tuttavia se il legame alle tradizioni
risulta più forte, il senso di appartenenza territoriale non risulta più profondo. Ugualmente i giovani
italiani evidenziano un basso livello di fiducia nella classe politica e un crescente disinteresse nei
confronti della politica a favore di forme “alternative” di partecipazione, quali l’associazionismo.
Ciò evidenzia un orientamento alla delega, ma non in misura maggiore del resto del Paese.
In un’ottica empowerizzante ci si è posti l’interrogativo di comprendere quale potessero essere gli
elementi attivatori di risorse nella criticità del rapporto tra soggetto e contesto locale finora
delineato.
In un’ottica ecologica la fiducia a cui noi facciamo riferimento trascende il solo livello delle
interazioni tra i singoli cittadini in cui la fiducia è associata al senso di reciprocità (Macinko, &
Starfield, 2001), ma include ciò che Tonkiss e Passey (1999) individuano come “confidence” nelle
istituzioni e negli organismi di governo.
I livelli di aspettativa da noi considerati, infatti, rispetto al contesto sono: aspettative rispetto alle
amministrazioni comunali; aspettative rispetto agli abitanti della propria comunità; aspettative
rispetto al futuro della propria comunità e aspettative rispetto al proprio futuro ella comunità e
rispetto al futuro.
L’aspettativa positiva nei confronti del proprio contesto locale si è costruita nei nostri percorsi di
ricerca quale utile premessa per comprendere la spinta alla progettualità personale e collettiva dei
cittadini nei propri contesti territoriali di appartenenza, dato che il sentirsi parte di una comunità non
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implica la possibilità di pensarsi nel proprio futuro nel proprio contesto di appartenenza e coinvolti
nella propria azione propositiva nei confronti della propria comunità.
Riprendendo ciò che afferma Gambetta (1988) la fiducia stimola ad agire, sulla scia della
percezione della possibilità, in grado di andare oltre la relativa presenza di rischio.
Nel 1983, Roberto Gentile, psicologo sociale della Università Federico II, nel volume intitolato:
Fiducia e Sfiducia tra potere ed emarginazione scriveva: “Oggi, infatti, il dispiegarsi dei fenomeni
sociali avviene tra protagonismo ed emarginazione: il protagonismo di “chi decide” e
l’emarginazione di chi “la decisione subisce”. …Tutto ciò si condensa in un’alternativa decisiva per
gli uomini: fiducia e sfiducia, la prima di chi comanda ,la seconda di chi è comandato. Tuttavia,
fiducia e sfiducia appartengono soltanto a momenti, eventi emotivi, volontà personali che incidono
profondamente sull’umano che oggi si definisce psicologico. Sono in definitiva questi i temi relativi
all’emarginante e all’ emarginato.”(1983, p. 6). Oggi a distanza di venticinque anni, il tema è tuttora
attuale, più difficile definire la dimensione dell’emarginante. Gli eventi sociali si collocano in uno
scenario globale, grande e allo stesso tempo fragile, nel quale è difficile cogliere chi ha in realtà le
redini del sistema e come attivare processi di ownership collettiva.
Le considerazioni che portavano Gentile a introdurre il concetto di fiducia quale parametro per
leggere il rapporto con il mondo prendono rinnovata attualità per cogliere le dimensioni soggettive
sottostanti ad alcune forme di rapporti sociali, riscontrabili nei gruppi emarginati, ma più in genere
nei contesti sociali che si sviluppano lontano dai luoghi delle decisioni. “Le persone possono
assumere atteggiamenti dimissionari o risolutori che hanno riscontro nel diverso modo di
presentarsi dell’ ambiente. Ciò si esprime nella interazione tra momenti soggettivi e sociali
soprattutto in termini di informazione, di acquisizione di competenze, di “uso del potere” in
rapporto all’emarginazione e quindi ai meccanismi che regolano dimissione e risoluzione,sinonimi
di fiducia e sfiducia. (1983, p.7)
“Fiducia e sfiducia, potere ed emarginazione, rappresentano punti cruciali per l’individuazione delle
diverse modalità di risposta e di condotta individuali e collettive, che, di volta in volta, le persone
assumono di fronte ai problemi di una società in transizione. Quest’ultima, attualmente, sembra
caratterizzata dalla desuetudine delle vecchie concezioni e valori e dalla nebulosità delle prospettive
di progresso e di sviluppo nonché dalla impossibilità di preparare nuove certezze. Si assiste sempre
più all’acuirsi della distanza tra il potere che determina le decisioni e l’emarginato che le subisce.
Oggi è certamente assai difficile dare risposte definitive. I contributi degli economisti, dei sociologi,
dei politologi, dei politici, non riescono ad offrire soluzioni che possano essere collocate in
direzioni univoche. In questo ambito la psicologia sociale, pur non avendo soluzioni precostituite e
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possibilità maggiori, cerca di individuare disagi e contraddizioni dell’ uomo e considera le difficoltà
che si registrano nei rapporti tra individui, gruppi ed istituzioni.’ (Gentile, p. 232).
In tal senso le ricerche del nostro gruppo tese ad individuare il rapporto dei giovani campani con il
contesto di appartenenza in relazione alla costruzione della propria progettualità e del proprio
investimento nello sviluppo del contesto.
Nei lavori da noi realizzati emerge un atteggiamento di disinvestimento dal sociale che abbiamo
interpretato come mancanza di fiducia nelle prospettive collettive dei luoghi di appartenenza. Esse
richiamano le analisi di Gentile della fine anni ’70 quando afferma che: “Personalismo,
particolarismo, e dipendenza si accompagnano a disinteresse, fatalismo e ribellismo”. (p, 234).
Analoghe le conclusioni in merito al tema focale per comprendere l’interazione individuo-contesto:
“Più ancora che tra fiducia e sfiducia, altalena per esprimere disposizioni del vissuto soggettivo, dal
punto di vista psicosociale, l’attuale situazione si configura in termini di indifferenza tra inerzia
tradizionale e speranza attivatrice.”
Nella nostra esperienza, la speranza, un tempo, si annoverava tra le virtù teologali della dottrina
cristiana più che essere una categoria del pensiero sociale; oggi invece è compito dell’uomo e delle
donne di scienza, consapevoli della grandezza del mondo e dell’umanità diventare costruttori di
speranza.
“D’altra parte quando gli uomini non trovano Dio o il faraone tra gli uomini (nella società), lo
cercano nella loro mente e il più delle volte ciò li porta a chiudersi; chiedono al mondo un segno in
risposta di una sofferenza inespressa ed inesprimibile, dimentichi che in fondo il mondo non ci deve
nulla. Ed ecco allora la indifferenza, essa stessa, forse, più potente della emarginazione, topos e
logos insieme, per sfuggire la quale subiamo l’emarginazione come l’unica ed ultima chance per
non essere soli.” (1983, 236).
Concludendo con il riferimento al focus group su i temi della appartenenza e della vita della città
già citato, in cui emerge forte senso di frustrazione che non lascia intravedere alcuna soluzione per
il futuro, una ragazza a lungo silente, prendeva la parola dicendo che per poter partecipare
attivamente a qualche iniziativa bisognerebbe “passare a un secondo livello” e riconoscersi come
gruppo e non più soltanto come singoli individui. Tuttavia è proprio questa la sfida impensabile che
conduce al ripiegamento su se stessi.
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