Dylan Thomas

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Dylan Thomas
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1. Le opere principali
L’opera letteraria di Dylan Thomas (Swansea, Galles 1914 - New
York 1953), fu fortemente legata alle sue radici gallesi. Conclusi gli studi
nel 1931 lavorò come reporter per il “South Wales Evening Post”. Nel
1934 si trasferì a Londra, dove nello stesso anno pubblicò la raccolta
poetica dell’esordio, “Eighteen Poems” “Diciotto poesie” che riproponeva
una poesia magica, oscura ma anche naturale e istintiva. Si impose
nell'ambito di un "nuovo romanticismo" come reazione all'intellettualismo
e al classicismo tipici del suo tempo e a questi contrappose una forma di
automatismo verbale, di deliberata retorica, amore per il suono delle
parole. Del 1936 sono “Twenty-five poems” “Venticinque poesie”, cui
seguirono “The world I breathe” “Il mondo che respiro” e “The map of
love” “La mappa d'amore” nel 1939. Il libro che raccoglie le più note e
forse le più belle delle sue poesie è “Deaths and entrances” “Morti e
ingressi “ del 1946. Le varie raccolte di poesie che furono da lui scritte
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tra il 1934 e il 1952 furono ripubblicate nel volume di “Collected poems”
“Poesie scelte”. Poco prima della morte pubblicò “The doctor and the
devils” “Il medico e i diavoli” nel 1953. Vanno aggiunte anche le prose
lirico - narrative: “A portrait of the artists as a young dog” “Un ritratto
dell'artista da cucciolo di cane”” del 1940, e il radiodramma “Under the
milk wood” “Sotto il bosco di latte” pubblicato postumo nel 1954. Dopo la
sua morte fu pubblicata anche la raccolta di “Selected letters” “Lettere
scelte” nel
1966, e “Letters to Vernon Watkins” “Lettere a Vernon
Watkins “nel 1957. Postumi apparvero ancora: “Quite early one morning”
(1954), “Adventures in the skin trade” (1955).
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2. Lo scopo di Dylan Thomas
Una delle caratteristiche principali dell’arte letteraria dopo la
prima guerra mondiale consisteva nel fatto, che un’opera letteraria veniva
sottomessa a particolari regole e leggi che lo scrittore doveva rispettare,
seguendo un’impronta più neoclassica piuttosto che romantica. In
generale, nell’ambito della cultura letteraria novecentesca, si può
affermare che esistevano due grandi filoni di pensiero, una che era
caratterizzata dal rifiuto di una poesia personale e bardica dove l’uomo e
il poeta mai incontravano direttamente la realtà esterna, in cui cioè l’io e
il mondo erano ben separati; l’altra caratterizzata invece da un’attiva e
profonda partecipazione del poeta nella poesia stessa. Thomas aderì a
questa seconda sponda di pensiero.
Lontano da quegli autori che rappresentavano la grande tradizione
ufficiale del modernismo inglese, come ad esempio Yeats, Eliot e Joyce,
fu più vicino da un punto di vista ideologico ad autori come Auden,
Spender e Cameron, appartenenti alla generazione “post-eliotiana” anche
se tra loro vi erano comunque profonde differenze. Thomas condivideva
con questi le stesse ideologie politiche; ricordo che questi sono gli anni
difficili caratterizzati dalla nascita e dall’affermarsi di sistemi totalitari,
dalle suggestioni naziste diffuse in tutto il mondo, dall’incipiente guerra
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mondiale. Ma, mentre questi autori agganciarono la loro poesia alla
battaglia ideologica in atto, e veniva vista la poesia come esito sociale in
cui il poeta analizzava il presente utilizzando strumenti e modelli del
passato, lo scopo della poesia di Dylan Thomas fu totalmente diverso. Per
il suo netto rifiuto di ogni intellettualismo e di ogni problematizzazione
ideologica, per il suo sforzo di fare poesia privilegiando la più semplice
base organica dell’esperienza, il momento della nascita, Thomas si
distacca dai suoi contemporanei (Auden, Spender…) proprio per questo.
Lui crede nella magia dell’universo, nel significato e nei poteri dei simboli,
nel miracolo di lui stesso e di tutti i mortali, nella divinità che secondo
Thomas è cosi vicina all’umanità… Lui si batte per un’attiva partecipazione
del poeta alla poesia che gli appartiene; vuole un completo coinvolgimento
del poeta nel tessuto dell’opera, al contrario, ad esempio, di Thomas
Sterne Eliot che definisce la poesia come “evasione dalla personalità” e
considera il poeta come catalizzatore, al cui contatto, da un miscuglio di
idee nasce l’opera poetica, senza che il poeta venga coinvolto
direttamente. Va sottolineato che Thomas non solo partecipa attivamente
all’azione della sua poesia, ma è al centro del suo sistema, lo crea; egli
stesso è la sua poesia. Thomas non ha una voce individuale in alcuna di
esse, l’”io” della sua poesia diventa continuamente un “altro”. Thomas è un
poeta che va controcorrente e che organizza il suo conflitto rigeneratore
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in maniera diversa dagli altri poeti, perché al contrario di questi poeti,
sceglie la materia “morta”, tradizionalmente considerata il simbolo della
rovina. Questo è quanto scrive in una lettera indirizzata a Pamela
Hansford Johnson nel 1933:
«Se scrivo tanto spesso in termini di corpo, di morte, di malattia e
di corruzione del corpo, non significa necessariamente che la mia
Musa (non una delle mie parole preferite) sia sadica. Almeno per
ora credo nello scrivere poesia della carne, e in genere della carne
morta. Moltissimi poeti moderni scelgono come loro oggetto la
carne “viva” e con il loro accorto lavoro di dissezione la
trasformano in carcassa. Io preferisco usare la carne morta e con
tutta la positività di fede e di convinzione che ho dentro di me,
costruirci una carne “viva”»1.
Dunque si può affermare che lo scopo principale
di Thomas fu
quello di dare un senso all’oscuro; lui cercò, nella sua poesia, di realizzare
un tramite diretto tra l’individuo e il mondo; cercò, come scrisse
Francesco Binni, di:
“…diventare la propria poesia, condizionarsi fino a fare della
propria vita uno strumento sul quale agiscano l’elementare e il
germinale producandone parole…” 2.
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Lettera a Pamela Hansford Johnson, 1933
Dylan Thomas, Francesco Binni, Il castoro (1973)
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Thomas non solo è penetrato nel mondo con tutta la sua capacità
sensoria, ma, in più, lo interiorizza, trasformandolo in parole. Lui è al
centro della sua opera poetica, non se ne può distaccare, può cercare solo
di ricollegare il soggetto con l’oggetto, l’io con il mondo. Anche il suo
linguaggio poetico fa questo, cerca di unificare il mondo e i pensieri e,
senza esso, le due cose sarebbero scisse. Esso non va né ricercato
all’esterno né può essere rappresentato da un particolare tipo di
discorso, ma esso è costituito da parole ognuna delle quali ha un proprio
corpus, nasce, vive e si rigenera. Thomas vuole distruggere ogni tipo di
linguaggio convenzionale, per lui ogni parola incorpora in sé molteplici
significati e per capirne il significato esatto in quel particolare contesto,
bisogna studiare e vedere quale significato assume quella parola in altri
diversi contesti. Le parole sono la «sostanza» della poesia. Dylan Thomas
scrisse a tale proposito nel «Poetic Manifesto»:
“Quello che mi piace è trattare le parole come un artista il suo
legno o pietra o quello che volete, per tagliarle, scolpirle,
avvolgerle, spianarle e lucidarle in disegni, sequenze, sculture,
fughe di suoni”
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Dylan Thomas, Francesco Binni, Il castoro 1973
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Inoltre l’atto dello scrivere per Thomas va necessariamente
espresso in termini fisici in linea con lo sviluppo fisiologico dei pensieri e
delle azioni; scrive sempre a Pamela Hansford Johnson, nel 1933:
«Tutti i pensieri e le azioni hanno origine dal corpo. Perciò la
descrizione d’un pensiero o di un’azione – per quanto astrusa possa
essere – può essere fatta riducendola a livello fisico. Ogni idea,
intuitiva o intellettuale, può essere tradotta in termini del corpo,
della sua carne, sangue, tendini, vene ghiandole, organi, cellule e
sensi…»4
La poesia di Thomas si distingue per la sua coerenza tematica
caratterizzata dal sesso, dalla nascita come iniziazione alla morte,
elementi dell’esperienza umana per i quali la ragione non sa fornire alcuna
spiegazione esauriente. Lui parte da questa nuda base biologica, ed è su
questa base che costruisce la sua visione mitica rigeneratrice, in linea con
la visione mitica del mondo dei grandi romantici Blake e Coleridge. Ed è
questa visione mitica che lo fa entrare in contrasto con l’establishment
letterario del suo tempo.
Sia nelle prime poesie che nelle poesie della maturità c’è un
fortissimo desiderio di Thomas di porsi in contatto con la forza occulta
dell’universo, cercando di fare ciò con grande sincerità e ed impegno.
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Lettera a Pamela Hansford Johnson, 1933
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3. L’uso delle immagini e il concetto di dualità
Nelle opere letterarie di Dylan Thomas tra i tanti importanti
fattori che si possono riscontrare ve ne sono in particolare due, che
secondo la mia opinione sono fondamentali per capire la sua arte:
l’importanza che lui da alle immagini, e il suo concetto di dualità.
Per
quanto
riguarda
il
primo
elemento,
la
sua
poesia
è
caratterizzata da un fortissimo uso di immagini, che non hanno un
semplice ruolo decorativo ma queste seguono i processi organici della
natura. Thomas scrisse quanto segue in una lettera indirizzata a Henry
Treece:
«…Una mia poesia ha bisogno di una schiera di immagini… creo
un’immagine – sebbene « creo » non sia la parola giusta; lascio
forse che un’immagine «si crei» in me emozionalmente poi vi applico
quel tanto di potere intellettuale e critico che posseggo- lascio che
ne generi un’altra, lascio che questa nuova immagine contraddica la
prima, faccio della terza immagine, generata dalla contraddizione
delle altre due, una quarta immagine contraddittoria, e le lascio
tutte, nell’ambito dei limiti formali che mi sono imposto, cozzare
insieme. Ciascuna immagine contiene in sé il germe della propria
distruzione, e il metodo dialettico, così come io lo intendo, è un
costante ergersi e crollare delle immagini che si sprigionano dal
germe centrale, che è esso stesso distruttivo e costruttivo allo
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stesso tempo…Dall’inevitabile conflitto delle immagini…cerco di
concludere quella pace momentanea che è una poesia...»5.
Le immagini arrivano ad esistere nella coscienza del poeta e sono tutte
diverse tra loro, in conflitto tra loro; l’unico fattore che collega queste
immagini è la contraddizione. Le immagini entrano a livello inconscio nel
poeta e lo scopo della poesia, per Thomas, (ed è per questo che si
allontana dal surrealismo che proponeva un distributore automatico di
immagini sconnesse rastrellate dal subconscio) è selezionare quelle
immagini che possono aiutarlo nel suo processo immaginativo. L’idea
thomasiana di processo è tutt’altro che astratta; è importante e proficua
ai fini della poesia proprio perché impersona il dinamico interpenetrarsi
di soggetto e oggetto in concretezza di parole e immagini.
Il secondo elemento riguarda il concetto di dualità sul quale si basa
l’intera opera di Thomas. I principali temi trattati nelle sue poesie sono
quelli che possono vedersi come parte di un’universale antitesi di sviluppo
e decadimento, e cioè credere nella vita contro la disperazione, l’amore
contro la dilapidazione sessuale, l’agire cosciente contro un mondo di
sogno; ma come ho già detto non si tratta di un piano astratto ma Thomas
lavora sulla concreta letteralità di quel processo, realizzando e
costruendo una linea narrativa continua. Ogni narrativa, inizialmente,
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“La poesia visionaria di Dylan Thomas” in I Funamboli. Il manierismo nella Letteratura Inglese da Joyce ai Giovani
Arrabbiati, Giorgio Melchiori, Einaudi (1963)
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viene rappresentata geometricamente in Thomas da un cerchio che può
essere inteso sia in senso anatomico che cosmico, ma che in ogni caso,
inizialmente è vuoto, o omogeneo e amorfo nel suo contenuto. In altre
parole per lui in un primissima fase, tutto è omogeneo, non c’è nessun tipo
di differenziazione, neppure tra i sessi. In una seconda fase la narrativa
assume la forma geometrica lineare, creando movimento e iniziali
differenziazioni come quella tra maschio e femmina. Più il processo di
differenziazione progredisce, più si moltiplicano le linee che intersecano
il cerchio.
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4. La reazione di Thomas contro la società
La tematica che più ha stuzzicato il mio interesse nei riguardi di
questo autore è il chiaro disgusto e il senso di disapprovazione che lui
aveva nei confronti della società in cui viveva. Al di là delle tecniche
utilizzate piuttosto che dello stile adottato quello che ha attirato la mia
attenzione è il modo in cui attacca le istituzioni; molte delle cose di cui
lui parla, sono secondo assolutamente attuali. A questo proposito vorrei
riportare una lettera che lui scrisse a Pamela Hansford Johnson nel
19336.
«E’ ingiusto tutto ciò che vieta la libertà dell’individuo. I governi
sono ingiusti perché sono i comitati dei proibenti; le rotative sono
ingiuste perché ci nutrono con ciò che vogliono nutrirci e non di ciò che
desideriamo mangiare; le chiese sono ingiuste perché standardizzano i
nostri dei, perché etichettano la nostra morale, perché lodano la morte di
un Cristo scomparso, e temono il pianto di un nuovo Cristo nel deserto; i
poeti sono ingiusti, perché la loro visione non è una visione, ma uno
strabuzzare gli occhi; guardano il mondo d’oggi, e ciononostante i loro
occhi sono rivolti all’indietro lungo le strade dei secoli trascorsi, mai
verso l’enorme, elettrica promessa del futuro.
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Lettera a Pamela Hansford Johnson l’11 novembre 1933 raccolta in Selected Letters
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Ci sono ingiustizia, confusione, criminale ignoranza, virtù corrotta e
invertita, ipocrisia e cecità di pietra, in ogni sfera della vita. Se soltanto
per un momento il mondo occidentale potesse far cadere i veli, che, fin
dai tempi della Riforma, gli si sono attaccati addosso come le croste di
una malattia, e guardare con occhi illuminati, il cesso che ha creato, la
grandezza che ha spaccato e strangolato, l’inedia che ha promosso, le
perversioni e le ignoranze che ha insegnato, alla fine morirebbe di
vergogna. E noi, che non abbiamo vissuto abbastanza per essere corrotti,
potremmo costruire con le sue ossa, buone per concime, la base di una
civiltà giusta e ragionevole».
E ancora in una lettera scritta a Trevor Hughes7:
«Vorrei amare l’umanità, ma demoni divoratori di cadaveri, vampiri,
squartatori di donne, stupratori di bambini, ubriaconi tutti verruche,
mezzani e finanzieri passano accanto alla finestra, diretti Dio sa dove e
perché, in un sogno su e giù per la collina»
Credo che il senso di disapprovazione e disgusto nei confronti della
società, di cui parlavo prima, in queste lettere sia abbastanza chiaro. Gli
anni in cui Dylan Thomas scrisse questa lettera sono gli anni della nascita
di sistemi totalitari, così come sono gli anni della diffusione delle
ideologie naziste in tutto il mondo e dell’incipiente guerra mondiale. Lui
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Lettera a Trevor Hughes, 1933 raccolta in Selected Letters
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parla di “libertà negata” proprio in relazione a ciò che lui sta vivendo e
credo che lui non veda la possibilità di riscatto in nessuna delle istituzioni
appartenenti alla società, in quanto sia i governi che la chiesa limitino e
addirittura vietino il diritto alla libertà. Nella lettera a Pamela è anche
chiaro il pensiero negativo che lui nei confronti dei poeti suoi
contemporanei; infatti Thomas scrive “i poeti sono ingiusti, perché la loro
visione non è una visione, ma uno strabuzzare gli occhi; guardano il mondo
d’oggi, e ciononostante i loro occhi sono rivolti all’indietro lungo le strade
dei secoli trascorsi, mai verso l’enorme, elettrica promessa del futuro”;
lui accusa i poeti suoi contemporanei di non riuscire a rivolgersi verso il
futuro, ma di restare ancorati al passato e tramite questo cercare di
analizzare il presente; facendo ciò credo che lui tenta di dire che anche i
poeti non permettano una proiezione verso il futuro e quindi un progresso
dell’intera umanità.
Prima di passare all’altro esempio che ho portato vorrei aggiungere
un’informazione ulteriore, o meglio, una domanda ulteriore che mi sono
posta: “Perché Thomas usa spesso l’aggettivo ingiusto- ingiusta- ingiusti?”
In base a tutto ciò che ho letto, soprattutto riguardo le opere di critica,
ho provato a darmi una risposta, sicuramente discutibile ma è sempre
frutto di una mia riflessione. Io credo che lui usi quell’aggettivo sempre
in relazione a due fattori detti prima: 1. Gli uomini per lui rappresentano
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un’umanità passiva che non riesce a ribellarsi e i potenti approfittandosi
di ciò (e quindi ingiusti) decidono non per essa ma su di essa; 2. La sua
fede politica è sicuramente antitotalitaria e, vivendo in un mondo in cui i
sistemi totalitari si stavano affermando con forza, credo che si sentisse
soffocare e che le libertà negate siano state viste da lui come qualcosa di
assolutamente ingiusto, in quanto annullano l’individuo.
Un altro esempio che ho portato a tal proposito è una poesia
intitolata “The hand that signed the paper”
“La mano che firmò il
trattato”, appartenente alla raccolta di poesie “Twenty-five poems” cioè
“Venticinque poesie”.
The Hand That Signed the Paper
The hand that signed the paper felled a city;
Five sovereign fingers taxed the breath,
Doubled the globe of dead and halved a country;
These five kings did a king to death.
The mighty hand leads to a sloping shoulder,
The finger joints are cramped with chalk;
A goose's quill has put an end to murder
That put an end to talk.
The hand that signed the treaty bred a fever,
And famine grew, and locusts came;
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Great is the hand that holds dominion over
Man by a scribbled name.
The five kings count the dead but do not soften
The crusted wound nor stroke the brow;
A hand rules pity as a hand rules heaven;
Hands have no tears to flow.
La mano che firmò il trattato
La mano che firmò il trattato fece crollare una città;
Cinque dita sovrane posero un'ipoteca sul respiro,
Raddoppiarono il globo dei morti e dimezzarono un paese;
Quei cinque re misero a morte un re.
La mano possente conduce a una spalla ricurva,
Il gesso contrae le giunture delle dita;
Una penna d'oca ha posto fine al delitto
Che pose fine a ogni negoziato.
La mano che firmò il trattato produsse una febbre,
La carestia avanzò, e le locuste giunsero; è grande
La mano che tiene in suo dominio l'uomo
Grazie a un nome scribacchiato.
I cinque re contano i morti, ma non possono curare
La ferita incrostata, né spianare la fronte; una mano
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Amministra pietà come una mano amministra anche il cielo;
Le mani non hanno lacrime da spargere.
Anche in questa poesia, datata 17 agosto 1933
in “Buffalo
Notebook” successivamente raccolta in “Twenty-Five Poems”, si evince a
mio avviso sia il tema dell’ingiustizia da parte dei potenti di poter
decidere del destino degli uomini, come se questi fossero solo oggetti,
quindi decidere chi debba vivere e chi debba morire, e che l’azione dei
potenti non faccia altro che portare miseria e distruzione (“Doubled the
globe of dead and halved a country” “Raddoppiarono il globo dei morti e
dimezzarono un paese”). La figura di un potente che con una semplice
sigla decide il destino degli uomini ponendo fine a qualsiasi tipo di
negoziato e quindi di conseguenza limitando la libertà degli uomini (“A
goose's
quill
has
put
an
end
to
murder
That put an end to talk” “Una penna d'oca ha posto fine al delitto
Che pose fine a ogni negoziato”), e lo fa quasi come fosse un Dio che
amministra il suo cielo ( “A hand rules pity as a hand rules heaven” “una
mano amministra pietà come una mano amministra anche il cielo”). Qui si
evince anche la visione che Thomas ha dell’umanità: gli uomini che fanno
questa storia sono un’umanità senza prospettiva di sviluppo che
continuamente costruisce la propria caduta, una malvagia e perversa
macchina da guerra, una mano maledetta: “la mano che firmò il
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trattato”,che “abbatté una città” e che “produsse una febbre”; in questa
visione pessimistica, la mano politica è vista come una forza impersonale.
Nonostante da questi due esempi venga fuori una visione assolutamente
pessimistica che Thomas ha, ecco che entra in gioco l’elemento della
contraddizione presente in tutta la sua opera, di cui lui stesso ha parlato,
definendo e spiegando che su questo elemento si basa il suo metodo di
ricerca e di “far poesia” e che viene, sia nel passato che ancora oggi,
spesso analizzato da tanti critici come lo stesso Francesco Binni: alla
visione pessimistica espressa pienamente e totalmente ad esempio nella
lettera, egli alla fine introduce con poche e semplici frasi un elemento di
positività, la speranza che egli ha che un giorno l’umanità possa ribellarsi
e costruire qualcosa di giusto e di nuovo sulle basi di una civiltà ormai
morta; quindi l’elemento negativo si contraddice lasciando posto
all’elemento positivo (“E noi, che non abbiamo vissuto abbastanza per
essere corrotti, potremmo costruire con le sue ossa, buone per concime,
la base di una civiltà giusta e ragionevole”).
Infine aggiungo che il disgusto thomasiano per la società non
assumerà mai i toni satirici di Jonathan Swift o di Joyce perché Thomas
è fondamentalmente poeta mitopoietico e visionario. Tuttavia, non si può
non ammettere che la questione dei rapporti umani tormenti Thomas,
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soprattutto in poesie come “I have longed to move away”, cioè “Ho
desiderato tanto allontanarmi”.
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Conclusioni generali
Dylan Thomas riscosse un gran successo in Italia soprattutto nel
secondo dopoguerra. Quella di Thomas è una poesia bardica, struggente e
biblica. I suoi personaggi sono spesso goffi, esilaranti, lamentosi,
sensuali, sembra quasi che vogliano uscir fuori e traboccare dalla pagina
e, per questa caratteristica, molti critici hanno eguagliato le opere di
Thomas con i quadri di Brueghel.
Io credo che le sue poesie siano profonde e incantevoli, e grazie
alle molte registrazioni delle sue letture (che a mio parere restano
ineguagliate) che ci ha lasciato, riesce a trasmetterci un’emozione più
forte; tramite la sua voce che quasi ipnotizza, riusciamo ad entrare
direttamente in contatto con il suo mondo, con il suo pensiero. Proprio per
questo motivo spiego come mai al suo tempo abbia riscosso così tanto
successo; così si spiegherebbe anche l’enorme seguito che aveva ogni
qualvolta portava in scena una sua lettura. Attorno a lui si scatenò
un’attrazione straordinaria che ha fatto si che molti artisti per motivi
vari si rivolgessero a lui. Penso ad esempio a Bob Dylan, che ha preso il
nome dell’autore per farne il proprio nome d’arte, o ancora penso al caso
di Dylan Dog: hanno pensato a Dylan Thomas per ispirarsi e trovare il
titolo del fumetto.
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Per me Dylan Thomas ha dato un grande contributo alla scena
letteraria, sia in merito di stile e linguaggio adottato, sia in merito di
definizione stessa della poesia, che è, per lui, l’unica cosa che realmente
permette l’unione tra l’uomo e il mondo, tra l’individuo e la realtà esterna.
Le poesie di Thomas oltre a piacermi, mi hanno anche interessato in
particolar modo, in quanto credo che molte delle tematiche da lui
trattate siano assolutamente attuali e proprio per questo spero che
Dylan Thomas venga studiato maggiormente nelle scuole e nelle università
non solo a livello nazionale, bensì mondiale.
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Bibliografia
•
“Storia della letteratura inglese” P. Bertinetti, Torino,
Einaudi, 2000
•
•
“Breve storia della letteratura inglese” Bertinetti. Einaudi
“Only
Connect…A
History
and
Anthology
of
English
Literature” Second Edition, Zanichelli
•
“La letteratura inglese dai romantici al ‘900” Mario Praz.
Biblioteca universale, Rizzoli
•
“Poesie e racconti” Dylan Thomas. Arrodante Marianni, 1996.
•
“Poesie” Dylan Thomas. Einaudi, 2007.
•
“Ritratto
del
poeta
attraverso
le
lettere”
Costantine
Fitzgibbon. Einaudi
•
“Dylan Thomas” Francesco Binni, Il castoro 1973
•
“La poesia visionaria di Dylan Thomas” in I Funamboli. Il
manierismo nella Letteratura Inglese da Joyce ai Giovani Arrabbiati,
Giorgio Melchiori, Einaudi (1963)
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