Gustave Courbet, “Gli spaccapietre”, 1849, olio su tela, 165 x 257

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Gustave Courbet, “Gli spaccapietre”, 1849, olio su tela, 165 x 257
Gustave Courbet, “Gli spaccapietre”, 1849, olio su tela, 165 x 257 cm, già a Dresda, (distrutta
durante la seconda guerra mondiale).
Escluso dall’Esposizione Universale parigina del 1855, Courbet inaugura uno spazio espositivo
privato che chiamerà Padiglione del Realismo in cui esporrà cinquanta opere, tra cui questa tela.
Courbet scrisse: “Avevo preso la nostra carrozza, andavo al castello di Saint-Denis a dipingere un
paesaggio. Presso Maisiéres, mi fermo a osservare due uomini che spaccano pietre sulla strada. E’
difficile imbattersi in una espressione di più completa miseria, così; a un tratto, mi viene in mente
un quadro: Do loro un appuntamento per l’indomani nel mio studio e da quel giorno ho lavorato
attorno al mio quadro…”
I due personaggi, forse padre e figlio (generazioni di fatica), sono intenti in un lavoro massacrante.
Lavorano in una cava di pietra spaccando la roccia con la sola forza fisica. Fa da sfondo alla scena il
fianco di una montagna che occupa tutta la parte alta. Il più anziano è piegato su un ginocchio
mentre spacca i sassi. Courbet lo raffigura di profilo; l’ombra, prodotta dal cappello di paglia, gli
nasconde il volto. Il più giovane, è intento a trasportare un cesto di pietre e viene raffigurato di
spalle. Il lavoro impone loro di vedere solo le pietre senza poter alzare lo sguardo al cielo, che si
intravede solo un po’ in alto a destra. La mancanza del volto fa di loro delle comparse e non dei
protagonisti, poiché non comunicano con l’osservatore. Tutta la scena esprime una condizione di
abbrutimento psicologico oltre che materiale.
L’occhio indagatore dell’artista è spietato nel mettere a nudo ogni dettaglio, senza abbellimenti: le
toppe sulle maniche della camicia, lo strappo del panciotto, la calza bucata, gli zoccoli consumati. E
poi gli strumenti del lavoro, la gerla, la pala, i picconi, a destra la pentola con il pane, richiamo al
povero pasto di questi operai.
Courbet rappresenta la scena in modo crudo, non dà alcuna intonazione lirica. Questa è un’ opera
di denuncia, che mette a fuoco in maniera molto lucida temi come la povertà, la precarietà della
vita, la durezza del lavoro. Tutto ciò non era accettabile dal pubblico dell’arte dell’epoca, fatto
soprattutto di persone ricche che, quindi, mal sopportavano la rappresentazione della povertà che
era, implicitamente, un atto di accusa nei loro confronti. I poveri sono tali per consentire ai ricchi di
essere ricchi: questo, in sintesi, l’atto di accusa dei quadri di Courbet.
In questa tela oltre al soggetto, anche la composizione risulta di rottura per i canoni estetici del
tempo. Manca un equilibrio compositivo preciso. Non c’è simmetria tra le due figure. Esse, infatti,
sono collocate ed orientate in maniera del tutto casuale; una composizione senza equilibrio. Anche
la scelta della grande dimensione del dipinto sono una provocazione alle regole estetiche dell’epoca,
per un soggetto che poteva essere tollerato solo se di piccole dimensioni. Courbet non vuole
proporre un’arte che trova nella bellezza una facile funzione consolatoria, ma vuole proporre
documenti visivi che creano lo shock del documento sociale (giornalistico). Lo scandalo della sua
pittura, è che Courbet porta questi documenti sociali nel campo dell’arte. Nel campo di un’attività
che, secondo la mentalità borghese dell’Ottocento, era destinata solo alla bellezza (Venere), alla
grandezza (Il Giudizio Universale), ai fatti eroici ed aulici (La Crocifissione, Il Presepe), ai grandi
avvenimenti storici (Caio Giulio Cesare), ai grandi personaggi del passato (Gesù) e del presente
(Napoleone). Courbet vuole invece imporre la povera gente a persone che non interessa vedere
immortalati uomini e donne considerate a loro inferiori: persone comuni, lavoratori, servi,
prostitute, emarginati e reietti della società. L’opera risultò imbarazzante per la maggior parte degli
spettatori; sicuramente lo fu per chi lasciò scritto nel registro della mostra: “Si prega il Signor
Courbet di voler gentilmente rammendare la camicia e lavare i piedi ai suoi spaccapietre”.