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Lunedì 9 luglio 2007 32 ❶= ❷▲ ❸▼ ❹▲ ❺▲ LA FINESTRA Negramaro € 20,90 PAPITO Miguel Bosè € 20,90 ADRENALINA Finley € 17,90 VICKY LOVE Biagio antonacci € 20,90 MINUTES TO MIDNIGHT Linkin Park € 20,90 Morgan nel passato per uscire dal gregge «Da A ad A» raccoglie suggestioni di quando Beatles in testa - nello studio di registrazione si cercava di sperimentare: non è un disco perfetto ma certamente ha il merito di sfuggire al conformistico grigiore imperante Da A ad A. Dada, per dirla come gli inquilini del Cabaret Voltaire. Ma si tratta anche degli estremi enunciati da dal matematico francese René Thom nella cosiddetta “teoria delle catastrofi”. Oppure, mescolando, dalle aspera fino agli astra anche se il gioco si completa passando da Asia a Anna Lou e qui chi si interessa più di gossip che di musica (ovvero tutti, ahimè) potrebbero già aver riconosciuto Morgan che, dopo l’omaggio a De André, è tornato a pubblicare con questo disco, dalla genesi complessa quasi come il titolo. Al punto che l’autore è arrivato a definirlo «disco incompiuto». Alle spalle c’era un’idea innovativa, in quest’era di vendite ridicole: un doppio pubblicato in due tranche. Prima un cd con l’alloggiamento anche per un secondo supporto. Qualche tempo dopo la pubblicazione della seconda parte: sarebbe bastato presentarsi al negozio, vecchia custodia alla mano, per ottenere l’altro dischetto gratuitamente. Tutti d’accordo tranne gli altri, si potrebbe dire. Quindi rescissione di contratto, pausa di riflessione, e, ora, Da A ad A, influenzato dalla lettura del Mito di Sisif” di Camus, da Battiato, come sempre, ma anche dai grandi sperimentatori del passato. In effetti, nell’anno del quarantesimo anniversario di Sgt. Pepper, questo sembra, indirettamente, il miglior tributo possibile. Perché di Lennon e McCartney (e Harrison), (e George Martin), Morgan non riprende troppo né lo stile né gli stilemi. In compenso è tornato a giocare in sala d’incisione, ricordandosi che un tempo anche lo studio era considerato uno strumento da manipolare per creare suoni e alchimie. Nastri al contrario, apporti sonori arrivati da chissà dove, voci e suoni filtrati, distorti, quasi violentati in nome di una sperimentazione pura, non sapendo bene cosa si sarebbe potuto ottenere ma, quasi misteriosamente, ottenendolo. La tecnica che ha portato alla nascita di“Revolver, “gt. Pepper’s lonely hearts club band stesso e pure tutto quello che ruota attorno a Magical mystery tour. Tutti presero nota, dai Pink Floyd della stanza a fianco all’amato (da Morgan) David Bowie, all’epoca ancora giovanetto che si affrancava dalla moda mod. I suoi lavori implumi, molto prima di conoscere il vero successo, traboccano di stranezze, riuscite o meno (andrebbe riascoltata oggi The laughing gnome, con un effetto paperinesco sulla voce che spiega, abbastanza bene, perché Waters e soci non vogliono che venga pubblicata ufficialmente Scream thy last scream, prodotta con lo stesso giochetto). Erano altri tempi ma per il musicista monzese quei tempi non sono passati oppure, semplicemente, non dovevano passare. Non è un disco perfetto, forse non è un capolavoro (lo speriamo perché il buon Castoldi, è un augurio, farà ancora di più in futuro) ma è un caleidoscopio come da tempo non se ne ascoltavano al punto che, proprio come accadeva con i Fab 4, si perdonano anche brani meno felici in sede compositiva per la grande estrosità degli arrangiamenti. In fondo era quello il trucco, in quel periodo, non tanto la canzone in sé, bella o brutta, originale o meno, ma la tela da riempire di colori, come se la partitura non fosse un punto d’arrivo, come è per troppi, ma solo di partenza, quasi un pro forma anche se in questo caso la forma non è quasi mai rispettata. Ben vengano, quindi, le aperture di Amore assurdo ma anche filastrocche come Animali familiari, pezzi da chansonnier, tanghi, il singolone rock fuori contesto (Tra cinque minuti), il dittico familiare U-blue (la sua When I’m sixty four con uno spruzzo di Honey pie e la presenza della figlia) / Liebestod (il suo sogno numero nove con la partecipazione di Asia). Non c’è A day in the life ma Da A ad A si chiude con un brano lungo, epico, ironicamente masochista, Contro me stesso. Questo è un disco che meriterebbe il successo, per la volontà di fuga da temi banali, sia testuali che musicali, davvero egregio mentre tutto, intorno, è gregge, è mandria. Alessio Brunialti Salvate il soldato Ryan (Adams) Dopo l’esordio solistico con «Heartbreaker» arrivò una valanga di dischi - addirittura tre in dodici mesi -, poi nel 2006 la pausa di riflessione e finalmente un lavoro rilassato e molto più a fuoco: «Easy tiger» Deve esserci qualcosa di perverso nel volersi chiamare Ryan Adams. Il soggetto in questione, all’anagrafe, come primo nome ha David. Certo, magari mamma lo invitava a tavola usando il “middle name”, magari per gli amici era “Ry” ma quando ti butti nel business dello spettacolo, e fai rock, perché costringere tutti, i discografici, i promoter, i critici, perfino i fan, a presentarti con la frase «Hai sentito l’ultimo di Ryan Adams, No, non Bryan Adams... Ryan Adams, quello...» e così via. Complicarsi la vita? Forse. Ma c’è il serio dubbio che costui l’abbia fatto apposta, per un sottile, perverso piacere. Stiamo poi parlando di uno che non aspettava altro se non ottenere un minimo di successo, arrivato, dopo l’esordio solistico Heartbreaker, con l’acclamato Gold. Non vedeva l’ora: in seguito ha pubblicato una raccolta di demo (Demolition), un disco registrato in quattro e quattr’otto per ripicca contro la casa discografica che non ne voleva uno troppo deprimente e, quindi, Rock’n’roll, dopo, ancora, la succitata opera triste, però spezzata in due mini, Love is hell. Infine, due anni fa, tre titoli nell’arco di dodici mesi: Cold roses (pure doppio), Jacksonville city night e 29. Nel 2006 i ripensamenti, fortunatamente, e il lavoro in compagnia del vecchio Willie Nelson. Forse è stato proprio lui a dire a Ryan, come Mary Jane disse a Peter Parker, Easy tiger, «piano tigrotto». Insomma, rallenta un po’. E questo nuovo disco, se non è un capolavoro, è quello che focalizza meglio influenze come Gram Parsons e, soprattutto, Neil Young che aleggiano un po’ ovunque. Tra i migliori Oh my God, whatever, etc., Off Broadway e These girls, ballate acustiche che sarebbe bello scaturissero ancora dalla penna del re dell’Ontario, per non parlare di Pearls on a string che potrebbe tranquillamente stare su un vecchio vinile di Stephen Stills. Al. Br. ❻= ❼▼ ❽▲ ❾▲ ❿▼ CALL ME IRRESPONSIBLE Michael Bublè € 20,90 TIME OUT Max Pezzali € 20,90 SOUNDTRACK ‘96-’06 Elisa € 20,90 HANDFUL OF SOUL Mario Biondi € 20,90 FLY Zucchero Nick Drake, una vita in alta definizione Scrivere di Nick Drake è stato per molti esercizio di docu-fiction. Il personaggio si prestava bene, la sua storia è sempre apparsa a tutti tragica al limite del romanticismo. Il periodo, abbastanza lontano da meritare la connotazione storica, e per molti aspetti pionieristica. Almeno se si inquadra il contesto nell’Inghilterra della seconda metà degli anni sessanta; con il mondo musicale ancora ignaro di Woodstock, ma nel pieno dei fermenti che a quell’evento avrebbero condotto; la union-jack alta sulle classifiche discografiche di tutto il mondo; i vapori della swingin’ London ancora percettibili, la cinematografia di Peter Sellers e i prati verdi di sua maestà. Più i Beatles. In realtà nella storia di Nick Drake (solo in parte nella sua discografia) di favoloso c’è poco. E chissà, forse proprio per questo l’esercizio letterario sulla sua figura è sempre stato prodigo di spirito romantico. In Italia a dire il vero, l’unico tentativo editoriale significativo è stato quello di Stefano Pistolini che Fazi decise di titolare (romanticamente?) Le provenienze dell’amore - vita, morte e postmortem di Nick Drake. Misconosciuto cantautore inglese, molto sexy. Titolo degno di un personaggio degl’elfi, non di un cantautore che all’epoca della pubblicazione, il ’98, non era più misconosciuto, poteva forse essere sexy ma prima di ciò era una sorta di Jacques Brel inglese. E poi, chi userebbe mai una definizione del genere per un musicista morto (probabilmente) suicida a ventisei anni, già devastato da gravi forme nervose sfociate in evidenti patologie, capace di lasciarci tre album e una manciata d’inediti di rara bellezza? Vabbé, il testo di Pistolini è fresco, originale, divertente e del titolo chisseneimporta. Rimane il fatto che tanto le chiacchiere degli appassionati quanto i tentativi di riflessione a stampa su Drake siano sempre stati pervasi di un mistero letto attraverso la focale di un romanticismo stucchevole. Le pagina a cura di Mario Schiani - email: [email protected] MUSICA GLI ALBUM più venduti in Italia pagine di Patrick Humphries nel suo Nick Drake - La biografia cercano di uscire da questo alone, non sono il saggio di un accademico ma provano a restituire un ritratto ampio, multicolore, sfaccettato e a volte anche contraddittorio del musicista. Understatement (britannico) grazie al quale il libro scorre veloce, fornisce informazioni a chi non è digiuno dell’argomento e sa incuriosire chi invece conosce solo i tanti stralci agiografici. E pensare che Humphries non ha potuto contare sulla testimonianza di Joe Boyd: storico produttore di Nick Drake, anima della Island di quei tempi e primo sostenitore del cantautore di Tanword-in-Arden tanto da produrre i suoi tre dischi con un’attenzione alla musica e al suo autore per nulla giustificata dalle vendite che questa sapeva restituire alla casa discografica. Pallini e buone idee dei produttori (di una volta, ahinoi). Nick Drake - La biografia è perdipiù costruito sulle testimonianze. Spesso sui ricordi dei presenti: ci sono la famiglia, i compagni di Cambridge con le loro ingenue invidie per le amicizie importanti che Drake iniziava a collezionare nel giro della Londra musicale; qualcuno che con lui aveva spartito un palco e persino qualche "redivivo" spettatore dei pochissimi concerti tenuti da Drake. Questione delicata quella che si archivia alla voce Nick Drake dal vivo. È nota la ritrosia di Drake per l’esibizione in pubblico e il libro ne evidenzia le possibili cause cercando di trovarne l’origine; fa un elenco di quelli che invece furono (qualche dozzina, molti in piccoli club o alle feste universitarie) i suoi concerti, mostrandone alcuni dettagli. E poi offre una curiosità: alla Bbc non si trovano più (ormai da anni) i nastri di due registrazioni che Nick Drake effettuò per lo storico programma radiofonico di John Peel. Pare che per poco onorevoli ragioni di spazio i manager di allora imponessero di riutilizzare le bobine. Peccato, zia Beeb. Andrea Di Gennaro Jim Morrison? «Morì di droga nel mio night» Macché morte per cause naturali nel bagno di casa: il leggendario Jim Morrison sarebbe stato stroncato da un’overdose di eroina in un night-club del Quartiere Latino di Parigi e portato poi in fretta a casa nel suo appartamento parigino da due trafficanti di droga. Sam Barrett, uno stretto amico del solista dei Doors, scomparso ad appena 27 anni nel luglio del 1971, ha raccontato il clamoroso retroscena nel corso di un’intervista esclusiva al «Mail on Sunday» di Londra. All’epoca Barrett - adesso sessantaduenne - era il manager del night-club Rock’n’Roll Circus. Barrett racconta che quella tragica notte del 3 luglio 1971 Morrison arrivò al Rock’n’Roll Circus verso l’una di notte assieme alla girlfriend Pamela Courson: «Era venuto per prendere dell’eroina per Pam. Verso le due Jim scomparve in una toilette. Una mezz’ora più tardi un addetto al guardaroba venne da me per segnalarmi di uno che si era chiuso al gabinetto e non usciva più. Allora chiesi ad un buttafuori di gettar giù la porta». Fu a quel punto che il manager del night vide il musicista dei Doors ormai senza vita: «Fummo certi - ricorda - che si trattasse di droga perché c’era schiuma sulle labbra e sangue». € 9,90