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Misurare ed espellere la sfiducia
dalle organizzazioni
1. Premessa
Sfogliando i quotidiani abbondano i segnali di sfiducia: medici che speculano
sulla loro posizione, case farmaceutiche che trovano sempre nuove architetture
organizzative per frodare lo stato, imprese che distruggono risorse ambientali,
vendono prodotti nocivi alla salute o speculano sui risparmi privati, trasporti
angoscianti, villaggi vacanze venduti ma inesistenti, trasmissioni televisive fondate
sulla stupidità, controlli crescenti sulla pubblica amministrazione, propagazione di
scioperi, falsità diffuse da organi di governo e da mass media, potere economico
travestito da missioni di pace, globalizzazione che divide invece di unire, caduta
generale di attenzione alla qualità delle prestazioni, proliferare di attentati, trame
oscure dei servizi segreti, processi senza termine, partite di calcio truccate …, ma
fermiamoci qui. Non vorremmo che l’angoscia cominciasse a serpeggiare tra i
lettori.
“Fermate il mondo … voglio scendere!”1, “Sesamo apriti … voglio uscire”2,
sono due aforismi che ben sintetizzano lo stato d’animo che le condizioni descritte
possono diffondere nella comunità.
Perché scendere anziché salire? Perché uscire, anziché entrare?
“Forse perché si avverte una realtà nella quale ci si riconosce sempre meno e che
ha assunto forme e contorni tali da offuscare sempre più il senso di ciò che accade e
delle cose che si fanno.
E’ una realtà nella quale la fiducia lascia il passo alla sfiducia, lo stress positivo
all’ansia, la serenità alla paura”3, in un circuito vizioso che tende pericolosamente ad
autoalimentarsi proprio partendo dalla sfiducia.
Il tutto richiama alla mente un film degli anni ’70 intitolato “Small Murders”,
where people lived closed at home, in order to defend themselves from everything
that came from an outside world and therefore representing a potential threat4.
E’ probabilmente vero che se potessimo sbirciare da lontano la vita della Roma
Imperiale scopriremmo che la sfiducia era alquanto diffusa anche in quell’epoca.
Il problema, però, non sta nel considerare la naturale fisiologia della sfiducia
nelle relazioni umane, sta piuttosto nel considerare la tendenza in atto che vede certo
il fenomeno in preoccupante espansione.
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E’ il titolo di un film di Giancarlo Cobelli del 1970.
Si tratta di un aforisma tratto da Pensieri Spettinati, di Stanislaw Jerzy Lec, Bompiani,
1992.
Cfr. Claudio Baccarani, Gaetano M. Golinelli, “Fermate il mondo… voglio scendere! Il
vantaggio competitivo della riflessione”, Sinergie, n. 23, 2004, p. 5.
Il film è del 1970.
sinergie n. 69/06
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MISURARE ED ESPELLERE LA SFIDUCIA DALLE ORGANIZZAZIONI
Ciò premesso, soffermiamo la nostra attenzione sulla sfiducia, sui guasti che ne
conseguono per le organizzazioni nelle quali si propaga e sulle vie per poterla
estirpare, se possibile.
Si seguirà questo percorso attraverso una serie di domande che si avviano da una
valutazione di cosa sia la fiducia.
2. Cos’è la fiducia?
Si potrebbe dire che è uno stato d’animo che si crea nel momento in cui almeno
due soggetti intendono valutare se avviare o meno una relazione.
Se questa è la categoria concettuale che accoglie la fiducia, cosa esprime in
realtà questo stato d’animo?
Come di consueto un aiuto nella ricerca della risposta a questa domanda viene
dal dizionario etimologico, che riconduce il termine fiducia all’aggettivo “fido”,
precisando che fiducia è “il senso di affidamento e di sicurezza che viene da
speranza o da stima fondata su qualcuno o qualcosa”5.
Quindi per fiducia possiamo intendere quella sensazione di affidamento e
sicurezza che si viene a creare nel momento in cui un soggetto sta valutando
l’opportunità di avviare una relazione con un altro soggetto.
Naturalmente la relazione, a meno che sia obbligata, si attiverà solo nel momento
in cui i due soggetti riscuoteranno reciprocamente una dose sufficiente di fiducia.
In realtà, nell’avvio di ogni relazione ognuna delle parti in causa deve risultare
affidabile alle altre.
Invero, ad eccezione della scelta obbligata perché in mancanza di alternative, una
relazione nasce solo nel momento in cui l’affidabilità reciproca raggiunge un livello
minimo ritenuto necessario. Livello che però non è definibile a priori in quanto
risulta diverso da caso a caso, essendo fondato sulle condizioni di parità disparità dei
soggetti in causa, sulla sensitività al rischio di ognuno e sulle loro precedenti
esperienze.
Ogni relazione, infatti, comporta l’assunzione del rischio che possa risultare a
posteriori insoddisfacente. Così, ad esempio, nella fase di avvio di un’impresa la
banca chiamata a decidere per l’eventuale finanziamento di start up non incontrerà
grandi problemi nel riscuotere la fiducia del potenziale imprenditore.
Ben diversa sarà, invece, la situazione per quest’ultimo, che dovrà trasmettere
fiducia sulla base di aspetti sia emozionali che cognitivi, anche se non verificati
dall’azione sul campo.
Dovrà, in altri termini, costruire fiducia acquisendo credibilità in assenza di
reputazione, quanto meno di reputazione nel campo di attività in quel momento in
discussione.
5
Cfr. Manlio Cortellazzo, Paolo Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana,
Zanichelli, Bologna, 1979.
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Potremo quindi concludere ridefinendo la fiducia come “l’energia prima” che
sostiene la nascita e lo sviluppo delle relazioni. Non può esistere, infatti, relazione
libera che prescinda da una dose seppur minima di fiducia.
“Confucio insegnava al discepolo Tzu-kung che il governo dei popoli richiede
tre cose: armi, cibo e fiducia. Lo statista che non può averle tutte rinunci in primo
luogo alle armi, poi al cibo; ma la fiducia va conservata fino all’ultimo: “Senza
fiducia non si resiste”.
L’insegnamento di Confucio è ancora valido. Le armi non hanno salvato i
talebani quando i loro soldati, persa la fiducia, hanno cominciato a disertare. D’altra
parte neanche la fame abbatte un regime se questo, e il suo sistema di razionamento,
hanno la fiducia della popolazione, come la seconda guerra mondiale ci ha
insegnato.
Non solo i capi di Stato e di governo, però, hanno bisogno della fiducia e ne
conoscono il valore. La fiducia è necessaria a ciascuno di noi, a ogni professione e
istituzione”6.
3. Come si forma e su cosa si fonda la fiducia?
La definizione ripresa dall’etimologia della parola ci aiuta a trovare una rapida
risposta al quesito.
In realtà, si è visto che il senso di affidamento e di sicurezza può venire “da
speranza o da stima fondata”.
Nei fatti, rileggendo in termini organizzativi sia la speranza che la stima fondata
si potrebbe parlare di emozioni e conoscenza, stabilendo così che i percorsi tramite i
quali si forma la fiducia sono due: uno emozionale, l’altro cognitivo. Percorsi che,
ovviamente, possono in vario modo “fertilizzarsi” vicendevolmente.
La via emozionale è quella che si percorre nelle fasi iniziali, nelle quali scarsa o
nulla è la conoscenza tra i soggetti.
La via cognitiva si percorre invece nel momento in cui si valutano aspetti
oggettivi e comportamenti.
Lungo il percorso emozionale la fiducia scaturisce da ciò che si dice con le
parole, con il tono della voce o con gli occhi. Scaturisce cioè da un contatto visivo
tra i soggetti e da una valutazione di affidabilità connessa alla comunicazione sia
essa verbale, non verbale o paraverbale.
La componente emozionale consente ad occhi sufficientemente disincantati di
ricostruire i tratti fondanti della personalità dell’interlocutore, svelando anche con
facilità l’eventuale condizione di “sincerità artefatta”
Il percorso cognitivo si alimenta invece con aspetti oggettivi e comportamenti
identificabili. I primi si riferiscono a materiali messi a disposizione degli
interlocutori, i secondi alla valutazione di comportamenti precedenti, quindi alla loro
6
Ripreso da Onora O’Neill, A question of trust, The Press Sindacate of the University of
Cambridge, 2002, pag. 35 dell’edizione italiana.
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reputazione maturata anche in campi di attività diversi da quello per il quale si attiva
la valutazione di fiducia.
Riprendendo l’esempio prima citato dell’avvio di una nuova attività produttiva, e
ponendoci nella prospettiva del finanziatore, potremmo dire che con la componente
emozionale egli cercherà di valutare la capacità di sognare, l’entusiasmo, l’umiltà, la
curiosità, la tenacia, la sincerità, il senso pratico.
Mentre con la componente cognitiva cercherà di capire, attraverso business plan,
più o meno sofisticati o rudimentali, la capacità dell’interlocutore di tradurre in
progetti concreti le sue idee, non disdegnando di raccogliere informazioni circa la
condotta sociale del soggetto.
Purtroppo il caso in specie, quello della creazione di nuova imprenditorialità,
incontra l’ostacolo dell’elevatissima sensibilità al rischio dei finanziatori, che spesso
riconducono il processo di generazione di fiducia alla disponibilità di garanzie reali
o personali, rallentando di fatto il processo di ricambio imprenditoriale.
In questi casi si può ricorrere a “generatori collettivi” di fiducia quali forme
consortili di tipo imprenditoriale votate a “garantire” ai finanziatori la sostenibilità
di un’iniziativa.
Resta da considerare la seconda parte della domanda precedente: su cosa si fonda
la fiducia?
In questo caso la risposta è laconica. Credo si possa dire che la fiducia posi sul
convincimento degli interlocutori che a fronte di determinate circostanze i
comportamenti dell’altro sarebbero in tutto simili ai propri.
In altre parole è come dire che la fiducia poggia su una presunta, o provata,
comunanza di valori tra gli interessati alla potenziale relazione.
4. Come si può mantenere ed alimentare la fiducia ottenuta?
In realtà, una volta acquisita la fiducia si pone il problema di come mantenerla.
Infatti la fiducia goduta da un soggetto o da un’organizzazione non è una dotazione
strutturale, è uno stato che va continuamente “accudito”.
La fiducia cumulata in anni potrebbe facilmente svanire in un batter d’ali, nel
momento in cui i comportamenti dei soggetti interessati non fossero più in sintonia
con le attese degli interlocutori con i quali si è realizzato lo scambio fiduciario.
Cosa occorre fare dunque per mantenere la fiducia acquisita? Occorre forse
essere sempre capaci di realizzare i progetti disegnati e di raggiungere gli obiettivi
prefissati? E’ necessario non incorrere in errori? Insomma occorre essere perfetti?
Ovviamente no, anzi, negli errori e nelle difficoltà la fiducia può uscire
rafforzata. E’ vero, la fiducia potrebbe vacillare in presenza di una “sconfitta”, ma la
sconfitta potrebbe costituire l’occasione per rivitalizzare e rinforzare la fiducia
stessa.
Quindi cosa occorre fare?
Per mantenere la fiducia acquisita è semplicemente necessario escludere
l’opportunismo e la menzogna dal nostro modo d’essere. E’ necessario essere se
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IX
stessi, sempre, anche nei momenti di ansia e paura, praticare la sincerità e “ascoltare
le emozioni”che fluiscono nelle relazioni. Tutto qui.
5. In che senso la fiducia è una risorsa per l’impresa e le
organizzazioni in genere?7
Per chiarire il punto basta partire da una constatazione che può trasformasi in una
definizione.
Si tratta della definizione d’impresa. Ce ne sono tante in proposito, ma quella che
con la sua laconicità riflette meglio l’esistere dell’impresa dice che: l’impresa è un
sistema di relazioni.
Certo che alla stregua di un aforisma è forse una definizione che apre più che
chiudere la riflessione. Nell’ambito della teoria dei sistemi e del significato di
relazione si possono tuttavia trovare tutti gli elementi che possono dipanarne il
contenuto semantico. E’ una strada già battuta che evitiamo qui di ripercorrere8.
Può, infatti, essere più significativo per queste riflessioni cercare una
rappresentazione di questa realtà, al di là di quelle canoniche, per stimolare magari
qualche pensiero spettinato9 al riguardo.
Così la memoria ci riporta in Australia, a Perth, per la precisione al Museo di
Perth.
In quell’occasione, vagando per le sale del Museo ci si imbatte in una tela
gigantesca, bianco-nero, costruita tramite una miriade di linee che si incrociano in
un’infinità di punti creando anche la sensazione di una loro entrata ed uscita dalla
tela. Insomma la tela pare espandersi sulla parete. Il groviglio è tale che risulta
praticamente impossibile seguire un percorso in tutte le sue parti a causa dei
frequenti incroci a volte semplici, cioè in linea retta, a volte complessi, perché
derivanti da fulminei mutamenti di direzione.
E’ difficile sfuggire all’incanto di quel quadro, è come trovarsi di fronte ad una
rappresentazione della complessità delle relazioni d’impresa.
Con ogni probabilità tutto questo è ben lontano dalle intenzioni dell’autore.
In fondo, però, questo poco importa. Massimo Troisi nel suo Il postino10, non
dice forse a Pablo Neruda che il valore delle poesie sta in ciò che vi vede chi per
qualche ragione le legge e le usa, con un tacito consenso del poeta? Ma questa è
finzione, si potrebbe dire. Che importanza ha, direbbe Federico Fellini, se crea un
messaggio chiaro per chi lo ascolta?
Torniamo però a noi. Torniamo a quella rappresentazione della non linearità
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Cfr. Salvio Vicari, “Risorse aziendali e funzionamento d’impresa”, Finanza Marketing e
Produzione, n. 3, 1992.
In proposito sia consentito rinviare a Gaetano M. Golinelli, L’approccio sistemico al
governo dell’impresa. L’impresa sistema vitale, Vol. I, Cedam, Padova, 2000.
Nel senso di “fuori dalle righe”, allo stesso modo del libro di Lec citato.
Il postino è l’ultimo film di Massimo Troisi nel quale si intesse un amabile rapporto tra un
postino e il poeta Pablo Neruda in esilio.
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MISURARE ED ESPELLERE LA SFIDUCIA DALLE ORGANIZZAZIONI
delle relazioni d’impresa per provare a collegare quel quadro alla fiducia. Infatti, il
funzionamento di un’organizzazione costruita su “labirintiche relazioni” non può
che fondarsi su una poderosa risorsa che scorre tra i diversi soggetti che vi si
cimentano: la fiducia. Appare così evidente la rilevanza dell’impatto competitivo
della fiducia, come, al contrario, risulta evidente l’impatto devastante dell’ingresso
della sfiducia in quel reticolo.
L’evidenza concettuale, purtroppo, è difficilmente misurabile in termini
oggettivi.
Per provare a rendere più palpabile il ragionamento costruito si potrebbe pensare
a cosa accadrebbe nel sistema socio-economico nel momento in cui venisse a
mancare l’energia elettrica. Solo con i brevi, recenti, black out abbiamo vissuto con
una sensazione di allegria prima, sbigottimento poi, per arrivare poco dopo allo
spavento.
Proviamo ad immaginare gli scenari catastrofici di un mondo in cui l’energia
elettrica scompaia.
Fatto questo, in ogni caso, del tutto irrilevante rispetto ad una condizione di
assenza di fiducia, poichè con la fiducia sapremmo ricostruire qualcosa, senza non
costruiremmo più nulla.
In realtà, se svanisse la fiducia, non riusciremmo nemmeno ad alzarci da letto la
mattina11.
Se quanto detto sin qui consente di cogliere “oggettivamente” la natura di risorsa
che la fiducia riveste per le organizzazioni, è bene entrare nel dettaglio di alcun
effetti della fiducia nell’impresa.
Un lista puramente esemplificativa in proposito ricorda che la fiducia:
-
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permette l’avvio e lo sviluppo delle attività aziendali;
facilita la circolazione di conoscenza e con essa la produzione di conoscenza;
diffonde l’autonomia e la responsabilità, nonché la partecipazione creativa ai
processi decisionali;
riduce la necessità di controlli;
accelera i processi decisionali;
soccorre alla ormai sempre più flebile razionalità applicabile ai processi
decisionali;
aiuta la gestione e la soluzione dei conflitti, nonché la formazione del consenso;
facilita lo sviluppo di un clima positivo e con esso del senso di appartenenza;
rafforza la capacità di gestire le crisi;
sostiene l’immagine aziendale;
agevola il controllo delle “voci”;
salvaguarda il fluire delle emozioni nell’organizzazione12.
Cfr. Niklas Luhmann, Trust, John Wiley & Sons Chichester, 1979, ripreso da Onora
O’Neill, citato.
In proposito si può vedere Marta Ugolini, La natura dei rapporti tra imprese nel settore
delle calze per donna, Cedam, Padova, 1995.
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Forse ora al lettore risulta in tutta la sua evidenza lo scenario che si potrebbe
creare nel caso della scomparsa della fiducia.
Potrebbe essere il soggetto di un romanzo di fantascienza. Forse qualcuno l’ha
già scritto. Forse qualcuno lo scriverà.
Lo scenario è di quelli che si definiscono catastrofici, al punto tale che è difficile
immaginarne di peggiori. Provate anche solo per qualche attimo a pensare che la
fiducia che vivete in ogni vostra giornata sia scomparsa. Vi alzate una mattina e le
facce delle persone sono tutte trasformate. Sono tristi, impaurite, diffidenti,
scontrose, chiuse, incapaci di comunicare …
Sembrerebbe una situazione del tipo descritto da Roberto Vecchioni nel suo
romanzo breve Il libraio di Selinunte, nel quale tutte le parole svaniscono e le
persone non riescono più a comunicare13.
Invero, anche la semplice riduzione delle dosi di fiducia all’interno delle
relazioni comporterebbe una viscosità tale dei processi relazionali da rallentare tutti i
sistemi produttivi, minando alle basi i processi di crescita e favorendo la comparsa
di una serie di tensioni sociali che potrebbero sfociare in conflitti non facilmente
governabili.
6. Cosa alimenta la sfiducia?
L’opportunismo, la stupidità, la disinformazione, l’incomprensibilità, la
menzogna, la noncuranza, la disattenzione, l’iniquità, la paura e la diffidenza sono i
cocchieri della sfiducia
Come si vede il parco è ben nutrito. Vediamo di passare brevemente in rassegna i
“dieci alfieri” della sfiducia.
La condotta opportunistica, cioè il “ comportamento per cui si agisce senza tener
conto di principi o ideali, adattandosi alla situazione o alle esigenze presenti in modo
da trarne il massimo utile” personale14, una volta svelata, potrebbe distruggere la
fiducia in un baleno. La fiducia si sgretolerebbe come un sassolino sotto il masso
gigantesco del raggiro e della perdita di stima.
Lo stesso dicasi della stupidità che demolisce la relazione in virtù di
comportamenti sciocchi e negligenti che privilegiano l’attenzione alle forme più che
alla sostanza.
Disinformazione, incomprensibilità e menzogna per parte loro sono i “peccati”
dell’area comunicazione. Con una rilevanza crescente al passaggio dal primo al
terzo, la carenza di informazione rivela il disinteresse per l’interlocutore,
l’incomprensibilità mostra indifferenza verso i soggetti coinvolti nella relazione,
mentre, infine, la menzogna sottolinea il disprezzo per gli altri e la società in
generale.
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Cfr. Roberto Vecchioni, Il libraio di Selinunte, Einaudi, Torino, 2004
Cfr. Dizionario Etimologico, op. cit.
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La noncuranza per parte sua evidenzia la trascuratezza dei rapporti, mentre la
disattenzione rivela l’incapacità o la scarsa volontà di ascoltare quello che i
partecipanti alla relazione intendono dire.
La paura opera quando nell’organizzazione, o nell’ambiente in cui l’impresa
vive, si propaga un senso di insicurezza e di abbandono, mentre la diffidenza agisce
diffondendo un senso di ansia all’interno delle relazioni, in virtù di fatti che possono
mettere in discussione la reputazione dell’interlocutore.
Ed in proposito è bene chiarire che la caduta di fiducia può derivare da azioni
dirette di uno degli interlocutori o da azioni di altri soggetti esterni alla relazione.
Soggetti che con la loro caduta di reputazione incidono negativamente sulla
reputazione di una intera categoria, in virtù della posizione di rilievo che ricoprono
in quell’ambito.
E’ il caso ad esempio della diffusione sempre più massiccia di scandali finanziari
che ha inciso negativamente sulla reputazione dell’intera categoria imprenditoriale.
A questo punto, forse siamo riusciti a stanare alcune delle principali cause che
sostengono l’ingresso della sfiducia nelle relazioni.
In realtà, un’organizzazione potrebbe anche provare a misurare il suo livello di
sfiducia cercando di capire quanto siano diffuse nelle proprie relazioni le condizioni
suddette.
7. Come espellere o contenere la sfiducia nelle organizzazioni?
Ora interessa capire se, e come, sia possibile ed opportuno debellare
l’incombente sfiducia che si sta impossessando delle relazioni.
Sull’opportunità del tentativo non ci possano essere tanti dubbi, dopo quanto si è
cercato di disegnare negli scenari poc’anzi descritti.
La risposta al punto se sia possibile o meno agire in proposito, ossia se si possa
arginare il fenomeno, contenerlo, per poi debellarlo, dipende molto dal grado di
ottimismo di chi guarda il problema, nella consapevolezza, peraltro, che non pare
possibile eliminare del tutto la sfiducia perché questa fa parte della vita e del mondo
degli uomini. Non si può, infatti, pensare che l’opportunismo, ad esempio, possa
essere debellato una volta per tutte come fosse una malattia infettiva per la quale si è
trovato il vaccino.
Per parte nostra siamo convinti che il dilagare della sfiducia possa essere frenato
prima e contenuto poi, se non altro perché si tratta di un fenomeno che i soggetti
hanno generato e come tale può essere, volendolo, ricondotto almeno a livelli
fisiologici.
Poste queste premesse si tratta di vedere come muovere in questa direzione.
In proposito, alcune semplici regole di condotta organizzativa possono essere di
grande aiuto. Eccole:
a) definire e diffondere puntualmente i valori dell’organizzazione;
b) allestire un sistema di monitoraggio della fiducia;
c) intervenire tempestivamente ai primi segnali di riduzione della fiducia.
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Sappiamo (a) che i valori sono i principi che sostengono i processi decisionali
nell’organizzazione. Sappiamo anche che la loro rilevanza emerge soprattutto nel
momento in cui ci si trova di fronte a scelte delle quali è difficile definire la bontà
intrinseca.
Sappiamo ancora che queste scelte sono sempre più numerose e possono dar
luogo ad ambiguità ed incomprensioni.
Per questo l’investimento sui valori è fondamentale in una società che viaggia a
velocità sempre più elevata verso condizioni di indecifrabilità crescente, con gradi di
disorientamento sempre più ampi.
Quali potrebbero essere i valori chiave che sostengono l’organizzazione in un
simile contesto?
L’umiltà, l’ascolto, il rispetto, la chiarezza, il coinvolgimento, il senso del dono.
Quanto al secondo punto, ossia al sistema di monitoraggio della fiducia (b) si
potrebbe proporre un modello costruito in positivo sulle variabili prima elencate
come cause della sfiducia.
Così si potrebbe monitorare:
-
il grado di altruismo, di senso del gruppo e della squadra, per controllare
l’opportunismo;
l’intelligenza nell’agire per misurare la stupidità;
la pratica della diffusione dell’informazione rispetto alla disinformazione;
la chiarezza delle comunicazioni per valutare i livelli di incomprensibilità;
la familiarità con la verità per rilevare la possibile presenza della menzogna;
la vigilanza sulle dinamiche in atto per escludere la noncuranza;
il livello di ascolto per riscontrare eventuali disattenzioni nelle relazioni;
l’equità dei comportamenti per conoscere eventuali condotte inique;
la dotazione di coraggio per stimare la possibile presenza di paura;
la consistenza in sicurezza per mettere in luce possibili atteggiamenti di
diffidenza.
Questa azione di monitoraggio potrebbe introdurre a quello che è stato definito
trust management15. In proposito va opportunamente sottolineato come questa non
possa essere un’attività svolta in forme accentrate con un responsabile aziendale a
ciò preposto, ma si tratti di un compito che deve essere diffuso ai vari livelli della
struttura manageriale.
Nel caso di condizioni di fiducia decrescenti (c) si tratta poi, come detto, di
intervenire rapidamente.
Il percorso che si può suggerire in proposito è quello tipico della gestione delle
crisi, che si può sintetizzare nei passaggi seguenti:
15
Il tema è introdotto da Sandro Castaldo, Fiducia e relazioni di mercato, Il Mulino,
Bologna, 2002.
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MISURARE ED ESPELLERE LA SFIDUCIA DALLE ORGANIZZAZIONI
a) fornire un’immediata risposta alla situazione che si è venuta a delineare da parte
della persona responsabile dell’area in cui il problema si è affacciato;
b) essere franchi e sinceri e collettivizzare tutte le informazioni necessarie a capire
la natura del problema;
c) capire le cause di fondo della caduta di fiducia e prendersi le responsabilità del
caso;
d) agire per affrontare la situazione nelle sue cause più profonde;
e) considerare l’accaduto come motivo di apprendimento organizzativo.
In tutto questo bisogna evitare accuratamente di pensare di risolvere il problema
attraverso forme di controllo sempre più stringente.
Questa scelta, infatti, va nella direzione di usare metodi basati sulla sfiducia, qual
è il controllo, per combattere la sfiducia, con l’unico risultato di diffondere ulteriore
sfiducia, oltre che viscosità decisionali.
E a proposito del reale valore del controllo è bene ricordarsi di riflettere, di tanto
in tanto, sull’antico quesito: “chi controllerà i controllori?”16.
Claudio Baccarani
16
Giovenale, Satire, VI, pp. 347-8.
Gaetano M. Golinelli