3 La Setta Dei Vampiri - L`incantesimo

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3 La Setta Dei Vampiri - L`incantesimo
Lisa Jane Smith
La Setta
dei Vampiri
L’INCANTESIMO
ROMANZO
Newton Compton Editori
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Capitolo 1
Espulsa.
Era una parola spaventosa per una studentessa
dell’ultimo anno, e continuava a risuonare nelle orecchie
di Thea Harman mentre l’auto di sua nonna si avvicinava
all’edificio scolastico.
«Questa», disse nonna Harman dal sedile anteriore del
passeggero, «è la vostra ultima possibilità. Ve ne rendete
conto, vero?».
L’autista si accostò al marciapiede, mentre lei continuava a parlare. «Non so perché siate state buttate fuori
dall’ultima scuola, e non voglio saperlo. Ma se sentirò
anche solo odore di guai in questo istituto, me ne lavo le
mani e vi spedisco tutte e due da vostra zia Ursula. E voi
questo non lo volete, non è vero?».
Thea scosse la testa con vigore.
La casa di zia Ursula era soprannominata il Convento,
una fortezza grigia in cima a una montagna desolata. Muri di pietra ovunque, un’atmosfera tetra, e la zia che controllava a vista ogni loro mossa con le labbra serrate.
Meglio la morte.
Sui sedili posteriori, accanto a Thea, anche sua cugina
Blaise scuoteva la testa, ma naturalmente non aveva sentito neanche una parola.
Anche Thea aveva qualche difficoltà a concentrarsi.
Le girava la testa e si sentiva molto confusa, come se metà di lei fosse ancora nel New Hampshire, nell’ufficio del
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preside. Continuava ad avere davanti agli occhi la sua
espressione mentre diceva a lei e Blaise che stavano per
essere espulse, di nuovo.
Quella volta però era stato peggio. Non avrebbe mai
dimenticato la luce blu e rossa della macchina della polizia che vedeva lampeggiare dalla finestra, o il fumo che
si alzava dai resti carbonizzati dell’aula di musica, o le
grida di Randy Marik mentre i poliziotti lo portavano in
prigione.
E Blaise continuava a sorridere. Trionfante, come se
non fosse che un gioco.
Thea lanciò un’occhiata alla cugina.
Blaise era bella e mortale, e di questo naturalmente
non aveva colpa. Lo era sempre stata; faceva parte di lei
come gli ardenti occhi grigi e i capelli color fuliggine.
Era diversa dalla dolcezza bionda di Thea come la notte è
diversa dal giorno, ed era la sua bellezza a metterle sempre nei guai, ma Thea non poteva fare a meno di amarla.
Dopotutto, erano cresciute come sorelle. E il legame
fra sorelle era il più forte… per una strega.
Non possiamo farci espellere un’altra volta. Non possiamo. E so che in questo esatto momento stai pensando
che puoi rifare tutto daccapo e la cara vecchia Thea sarà
sempre al tuo fianco, ma stavolta ti sbagli. Stavolta dovrò impedirtelo.
«È tutto», concluse bruscamente la nonna, mettendo
fine alla ramanzina. «Tenetevi fuori dai guai fino alla fine di ottobre o ve ne pentirete. E adesso fuori». Colpì lo
schienale del sedile del guidatore col suo bastone. «A casa, Tobias».
L’autista, un ragazzo riccio che non aveva più di
vent’anni ma già sfoggiava l’espressione stupita e abbacchiata che tutti gli apprendisti della nonna assumevano
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dopo qualche giorno, mormorò: «Sì, Somma Signora», e
allungò la mano sul cambio. Thea afferrò la maniglia e
scese in fretta dall’auto. Blaise le andò subito dietro.
La vecchia Lincoln Continental si allontanò velocemente. Thea rimase insieme a Blaise sotto il sole caldo
del Nevada, di fronte al complesso di edifici a due piani
in mattoni. Il liceo di Lake Mead.
Thea chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte, cercando di rimettere in moto il cervello. Poi si voltò verso sua
cugina.
«Dimmi», disse severamente, «che non hai intenzione
di rifare qui la stessa cosa».
Blaise rise. «Non faccio mai la stessa cosa due volte».
«Sai cosa intendo».
Blaise contrasse le labbra e si chinò per aggiustarsi il
gambale dello stivale. «Secondo me la nonna ha esagerato un po’ con le prediche, non sei d’accordo? Credo ci sia
qualcosa che non ci dice. Insomma, che c’entra la fine
del mese?». Si raddrizzò, gettò indietro i folti capelli scuri e sorrise soavemente. «Non dovremmo andare in segreteria a farci dare gli orari?»
«Vuoi rispondere alla mia domanda?»
«Mi avevi chiesto qualcosa?»
Thea chiuse gli occhi. «Blaise, stiamo rimanendo a
corto di parenti. Se succede di nuovo… be’, vuoi finire in
Convento?».
Per la prima volta Blaise si rabbuiò. Poi si strinse nelle
spalle, e il tessuto dell’ampia camicia color rubino si increspò, creando piccole pieghe simili a onde liquide. «Faremo meglio a sbrigarci, se non vogliamo arrivare in ritardo».
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«Vai avanti tu», rispose Thea con voce stanca. La
guardò allontanarsi, i fianchi che ondeggiavano, il passo
leggero che era il suo marchio di fabbrica.
Fece un altro respiro, studiando le costruzioni, con i
loro ingressi ad arco e i muri d’intonaco rosa. Sapeva già
cosa l’aspettava.
Un altro anno accanto a loro, a camminare tranquilla
per i corridoi con la consapevolezza di essere diversa da
tutti quelli che aveva intorno, a fingere nel contempo di
essere uguale.
Non era difficile. Gli umani non erano troppo svegli.
Ma ci voleva una certa dose di concentrazione.
S’era appena incamminata anche lei verso la segreteria
quando sentì delle voci concitate. Un gruppetto di studenti s’era radunato ai margini del parcheggio.
«Sta’ lontano».
«Uccidilo!».
Si avvicinò senza farsi notare. Ma poi vide cosa c’era
a terra e, preoccupata, fece tre balzi in avanti finché non
lo raggiunse e poté osservarlo per bene.
Oh… che meraviglia. Corpo lungo, forte… testa larga… e sulla coda una fila di anelli che vibravano rapidi.
Producevano un suono simile al fischio del vapore, o a
semi di melone dentro una scatola.
Il serpente era verde oliva, con grossi rombi sul dorso.
Le squame sulla testa brillavano, sembravano quasi bagnate. E la lingua nera guizzava così veloce…
Un sasso le passò sopra la testa sibilando e cadde a
terra accanto al serpente. Si alzò una nube di polvere.
Thea alzò lo sguardo. Un ragazzo con dei jeans corti
indietreggiava, l’espressione impaurita e trionfante.
«Non fare così», disse qualcuno.
«Prendi un bastone», disse qualcun altro.
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«Stagli lontano».
«Uccidilo».
Volò un altro sasso.
Le facce intorno a Thea non erano crudeli. Alcune
sembravano curiose, altre impaurite, altre ancora colme
di una sorta di affascinato disgusto. Ma per il serpente la
conclusione sarebbe stata la stessa.
Un ragazzo coi capelli rossi partì all’assalto con un
bastone. Altri si chinarono a raccogliere sassi.
Non posso permetterlo, pensò Thea. I serpenti a sonagli erano in realtà abbastanza deboli, avevano una spina
dorsale delicata. Quei ragazzini avrebbero potuto uccidere il serpente anche senza volerlo.
Per non parlare del fatto che rischiavano di farsi mordere.
Ma lei non aveva niente… né un diaspro contro il veleno, né dell’iperico per calmare la mente.
Non importava, doveva fare qualcosa. Il ragazzo dai
capelli rossi si muoveva in cerchio col suo bastone come
un lottatore che studia il suo avversario. Gli altri lì intorno alternavano avvertimenti e incitazioni. Il serpente si
era raggomitolato su se stesso, la lingua guizzava così velocemente che Thea non riusciva a seguirla con gli occhi.
Era impazzito.
Dopo aver buttato a terra lo zaino, passò davanti al ragazzo. Vide che la guardava scioccato e sentì che molti
gridavano, ma cercò di estraniarsi da tutto. Aveva bisogno di concentrarsi.
Spero di esserne capace…
Si inginocchiò a una trentina di centimetri dal serpente. La bestia si preparò all’attacco. La parte superiore del
corpo sollevata a forma di esse, la testa simile a una frec-
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cia che sta per essere scoccata. Niente sembra più pronto
a scattare di un serpente in quella posizione.
Calmo… sta’ calmo, pensò Thea, fissando le pupille a
fessura di quegli occhi gialli da gatto. Alzò lentamente le
mani, coi palmi rivolti verso il serpente.
Brusii preoccupati si alzarono dalla folla dietro di lei.
Il serpente inspirava ed espirava con un violento sibilo.
Thea respirava piano, cercando di irradiare pace.
Ora, chi poteva aiutarla? Naturalmente, la sua protettrice personale, la dea più vicina al suo cuore.
Ilizia dell’antica Creta, la madre degli animali. Ilizia,
Signora delle bestie, di’ a questa creatura di calmarsi, ti
prego. Aiutami a vedere nel suo piccolo cuore di serpe,
così che io sappia cosa fare.
E poi accadde, la meravigliosa trasformazione che neanche Thea riusciva a capire. Parte di lei divenne il serpente. Uno strano sfumare dei suoi confini: era se stessa,
ma era anche arrotolata sul terreno caldo; adirata, eccitabile e desiderosa sopra ogni cosa di tornare al riparo di un
cespuglio.
Qualche tempo prima aveva avuto undici figli, e non
si era mai ripresa del tutto dall’esperienza. Ora era circondata da creature grandi, calde, che si muovevano velocemente.
Grosse-cose-viventi… troppo vicine. Non reagiscono
ai miei segnali di minaccia. Meglio morderli.
Il serpente aveva solo due modi di comportarsi nei
confronti di animali che non erano fonte di cibo: 1) agitare la coda finché non vanno via; 2) se non se ne vanno,
colpire.
La Thea persona teneva le mani immobili e cercava di
far penetrare un nuovo pensiero in quel piccolo cervello
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di rettile. Odorami. Assaggiami. Non ho lo stesso odore
di un umano. Sono una figlia di Hellewise.
La lingua del serpente le solleticò il palmo. Le punte
erano così sottili e delicate che Thea a malapena riusciva
a sentirne il tocco sulla pelle.
Però percepiva che il serpente stava abbandonando lo
stato di massima allerta. Si stava rilassando, pronto ad
andarsene. A breve, se gli avesse detto di guizzare via,
l’avrebbe ascoltata.
Dietro di lei, sentì una nuova confusione.
«C’è Eric!».
«Ehi, Eric – un serpente a sonagli!».
Non deconcentrarti, pensò Thea.
Una nuova voce, più lontana, ma in avvicinamento.
«Lasciatelo stare, ragazzi. Probabilmente è solo un serpente toro».
Seguì un clamore di eccitati dinieghi. Thea sentiva
svanire la sua connessione. Resta concentrata…
Ma nessuno sarebbe riuscito a concentrarsi con la baraonda che si verificò a quel punto. Udì dei passi veloci.
Un’ombra sfrecciò rapida da oriente. Poi sentì un respiro
affannoso.
«È un Mojave!».
E poi qualcosa la colpì, facendola cadere di lato. Successe così in fretta che non ebbe il tempo di girarsi. Atterrò dolorosamente sul braccio. Perse il controllo sul
serpente.
Tutto quello che riuscì a vedere fu una testa squamosa
verde oliva che scattava in avanti, così veloce da diventare una macchia indistinta. Le mascelle erano spalancate –
sorprendentemente grandi – e le zanne affondarono nella
gamba coperta dai jeans del ragazzo che aveva spinto via
Thea.
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Capitolo 2
Fra i ragazzi dilagò il panico.
Stava succedendo tutto troppo in fretta; Thea non riusciva a distinguere le diverse sensazioni. Metà delle persone davanti a lei stava scappando. L’altra metà gridava.
«Chiamate un’ambulanza…».
«Ha morso Eric…».
«Ve l’avevo detto di ammazzarlo!».
Il ragazzo dai capelli rossi si scagliò avanti col suo bastone. Gli altri si sparpagliarono alla ricerca di sassi. Il
gruppo si trasformò in una folla inferocita.
Il serpente impazzito agitava i suoi sonagli, uno spaventoso suono vibrante. Era furioso, pronto a colpire di
nuovo da un momento all’altro, e non c’era nulla che
Thea potesse fare.
«Ehi!». La voce la colse di sorpresa. Era quella di Eric, il ragazzo che era stato morso. «Calmi, ragazzi. Josh,
quello dallo a me».
Si rivolse al tipo con i capelli rossi che teneva in mano
il bastone. «Non mi ha morso. Mi è solo venuto addosso».
Thea lo fissò. Era completamente matto?
Ma gli altri gli diedero ascolto. Una ragazza con un
paio di pantaloncini militari e un top che lasciava scoperto l’ombelico lasciò cadere la pietra che aveva in mano.
«Lasciatelo… lo riporto fra i cespugli, dove non farà
male a nessuno».
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Matto senza ombra di dubbio. Parlava in tono pratico
e ragionevolissimo, e cercava di bloccare il serpente con
quel piccolo bastone. Qualcuno doveva prendere in pugno la situazione, e in fretta.
Un lampo color rubino catturò l’attenzione di Thea.
Blaise era tra la folla, con le labbra contratte. Thea prese
una decisione.
Si tuffò verso il serpente.
L’animale guardava il bastone. Prima di afferrarne il
corpo ne afferrò la mente, immobilizzandolo solo per un
istante, il tempo necessario ad agguantarlo proprio sotto
la testa. Continuò a tenerlo mentre spalancava le mascelle
e sferzava il terreno con la coda.
«Afferragli la coda e portiamolo via di qua», disse ansimando a quel matto di Eric.
Lui guardava la sua presa sul serpente, esterrefatto.
«Per amor di Dio, non lasciarlo andare. Può voltarsi in
un secondo…».
«Lo so. Prendilo!».
Lo prese. I ragazzi si dispersero quasi tutti, mentre
Thea faceva dietrofront stringendo la testa dell’animale
con il braccio ben disteso. Blaise non scappò, guardò
semplicemente il serpente con un leggero disgusto, come
se emanasse un cattivo odore.
«Ho bisogno di questa», sussurrò Thea in fretta mentre passava accanto alla cugina. Con la mano libera diede
uno strattone alla collana di Blaise. La fragile catenina
d’oro di spezzò e le sue dita si richiusero intorno a una
pietra.
Poi si diresse verso la boscaglia, il serpente era pesante, non era facile trasportarlo. Procedeva rapida, perché
Eric non aveva molto tempo. Dietro la scuola il terreno
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risaliva per poi degradare di nuovo verso il basso, diventando sempre più incolto e di colore grigio-bruno.
Quando gli edifici scomparvero, Thea si fermò.
«Questo è un buon posto», disse Eric. La sua voce tradiva la forte tensione che lo agitava.
Thea lo squadrò con un’occhiata rapida e vide che era
pallido. Coraggioso e completamente pazzo, pensò. «Ok,
al mio tre lo lasciamo andare». Fece un cenno con la testa. «Buttalo in quella direzione e arretra in fretta».
Lui annuì e contò con lei. «Uno… due… tre».
Con un leggero dondolio, lo lasciarono andare contemporaneamente. Il serpente volò formando un arco aggraziato in aria e atterrò vicino a dei cespugli di salvia
purpurea. Immediatamente strisciò al riparo, senza mostrare il minimo segno di gratitudine. Thea sentì la sua
mente fredda e squamosa che si ritirava pensando:
Quest’odore… quest’ombra… al sicuro.
Fece un respiro profondo, e solo allora si accorse che
fino a quel momento aveva trattenuto il fiato.
Dietro di lei sentì che Eric improvvisamente si sedeva
a terra. «Be’, ecco fatto». Il suo respiro era veloce e irregolare. «Ora potrei chiederti un favore?».
Sedeva con le lunghe gambe distese, ancora più pallido. Gocce di sudore gli imperlavano il labbro superiore.
«Sai, non sono proprio sicuro che non mi abbia morso», disse.
Thea sapeva – e sapeva che Eric sapeva – che l’aveva
morso. I serpenti a sonagli a volte colpivano senza mordere, e a volte mordevano senza iniettare il veleno. Ma
non stavolta. Quello che non riusciva a credere era che a
un umano importasse a tal punto di un serpente da non
curarsi del morso ricevuto.
«Mostrami la gamba», gli disse.
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«Veramente, credo sia meglio avvisare l’infermeria».
«Lasciami guardare, per favore». Parlò con gentilezza,
inginocchiandosi di fronte a lui, avvicinandosi lentamente. Come avrebbe fatto con un animale spaventato. Il ragazzo restò fermo, lasciandosi arrotolare la gamba dei jeans.
Eccola lì. La piccola duplice ferita sulla pelle abbronzata. Non c’era molto sangue. Ma era già gonfia. Anche
se fosse tornata alla scuola di corsa, anche se gli infermieri avessero infranto ogni limite di velocità, non si sarebbero mai mossi abbastanza in fretta. Certo, gli avrebbero salvato la vita, ma la gamba si sarebbe gonfiata come una salsiccia e sarebbe diventata viola, e lui avrebbe
trascorso giorni di incredibile sofferenza.
Ma Thea teneva in mano la corniola di Iside. Una pietra rosso cupo su cui era inciso uno scarabeo, simbolo
della regina delle dee egizie, Iside. Gli antichi Egizi ponevano le pietre ai piedi delle mummie; Blaise se ne serviva per accendere la passione. Ma era anche il più potente purificatore di sangue esistente.
Improvvisamente Eric gemette. Si coprì gli occhi col
braccio, e Thea sapeva cosa stava provando. Debolezza,
nausea, disorientamento. Le dispiaceva per lui, ma la sua
confusione era un vantaggio.
Premette la mano sulle ferite, tenendo la corniola nascosta fra le dita serrate. Poi cominciò a canticchiare sottovoce, cercando di visualizzare il risultato che voleva
ottenere. Il problema delle gemme era che non funzionavano da sole. Erano solo un mezzo per catalizzare le facoltà psichiche, indirizzarle, dirigerle verso un preciso
obiettivo.
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Trova il veleno, isolalo, disperdilo. Purifica ed elimina. Poi stimola le difese naturali del corpo. Infine, calma
il gonfiore e il rossore, facendo rifluire il sangue.
Mentre era lì in ginocchio, con il sole che le scaldava
la nuca, si rese conto all’improvviso di non avere mai fatto niente di simile. Aveva guarito degli animali – cuccioli
avvelenati da un rospo o gatti punti da un ragno – ma mai
una persona. Buffo che l’istinto le avesse subito detto cosa fare. Aveva quasi avuto la sensazione di doverlo fare.
Si sedette sui talloni, infilandosi la corniola in tasca.
«Come ti senti?»
«Uh?», Eric abbassò il braccio. «Scusa… credo di aver perso coscienza per un minuto».
Bene, pensò Thea. «Ma come ti senti adesso?».
La guardò come se stesse cercando con tutte le sue
forze di non perdere la pazienza. Voleva spiegarle che le
persone che vengono morse da un serpente a sonagli
normalmente si sentono male. Ma poi la sue espressione
cambiò. «Mi sento… buffo… credo che la gamba si sia
intorpidita». Gettò un’occhiata dubbiosa al polpaccio.
«No, sei stato solo fortunato. Non ti ha morso».
«Che?». Affannosamente si tirò più su la gamba dei
jeans. Poi si limitò a fissare la sua pelle. Era liscia e intatta, con solo una leggerissima traccia di rossore. «Ero sicuro…».
Alzò gli occhi e la fissò.
Era la prima volta che Thea poteva osservarlo con
calma. Era carino, snello e con i capelli color sabbia e un
viso dolce. Gambe lunghe. E gli occhi… verde intenso
con pagliuzze grigie. In quel momento aveva uno sguardo attento e stupefatto, come un bambino incredulo.
«Come hai fatto?», le chiese.
Thea ammutolì, scioccata.
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Non avrebbe dovuto reagire in quel modo. Cosa c’era
che non andava in lui? Quando riuscì di nuovo a parlare,
disse: «Io non ho fatto niente».
«Invece sì», rispose lui, e ora i suoi occhi erano limpidi e diretti, pieni di una strana sicurezza. Improvvisamente sul suo viso si dipinse un’espressione di pura meraviglia. «Tu… sei così diversa».
Si chinò lentamente verso di lei, come in trance. E
poi… Thea sperimentò uno strano sdoppiamento. Era abituata a vedersi attraverso gli occhi degli animali: una
grossa creatura glabra con una pelle finta. Ma ora vide se
stessa con gli occhi di Eric. Una ragazza inginocchiata
con i capelli biondi sciolti sulle spalle e dolci occhi castani. Un viso troppo gentile, con un’espressione molto
preoccupata.
«Sei… bella», disse Eric, ancora meravigliato. «Non
ho mai visto nessuno… ma è come se ci fosse una nebbia
intorno a te. Sei così misteriosa…».
Una quiete profonda ma carica di tensione sembrò calare sul deserto. Il cuore di Thea batteva così forte da farla tremare. Che cosa stava succedendo?
«È come se tu facessi parte di tutto quello che c’è intorno», disse Eric con un tono saggio ma infantile. «Gli
appartieni. E c’è tanta pace…».
«No», disse Thea. Non c’era nessuna pace in lei. Era
terrorizzata. Non sapeva cosa stava succedendo, ma sapeva che doveva andare via.
«Non andare», la pregò lui. Aveva l’espressione addolorata di un cucciolo col cuore spezzato.
E poi… la strinse. Non bruscamente. Le sue dita non
si chiusero sul suo polso, le sfiorarono solo il dorso della
mano, ritraendosi quando lei face un salto.
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Ma non aveva importanza. Quel tocco leggero le aveva fatto rizzare i peli dell’avambraccio. E quando guardò
di nuovo quegli occhi verdi spruzzati di grigio, seppe che
anche lui se ne era accorto.
Una specie di acuta dolcezza, un’euforia ebbra. E…
una connessione. Come se ci fosse stata una comunicazione più profonda delle parole.
Ti conosco. Vedo quello che vedi…
Quasi inconsapevolmente, Thea alzò una mano. Le dita leggermente allargate, come per toccare uno specchio,
o un fantasma. E lui fece lo stesso. Si fissarono.
E poi, un attimo prima che le dita si toccassero,
un’ondata gelida di panico travolse Thea.
Che accidenti stava facendo? Era impazzita?
Improvvisamente le fu tutto chiaro, troppo chiaro. Il
futuro le si spiegò davanti, con ogni nitido dettaglio. Pena
di morte per aver infranto la legge del Mondo delle Tenebre. Lei al centro del Circolo Interno, mentre provava a
spiegare che non era stata sua intenzione svelare i loro
segreti, che non voleva… avvicinarsi a un umano. Che
era stato tutto uno sbaglio, solo un momento di stupidità,
perché voleva guarirlo. E loro che le porgevano comunque la Coppa della Morte.
La visione fu così chiara che sembrava una profezia.
Thea saltò su come se le mancasse la terra sotto i piedi, e
fece l’unica cosa che le venne in mente.
Disse con cattiveria: «Sei fuori? Oppure ti s’è surriscaldato il cervello? O cosa?».
Di nuovo quell’espressione ferita.
È un umano. Uno di loro, ricordò a se stessa. Mise ancora più disprezzo nella voce. «Sono parte di tutto… ti ho
fatto qualcosa alla gamba… sì, certo. Scommetto che
credi ancora a Babbo Natale».
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Ora appariva scioccato – e insicuro. Thea gli sferrò il
colpo di grazia. «O ci stavi provando?»
«Uh? No», rispose. Sbatté le palpebre e si guardò intorno. Il deserto era come sempre, grigio-verde, secco e
piatto. Poi si guardò la gamba. Di nuovo chiuse gli occhi,
come per riprendere il controllo sulla realtà. «Io… senti,
mi dispiace se ti ho spaventata, non so cosa mi succede».
All’improvviso le rivolse un sorriso umile. «Forse sono un po’ strano, sarà la paura. Credo di non essere coraggioso come pensavo».
Thea provò un grande sollievo. Se l’era bevuta. Grazie
a Iside gli umani erano più stupidi delle galline.
«E non ci stavo provando. Volevo solo…»,
s’interruppe. «Sai, non so neanche come ti chiami».
«Thea Harman».
«Io sono Eric Ross. Sei nuova di queste parti, vero?»
«Sì». Smettila di parlare e vattene, ordinò a se stessa.
«Se vuoi che ti porti a fare un giro nei dintorni, o
qualsiasi altra cosa… voglio dire, mi piacerebbe rivederti…».
«No», disse Thea seccamente. Avrebbe voluto limitarsi a quel monosillabo, ma doveva togliergli del tutto
quell’idea dalla testa. «Io non voglio rivedere te», replicò, troppo scossa per pensare a una risposta più gentile.
Poi si voltò e se ne andò. Aveva forse altra scelta? certo non poteva parlare ancora con lui. Anche se si sarebbe
sempre chiesta perché era stato così pazzo da preoccuparsi per il serpente. Ma non poteva domandarglielo: da
quel momento in poi doveva restargli il più lontano possibile.
Si affrettò a tornare a scuola, e immediatamente capì
di essere in ritardo. Il parcheggio era deserto. Fuori dagli
edifici non c’era nessuno.
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Ed è anche il mio primo giorno, pensò. Lo zaino era a
terra dove lo aveva lasciato, e c’era un quaderno lì accanto sull’asfalto. Li raccolse entrambi e quasi di corsa andò
in segreteria.
Fu solo a lezione di fisica, dopo aver consegnato il
modulo all’insegnante e aver superato file di occhi curiosi fino a un posto vuoto in fondo, che si rese conto che il
quaderno non le apparteneva.
Lo aprì a una pagina dove era scritto in blu, con una
calligrafia appuntita e sbilenca, Introduzione ai vermi
piatti. Sotto c’erano delle illustrazioni accompagnate dalle didascalie: Classe dei Turbellari e Classe dei Trematodi. I vermi erano disegnati benissimo, con il loro sistema nervoso e gli organi riproduttivi sfumati in colori diversi, ma l’artista li aveva anche dotati di buffe facce sorridenti. Grottesche, ma tenere in modo insolito. Thea girò
pagina e trovò un altro disegno, il Ciclo vitale della tenia.
Uhm.
Sfogliò le pagine al contrario fino alla prima: «Eric
Ross, Zoologia Avanzata I».
Chiuse il quaderno.
Come avrebbe fatto a restituirglielo?
Parte della sua mente continuò a chiederselo per tutta
l’ora di fisica e per quella successiva, applicazioni informatiche. Un’altra parte si dedicò intanto a quello che faceva normalmente in una nuova scuola, o in mezzo a
qualsiasi assembramento di umani: osservare e catalogare, restare all’erta contro eventuali pericoli, evitare di dare nell’occhio. E una terza parte pensava semplicemente:
non sapevo ci fosse un corso di zoologia qui.
La domanda che non si voleva porre era: cosa era successo nel deserto? Ogni volta che quel pensiero si affacciava, lo respingeva bruscamente. In qualche modo do-
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veva essere colpa dei suoi sensi, troppo sensibili dopo la
fusione con il serpente.
Comunque, non aveva importanza. Uno strano incidente isolato.
Nell’atrio, durante l’intervallo, Blaise la raggiunse di
corsa, veloce come una leonessa nonostante i tacchi alti.
«Come va?», disse Thea, mentre la cugina la faceva
entrare in una classe momentaneamente vuota.
Per tutta risposta Blaise allungò la mano. Thea ripescò
la corniola dalla tasca.
«Mi hai rovinato la collana», disse Blaise facendo ondeggiare i capelli neri come la notte ed esaminando la
pietra per vedere se si fosse rovinata. «Ed era una di
quelle che avevo fatto io».
«Scusami. Avevo fretta».
«Sì, e perché? Che ci volevi fare?». Blaise non attese
la risposta. «Hai curato quel ragazzo, vero? Sapevo che
era stato morso. Ma è un umano».
«Rispetto per la vita, ricordi?», disse Thea. «E non arrecare danno a nessuna creatura». Lo disse senza troppa
convinzione.
«Non include gli umani. E lui che cosa ha pensato?»
«Niente. Non ha capito che lo stavo curando; non si è
neanche reso conto di essere stato morso». Non era proprio una bugia.
Blaise la osservò con occhi grigi sospettosi e incupiti.
Poi alzò lo sguardo al cielo e scosse la testa. «Se almeno
te ne fosse servita per accendergli il sangue, avrei capito.
Ma magari hai fatto anche un po’ di questo…».
«No che non l’ho fatto», disse Thea. E nonostante si
sentisse arrossire, la sua voce restò fredda e decisa.
L’orrore di quella visione di morte l’accompagnava ancora. «Infatti non ho intenzione di rivederlo più», proseguì
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con tono tagliente, «e gliel’ho detto, ma ho questo stupido quaderno, e non so che farne», agitò le pagine davanti
al viso di Blaise.
«Oh», commentò lei, inclinando la testa. «Be’… glielo
restituisco io per te. Lo troverò in qualche modo».
«Lo faresti?», Thea era stupita. «È molto gentile da
parte tua».
«Sì che lo è», disse Blaise. Prese il quaderno, reggendolo con cautela, come se avesse le dita bagnate. «Bene,
sarà meglio che vada alla prossima lezione. Algebra».
Fece una smorfia. «Ciao».
Mentre la guardava andare via, Thea fu colta da un sospetto.
Di solito Blaise non era così accomodante. Stava di
certo architettando qualcosa.
Si mise a seguire la scia color rubino della sua camicia
che si avviava verso l’atrio e poi imboccava senza esitare
un corridoio lungo il quale erano disposti degli armadietti. Lì, vide una figura snella con lunghe gambe e capelli
color sabbia.
Frugava in un armadietto.
Non ci ha messo molto a trovarlo, pensò Thea cupamente. Continuò a spiare la scena da dietro lo sportello
blu mare di un armadietto rotto.
Blaise gli si avvicinò da dietro con molta lentezza, i
fianchi che ondeggiavano. Gli posò una mano sulla spalla.
Eric sobbalzò leggermente, poi si voltò.
Blaise restò lì ferma.
Non doveva fare altro. Blaise attraeva i ragazzi per il
mero fatto di esistere. Per i suoi splendidi capelli neri, lo
sguardo ardente… uniti ad un fisico che avrebbe fermato
il traffico su un’autostrada. Curve in abbondanza, e abiti
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che le valorizzavano tutte. Su un’altra ragazza
quell’abbondanza sarebbe sembrata eccessiva, ma su
Blaise era semplicemente mozzafiato. Ragazzi che pensavano di avere un debole per le tipe esili impazzivano
per lei, con la stessa rapidità di quelli che credevano di
preferire le bionde.
Eric ammiccò, aveva già l’aria confusa. Sembrava che
non sapesse cosa dire.
Non era insolito. Quando c’era Blaise di mezzo, i ragazzi perdevano sempre la parola.
«Sono Blaise Harman». La sua voce era profonda e liquida. «E tu sei… Eric?».
Eric annuì, continuando a sbattere gli occhi.
Sì, era già cotto, pensò Thea. Che idiota. Si sorprese
lei stessa della propria veemenza.
«Bene, perché non vorrei restituirlo alla persona sbagliata». Tirò fuori il taccuino da dietro la schiena come
un prestigiatore.
«Oh, dove l’hai preso?». Il suo sguardo esprimeva sollievo e gratitudine. «L’ho cercato ovunque».
«Me l’ha dato mia cugina», rispose Blaise con noncuranza. Quando lui cercò di afferrarlo, non lasciò la presa,
e le loro dita si toccarono. «Aspetta. Mi devi qualcosa per
avertelo restituito, non credi?».
La sua voce era dolce come il miele. E Thea seppe in
quel momento, senza alcun dubbio, cosa sarebbe successo.
Eric non aveva scampo.
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Capitolo 3
S
pacciato, perso, andato. Blaise l’aveva scelto, e si
trattava solo di sapere in che modo avrebbe giocato con
lui.
Una sfilza di nomi affollò la mente di Thea. Randy
Marik. Jake Batista. Kristoffer Milton. Troy Sullivan.
Daniel Xiong.
E adesso: Eric Ross.
Ma Eric aveva ripreso a parlare, pieno di animazione.
«Tua cugina? È l’altra ragazza nuova? Thea?»
«Sì. Ora…».
«Senti, sai dov’è? Vorrei davvero parlarle». Di nuovo
quello sguardo confuso: Eric fissava un punto nel vuoto.
«È solo che è così… non ho mai incontrato nessuna come
lei…».
Blaise allentò la presa sul quaderno e rimase a fissarlo.
Dal suo nascondiglio, anche Thea lo fissava.
Non era mai successo prima. Sembrava che quel ragazzo neanche vedesse Blaise.
Già questo era abbastanza strano. Ma, per la Dea blu
dalla testa di scimmia, Signora della Curiosità, quello che
Thea davvero voleva sapere era perché si sentiva così
sollevata.
Suonò la campanella. Blaise era ancora lì, esterrefatta.
Eric infilò il quaderno nello zaino.
«Puoi dirle solo che ho chiesto di lei?»
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«Non le importa se hai chiesto di lei!», scattò Blaise
con una voce che di certo non era più dolce come il miele. «Ha detto molto esplicitamente che non voleva vederti
più. E se fossi in te starei attento. Perché non ha un bel
carattere». Le ultime parole furono pronunciate con un
tono quasi rabbioso.
Eric sembrò leggermente allarmato, e abbattuto. Thea
vide che il suo pomo d’Adamo si muoveva nervosamente, come se stesse deglutendo. Poi, senza salutare Blaise,
si girò e si allontanò verso l’estremità opposta del corridoio.
Be’, per la Dea della Testa di corvo rossa che ha il potere del fulmine.
Blaise si voltò e a grandi passi si avviò nella direzione
di Thea. Lei non si preoccupò di nascondersi.
«Così hai visto tutto. Be’, spero sarai contenta», disse
Blaise con voce pungente.
Thea non lo era. Era confusa. Stranamente agitata, e
impaurita, perché la Coppa della Morte le fluttuava ancora davanti agli occhi.
«Dobbiamo lasciarlo stare», rispose.
«Starai scherzando», disse Blaise. «Lo avrò. È mio. A
meno che», aggiunse, con gli occhi che scintillavano, «tu
non abbia già delle mire su di lui».
Thea esitò, scioccata. «Io… be’, no…».
«Allora è mio. Mi piacciono le sfide». Blaise si passò
una mano fra i capelli, scompigliandosi le nere ciocche
ondulate. «È proprio una fortuna che la nonna abbia tanti
amuleti d’amore in negozio», disse meditabonda.
«Blaise», Thea cercò di fare ordine nei suoi pensieri.
«Non ricordi cosa ci ha detto la nonna? Se ci saranno altri problemi…».
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«Nessun problema per noi», disse Blaise, con voce
piatta e sicura. «Solo per lui».
Thea si allontanò, sentendosi stranamente svuotata.
Lascia perdere, pensò. Non c’è niente che tu possa fare.
Mentre raggiungeva la classe non vide molti membri del
Popolo delle Tenebre. Un ragazzino, probabilmente una
matricola, che aveva l’aria di un mutaforma; un insegnante con la luce vorace delle lamie – i nati vampiri –
negli occhi. Nessun vampiro trasformato, né lupi mannari. Nessun’altra strega.
Naturalmente, non ne era sicura. Tutti gli abitanti del
Mondo delle Tenebre erano esperti nell’arte della dissimulazione, del camuffarsi, del passare inosservati. Dovevano esserlo. Era proprio quell’abilità a permettere loro
di sopravvivere in un mondo dove gli umani erano la
stragrande maggioranza… e amavano uccidere le creature diverse da loro.
Quando prese posto per l’ora di letteratura, però, notò
una ragazza nella fila davanti alla sua.
Era una ragazza graziosa dalle ossa sottili, con ciglia
folte e capelli morbidi e neri come fuliggine. Aveva un
viso a forma di cuore, e delle fossette. Ma quello che attirò lo sguardo di Thea fu la sua mano, che giocherellava
con una spilla appuntata sul gilet a righe blu e bianche.
Una spilla che rappresentava un fiore nero. Una dalia.
Thea aprì immediatamente il quaderno su una pagina
bianca. Mentre l’insegnante leggeva un brano del racconto Rashomon, iniziò a disegnare una dalia nera, ripassandola più e più volte, in modo che la ragazza potesse vederla distintamente. Quando alzò la testa, vide che lei la
stava guardando.
La ragazza sbatté gli occhi mentre osservava il disegno. Sorrise a Thea e annuì leggermente.
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Thea sorrise e annuì a sua volta.
Dopo la lezione, senza alcun bisogno di parlare, Thea
seguì la ragazza verso l’entrata della scuola. Lei si guardo intorno per assicurarsi che non ci fossero curiosi in giro, poi si voltò verso Thea con un’espressione che assomigliava a una rassegnata malinconia.
«Circolo di Mezzanotte?».
Thea scosse la testa. «Circolo del Crepuscolo. Anche
tu?».
Il viso della ragazza si accese di timida gioia. Aveva
occhi scuri e profondi. «Sì!», disse, «ma ce ne sono solo
altre due come noi – dell’ultimo anno intendo – e sono
tutte e due del Circolo di Mezzanotte, non osavo sperare!». Le tese la mano, e le regalò un ampio sorriso. «Piacere, Dani Abforth».
Thea si sentì più leggera. La risata della ragazza era
contagiosa. «Thea Harman. Unità». Era da sempre il saluto fra le streghe, il simbolo della loro armonia, della loro unione.
«Unità», mormorò Dani. Poi spalancò gli occhi.
«Harman? Una Donna del Focolare? Una figlia di Hellewise? Davvero?».
Thea rise. «Siamo tutte figlie di Hellewise».
«Sì, ma… sai cosa intendo. Tu sei una discendente diretta. Sono onorata».
«Be’, sono onorata anch’io. Abforth è “Allbringingforth”, “Coloro che fanno progredire”, no? Un
lignaggio altrettanto notevole». Dani sembrava ancora in
soggezione, perciò Thea aggiunse in fretta: «Anche mia
cugina è qui, Blaise Harman. Siamo tutte e due nuove…
ma anche tu lo sei, probabilmente. Non ti ho mai vista
prima dalle parti di Las Vegas».
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«Ci siamo trasferite il mese scorso, giusto in tempo
per l’inizio della scuola», disse Dani. Corrugò la fronte.
«Ma se sei nuova, che vuol dire che non mi hai mai vista?».
Thea sospirò. «Be’, è un po’ complicato…».
Suonò la campanella. Sia lei che Dani guardarono le
aule, deluse, poi si scambiarono un’occhiata.
«Ci vediamo qui a pranzo?», chiese Dani.
Thea annuì, le chiese dove si trovava l’aula di francese, poi andò di corsa verso l’ala opposta dell’edificio.
Durante le due ore successive cercò di ascoltare davvero l’insegnante. Non sapeva cosa altro fare. Doveva
concentrarsi per scacciare dai suoi pensieri l’immagine di
due occhi verdi screziati di grigio.
A pranzo, trovò Dani seduta sui gradini di entrata.
Thea si accomodò accanto a lei e aprì una bottiglia di acqua e uno yogurt al cioccolato che aveva comprato al bar.
«Devi spiegarmi come fai a conoscere Las Vegas»,
disse Dani.
Parlava a bassa voce perché il cortile della scuola era
pieno di ragazzi che oziavano al sole con i loro sacchetti
per il pranzo.
Thea adocchiò una fila di palme nane e si lasciò sfuggire un sospiro. «Blaise e io… le nostre madri sono morte
quando siamo nate. Erano gemelle. E poi anche i nostri
papà sono morti. Perciò siamo cresciute trasferendoci da
un parente all’altro. Di solito l’estate la passiamo da nonna Harman, e durante l’anno viviamo con qualcun altro.
Ma questi ultimi due anni… be’, dall’inizio del secondo
anno di superiori abbiamo cambiato cinque scuole diverse».
«Cinque?»
25
«Cinque. Mi pare cinque. Lo sa Iside, potrebbero essere sei».
«Ma perché?»
«Continuiamo a farci espellere», rispose succintamente Thea.
«Ma…».
«È colpa di Blaise», disse Thea. Era furiosa con Blaise. «Fa delle cose ai ragazzi. Ragazzi umani. E in un modo o nell’altro finisce che ci buttano fuori. Tutte e due,
perché io sono sempre troppo stupida per dire che è lei la
responsabile».
«Non stupida. Sei solo leale, ne sono sicura», disse
Dani con calore, e posò la sua mano su quella di Thea.
Lei gliela strinse, confortata in qualche modo dalla sua
simpatia.
«Comunque, quest’anno eravamo nel New Hampshire
da zio Galen, e Blaise l’ha fatto di nuovo. Al capitano
della squadra di football. Si chiamava Randy Marik…».
Thea s’interruppe e Dani le chiese: «Cosa gli è successo?»
«Ha dato fuoco alla scuola per lei».
Dani fece un verso che era a metà strada fra uno sbuffo e una risatina. Poi velocemente riacquistò
un’espressione seria. «Scusa, non è divertente. Per lei?».
Thea si appoggiò alla ringhiera in ferro battuto. «È
proprio questo che piace a Blaise», rispose con voce cupa. «Avere potere sui ragazzi, incasinargli la mente.
Spingerli a fare cose che normalmente non farebbero. Per
provarle il loro amore, capisci. Ma il fatto è che non è
soddisfatta se non li distrugge completamente…», scosse
la testa. «Avresti dovuto vedere Randy, alla fine. Fuori di
testa. Non credo tornerà mai completamente in sé».
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Dani non sorrideva più. «Un potere del genere… sembra Afrodite», disse a bassa voce.
E aveva ragione. Afrodite, la dea greca dell’amore, in
grado di trasformare la passione in un’arma per avere il
mondo ai propri piedi.
«Prima o poi devo raccontarti cosa ha fatto agli altri
ragazzi con cui ha giocato. In un certo senso, Randy è
stato fortunato…».
Thea riprese fiato. «Comunque, per concludere, siamo
state rispedite da nonna Harman perché non c’erano parenti disposti a ospitarci. Hanno pensato che se non riusciva a raddrizzarci lei, non ci sarebbe riuscito nessuno».
«Ma deve essere fantastico», disse Dani. «Voglio dire,
vivere con la Vegliarda. Uno dei motivi per cui mia madre ci ha fatto trasferire qua era che voleva che studiassimo con tua nonna».
Thea annuì. «Sì. Arrivano da ogni parte del Paese per
assistere alle sue lezioni, o per comprare amuleti e altro.
Non è sempre facile viverle accanto, però», aggiunse ionica. «Ogni anno cambia un paio di apprendisti».
«Quindi riuscirà a raddrizzare Blaise?»
«Non credo che sia possibile. Quello che fa Blaise… è
semplicemente nella sua natura, come è in quella del gatto giocare con il topo. E se finiremo nei guai un’altra volta, la nonna dice che ci manderà da zia Ursula in Connecticut».
«Al Convento?»
«Già»
«Allora sarà meglio che vi teniate fuori dai guai»
«Lo so. Dani, com’è questa scuola? Voglio dire, è il
genere di posto dove Blaise può restare fuori dai guai?»
«Be’», Dani sembrò incerta. «Be’… te l’ho detto prima, nella nostra classe ci sono solo altre due streghe, e
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sono tutte e due del Circolo di Mezzanotte. Forse le conosci… Vivienne Morrigan e Selene Lucna?».
A Thea caddero le braccia. Vivienne e Selene: le avevano viste ai circoli estivi, fra le ragazze del Circolo di
Mezzanotte erano quelle che indossavano gli abiti più
scuri. Insieme a Blaise avrebbero formato… be’, una
combinazione letale.
«Magari potresti spiegare loro la situazione, potrebbero aiutarti a tenere Blaise sotto controllo», continuò Dani.
«Se vuoi vederle adesso, dovrebbero essere sul patio, di
solito mangio lì insieme a loro».
«Uhm…», Thea esitò. Parlare a quelle due… be’, dubitava che avrebbe ottenuto dei risultati. Ma d’altra parte,
non aveva un’idea migliore. «Perché no?».
Mentre si dirigevano verso la sala mensa, vide qualcosa che la fece fermare di colpo. Affissa sul muro con del
nastro adesivo c’era della carta da pacchi coi bordi colorati di arancione e di nero. Al centro era disegnata una figura grottesca: una vecchia con un vestito nero, capelli
bianchi scompigliati, la faccia da megera orribilmente ricoperta di verruche. Stava a cavalcioni su una scopa e
portava un cappello a punta. Sotto il disegno una scritta
recitava: IL 31 OTTOBRE… LA FESTA PIÙ INCREDIBILE DI HALLOWEEN.
Con le mani sui fianchi, Thea disse: «Quando impareranno che le streghe non portano mai cappelli a punta?».
Dani sbuffò, il suo visetto a cuore era sorprendentemente minaccioso. «Sai, magari l’idea di tua cugina non
è così sbagliata, dopotutto».
Thea la guardò stupita.
«Be’, sono una specie inferiore. Devi ammetterlo.
Forse sono prevenuta, ma mai quanto loro». Si avvicinò a
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Thea. «Sai, hanno perfino pregiudizi sul colore della pelle».
Allungò il braccio. Thea guardò la sua pelle perfetta di
un intenso color nocciola. «Loro direbbero che siamo di
razze diverse», disse Dani, accostando il braccio a quello
abbronzato di Thea. «E magari che una di noi due è meglio dell’altra».
Thea non poté negarlo. Tutto quello che riuscì a replicare fu: «Be’, due torti non fanno una ragione…».
«Ma tre sì!», esclamò Dani, completando il vecchio
detto streghesco. Poi scoppiò a ridere e accompagnò
Thea fino al patio.
«Vediamo, dovrebbero essere lì… oh. Ooops».
Oooops, pensò anche Thea.
Vivienne e Selene sedevano in disparte. Blaise era con
loro.
«Avrei dovuto saperlo che le avrebbe trovate subito»,
mormorò fra sé. Sedevano vicinissime, in assoluta confidenza: sembrava che già qualcosa bollisse in pentola.
Quando Thea e Dani le raggiunsero, Blaise alzò lo
sguardo. «Dove sei stata?», disse agitando un dito in tono
di rimprovero. «Ti aspettavo per fare le presentazioni».
Si salutarono. Poi Thea si mise a sedere e osservò le
altre due ragazze.
Vivienne aveva capelli rossi come la pelliccia di una
volpe e anche da seduta si vedeva che era molto alta. Aveva un viso estremamente espressivo; pareva che sprizzasse energia. Selene era una bionda platino con pigri occhi blu. Era più minuta, e i suoi movimenti avevano una
grazia languida.
Ora, come faccio a chiedere educatamente: “Per favore, aiutatemi a dare una calmata a mia cugina?”, si chiese
Thea. Già sapeva che sarebbe stato inutile. Viv e Selene
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sembravano già sotto l’incantesimo di Blaise: la guardavano, controllavano le sue reazioni, come se cercassero
costantemente la sua approvazione. Perfino Dani la guardava con una sorta di stupore reverenziale.
Blaise faceva quell’effetto sulle persone.
«Si parlava di ragazzi», disse Selene spostando languidamente la cannuccia del suo tè freddo. Thea sentì un
tuffo al cuore.
«Per giocare un po’», chiarì Vivienne con la sua bella
voce melodiosa. Thea sentì che le stava venendo un brutto mal di testa.
Nessuna meraviglia che Blaise sia così sorridente,
pensò. Queste due sono proprio come lei. Lo aveva visto
succedere in altre scuole: giovani streghe che si divertivano a infrangere le leggi del Mondo delle Tenebre esercitando i loro poteri non umani sui ragazzi.
«Non c’è nessun ragazzo come noi qui?», chiese Thea,
come ultima speranza.
Vivienne alzò gli occhi al cielo. «Uno al secondo anno, Alaric Breedlove, del Circolo del Crepuscolo. Questo
posto è un deserto… dico sul serio».
Thea non ne fu molto sorpresa. Le ragazze erano sempre più numerose dei maschi, anche se nessuno sapeva
perché. In alcuni posti, poi, la sproporzione era particolarmente grande.
«Quindi dobbiamo arrangiarci», disse Selene con voce
strascicata. «Ma può anche essere divertente. Sabato ci
sarà il ballo annuale, e ho già scelto chi mi accompagnerà».
«Anch’io», disse Blaise, e gettò a Thea un’occhiata
significativa.
Ecco qua. Thea sentì che le si serrava la gola.
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«Eric Ross», proseguì Blaise, assaporando ogni parola. «E Viv e Sel mi hanno detto tuuutto di lui».
«Eric?», fece Dani. «La stella del football, vero?»
«E del baseball», aggiunse Vivienne. «E anche del
tennis. Ed è intelligente: segue i corsi avanzati e lavora
alla clinica veterinaria. Sta studiando per entrare alla Davis. Per diventare veterinario, sapete».
Ecco perché si preoccupava così tanto per il serpente,
pensò Thea. E perché aveva quei vermi piatti sul quaderno.
«Ed è così dolce», mormorò Selene. «Con le ragazze è
timidissimo, praticamente non apre bocca. Nessuna di noi
è mai riuscita a combinarci niente».
«È perché usate i metodi sbagliati», fece Blaise, e i
suoi occhi lanciavano lampi cupi.
Thea sentì un gran vuoto dentro e un cerchio alla testa.
Fece l’unica cosa che le venne in mente.
«Blaise», esordì. Guardò la cugina negli occhi, rivolgendole un appello a cuore aperto. «Ascolta, Blaise. È raro che ti chieda qualcosa, no? Ma ora devo farlo. Voglio
che lasci perdere Eric. Lo farai… per me? Per amore
dell’Unità?».
Blaise socchiuse gli occhi lentamente. Bevve un lungo
sorso di tè freddo. «Come mai, Thea? Mi sembri molto
agitata».
«Non è vero».
«Non sapevo che t’importasse così tanto di lui».
«E non m’importa. Cioè, naturalmente non m’importa
di lui. Ma mi preoccupo per te, per tutte noi. Penso…».
Thea non avrebbe voluto dirlo, ma le parole le uscirono
di bocca suo malgrado. «Penso che possa avere dei sospetti su di noi. Stamattina mi ha detto che sembravo così
diversa dalle altre ragazze…». Riuscì a fermarsi prima di
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rivelare che Eric aveva capito di essere stato guarito.
Quello sarebbe stato davvero rischioso, specie perché
non sapeva con chi potevano spettegolare Vivienne e Selene.
Blaise la squadrò attentamente. «Vuoi dire… pensi
che sia un medium?»
«No, no», sapeva che non era un medium. Era entrata
nella sua mente, e non apparteneva a nessuna famiglia di
streghe di cui si fosse persa traccia. Non aveva poteri.
Era umano, proprio come il serpente era solo un serpente.
«Be’, allora», disse Blaise. Ridacchiò, un suono allegro, gioioso. «Pensa solo che sei diversa, e in questo non
c’è nulla di preoccupante. Noi vogliamo che ci trovino
diverse».
Non capiva. E Thea non poteva spiegarle cosa intendeva. Non senza addentrarsi su un terreno molto pericoloso.
«Quindi, se non ti dispiace, avanzo le mie pretese su
di lui», disse Blaise con fare cerimonioso. «Ora, vediamo
cosa fare con i ragazzi al ballo. Primo, bisognerà che ci
procuriamo un po’ del loro sangue».
«Cosa?», esclamò Dani raddrizzandosi sulla sedia.
«Solo un pochino», rispose Blaise soprappensiero.
«Sarà di vitale importanza per alcuni incantesimi che ho
intenzione di fare in seguito».
«Be’, buona fortuna», disse Dani. «Agli umani non
piace il sangue, fuggiranno come conigli se farai una cosa del genere».
Blaise la guardò con un mezzo sorriso. «Non credo»,
disse. «Ancora non te ne intendi. Se fai le cose come si
deve, non scappano. Saranno spaventati, scioccati, e torneranno per averne ancora».
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Anche Dani sembrava scioccata… e tuttavia affascinata. «Ma perché vuoi far loro del male?»
«Facciamo solo quello che è nella nostra natura», rispose Blaise con voce di miele.
Non m’interessa, pensò Thea. Non sono affari miei.
«No», si sentì dire.
Fissava il mucchietto di tovagliolini che stringeva nel
pugno. Con la coda dell’occhio vide l’espressione esasperata di Blaise. Le altre potevano non comprendere il
motivo del suo no, ma Blaise capiva sempre sua cugina.
«Prima ti ho chiesto se lo volevi», le disse, «e mi hai
risposto di no. Ora hai cambiato idea? Vuoi giocare con
lui?».
Thea guardò il mucchio di tovagliolini. Che cosa poteva rispondere? Non voglio perché ho paura? Non posso
perché stamattina è successo qualcosa fra me e lui e non
capisco cosa? Non posso perché se lo vedo ancora ho il
presentimento che infrangerò la legge, e non intendo
quella che ci proibisce di rivelare agli umani il segreto
della nostra esistenza; intendo l’altra, quella che ci dice
di non innamorarci mai…
Non essere ridicola.
Una cosa del genere è fuori discussione, disse a se
stessa. Vuoi solo impedire che finisca come Randy Marik. E puoi riuscirci senza farti coinvolgere.
«Sto dicendo che lo voglio», disse a voce alta.
«Vuoi giocare con lui?»
«Voglio giocare con lui».
«Bene». Invece di arrabbiarsi, Blaise si mise a ridere.
«Bene. Congratulazioni. La mia cuginetta sta diventando
grande, finalmente».
«Oh, per favore», Thea le lanciò un’occhiataccia. Lei
e Blaise non erano nate lo stesso giorno, ma solo per un
33
pelo. Blaise era nata un minuto prima di mezzanotte, e
Thea un minuto dopo. Era un’altra delle ragioni per cui
erano così legate, ma Thea la odiava quando si dava arie
da cugina maggiore.
Blaise si limitò a sorridere, gli occhi grigi scintillavano. «E, guarda un po’… ecco il tuo innamorato», disse
simulando una profonda sorpresa. Thea seguì il suo
sguardo e vide sul lato opposto del patio un ragazzo con
capelli rossicci e lunghe gambe.
«Che fortuna», proseguì Blaise. «Perché non lo raggiungi e non lo inviti al ballo?».
34
Capitolo 4
I
n quel momento Thea arrivò quasi ad odiare sua
cugina.
Ma non aveva scelta, quattro paia di occhi la osservavano: quelli grigi di Blaise, quelli verde smeraldo di Vivienne, quelli azzurri di Selene e gli scuri occhi vellutati
di Dani. Tutti la fissavano, in attesa.
Thea si alzò e cominciò la sua lunga camminata attraverso il patio.
Le sembrava che tutti la guardassero. Cercò di mantenere l’andatura composta e sicura, il viso sereno. Non era
facile. Più si avvicinava a quei capelli color sabbia, più
desiderava voltarsi e fuggire. Ora le sembrava di vedere
il mondo come se si trovasse dentro a un tunnel: ai lati
percepiva solo una macchia indistinta; l’unica cosa nitida
era il profilo di Eric.
Proprio quando era ormai a portata di voce, lui alzò lo
sguardo e la vide arrivare.
Sembrò stupito. Per un attimo i suoi occhi incontrarono quelli di lei: un verde più scuro di quelli di Vivienne,
più intensi, e più innocenti.
Poi, senza una parola, si voltò e si allontanò in tutta
fretta lungo un passaggio fra due edifici della scuola.
Prima che Thea riuscisse a capire cosa era successo, era
scomparso.
35
Restò inchiodata a terra. Dentro di lei c’era un grande
vuoto, riempito solo dallo spiacevole, cupo rimbombo del
cuore.
Ok; mi odia. Non lo biasimo. Forse è meglio; forse ora
Blaise dirà che possiamo lasciarlo perdere.
Ma quando fece ritorno al tavolo ombreggiato, Blaise
aggrottò la fronte, pensierosa.
«È solo che ancora ti manca la tecnica», le disse.
«Non preoccuparti, ti insegno io».
«Possiamo aiutarti anche io e Viv», mormorò Selene.
«Imparerai in fretta».
«No, grazie», replicò Thea. Il suo orgoglio era ferito e
si sentiva le guance in fiamme. «Posso farcela da sola.
Domani. Ho già un piano».
Sotto il tavolo, Dani le strinse la mano. «Andrai benissimo», disse Blaise. «Solo, fai in modo che sia domani.
Altrimenti potrei credere che non lo vuoi sul serio».
E poi, con immenso sollievo di Thea, suonò la campanella.
«Caprifoglio, achillea, angelica…». Thea cercò di
sbirciare attraverso lo spesso vetro blu di una bottiglietta
senza etichette. «Una qualche polverina nociva…».
Era nel negozio della nonna, ben oltre l’orario di chiusura. Era completamente sola. Trovarsi lì, circondata da
tutte quelle erbe e gemme e amuleti, le dava una sensazione di conforto. Di controllo.
Amo questo posto, pensò, guardando tutt’intorno a sé
gli scaffali che da terra arrivavano al soffitto, pieni di
bottiglie, scatole e fiale polverose. Un’intera parete era
riservata a teche colme di pietre: grezze o lavorate, rare e
semipreziose, alcune con dei simboli o delle parole incise, altre ancora sporche della terra dalla quale proveniva-
36
no. A Thea piaceva toccarle e mormorarne i nomi: tormalina, ametista, topazio dorato, giada bianca.
E poi c’erano le erbe profumate: tutto ciò di cui potevi
aver bisogno per curare un’indigestione, richiamare a te
un amante, calmare l’artrite o lanciare un maleficio sul
padrone di casa. Alcune – quelle semplici – funzionavano
anche se chi le usava non era una strega. Erano semplicemente dei rimedi naturali, e la nonna li vendeva agli
umani. Ma i veri incantesimi richiedevano conoscenze
arcane e poteri psichici, e nessun umano poteva effettuarli.
Thea stava realizzando un vero incantesimo.
Prima cosa, viola del pensiero. Utile in tutti gli incantesimi d’amore. Thea aprì una scatola di latta e delicatamente fece scorrere tra le dita i petali essiccati viola e
gialli. Poi ne fece cadere una manciata in un sacchetto di
garza sottile.
Cos’altro? I petali di rosa erano essenziali. Sollevò il
coperchio di un grosso barattolo di ceramica e mentre ne
gettava dentro un pizzico, le giunse alle narici una folata
dolcissima.
Camomilla, sì. Rosmarino, sì. Lavanda… levò il tappo
di una fialetta di essenza di lavanda. Quella poteva usarla
subito. La mescolò sul palmo con un cucchiaino di olio di
jojoba, poi si bagnò le tempie e la nuca con quel liquido
fragrante.
Sangue, scorri! Mal di testa, sparisci!
La tensione nel collo si alleviò quasi all’istante. Trasse
un respiro profondo e si guardò intorno.
Alcune ossa della terra, sì, potevano essere di aiuto.
Quarzo rosa tagliato in forma di cuore per l’attrazione.
Un pezzo di ambra grezza per il fascino. Oh, e anche un
po’ di magnetite e un paio di piccoli granati per il fuoco.
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Era pronto. L’indomani mattina si sarebbe fatta un bagno, lasciando in infusione nell’acqua quella specie di
bustina da tè gigante e accendendo delle candele rosse disposte in cerchio. Sarebbe rimasta a mollo in quella potente mistura, lasciando che il suo odore, la sua essenza,
le penetrassero la pelle. E una volta uscita, sarebbe stata
irresistibile.
Stava per andarsene quando un sacchetto di pelle catturò il suo sguardo.
No. Quella no, si disse. Il miscuglio che hai qui basterà a risvegliare affetto e interesse. È abbastanza forte,
sufficiente a catturare la sua attenzione.
Tu non desideri qualcosa più forte.
E tuttavia si ritrovò a prendere quel morbido sacchetto. Ad aprirlo, giusto per guardarci dentro.
Era pieno di schegge di un bruno rossastro, ognuna
grande quanto un’unghia, dall’odore aromatico e legnoso.
Radice di eupatoria. Garantita per attrarre un cuore riluttante. Ma normalmente proibita alle vergini.
Avventatamente, senza lasciarsi il tempo di pensare,
Thea aggiunse una dozzina di schegge al miscuglio. Poi
mise sullo scaffale il vecchio sacchetto di pelle.
«Hai già deciso?», disse una voce dietro di lei.
Thea si girò di scatto. Sua nonna era ai piedi della
stretta scaletta che portava all’appartamento sopra il negozio.
«Eh… cosa?», si nascose il sacchetto dietro la schiena.
«La tua specialità. Erbe. Pietre, amuleti… spero non vorrai diventare una di quelle ragazze salmodianti. Odio
quella musica lamentosa».
Thea amava la musica. In effetti, amava tutto quello
che la nonna aveva menzionato, ma ancora di più amava
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gli animali. E non c’era molto posto per gli animali nella
vita di una strega, non da quando i famigli erano stati
banditi durante l’Epoca dei Roghi.
Ci si poteva servire di parti di animali, senza dubbio.
Zampe di lucertola e lingua di usignolo. Blaise cercava
sempre di impadronirsi degli animali di Thea proprio a
quello scopo, e Thea doveva litigare per tenerla lontana.
«Non so, nonna», disse, «ci sto ancora pensando».
«Be’, hai ancora un po’ di tempo, ma non troppo», le
rispose sua nonna, avvicinandosi lentamente. Il viso di
Edgith Harman era un ammasso di rughe, camminava
curva e aveva bisogno di due bastoni, ma in realtà stava
benissimo, considerando che aveva oltre cent’anni, mandava avanti la propria attività e tiranneggiava tutte le
streghe del paese.
«Ricorda, quando compirai diciotto anni dovrai prendere delle decisioni. Tu e Blaise siete le ultime della vostra stirpe. Le ultime due dirette discendenti di Hellewise.
Questo vuol dire che avete delle responsabilità, dovrete
dare l’esempio».
«Lo so». A diciotto anni, avrebbe dovuto scegliere
non solo la propria specialità, ma anche il Circolo al quale unirsi per la vita: Crepuscolo o Mezzanotte. «Ci penserò, nonna», promise, appoggiandole il braccio libero sulle
spalle. «Mi restano ancora sei mesi».
La nonna le accarezzò gentilmente i capelli, la sua
mano era solcata da vene in evidenza. Fece passare a
Thea quel po’ di mal di testa che le era rimasto. Sempre
tenendo il sacchetto dietro la schiena, disse: «Nonna? Sei
davvero così arrabbiata all’idea che resteremo qui per tutto l’anno scolastico?»
«Be’, mangiate troppo e lasciate i capelli nella doccia… ma immagino di poter resistere». La nonna rise, poi
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si accigliò. «Se vi comportate bene fino alla fine del mese».
L’aveva detto di nuovo. «Ma che deve succedere alla
fine del mese?».
La nonna le lanciò un’occhiata. «Samhain, naturalmente! La vigilia di Ognissanti».
«Lo so questo», disse Thea. Perfino gli umani celebravano Halloween. Si chiedeva se la nonna avesse uno
dei suoi momenti di confusione.
«Samhain… e il Circolo Interno», replicò la nonna
bruscamente. «Quest’anno per la cerimonia è stato scelto
il deserto».
«Il deserto? Intendi qui? Il Circolo Interno verrà qui?
Madre Cibele e Aradia e tutti quanti?»
«Tutti quanti», disse la nonna. Improvvisamente, le
sue rughe assunsero un’aria severa. «E per l’Aria, e per il
Fuoco, non li farò venire a casa mia solo perché voi possiate rovinare tutto. Ho una reputazione da difendere,
sai?».
Thea annuì un po’ confusa. «Io… be’, non mi meraviglio che fossi preoccupata. Non ti faremo vergognare. Lo
prometto».
Mentre Thea infilava con discrezione il sacchetto sotto
il braccio e si accingeva a salire le scale, la vecchia signora aggiunse: «Ricordati di unire un po’ di piantaggine
a quell’intruglio, per legare il tutto».
Thea si sentì arrossire furiosamente. «Uh… grazie
nonna», disse, e andò a cercare la piantaggine.
Sopra il negozio c’erano due piccole stanze da letto e
un cucinotto. La nonna occupava una camera, Thea e
Blaise dividevano l’altra. Tobias, l’apprendista della
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nonna, era stato confinato nel laboratorio al piano di sotto.
Blaise era stesa sul letto e stava leggendo un grosso libro con la copertina rossa. Poesia. Nonostante
l’atteggiamento frivolo, non era una stupida.
«Indovina un po’», disse Thea, e senza dar tempo a
Blaise di aprire bocca le raccontò dell’imminente Circolo
Interno.
Attese per osservare la reazione di Blaise. Magari si
sarebbe spaventata, o perlomeno avrebbe espresso dei
buoni propositi. Ma lei sbadigliò soltanto, e si stiracchiò
come un gatto sazio e soddisfatto.
«Bene. Magari potremo guardare come invocano gli
antenati». Inarcò un sopracciglio. Due anni prima, nel
Vermont, mentre il mondo umano giocava a dolcettoscherzetto, si erano nascoste dietro gli aceri e avevano
spiato il raduno di Samhain. Avevano visto gli Anziani
evocare la magia di Ecate, la più antica fra tutte le streghe, la dea della luna e della notte e della stregoneria, per
richiamare gli spiriti oltre il velo. Per Thea era stato spaventoso, ma eccitante; per Blaise solo eccitante. Se voleva farla preoccupare, aveva fallito di nuovo.
Thea guardò i tre fiori blu a forma di stella che teneva
nel palmo della mano. Poi, uno alla volta, li mangiò.
«Adesso di’: “Ego borago gaudia semper ago”», la istruì Selene. «Vuol dire: “Io, borragine, dono sempre coraggio”. È un vecchio incantesimo romano».
Thea mormorò le parole. Per il secondo giorno consecutivo, si trovava nel patio a guardare dei capelli color
sabbia dall’altra parte del cortile.
«Va’ a prenderlo, tigre», disse Blaise. Vivienne e Dani
annuirono incoraggianti. Thea raddrizzò le spalle e
s’incamminò.
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Non appena Eric la vide arrivare, imboccò il passaggio laterale.
Idiota che non sei altro, pensò Thea. Non sai cosa è
meglio per te. Forse dovrei lasciarti a Blaise.
Ma lo seguì. Era immobile proprio dietro l’angolo, lo
sguardo perso in lontananza. Riusciva a vederne solo il
profilo: carino, pulito, e in un certo senso solitario.
Thea deglutì, assaporando il retrogusto dolce dei fiori
di borragine. Non era abituata a parlare agli umani, specie ai ragazzi umani.
Gli dirò solo: «Come va?», e farò l’indifferente, pensò. Ma quando aprì la bocca, quello che ne uscì fu: «Scusa».
Lui si voltò subito. Sembrava stupito. «Scusa?»
«Sì, scusa per essermi comportata così male. Secondo
te perché ti seguivo?».
Eric sbatté le palpebre, e a Thea parve che arrossisse
sotto l’abbronzatura. «Pensavo fossi arrabbiata con me
perché continuavo a fissarti. Cercavo di non farti arrabbiare di più».
«Tu mi fissavi?», e anche Thea si sentì un po’ accaldata. Come se le erbe del bagno ribollissero odorose, sotto la pelle.
«Be’, cercavo di non farlo. Ormai credo di essere riuscito a limitarmi a uno sguardo ogni trenta secondi», affermò serio.
Thea cercò di non ridere. «Va bene, non mi dai fastidio», disse. Sì, adesso senza dubbio sentiva l’odore del
filtro d’amore. Il profumo inebriante della rosa e della
viola del pensiero, e quello speziato della radice di eupatoria.
Eric sembrò prenderla alla lettera. Ora la stava fissando inequivocabilmente. «Scusa per essermi comportato
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da idiota, prima. Col serpente, intendo. Davvero non era
una scusa per provarci».
Thea sentì un campanello d’allarme. Non voleva ricordare quello che era successo nel deserto.
«Sì, ok, lo so», disse. Lui la guardava con tale intensità, e i suoi occhi erano di un verde così profondo.
«Be’, vedi, la ragione per cui volevo parlarti era… sai,
questo sabato c’è il ballo annuale. Perciò pensavo che
magari potremmo andarci insieme».
All’ultimo secondo si ricordò che nella società umana
erano i ragazzi che di solito invitavano le ragazze. Forse
era stata troppo esplicita.
Ma lui sembrava… be’, molto contento. «Scherzi! Dici sul serio? Ci verresti con me?».
Thea si limitò ad annuire.
«Ma è fantastico. Voglio dire… grazie». Era eccitato
come un bambino a Beltane. Poi si rannuvolò.
«Però, l’avevo scordato. Sabato notte devo lavorare in
clinica, l’ho promesso alla dottoressa Salinger, il mio capo. Da mezzanotte fino alle otto del mattino. C’è bisogno
di qualcuno che faccia la notte per controllare gli animali,
e la dottoressa sarà fuori città per una conferenza».
«Non fa niente», disse Thea. «Andremo al ballo prima
di mezzanotte». Era sollevata. Voleva dire che la sua recita a beneficio di Blaise sarebbe stata più breve.
«È un appuntamento, allora». Sembrava ancora molto
felice. «E Thea?», pronunciò quel nome timidamente,
quasi avesse paura a usarlo. «Magari… magari una di
queste volte potremmo fare qualcos’altro. Intendo, potremmo uscire, o potresti venire a casa mia…».
«Uh…». L’odore della radice di eupatoria le stava
davvero dando alla testa. «Uh… be’, questa settimana mi
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sto abituando alla nuova scuola e tutto il resto. Magari
più in là».
«Ok. Dopo». Il suo sorriso giunse inaspettato, stupefacente. Gli cambiò completamente il viso, trasformandone
la dolce, seria timidezza in un radioso carisma. «Se posso
esserti d’aiuto in qualunque modo, non hai che da chiedere».
Come è bello, pensò Thea. Sentiva una specie di vortice nello stomaco, come il battito delle ali di un uccello
attirato giù da un ramo con l’inganno. Non si era accorta
di quanto fosse attraente, o di come le screziature grigie
dei suoi occhi catturassero la luce del sole…
“Smettila!”, ordinò a se stessa bruscamente. Non si
tratta che di dovere, e lui è un verme. Un’ondata di vergogna la travolse nell’usare quella parola, anche solo nel
pensiero. Senza volerlo, gli si fece più vicina; ora lo
guardava dritto in faccia. Erano a solo qualche centimetro
di distanza, ormai, e le girava davvero la testa.
«Devo andare, adesso. Ci vediamo dopo», mormorò, e
si costrinse a indietreggiare.
«A dopo», disse lui, ancora raggiante.
Thea fuggì.
Mercoledì, giovedì e venerdì cercò di ignorarlo. Lo
evitò nei corridoi, fingendosi terribilmente impegnata.
Avrebbe solo voluto che non avesse sempre quell’aria
così sognante e felice.
E poi c’era Blaise. Blaise aveva già un paio di vigorosi giocatori di football che la seguivano ovunque, Buck e
Duane, ma nessuno dei due era stato invitato al ballo.
Blaise aveva un metodo unico quando doveva scegliere
un partner. Diceva a tutti di togliersi dai piedi.
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«In realtà, è meglio per te se lasci perdere», aveva detto ad un affascinante ragazzo di origine asiatica con
l’orecchino.
Era giovedì, ora di pranzo, e le streghe avevano un intero tavolo tutto per loro. Vivienne e Selene con Blaise
da un lato, Dani e Thea dall’altro. Il bel ragazzo teneva
un ginocchio su una sedia e sembrava molto nervoso.
«Sono fuori dalla tua portata, Kevin, ti rovinerei. Meglio se te ne vai», gli disse Blaise, senza smettere di fissarlo col fuoco che covava negli occhi grigi.
Kevin barcollò, a disagio. «Ma sono ricco», rispose
semplicemente, senza affettazione.
«Non sto parlando di soldi», replicò Blaise. Gli rivolse
un sorriso di commiserazione. «E comunque, non mi
sembra che tu sia davvero interessato».
«Scherzi? Sono pazzo di te. Ogni volta che ti vedo…
non so; è solo che mi fai impazzire».
Gettò un’occhiata alle altre ragazze e Thea capì che si
sentiva tremendamente in imbarazzo. Ma non abbastanza
da smettere di parlare. «Per te farei qualunque cosa».
«No, non credo», Blaise giocherellava con un anello
che portava all’indice sinistro.
«Cos’è?», intervenne casualmente Vivienne.
«Mmh? Oh, solo un piccolo diamante», disse Blaise.
Allungò la mano e la pietra scintillò. «Stuart MacReady
me l’ha dato stamattina».
Kevin barcollò di nuovo. «Io posso comprartene a
dozzine».
Thea era dispiaciuta per lui. Sembrava un tipo a posto,
e lo aveva sentito dire che voleva diventare un musicista.
Ma per esperienza sapeva che dirgli di andarsene non sarebbe servito a niente. Lo avrebbe reso solo più determinato.
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«Ma io da te non vorrei un anello», lo stava rimproverando dolcemente Blaise. «Stuart me l’ha dato perché era
il solo ricordo che gli restava di sua madre. Per lui
quest’anello era tutto, perciò ha voluto darlo a me».
«Io farei lo stesso», disse Kevin.
Blaise scosse la testa. «Non credo».
«Invece sì».
«No. La cosa più importante per te è la tua macchina,
e non ci rinunceresti mai».
Thea aveva visto quella macchina. Era una Porsche
grigia metallizzata. Il ragazzo la lucidava amorevolmente
ogni mattina nel parcheggio della scuola con un panno di
camoscio.
Ora Kevin sembrava confuso. «Ma… quell’auto non è
proprio mia. Appartiene ai miei genitori. Me la prestano
soltanto».
Blaise annuì comprensiva. «Vedi? Ti avevo detto che
non lo avresti fatto. Ora, perché non te ne vai, da bravo
bambino?».
Dentro Kevin qualcosa si ruppe. Fissò Blaise supplichevole, senza mostrare la minima intenzione di muoversi. Alla fine Blaise fece un cenno in direzione dei robusti
giocatori.
«Forza amico», disse uno di loro, a Thea pareva che
fosse Duane. Presero Kevin per le spalle e lo spinsero via. Lui continuò a guardarsi indietro.
Blaise si strofinò vivacemente le dita sulla blusa.
Selene gettò indietro i capelli chiari e disse con voce
strascicata: «Credi che cederà la macchina?»
«Be’…», Blaise sorrise. «Diciamo solo che dovrei avere un mezzo adeguato per andare al ballo. Naturalmente, non so ancora chi ci porterò…».
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Thea si alzò. Dani era rimasta in silenzio per tutto il
pranzo, e ora guardava Blaise; gli scuri occhi a metà fra
orrore e ammirazione.
«Io vado via», disse Thea in tono allusivo, e fu sollevata quando Dani smise di fissare Blaise e si alzò.
«Oh, a proposito», disse Blaise, prendendo lo zaino,
«ho dimenticato di darti questa». Allungò a Thea una fialetta, come quelle che venivano usate per i campioncini
di profumo.
«A che serve?»
«Per il ballo. Ricordi, per metterci il sangue dei ragazzi».
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Capitolo 5
«C
osa?», disse Thea. Almeno di questo poteva parlare chiaramente. «Blaise, sei impazzita?»
«Mi stai dicendo che non vuoi fare incantesimi? Spero
proprio di no», disse Blaise in tono minaccioso. «Fa parte
del gioco, sai».
«Sto dicendo che non c’è modo di prendere abbastanza sangue da riempire questa senza che se ne accorgano.
Che diremo alle vittime? “Voglio solo un ricordino per
non dimenticarti?”»
«Usa il tuo ingegno», disse melodiosamente Vivienne,
arrotolandosi intorno alle dita una ciocca biondo rame.
«A mali estremi potremo sempre usare la Coppa del
Lete», aggiunse Blaise tranquillamente. «Allora non avrà
importanza cosa faremo, non lo ricorderanno».
Thea per poco non svenne. Era una proposta assurda,
come usare una bomba nucleare per schiacciare una mosca. «Tu sei impazzita», replicò piano. «Sai che alle vergini non è permesso usare quel tipo di incantesimo, e
probabilmente non sapremo usarlo neanche da madri, neanche quando saremo vegliarde. È roba per gli Anziani».
Fissò Blaise finché lei non abbassò gli occhi grigi.
«Non credo che sia giusto classificare alcuni incantesimi come proibiti», rispose Blaise con sdegno, ma non
guardò più Thea e non insistette sull’argomento.
Quando lei e Dani lasciarono il patio, Thea notò che
l’amica aveva preso una delle fialette.
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«Andrai al ballo?»
«Immagino di sì». Dani alzò le spalle delicate. «John
Finkelstein del corso di letteratura straniera me l’ha chiesto un paio di settimane fa. Non sono mai stata prima a
uno dei loro balli, ma magari questa è la volta buona per
cominciare».
Che cosa intendeva fare? Thea si sentiva a disagio. «E
pensi di fargli un incantesimo?»
«Ti riferisci a questa?». E si mise a giocherellare con
la fialetta. «Non so. Ho pensato di prenderla, giusto nel
caso in cui…», guardò Thea, sulla difensiva. «Tu ne hai
presa una per Eric».
Thea esitò. Ancora non aveva parlato a Dani di Eric.
Una parte di lei desiderava aprirsi e una parte aveva paura. E comunque; che cosa pensava veramente Dani degli
Estranei?
«Dopo tutto», disse Dani, con un dolce sorriso tranquillo, «sono soltanto umani».
Sabato sera Thea tirò fuori un vestito dall’armadio.
Era di un verde pallido – così pallido da sembrare quasi
bianco – e di uno stile d’ispirazione greca. I vestiti delle
streghe dovevano essere gradevoli al tatto, oltre che alla
vista, e quell’abito era morbido e leggero, si gonfiava in
modo stupendo quando lei girava su se stessa.
Blaise non indossava un vestito. Portava uno smoking
con i papillon e una fascia di seta rossa, che le stava meravigliosamente.
Questo sarà probabilmente l’unico ballo della storia in
cui la ragazza più popolare porta i gemelli, pensò Thea.
Eric arrivò puntualissimo. Bussò alla porta del negozio, l’unica usata dagli Estranei. Il Popolo delle Tenebre
si serviva di un’altra porta sul retro, che era senza nome e
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senza indicazioni, a parte quello che sembrava un graffito
fatto da qualche vandalo: una dalia nera tracciata con lo
spray.
“Ok”, pensò Thea. Prima di aprire la porta fece un bel
respiro.
Nient’altro che dovere, dovere, dovere…
Ma il primo impatto non fu imbarazzante come pensava. Lui sorrise e le porse un mazzolino di orchidee bianche. Lei sorrise e lo prese, poi gli disse: «Stai bene».
Portava un completo di un marrone molto chiaro,
morbido e dall’aria comoda. «Io? Tu stai bene. Voglio
dire… sei meravigliosa. Con quel vestito i tuoi capelli
sembrano d’oro», poi guardò in basso come per scusarsi.
«Non vado a molti balli, mi dispiace».
«No?». A scuola aveva sentito le ragazze che parlavano di lui. Sembrava che piacesse a tutte, tutte lo volevano.
«No, di solito ho parecchio da fare. Sai, lavoro, faccio
sport». Aggiunse più dolcemente: «E mi riesce difficile
parlare alle ragazze».
Buffo, con me non sembri avere questi problemi, pensò Thea. Vide che si guardava intorno.
«È il negozio di mia nonna. Vende ogni genere di cose, provenienti da tutto il mondo». Lo osservò attentamente. Era un test importante. Se lui – un umano - credeva in quella roba, o era un fissato di New Age o era pericolosamente vicino alla verità.
«Forte», commentò lui, e Thea pensò, con grande felicità, che stava mentendo. «Cioè», proseguì – ovviamente
si stava sforzando moltissimo per trovare un modo educato per lodare le bambole voodoo e i prismi di cristallo «credo che le persone possano davvero agire sul proprio
corpo cambiando il proprio stato d’animo».
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Non sai quanto hai ragione, pensò Thea.
Sentirono il ticchettio dei tacchi di Blaise sul legno
delle scale. Prima apparvero le scarpe, poi le gambe inguainate nei pantaloni aderenti, poi tutte le altre curve,
enfatizzate qua e là dalla brillante seta rossa. Alla fine
apparvero le spalle e il viso, i capelli color della notte, in
parte legati e in parte lasciati sciolti a incorniciarle il viso
di tempestosi riccioli scuri.
Thea lanciò un’occhiata a Eric.
Stava sorridendo a Blaise, ma non in quel modo idiota
da pesce lesso che avevano gli altri ragazzi. Il suo sorriso
era autentico.
«Ciao, Blaise», la salutò. «Vai al ballo? Puoi venire
con noi se ti serve un passaggio».
Blaise si fermò di colpo. Poi lo incenerì con lo sguardo. «Grazie, ho un appuntamento col mio cavaliere. Sto
andando a prenderlo adesso».
Prima di aprire la porta, fissò Thea intensamente. «Hai
tutto quello che ti serve per stasera, no?».
La fialetta era nella pochette verde chiaro di Thea.
Ancora non sapeva come sarebbe riuscita a riempirla, ma
annuì nervosamente.
«Bene». Blaise uscì in tutta fretta e salì su una Porsche
grigia metallizzata, parcheggiata lì fuori. L’auto di Kevin. Ma, per quanto ne sapeva Thea, Blaise non stava andando a prendere Kevin.
«Credo di averla fatta infuriare», disse Eric.
«Non preoccuparti. A Blaise piace essere furiosa. vogliamo andare?».
Dovere, dovere, dovere, continuava a ripetere fra sé
Thea mentre entravano nella sala mensa. L’aspetto ordinario che aveva durante il giorno era completamente
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scomparso. Le luci e la musica erano curiosamente eccitanti e il vortice di colori che si creava sulla pista da ballo
era invitante.
Non sono qui per divertirmi, si disse di nuovo Thea.
Ma sentiva il sangue scorrere veloce. Vide che Eric le rivolgeva un’occhiata cospiratoria e le sembrò quasi di poter sentire quello che sentiva lui: come se fossero due
bimbi che si tenevano per mano all’ingresso di un incredibile parco dei divertimenti.
«Uh, meglio che te lo dica subito», disse Eric. «Io non
so davvero ballare, lenti a parte».
Oh, fantastico. Ma naturalmente lei era lì per quello.
Inscenare la seduzione di Eric a beneficio di Blaise.
Proprio in quell’istante iniziò un lento. Thea chiuse gli
occhi per un attimo e si arrese al suo destino, che non
sembrava poi così terribile quando lei e Eric fecero il loro ingresso in pista.
Tersicore, musa della danza, aiutami a non fare la figura della stupida. Non era stata mai così vicina a un ragazzo umano, e non aveva mai provato a ballare al suono
della musica degli umani. Ma Eric non sembrò accorgersi
della sua mancanza di esperienza.
«Sai, non riesco a crederci», le disse. Le sue braccia la
circondavano delicatamente, quasi con reverenza. Come
se avesse paura che potesse rompersi stringendola troppo.
«Cos’è che non riesci a credere?»
«Be’…», scosse la testa. «Tutto, credo. Che sono qui
con te. E che tutto sembra così facile. E che hai sempre
un odore così buono».
Thea rise suo malgrado. «Stavolta non ho usato
l’eupatoria…», cominciò, e poi avrebbe voluto mordersi
la lingua. Un’ondata di adrenalina l’attraversò provocandole un doloroso formicolio.
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Era impazzita? Si stava facendo scappare gli ingredienti di un incantesimo, che la Terra l’assistesse. Il problema era che le veniva troppo facile parlare con lui. Dimenticava troppo spesso che non faceva parte del suo
mondo.
«Tutto a posto?», le chiese Eric quando il silenzio si
fece troppo lungo. Sembrava preoccupato.
No, non è tutto a posto. Ho Blaise da un lato e le leggi
del Mondo delle Tenebre dall’altro, e tutt’e due vogliono
cogliermi in fallo. E non so neanche se ne vali la pena…
«Posso chiederti una cosa?», gli disse bruscamente.
«Perchè mi hai spinto via dal serpente?»
«Eh? Si stava preparando a colpire. Avrebbe potuto
morderti».
«Ma avrebbe potuto mordere anche te». Ti ha morso.
Eric aggrottò la fronte, come se si stesse scervellando su
un irrisolvibile mistero della vita. «Sì… ma in qualche
modo non mi sembrava così grave. Penserai che sono
uno stupido».
Thea non sapeva cosa rispondere. E improvvisamente
si sentì terribilmente combattuta. Il suo corpo desiderava
appoggiare la testa sulla spalla di Eric, ma la sua mente
urlava, le mostrava segnali di pericolo.
In quel momento si sentirono delle voci concitate dai
margini della pista.
«Togliti di mezzo», diceva un ragazzo in giacca blu.
«Lei ha sorriso a me».
«Era a me che sorrideva, idiota che non sei altro», replicò con rabbia un altro ragazzo in giacca grigia. «Quindi fatti da parte e lasciami passare».
Volarono imprecazioni. «Sorrideva a me, e farai meglio a toglierti dai piedi».
Altri insulti. «Sorrideva a me, fatti da parte».
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Iniziò una rissa, le ragazze accorsero.
“Ma che novità”, pensò Thea. Non ebbe nessun problema ad individuare Blaise. Lo smoking orlato di rosso
era circondato da un nugolo di ragazzi, a loro volta accerchiati dalle dame abbandonate e furiose.
«Forse dovremmo andare a salutare», disse Thea. Voleva dire a Blaise di non provocare una rissa.
«Ok. Certo è popolare, eh?».
Riuscirono a farsi strada tra la folla. Blaise era nel suo
habitat ideale, felice dei complimenti e di quella confusione.
«Ho aspettato un’ora e mezza, ma non ti sei fatta viva», le stava dicendo Kevin, molto pallido. Portava una
camicia immacolata di seta bianca e pantaloni neri dal taglio impeccabile. Aveva delle profonde occhiaie.
«Forse mi hai dato l’indirizzo sbagliato», rispose Blaise pensosa. «Non sono riuscita a trovare casa tua».
Teneva sottobraccio un ragazzo molto alto con lunghi
capelli biondi che gli arrivavano alle spalle, sicuramente
passava in palestra quattro o cinque ore al giorno. «Comunque, vuoi ballare?».
Kevin fissò il ragazzo biondo, che ricambiò il suo
sguardo a muso duro.
«Non fare caso a Sergio», disse Blaise. «Mi stava solo
tenendo compagnia. Non vuoi ballare?».
Kevin abbassò gli occhi. «Be’, sì, certo, certo che voglio…».
Quando Blaise si staccò da Sergio, Thea le si avvicinò. «Meglio che tu non faccia niente di eclatante», le sibilò all’orecchio. «C’è già stata una lite».
Blaise si limitò a lanciarle un’occhiata divertita e prese il braccio di Kevin. La maggioranza dei ragazzi la seguì, e una volta che la folla si fu dispersa, Thea vide Dani
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seduta a un tavolino. Portava uno scintillante vestito dorato, ed era sola.
«Andiamo a sederci», propose Eric, prima che Thea
potesse dire una parola. Lo guardò riconoscente.
«Dov’è John?», chiese Thea all’amica mettendosi a
sedere.
Dani fece un cenno verso la folla al seguito di Blaise.
«Ma non m’importa», disse, sorseggiando un bicchiere di
punch con filosofia. «Mi annoiavo. Non so niente di questi balli».
Thea sapeva che voleva dire che erano diversi dalle
danze dei circoli, dove regnava l’armonia e non esistevano le coppie. Si danzava con gli elementi e con tutti gli
altri, un unico grande insieme interconnesso.
Eric si offrì di andare a prendere altro punch.
«Con lui come sta andando?», chiese Dani a voce bassa quando si fu allontanato. I suoi occhi vellutati scrutarono Thea con curiosità.
«Finora tutto bene», rispose Thea evasiva. Poi guardò
la pista da ballo. «Vedo che anche Viv e Selene sono venute».
«Già. Credo che Vivienne abbia già ottenuto il sangue.
Ha punto Tyrone con la spilla del bouquet».
«Scaltra», disse Thea. Vivienne indossava un vestito
nero che rendeva i suoi capelli rossi brillanti come fiamme, e Selene sfoggiava un violetto scuro che faceva risaltare la sua capigliatura bionda. Entrambe si divertivano
un mondo.
Dani sbadigliò. «Credo che andrò a casa presto…»,
esordì, poi s’interruppe.
Un trambusto confuso proveniva dalla parte opposta
della sala, di fronte all’entrata principale. Le persone si
muovevano agitate. All’inizio, Thea pensò che fosse una
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lite di poca importanza per colpa di Blaise, ma poi una
sagoma avanzò barcollando sulla pista.
«Voglio sapere», disse una voce aspra che sovrastò la
musica. «Voglio sapeeereee».
Il gruppo smise di suonare. Le persone si voltarono.
C’era qualcosa in quella voce che non poteva essere ignorato. Era così palesemente anormale, con una cadenza
strana perfino per un ubriaco. Si trattava di una persona
disturbata.
Thea si alzò in piedi.
«Voglio sapeeereee», ripeté la figura petulante,
dall’aria sperduta. Poi si voltò e Thea sentì brividi gelati
scorrerle lungo la schiena.
Portava una maschera di Halloween.
Una maschera di plastica da giocatore di football retta
da un elastico, simile a quelle indossate dai bambini. Perfettamente adatta ad una festa di Halloween. Ma al ballo
annuale era grottesca.
Oh, Ilizia, pensò Thea.
«Me lo puoi dire?», chiese la figura ad una ragazza
bassa con un vestito a balze nere. Lei indietreggiò, avvicinandosi al suo partner.
Il signor Adkins, l’insegnante di fisica di Thea, arrivò
di corsa, con la cravatta che gli svolazzava disordinatamente. Non sembrava ci fosse nessun altro insegnante in
giro, probabilmente erano andati tutti da qualche parte a
cercare di sedare le risse causate da Blaise, pensò Thea.
«Ok, calmati ora, calmati», disse il signor Adkins,
come se avesse di fronte uno studente indisciplinato.
«Non c’è niente di cui preoccuparsi…».
Il ragazzo con la maschera di Halloween tirò fuori
qualcosa dalla giacca. Sotto le luci da discoteca l’oggetto
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scintillò come un arcobaleno, riflettendo i colori come
uno specchio.
«Un rasoio a serramanico», disse Dani con voce soffocata. «Per la Regina Iside, dove l’ha preso?».
Qualcosa in quell’arma, forse il fatto che fosse così
stravagante, così fuori moda, la rendeva più spaventosa
di un coltello. Thea immaginò quel rasoio che penetrava
la carne.
Il signor Adkins stava indietreggiando a braccia aperte, come se volesse proteggere gli studenti dietro di lui.
Nei suoi occhi si leggeva la paura.
Devo far smettere tutto questo, pensò Thea. Il problema era che non sapeva come fare. Se si fosse trattato di
un animale, si sarebbe fatta avanti e avrebbe cercato di
controllarne la mente. Ma non poteva controllare una
persona.
Cominciò ad avvicinarsi lo stesso, lentamente, in modo da non attirare l’attenzione. Si spostò al margine della
folla che circondava la pista, fino a trovarsi a poca distanza dal ragazzo.
Che ora era passato a una nuova domanda. «L’avete
vista?», chiedeva. Continuò a ripetere la domanda mentre
camminava, e le persone indietreggiavano. Vivienne e
Selene si spostarono una da un lato e una dall’altro, accompagnate dai loro cavalieri. Il rasoio scintillava.
Thea spostò lo sguardo verso il lato opposto della sala,
dove c’era Blaise insieme a Kevin Imamura.
Senza nessun Buck, nessun Duane a proteggerla. Ma
Blaise non sembrava spaventata. Di lei non si poteva negare una cosa: aveva un fenomenale coraggio. Stava immobile con una mano sul fianco e Thea capì che sapeva
benissimo chi era il ragazzo che le stava andando incontro.
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In mezzo alle coppie, Thea intravide qualcos’altro. Eric era dall’altro lato della pista, con due bicchieri di
punch in una mano e uno nell’altra. Si muoveva parallelamente al ragazzo mascherato, proprio come stava facendo lei.
Provò a incrociare il suo sguardo, ma la folla era troppo fitta.
«L’avete vista?», chiese di nuovo il ragazzo a una
coppia proprio di fronte a Blaise. «Voglio sapeeereee».
La coppia si divise subito, come due birilli su una pista
da bowling. Blaise restò allo scoperto, alta ed elegante
nel suo completo nero, con le luci che scintillavano sui
capelli corvini.
«Eccomi, Randy», disse. «Cos’è che vuoi sapere?».
Randy Marik si fermò, ansimando. Sotto la maschera,
il respiro aveva un suono soffocato. Il resto della vasta
sala era stranamente silenzioso.
Thea si avvicinò lentamente. Eric sopraggiunse dal lato opposto, e solo allora si accorse di lei. Scosse la testa e
senza parlare le sillabò le parole «Sta’ lontana».
Sì. E tu lo affronterai armato di tre bicchieri di plastica
pieni di punch. Gli lanciò un’occhiataccia e mormorò:
«Stai lontano tu».
La mano di Randy tremava, facendo lampeggiare il
rasoio. Il petto si sollevava e si abbassava freneticamente.
«Che c’è, Randy?», chiese Blaise. La punta di una delle sue scarpe col tacco batteva impaziente sul pavimento.
«Sto male», disse Randy. Fu quasi un gemito. La sua
testa ondeggiava in modo strano, come se non fosse ben
collegata al collo. «Mi manchi».
La sua voce fece venire a Thea la pelle d’oca. Sembrava quella di un bambino di quattro anni imprigionato
in un corpo da diciottenne.
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«Non faccio altro che piangere», disse.
Con la mano sinistra si sfilò la maschera. Kevin indietreggiò inorridito. Thea fu travolta da un’ondata di orrore.
Stava piangendo sangue. Rivoli di sangue gli scendevano dagli occhi, mescolandosi alle lacrime.
“Un incantesimo?”, si chiese Thea. Poi capì. No, si era
tagliato.
Proprio così. Si era fatto due incisioni a forma di mezzaluna sotto gli occhi, e il sangue sgorgava da lì.
Anche il resto del viso era spettrale. Era bianco come
un cadavere, con pochi peli ispidi sul mento. Gli occhi
erano spiritati. I capelli, che un tempo erano biondo rame
e setosi, ora sembravano rovinati e sbiaditi.
«Hai fatto tutta la strada dal New Hampshire per dirmi
questo?», disse Blaise alzando gli occhi al cielo.
Randy fece un sospiro singhiozzante.
Quello scambio di battute sembrò infondere coraggio
a Kevin. «Ascolta amico, non so chi sei… ma è meglio se
le stai lontano», gli disse. «Perché non te ne vai a casa a
smaltire la sbronza?».
Fu uno sbaglio. Gli occhi folli che sovrastavano le
guance sporche di sangue lo misero a fuoco.
«Chi sei tu?», disse Randy come un ebete, facendo un
passo avanti. «Chi… sei… tu?»
«Spostati Kevin!», gli gridò Thea allarmata.
Troppo tardi. La mano col rasoio scattò avanti, colpendo rapidamente. Il sangue schizzò dal viso di Kevin.
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Capitolo 6
K
evin lanciò un urlo, portandosi una mano alla
guancia. «Mi ha tagliato! Questo pazzo mi ha tagliato!».
Il sangue gli scorreva tra le dita.
Randy alzò di nuovo il rasoio.
Thea cercò di raggiungerlo con la mente. Anzi, non
raggiungerlo. Afferrarlo. Agì completamente d’istinto;
era spaventata a morte, e tutto quello che riusciva a pensare era che avrebbe ucciso Kevin, e forse anche Blaise.
Afferrò… qualcosa. Dolore e pena e furia che sembravano saltare in tondo come un babbuino in gabbia. Riuscì
a mantenere la presa per un solo istante, ma in
quell’attimo Eric gettò due bicchieri di punch in faccia a
Randy. Randy urlò e abbandonò Kevin, per scagliarsi
contro Eric.
Thea fu sommersa da un’ondata di puro terrore.
Randy affondò il rasoio, ma Eric fu più veloce; fece un
salto indietro schivandolo e gli si portò alle spalle. Randy
si girò e menò un altro fendente. Poi continuarono a girare in tondo nella loro danza macabra.
Thea sentiva la morsa della paura stringersi più ferocemente a ogni loro mossa. Ma Eric evitò tutti i colpi di
rasoio fino a quando un movimento sulla pista da ballo
non catturò l’attenzione di Thea. Era il signor Adkins con
altri due insegnanti. Si avvicinarono a Randy, accerchiandolo. Ne seguì una grande confusione. Quando tutto
fu finito, Randy era a terra.
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Fuori si sentì il suono di sirene che si avvicinavano.
Eric s’allontanò da quel groviglio di persone.
Col respiro affannato guardò Thea. Lei annuì per dirgli che stava bene, poi chiuse gli occhi.
Si sentiva debole, esausta, stava malissimo. Ora avrebbero portato via Randy, non c’era niente da fare per
lui. Sembrava definitivamente andato.
In quell’istante si vergognò di essere una strega.
«Bene, gente», stava dicendo il signor Adkins. «Usciamo da qui. Sgomberiamo la sala». Guardò Blaise,
china su Kevin: gli stava premendo un fazzoletto sulla
guancia. «Voi due potete restare». Posò una mano sulla
spalla di Blaise. «Te la senti?».
Blaise lo guardò con gli occhi grigi spalancati e
un’espressione di disperazione molto teatrale. «Credo di
sì», rispose coraggiosamente.
Il signor Adkins deglutì. Le strinse la spalla e mormorò qualcosa tipo: «Povera bambina».
Oh, finiscila, pensò lei. Ma una piccola parte egoista
di sé si sentiva sollevata. Stavolta Blaise non era finita
nei guai; nessuna di loro due sarebbe stata espulsa. La
nonna non avrebbe dovuto umiliarsi di fronte al Circolo
Interno.
E Blaise sembrava davvero preoccupata per Kevin. Lo
curava con grande premura. Come se davvero le importasse di lui.
Thea riuscì a superare il braccio disteso di un insegnante che le bloccava il passaggio. «Stai bene?», sussurrò a Blaise.
Blaise la guardò enigmatica. Fu allora che Thea vide
la minuscola fialetta nascosta nel fazzoletto. Era piena di
sangue.
«Tu…», non riusciva a trovare le parole.
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Blaise le fece un sorrisetto che significava: Lo so. Ma
era un’occasione troppo buona per lasciarsela sfuggire.
Thea indietreggiò e finì contro Eric. Lui la abbracciò
con forza.
«Sta bene?»
«Lei sì. Io devo andarmene da qui».
Eric la guardò negli occhi. Era molto provato: i capelli
scomposti, lo sguardo cupo. Tutto quello che disse fu:
«Andiamo».
Uscendo incontrarono Vivienne e Selene. Thea non
poteva negarlo: sembravano entrambe sconvolte e infelici. Ma quanto sarebbe durato il loro dolore?
Dani era nel parcheggio con John Finkelstein. «Me ne
vado a casa», disse a Thea con aria allusiva, e gettò qualcosa in un cespuglio di ciliegio selvatico.
Era una fialetta vuota.
Thea sentì un gran sollievo. Sfiorò il braccio di Dani.
«Grazie».
Dani rivolse lo sguardo verso la sala mensa. «Mi chiedo cosa volesse sapere», mormorò.
Proprio in quel momento si sentì un ululato
dall’ingresso, come in risposta alla sua domanda. Non
sembrava un suono emesso da una persona; assomigliava
più a un animale in agonia.
«Peeeeerchèèè?».
Thea si girò di scatto e raggiunse la jeep di Eric quasi
correndo.
Mentre percorrevano le strade buie Eric disse piano:
«Immagino fosse un ex ragazzo».
«Del mese scorso».
Lui la guardò. «Era messo male, poveretto».
E questo, pensò Thea, è un modo gentile di riassumere
la questione. Era messo male, e per sempre. Poveretto.
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«È Blaise», rispose. Non voleva parlargliene, ma le
parole gli si affollavano nella mente, chiedevano di uscire, e se non gli avesse raccontato tutto sarebbe esplosa.
«Fa sempre così, e non riesco a fermarla. Sceglie i ragazzi, e loro s’innamorano, e poi li scarica».
«Amore? Hm», disse Eric.
Thea lo guardò stupefatta. Lui guardava davanti a sé,
le dita agili salde sul volante.
Bene. E io che credevo che tu fossi un ingenuo. Forse
vedi più cose di quanto pensassi.
«È una specie di amore», replicò. «È come… sai,
nell’antica Grecia adoravano la dea Afrodite. Era la dea
dell’amore, e si credeva che fosse assolutamente spietata». Thea scosse la testa. «Ho visto uno spettacolo una
volta, su una regina che si chiamava Fedra. Afrodite la
fece innamorare del figliastro, e alla fine dello spettacolo
sul palcoscenico erano quasi tutti morti. Ma Afrodite
continuava a sorridere. Perché faceva soltanto quello che
fa una dea… nello stesso modo in cui un tornado sradica
una casa o un incendio brucia una foresta».
Si fermò. Si sentiva a pezzi ed era senza fiato. Ma in
un certo senso stava meglio, come se si fosse liberata da
un peso.
«E tu credi che Blaise sia così».
«Sì, una specie di forza naturale che non può frenarsi.
Ti sembra un’idea folle?»
«A dire il vero no». Eric fece un sorriso tirato. «La natura è primitiva. I falchi catturano i conigli. I leoni maschi uccidono i cuccioli. È una giungla».
«Ma questo non lo rende giusto. Forse per le dee, e
per gli animali, ma non quando si tratta di umani». Ci mise un momento prima di rendersi conto di cosa aveva detto. Aveva usato la parola “umani” al posto di “persone”.
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«Be’, gli uomini non sono così diversi dagli animali,
dopotutto», replicò Eric con dolcezza.
Thea si abbandonò contro lo schienale. Si sentiva ancora confusa e infelice, ma quello che più la spaventava
era quel forte bisogno di continuare a parlarne con Eric.
Sembrava capire così bene… più di chiunque altro. E
non solo la capiva: per lui era importante quello che diceva.
«So di cosa hai bisogno», le disse all’improvviso, illuminandosi. «Stavo per proporti il buffet aperto fino a
tardi, da Harrah, ma conosco qualcosa di meglio».
Thea guardò l’orologio, vide che erano quasi le undici.
«Cosa?»
«Cucciolo terapia».
«Che?».
Lui si limitò a sorridere e deviò verso sud. Si fermarono di fronte a un modesto edificio grigio, con un’insegna
che diceva SUN CITY ANIMAL HOSPITAL.
«Tu lavori qui».
«Già. Possiamo dire a Pilar di staccare prima», disse
Eric, scendendo dalla macchina e aprendo con una chiave
la porta principale dell’edificio. «Andiamo».
Una ragazza carina, coi capelli castani che le arrivavano alle spalle, li fissò da dietro il bancone all’entrata.
Thea riconobbe Pilar Osorio, frequentava la loro stessa
scuola. Una ragazza tranquilla, con l’aria da brava studentessa.
«Com’era il ballo?», chiese. Thea pensò che guardava
Eric con occhi infiammati dal desiderio.
Eric alzò le spalle. «Orribile, per la verità. C’è stata
una rissa e ce ne siamo andati». Thea notò che non aveva
neanche accennato al fatto che era stato lui a sedare il putiferio.
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«Che brutta cosa», disse Pilar con voce comprensiva,
ma Thea pensò che in realtà non le dispiaceva affatto che
il ballo fosse andato male.
«Già. Come sta il nostro ragazzo?»
«Bene, un po’ sovraeccitato. Magari più tardi puoi
portarlo a fare una passeggiata». Pilar prese la giacca.
Rivolse un cenno educato a Thea e si diresse verso la
porta. «A lunedì».
Lui le piace, pensò Thea.
Una volta che la porta fu chiusa Thea si guardò intorno. «Quindi ora la clinica è chiusa».
«Sì, ma qualcuno deve fare il turno di notte se c’è
qualche animale». Le sorrise di nuovo. «Seguimi».
Superarono un ambulatorio e un corridoio e poi raggiunsero un canile sul retro. Thea si guardò intorno interessata. Prima di allora non era mai stata nella parte di
una clinica veterinaria non aperta al pubblico.
C’erano molte gabbie. Da quella in fondo si alzarono
guaiti speranzosi.
Eric la fissò con un’aria divertita. «Tre, due, uno…».
Aprì la gabbia. Un grosso cucciolo di labrador si catapultò fuori, agitando freneticamente la coda. Era di un colore
bellissimo, che andava dall’oro scuro al quasi bianco delle zampe.
«Ehi, Bud», lo chiamò Eric. «Ehi, bello; chi è un bravo cane?». Fissò Thea con uno sguardo solenne. «Ecco a
te il cane più coccoloso al mondo».
Thea si accovacciò sul pavimento in vinile e spalancò
le braccia.
«Uh, il vestito…», l’avvertì Eric gentilmente, ma il
cucciolo si era già alzato sulle spalle. Thea lo abbracciò e
lui le andò addosso, le zampe sulle spalle, il fiato caldo
nell’orecchio.
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«Credo di essermi innamorata», disse Thea senza fiato, sostenendo a fatica il dolce e caldo peso del cucciolo.
Era circondata da felicità. Non doveva sforzarsi per
fondersi con la mente del cucciolo; lui aveva preso il sopravvento praticamente con forza. Tutti i suoi pensieri
erano buoni, e tutti erano incentrati sul presente, su quel
momento stesso. Adesso. L’odore meraviglioso di
quell’attimo, e la favolosa sensazione di un grattino dietro l’orecchio sul morso di una pulce.
Sentimenti buoni, felici… questo grosso cane spelato
mi piace proprio… Anche se in pratica è lui che comanda.
Il cucciolo la morse e Thea fece finta di morderlo a
sua volta. «Sbagliato; sono io il capobranco», lo informò,
prendendolo per le mascelle.
C’era solo una cosa strana. Riusciva a vedere il mondo
come lo vedeva il cane, e sulla destra non c’era niente.
Solo uno spazio vuoto.
«Ha qualcosa che non va agli occhi?»
«Hai notato la cataratta. Molte persone non se ne accorgono subito. Sì, è cieco dall’occhio destro. Forse
quando sarà più grande potrebbe tornare a farsi operare».
Eric si mise a sedere a terra appoggiandosi al muro, con
un gran sorriso. «Ci sai fare davvero con gli animali»,
disse. «Tu non ne hai?».
Era un domanda gentile, non indiscreta. Thea rispose
distrattamente. «Be’, di solito li tengo solo per un po’. Li
raccolgo e quando li ho curati li lascio andare… o trovo
loro una casa, se vogliono essere addomesticati».
«Li curi».
Di nuovo, una domanda gentile, ma Thea ne fu leggermente scossa. Perché non riusciva a tenere a freno la
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lingua con quel ragazzo? Alzò gli occhi e vide che la
scrutava con attenzione, gli occhi verdi vigili.
Sospirò. «Gli do da mangiare, li porto dal veterinario
se ne hanno bisogno. Poi aspetto finché non guariscono».
Lui annuì, ma quello sguardo indagatore non scomparve. «Hai mai pensato di fare il veterinario?».
Thea fu costretta ad abbassare lo sguardo. Fece finta
di voler baciare il cucciolo.
«Eh? Non proprio», mormorò con il volto nascosto
nella pelliccia bionda.
«Ma hai un dono. Ascolta, ho un po’ di opuscoli sulla
U.C. Davis. I loro corsi sono eccellenti – e quelli di specializzazione fra i migliori del Paese. Non è facile entrarci, ma tu potresti farcela. So che è così».
«Non ci scommetterei», mormorò Thea. C’erano molte gravi macchie sul suo curriculum: quattro espulsioni,
per esempio. Ma non era quello il vero problema. Il vero
problema era che una strega non faceva il veterinario.
Semplicemente non era possibile.
Poteva scegliere di specializzarsi in erbe, gemme o
abbigliamento rituale; in canti o rune o ricerca o amuleti… in centinaia di cose, ma niente che si insegnasse alla
U.C. Davis.
«È difficile da spiegare», disse. Ormai non si sorprendeva più di nulla, ma di certo quello strano desiderio di
dare spiegazioni a un umano era sconvolgente.
«È solo che la mia famiglia non approverebbe, davvero. Vogliono tutta un’altra carriera per me».
Eric aprì la bocca, poi la richiuse.
Il cucciolo starnutì.
«Be’, forse potresti aiutare me con la domanda di
ammissione, devo fare il tema e sto impazzendo».
Furbo che sei, pensò Thea.
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«Forse», rispose.
In quel momento suonò un citofono, lontano ma insistente. Bud abbaiò.
«Che diavolo… è il citofono esterno», disse Eric. «Ma
a quest’ora non dovrebbe esserci nessuno». Si alzò e si
diresse verso l’ingresso dell’edificio. Thea lo seguì, accarezzando appena la testa di Bud con la punta delle dita
per tenerlo sotto controllo.
Eric aprì la porta, poi per la sorpresa fece un passo indietro.
«Rosamund… che ci fai qua? Mamma lo sa che sei
uscita?».
Qualcosa di simile a un tornato in miniatura entrò nella sala d’aspetto. Era una bambina, con una gran massa di
capelli castano chiaro che sbucavano da un berretto da
baseball. Portava una coperta blu arrotolata sotto il braccio e l’espressione che s’intuiva sotto i capelli era feroce.
«Mamma ha detto che Madame Curie non sta davvero
male, invece soffre molto. Chiama la dottoressa Joan».
Così dicendo la bambina marciò verso il bancone e mollò
la coperta blu, spostando una cartellina e dei biglietti
promemoria per le vaccinazioni.
«Ehi. Sta’ ferma». Lei lo ignorò, ed Eric guardò Thea.
«Ehm, questa è mia sorella Rosamund. E non so come sia
arrivata qui».
«Sono venuta in bici e voglio che Madame Curie stia
bene, ora».
Bud si era alzato su due zampe e provava ad annusare
la coperta. Thea lo spinse giù con gentilezza. «Chi è
Madame Curie?»
«Madame Curie è un porcellino d’India», rispose Eric.
Toccò il panno. «Roz, la dottoressa Joan non c’è. È fuori
città per una conferenza».
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L’espressione feroce di Rosamund restò immutata, ma
il mento cominciò a tremare.
«Ok, ascolta. Darò un’occhiata a Madame Curie e vedrò se posso fare qualcosa. Ma prima dobbiamo telefonare alla mamma per farle sapere che sei viva». Si diresse
al telefono.
«Riporto dentro Bud», disse Thea. «Penso che abbia
scambiato Madame Curie per il pranzo». Ricondusse il
cucciolo sul retro e lo persuase a entrare nella gabbia con
la promessa di coccole extra più tardi.
Quando tornò in ufficio, Eric era chino su un piccolo
porcellino d’India bianco e marrone. Sembrava preoccupato.
«Be’, c’è qualcosa che non va… presumo. Sembra più
debole del solito, e direi letargica…». Improvvisamente
fece uno strillo e tirò indietro la mano.
«Non troppo letargica», proseguì, guardando il sangue
che affiorava sul pollice. Si asciugò con un fazzolettino e
si chinò di nuovo.
«È di cattivo umore», disse Rosamund. «E non mangia abbastanza. Te l’avevo detto ieri che stava male».
«No, non me l’hai detto», rispose Eric con calma. «Mi
hai detto che era stufa di vivere in un sistema patriarcale».
«Be’, è stufa. E malata. Fa’ qualcosa».
«Senti, non so cosa fare. Aspetta». Si avvicinò di più
all’animaletto. «Non tossisce… quindi non è streptococco. I nodi linfatici sono a posto… ma le giunture sembrano gonfie. Questo è strano».
Rosamund lo guardava, gli occhi verdi pieni di orgogliosa fiducia. Come quelli di Eric, notò Thea.
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Allungò una mano e toccò delicatamente la morbida
pelliccia del criceto con le dita. Anche la sua mente si unì
a quel tocco delicato.
Pensieri da animaletto spaventato. Al porcellino
d’India non piaceva essere lì, desiderava la segatura della
propria gabbia, la sicurezza. Non le piacevano gli odori
della clinica, né le grosse, strane dita che si calavano
dall’alto su di lei.
Casetta, nido, stava pensando. E poi, una cosa buffa.
Un concetto… più odore e sapore che immagine.
Madame Curie stava immaginando di mangiare qualcosa… qualcosa di croccante e leggermente aspro. Ancora e
ancora e ancora.
«C’è qualcosa che le piace molto?», chiese Thea dubbiosa. «Qualcosa tipo il cavolo?».
Eric spalancò gli occhi, poi si raddrizzò come se avesse ricevuto una scossa. La fissò a lungo con i suoi profondi occhi verdi. «Ecco cos’è! Sei geniale!».
«Cosa?»
«Quello che hai detto. Ha lo scorbuto». Si precipitò
fuori dalla stanza e tornò con un librone scritto in caratteri molto piccoli. «Sì… ecco qua. Anoressia, stato letargico, giunture ingrossate… presenta tutti i sintomi». Girò
febbrilmente le pagine e poi disse trionfante: «Tutto quello che dobbiamo fare è darle un po’ di verdure, o magari
dell’acido ascorbico nell’acqua».
Scorbuto… non era la malattia che colpiva un tempo i
marinai? Quando facevano lunghe traversate senza frutta
fresca o verdure? E l’acido ascorbico era… vitamina C!
«Sì! Sono stati giorni caldi e a casa abbiamo acqua
molto dura: tutte cose che hanno sottratto vitamina C alla
sua dieta. Ma rimediare è facile». Eric guardò Thea e
scosse la testa con ammirazione. «Io ho studiato per anni,
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oltre a lavorare qua, e a te basta guardare un animale per
capire. Come riesci a farlo?»
«L’ha chiesto a Madame Curie», disse Rosamund come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Thea la guardò con circospezione. Ma in quella famiglia erano tutti ottimi osservatori? «Ah, ah», replicò
scherzosamente.
«Mi piaci», disse Rosamund, come se stesse constatando un dato di fatto. «Ora, dove trovo del cavolo?»
«Va’ a guardare nel frigo dei vaccini sul retro», disse
Eric. «Se non ce n’è, possiamo sempre usare delle vitamine in gocce».
Rosamund trotterellò via. Eric la osservò, con palese
affetto.
«Una bambina interessante», osservò Thea.
«È una specie di genio. È anche la più piccola femminista militante del mondo. Ha citato in giudizio
l’associazione locale di trekking maschile, sai. Non la
fanno iscrivere, e nell’associazione femminile non si fanno escursioni, si lavora all’uncinetto».
Thea lo guardò. «E tu che ne pensi?»
«Io? Io la accompagno dall’avvocato quando mamma
non può. Perlomeno la smette di lamentarsi. Oltretutto,
ha ragione».
Chiaro e semplice, pensò Thea. Lo guardò mentre ripiegava la coperta blu, e sentì una voce piena di enfasi
nella testa, sembrava un annunciatore che presenta un
gioco a premi.
E ora, guardate questo ragazzo. Dolce ma appassionato. Coraggioso. Profondamente acuto. Timido ma con
uno spiccato senso dell’ umorismo. È intelligente, onesto,
ama gli animali…
È umano.
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Non mi importa.
Si sentiva… be’, strana. Come se avesse respirato
troppa radice di eupatoria. L’aria sembrava dolce, pesante e in un certo senso eccitante, come impregnata di elettricità tropicale.
«Eric…».
Si sorprese a sfiorargli il dorso della mano.
Lui lasciò andare la coperta e le strinse la mano. Non
la guardava, però. Fissava ancora la scrivania. Respirava
affannosamente.
«Eric?»
«A volte penso che se chiudessi gli occhi un attimo, tu
scompariresti».
Oh Ilizia, pensò Thea, oh Afrodite. Sono proprio nei
guai.
Il punto era che quello che provava era terribile e meraviglioso. Si sentiva imbarazzata e al tempo stesso al sicuro, spaventata a morte e coraggiosissima. E quello che
voleva era talmente semplice. Se anche lui provava le
stesse cose, tutto sarebbe andato bene.
«Non so più immaginare la mia vita senza di te, ma ho
tanta paura che te ne andrai», disse Eric, guardando ancora rassegnato il computer sulla scrivania. Poi si voltò verso li lei. «Sei arrabbiata?».
Thea scosse la testa. Il cuore minacciava di uscirle dal
petto. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di lui, fu
come se si fosse chiuso un circuito. Erano connessi, adesso, e spinti l’uno verso l’altra come se Afrodite stessa li
tenesse fra le braccia.
E poi fu tutto caldo e meraviglioso. Meglio che tenere
fra le braccia il cucciolo, perché anche Eric poteva stringere lei. E i fremiti di paura che l’avevano attraversata
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sembrarono esplodere come fuochi d’artificio e trasformarsi in pura gioia.
La sua guancia sfiorava quella di Eric. Non aveva mai
provato nulla che le desse una tale beatitudine. La guancia di Eric era liscia e ferma… e lei era al sicuro lì, era
amata. Un senso di pace la colmava come acqua fresca.
Erano due uccelli che si sfioravano con le ali.
I cigni scelgono il proprio compagno per la vita… e
quando lo vedono, lo riconoscono, pensò. È questo che è
successo nel deserto. Ci siamo riconosciuti; è stato come
se potessimo vedere l’uno nell’anima dell’altra. Una volta che tra due persone succede questo, sono unite per
sempre.
Sì, e nel Mondo delle Tenebre esisteva una parola per
definire tutto questo, le disse una parte di sé, cercando di
distruggere quella pace. Il principio dell’anima gemella.
Stai cercando di dire che il tuo unico e solo è un umano?
Ma Thea non poteva spaventarsi, non adesso. Si sentiva esclusa sia dal Mondo delle Tenebre sia da quello umano. Lei ed Eric formavano una realtà a parte; e le bastava soltanto stare lì a respirare e sentire il suo respiro,
senza preoccuparsi del futuro…
Una porta si aprì cigolando ed entrò un soffio di aria
fredda.
Gli occhi di Thea si spalancarono per la sorpresa. Poi
il cuore le balzò nel petto e cominciò a battere fortissimo.
Non era la porta da cui era entrata Rosamund. Era il
portone principale, che Eric doveva aver lasciato aperto.
E Blaise era lì in piedi nella sala d’attesa.
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Capitolo 7
«V
i ho cercati dappertutto», disse Blaise. «Ho dovuto chiamare la signora Ross per scoprire dove eravate».
I capelli neri spettinati e agitati dal vento le ricadevano sulle spalle. S’era sfilata il papillon rosso e il primo
bottone della camicetta era aperto. Le guance erano arrossate e c’era una luce cupa negli occhi grigi. Era bellissima, e molto, molto strega.
Thea e Eric si erano separati di botto e Thea ebbe la
sensazione che fossero arrossiti entrambi.
«Stavamo solo…», disse Eric. «Uhm. Ehm». Mentre
Blaise lo scrutava, raccolse la coperta blu e la piegò di
nuovo. «Ehm. Posso farti vedere la clinica?»
«Non m’importa molto degli animali, a meno che non
siano allo spiedo». Blaise osservò la stanza con la mano
su un fianco.
Oh, è di umore fantastico.
Thea aveva le mani sudate. Non era sicura di cosa
pensasse Blaise dell’abbraccio in cui li aveva sorpresi…
ma Thea avrebbe dovuto sedurre Eric, no?
Lo sguardo le cadde sul Kleenex macchiato del sangue
di Eric. Senza farsi notare, prese il fazzoletto e lo accartocciò.
«Così hai lasciato il ballo», disse a Blaise. «Dov’è…».
Con chi aveva appuntamento Blaise quella sera? Sergio?
Kevin? Qualcun altro?
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«Non c’è nessun ballo», disse Blaise. «L’hanno annullato. Merito di Randy: è stato una seccatura di
prim’ordine». Poi la sua espressione cambiò; ammiccò e
sorrise dolcemente. «E tu chi sei, tesoro?».
In piedi davanti alla porta che dava sul corridoio, Rosamund indietreggiò, stringendo Madame Curie al petto.
Non disse una parola, ma i verdi occhi ostili non abbandonarono Blaise neanche per un secondo.
«Uhm, scusami», disse Eric. «Questa è mia sorella.
È… timida».
«Ah, allora è una caratteristica di famiglia», replicò
Blaise. «Che carini».
Thea intervenne. «Credo sia ora di tornare a casa».
Aveva bisogno di parlare a Eric, ma da sola, senza la sorveglianza di una piccoletta scorbutica e di una strega sospettosa.
Lanciò un’occhiata a Eric. Anche lei si sentiva un po’
timida. E lo stesso valeva per lui.
«Be’… ci vediamo a scuola».
«Sì». Improvvisamente lui sorrise. «Sai, c’è qualcos’altro che volevo dirti. Nel caso pensassi di entrare alla Davis, potresti seguire zoologia avanzata. È un buon
corso».
«Uhm… vedremo». Era fin troppo consapevole delle
occhiate di Blaise.
Una volta fuori, però, Blaise le disse solo: «Scusa se
sono stata maleducata. Ma ti ho cercata dappertutto, per
farti sapere quanto fossi disperata. E…», scosse la chioma corvina con un sorriso accattivante, «è così divertente
comportarmi male di tanto in tanto».
Thea sospirò, poi si fermò di colpo. «Blaise, la macchina!».
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La Porsche grigia metallizzata di Kevin sembrava reduce da una guerra. Il paraurti anteriore era ammaccato,
la portiera del passeggero accartocciata, e il parabrezza
incrinato.
«Ho avuto un problemino», ammise Blaise con disinvoltura. «Comunque è tutto a posto; stasera ho incontrato
un ragazzo che si chiama Luke Price, che ha una Maserati». Guardò Thea, poi aggiunse: «Tu non disapprovi mica, vero… che si trattino gli umani in questo modo?»
«No… maturalmente no. È solo che non voglio farmi
espellere di nuovo».
«Fare un incidente non è illegale. Aspetta, devi salire
dalla parte del guidatore».
Partì. Guidava, apparentemente senza dirigersi da nessuna parte. Thea restò in silenzio, profondamente consapevole delle occhiate indagatrici che la sorella le scoccava.
«Allora», esordì Blaise con il suo tono più soave,
«l’hai preso?»
«Cosa?»
«Non scherzare».
Thea allungò la mano col Kleenex. «Non ho riempito
la fialetta; era ridicolo. Ma usando l’ingegno ne ho ottenuto abbastanza».
«Mmm», le dita affusolate di Blaise, con le unghie
rosso sangue, si richiusero delicatamente sul fazzolettino.
Stupita, Thea lo tirò via e il Kleenex si strappò. Lei se ne
ritrovò in mano un angolo.
«Ehi…».
«Qual è il problema? È solo per sicurezza», disse
Blaise disinvolta. «E allora, com’è andato il resto?»
«Bene», rispose Thea. Aveva i palmi sudati, ma riuscì
a conservare un tono leggero. «Credo sia cotto», aggiun-
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se, cercando di imitare il tono languido e arrogante di
Blaise.
«Oh, davvero?». Erano finite sulla Strip, il che voleva
dire che l’auto adesso era imbottigliata nel traffico. Le
luci al neon illuminavano il curioso sorrisetto di Blaise.
«E cos’era quella cosa sulla Davis?»
«Niente. È il college dove vuole andare, quindi naturalmente vorrebbe che andassi con lui».
«Pensa già al futuro. Be’, hai fatto in fretta. congratulazioni».
A Thea non piacque il modo in cui lo disse. Ora più
che mai voleva proteggere Eric da Blaise, ma non sapeva
bene come. Sua cugina sospettava qualcosa?
«Sai, credo che la cosa più divertente sia il “pop”»,
disse Blaise con aria trasognata. «I ragazzi umani sono
tutti diversi… ma alla fine, sono tutti uguali. E quando si
arrendono completamente, riesci quasi a sentirlo. C’è un
“pop”, come un pallone che scoppia».
Thea deglutì, fissando il grosso leone dorato di fronte
all’MGM Grand Hotel. I suoi occhi verdi le ricordarono
Eric. «Davvero? Interessante».
«Oh, sì. E, dopo il pop, crollano, e tutto ciò che sono,
l’intera persona, fuoriesce in una sorta di emorragia interna. Dopodiché, naturalmente, sono inservibili. Come
uno stallone troppo vecchio per accoppiarsi. Sono semplicemente… finiti».
Che cosa carina.
«Sai, credo che Eric, sia pronto per quel pop. È già innamorato di te, si vede. Credo sia il momento».
Thea restò zitta. Una ragazza vampiro, con indosso un
vestito con il disegno di una rosa nera, si fece strada in
mezzo al traffico bloccato. Thea disse: «Blaise…».
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«Cosa c’è, hai qualche problema? Ti riesce difficile?
Magari hai un debole per lui? Ti piace un po’ troppo?»
«Blaise…».
«Ti sei innamorata?»
Brividi di terrore scossero Thea, e l’ultima domanda
rimase sospesa in aria.
Alla fine sussurrò: «Non essere ridicola».
«E tu non cercare di prendermi in giro. Ricorda con
chi stai parlando. Conosco lo sguardo idiota che hai
quanto ti sdilinquisci per qualche animale. Ho visto come
lo abbracciavi».
Thea era disperata. Non aveva paura solo di Blaise. La
Legge del Mondo delle Tenebre non avrebbe potuto essere più esplicita riguardo alla punizione che spettava a che
si innamorava di un umano.
Morte. Non solo per lei, ma anche per Eric.
C’era solo una cosa che Thea potesse fare. Si voltò e
fissò Blaise.
«Bene, Blaise, mi conosci. Siamo sempre state come
sorelle, e io so che nonostante il modo in cui a volte ti
comporti, tu mi vuoi sempre bene…».
«Certo che te ne voglio», rispose Blaise impaziente, e
Thea capì che in parte era proprio quello il problema.
Sotto la luce intermittente delle colonne al neon del Ball
hotel, vide che gli occhi di Blaise erano umidi. Aveva paura per Thea… ed era arrabbiata perché aveva paura.
Thea strinse la mano della cugina. «Allora devi ascoltarmi. Era un’aperta supplica. Blaise, quando ho incontrato Eric per la prima volta, è successo qualcosa. Non
riesco a spiegarlo – non riesco neanche davvero a descriverlo. Ma si è creato un legame. E so che ti sembrerà folle, ma…», dovette fare una pausa per riprendere fiato.
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«Blaise, se tu trovassi la tua anima gemella, e fosse qualcuno che tutti ti proibiscono di amare…».
Si fermò di nuovo, stavolta perché Blaise era raggelata. Per un momento restarono lì ferme, e poi, molto lentamente, Blaise allontanò la mano da quella di Thea.
«Trovato… la tua… anima gemella?», disse.
Calde lacrime salirono agli occhi di Thea. Non si era
mai sentita tanto sola. «Credo di sì».
Blaise si girò verso il parabrezza. La luce viola illuminò i suoi capelli neri. «È più grave di quanto pensassi».
Le lacrime cominciarono a scorrere sulle guance, incontrollabili. «Ma mi aiuterai?».
Blaise per un po’ picchiettò con le dita affusolate sul
volante. Alla fine disse: «Certo che ti aiuterò. Devo. Siamo come sorelle… non ti lascerei mai in mezzo ai guai».
Thea fu così contenta che le girò la testa. Paradossalmente, la felicità la fece piangere più forte. «Ho avuto
tanta paura… è da quando è successo che cerco di capire
cosa fare». Singhiozzò. Blaise la guardava sorridendo
con una strana luce negli occhi grigi. «Blaise?»
«Ti aiuterò», disse Blaise, continuando a sorridere.
«Lo prenderò per me. E poi lo ucciderò per aver messo in
pericolo mia sorella».
Per un momento nell’animo di Thea tutto rimase perfettamente immobile… e il momento successivo scoppiò
il caos.
«Mai», disse. «Mi senti, sorella? Mai».
Blaise continuò a guidare, perfettamente calma. «Adesso non ti rendi conto che è la cosa migliore. Ma un
giorno mi ringrazierai».
«Blaise, ascoltami. Se fai del male a lui, lo fai a me».
«Ti passerà». Sotto le luci arcobaleno del Riviera, Blaise
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sembrava un’antica divinità. «È meglio stare un po’ male
ora che essere giustiziate poi».
Thea era così arrabbiata che tremava. Così arrabbiata
che fece uno sbaglio. Se avesse continuato a ribadire le
sue ragioni, Blaise alla fine l’avrebbe ascoltata. Ma era
furiosa e terrorizzata e parlò senza riflettere: «Be’, non
credo che ci riuscirai. Non credo che potrai portarmelo
via neanche volendo».
Blaise la fissò, come se per una volta fosse rimasta
senza parole. Poi gettò indietro la testa e rise.
«Thea», disse. «Io posso portare via qualsiasi ragazzo
a chiunque. In ogni luogo, in ogni situazione. È questo
che faccio».
«Non stavolta. Eric mi ama, e questo tu non puoi
cambiarlo. Non riuscirai a prendertelo».
Blaise sorrideva misteriosamente. Ma mentre sterzava
per lasciare la Strip e immettersi di nuovo su strade poco
illuminate, disse solo tre parole.
«Aspetta e vedrai».
Thea non dormì bene. Continuava a vedere il viso di
Randy Marik, e nel sogno quel viso si tramutava in quello di Eric, rigato di sangue, con lo sguardo vacuo.
Si svegliò e vide i raggi del sole che illuminavano la
stanza. Era una camera da letto dalla personalità scissa.
Una parte era ordinata e perfettamente arredata nelle tonalità blu pallido e verde foglia. L’altra metà era caotica
e aveva solo quel colore, il colore primigenio, quello che
risvegliava le emozioni, che significava passione e odio.
Rosso.
Di solito Blaise stava lì, sotto la sua trapunta di velluto
rosso Ralph Lauren, ma quella mattina era già uscita.
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Brutto segno. Blaise si alzava presto solo quando c’era
un motivo.
Thea si vestì e scese al piano di sotto con circospezione. Il negozio era vuoto, a parte Tobia che era seduto con
un’espressione scontrosa al suo solito posto, dietro il registro di cassa. Quando Thea lo salutò rispose con un
grugnito, fissando il muro e passandosi una mano tra i
riccioli castani. Di sicuro avrebbe preferito passare il
weekend fuori come qualunque altro diciannovenne.
Thea entrò nel laboratorio.
Blaise, davanti al lungo tavolo, portava le cuffie e canticchiava fra sé. Di fronte a lei c’era un nuovo lavoro.
Thea si avvicinò furtiva.
Vide subito che era molto bello. Blaise era un genio
nella creazione dei gioielli, che per la maggior parte ricalcavano modelli antichi. Creava collane con figure di
api e farfalle, fiori a spirale, serpenti, delfini che saltavano. Tutto era vivo, gioioso… pieno di magia.
Era lì che si vedeva il vero genio. Blaise metteva insieme ogni singolo elemento con uno scopo ben chiaro in
mente. Le gemme venivano scelte per accrescere vicendevolmente il proprio potere: rubino per il desiderio, opale nero per l’ossessione, topazio per lo struggimento,
granato per il calore. E asteria, lo zaffiro stellare grigio
fumo a sei punte. La pietra di Blaise, dell’identico colore
dei suoi occhi.
Erano tutte sparse davanti a Blaise. Ma la sua magia
non stava solo nelle gemme. Ogni gioiello aveva nascondigli segreti per le erbe, minuscole cavità da riempire di
pozioni o polveri. Poteva letteralmente impregnare i
gioielli di stregonerie.
Anche il disegno nascondeva un incantesimo. Ogni linea, ogni curva ogni stelo aveva un significato, poteva
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ipnotizzare chi lo guardava come un simbolo tracciato sul
terreno col gessetto. Semplicemente bastava guardare
quel gioiello per rimanere stregati.
La collana a cui stava lavorando in quel momento era
assolutamente mortale.
Thea la vedeva prendere forma. Blaise si serviva del
metodo di lavorazione a cera persa: scolpiva prima i suoi
pezzi nella cera blu, dalla quale ricavava degli stampi in
cui colava l’oro, l’argento o il rame. Il pezzo che stava
realizzando in quel momento era da mozzare il fiato. Da
far fermare il cuore. Un capolavoro intricato che avrebbe
avuto quasi lo stesso effetto della cintura magica di Afrodite: nessun maschio avrebbe potuto guardarlo senza cadere sotto il suo incantesimo.
E lei aveva un po’ del sangue di Eric. L’ingrediente
vitale che le avrebbe permesso di personalizzare
quell’incantesimo per lui.
La cosa buona era che avrebbe impiegato qualche
giorno per completare il pezzo, ma una volta finito…
Eric non aveva speranze.
Thea indietreggiò, senza sapere se Blaise l’avesse vista o no. In realtà, non faceva differenza. Si diresse meccanicamente verso la camera da letto.
Lei ed Eric erano anime gemelle. Ma Blaise era, in un
certo qual modo, Afrodite in persona. E chi avrebbe resistito a tanto?
Che cosa farò?
Anche lei aveva un po’ del sangue di Eric sull’angolo
del fazzoletto. Ma non avrebbe mai potuto superare Blaise nella creazione di incantesimi d’amore. Sua cugina aveva anni di esperienza e un talento naturale che le permetteva di surclassare tutti gli altri.
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Perciò devo escogitare qualcos’altro. Qualcosa per
impedirle di arrivare a lui, prima di tutto. Per proteggerlo…
Thea si scosse.
Non posso. È troppo pericoloso. Gli incantesimi
d’invocazione non sono per le vergini. Perfino il Circolo
Interno deve servirsene con cautela.
Ma la nonna ha l’occorrente. Lo so. Ho visto la scatola.
Anche solo provarci potrebbe uccidermi.
Una strana serenità la pervase. Concentrarsi su quello
– sul rischio – era meglio che pensare a quello che la
nonna avrebbe detto se l’avesse scoperta. Non aveva paura di affrontare il pericolo per Eric. E finché continuava a
riflettere su quello, poteva bloccare il pensiero che la sua
idea non solo era pericolosa, ma era sbagliata.
Scese le scale come una sonnambula. Calma e distaccata.
«Toby, dov’è la nonna?».
Lui sollevò la testa soltanto di un centimetro. «Doveva
vedersi con Thierry Descouedres. Qualcosa a proposito
delle sue terre. Mi ha detto di andare a riprenderla stasera».
Thierry era un vampiro e un Signore della Notte. Possedeva gran parte della terra a nordest di Las Vegas, ma
che c’entrava la nonna?
Non importava. La cosa importante era che sarebbe
stata via tutta la giornata.
«Be’, allora perché non esci a divertirti un po’? Posso
sorvegliare io il negozio».
Tobias la guardò spalancando gli occhi blu, e poi il
suo viso rotondo s’illuminò. «Davvero? Lo faresti sul se-
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rio? Ti darei un bacio. Vediamo, andrò a trovare Kishi…
no magari Zoe… o forse Sheena…».
Come ogni stregone della sua età era terribilmente popolare fra le giovani streghe della città.
Ancora borbottando tra sé, controllò il portafoglio, afferrò le chiavi della macchina e si diresse verso la porta
come se Thea potesse cambiare idea da un momento
all’altro. «Tornerò in tempo per andarla a prendere. Prometto», disse in fretta, e poi uscì.
Appena fu sola, Thea voltò il cartello sulla porta per
indicare che il negozio era chiuso, diede una mandata, e
in punta di piedi raggiunse il bancone.
Era sul ripiano chiuso in basso. Uno scrigno di ferro
che pareva avere almeno cinquecento anni. Thea lo sollevò a fatica: era davvero pesante. Stringendo i denti e tenendo gli occhi fissi sulla tenda di perline che separava il
negozio dal laboratorio della nonna, barcollò su per le
scale.
Scese altre due volte a prendere gli ingredienti necessari. La tenda non si mosse mai.
Alla fine andò nella camera della nonna. Appeso a un
chiodo vicino alla testata del letto c’era un grosso anello
di ferro con dozzine di chiavi. Thea lo prese. Tornò in
camera sua, chiuse la porta e ci piazzò un asciugamani
sotto, così che Blaise non sentisse puzza di fumo.
Ok, ora apriamo questa cosa.
Si mise a sedere a gambe incrociate di fronte allo scrigno. Non fu difficile trovare la chiave adatta alla serratura, le bastò cercare quella più vecchia e arrugginita del
mazzo. Entrava alla perfezione e lo scrigno si aprì.
Dentro c’era una cassetta di bronzo, e dentro quella,
una d’argento.
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Nella cassetta d’argento c’era un libro antico, con i
fogli ingialliti e friabili, e una bottiglietta verde con il
tappo sigillato da cera e nastri. C’erano anche trenta o
quaranta amuleti. Thea ne prese uno e lo esaminò.
Una ciocca di capelli biondi era stata intrecciata su se
stessa a formare un nodo, poi sigillata con un pezzo rotondo di argilla. L’argilla era di uno scuro rosso terroso e
Thea la guardò con reverenza. Era stata fatta con fango…
e col sangue di una strega. Probabilmente un Circolo intero ci si era dedicato per settimane: potenziare il sangue,
cantare, mescolarvi ingredienti segreti, cuocerlo nel fuoco rituale.
Sto toccando una strega, pensò Thea. L’essenza stessa
di qualcuno che è morto da centinaia di anni.
Il simbolo cabalistico stampato sull’amuleto avrebbe
dovuto indicare chi era la strega a cui il monile era associato. Ma molti pezzi d’argilla erano così consumati che
Thea non riusciva a trovare traccia di un simbolo.
Non preoccuparti. Nel libro troverai la descrizione
della strega giusta, poi dovrai solo capire qual è il suo
amuleto.
Girò con attenzione le fragili pagine, cercando di decifrare quella scrittura sbiadita e filiforme.
Ix U Sihnal, Annie Butter, Markus Klingelsmith…, no,
sembravano tutti troppo pericolosi. Lucio Cagliostro, forse. Ma non voleva un alchimista. Dewi Ratih, Omiya Inoshishi… Aspetta un attimo, Phoebe Garner.
Scorse con impazienza la pagina dedicata a Phoebe.
Una gentile ragazza inglese vissuta prima dell’Epoca dei
Roghi e che aveva posseduto i famigli. Era morta giovane di tubercolosi, ma chiunque l’avesse conosciuta la
considerava una vera benedizione, perfino gli umani, che
ne apprezzavano l’abilità di allontanare gli incantesimi
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dal villaggio. I suoi concittadini avevano pianto sulla sua
tomba.
Perfetto, pensò Thea.
Poi cominciò a rovistare fra gli amuleti, cercandone
uno che portasse impresso sull’argilla lo stesso simbolo
che appariva sul libro sotto il nome di Phoebe.
Eccolo! Posò l’amuleto sul palmo della mano. I capelli di Phoebe erano di un castano ramato, molto delicati.
Bene, ora doveva preparare il falò.
Bisognava usare legno di frassino e di quercia, i due
tipi che erano stati bruciati per cuocere l’argilla. Thea
raccolse i bastoncini secchi nel più grande braciere di
bronzo della nonna, e diede loro fuoco.
Ora aggiungere schegge di quassia, cardo benedetto,
radice di mandragola. Servivano solo a risvegliare un potere generico. La vera magia stava nella bottiglietta ricavata da un singolo pezzo di malachite. Era la pozione
d’invocazione, e Thea non aveva la minima idea di cosa
contenesse.
Scalfì la cera con le unghie, finché il tappo non poté
girare liberamente. Poi fece una pausa, le mani che le
tremavano, il cuore che martellava nel petto.
Fino a quel momento, aveva solo guardato cose che le
erano precluse: una colpa perdonabile. Adesso stava per
accendere un fuoco proibito… e quello non era perdonabile. Se gli Anziani avessero scoperto cosa aveva fatto…
Tirò via il tappo.
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Capitolo 8
U
n odore acuto e acre le assalì le narici. Mentre teneva la bottiglietta al di sopra delle fiamme dovette chiudere gli occhi più volte per scacciare via le lacrime, poi
con molta attenzione la inclinò.
Una goccia, due gocce, tre.
Il fuoco divampò, divenne blu.
Era pronto. Il falò era l’unico modo per far arrivare
uno spirito dall’altro lato, se non si voleva attraversare il
velo e andarselo a prendere di persona.
Thea strinse l’amuleto di Phoebe con entrambe le mani e lo spezzò, spaccando l’argilla e rompendo il sigillo.
Poi, tenendolo sul fuoco, pronunciò le parole di potere
che aveva sentito dire agli Anziani durante l’ultimo Samhain.
«Che il Potere delle Parole di Ecate possa venire a
me». Le parole si presentarono subito alla sua mente, scivolando fuori dalla sua bocca. Le ascoltò come se fossero
pronunciate da qualcun altro.
Da oltre il velo… io ti richiamo!
Attraverso le nebbie degli anni… io ti richiamo!
Dal vuoto aereo… io ti richiamo!
Per il sentiero angusto… io ti richiamo!
Al cuore della fiamma… io ti richiamo!
Giungi in fretta, a mio vantaggio, e senza indugio!
Sentì una tonante vibrazione, come se un terremoto
scuotesse il pavimento. Al di sopra delle normali fiamme
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ne divamparono altre: fiamme fredde, spettrali, blu pallido e violette, che si alzarono a lambirle le nocche.
Cominciò ad aprire le mani, per far cadere l’amuleto
dentro quel fuoco magico. Ma proprio mentre stava per
farlo, sentì un tremendo rumore.
La porta della camera da letto si spalancò
all’improvviso, e per la seconda volta in dodici ore dovette assistere con orrore all’apparizione di Blaise.
«Balla tutto… che combini?»
«Blaise, resta indietro!».
Blaise strabuzzò gli occhi. Spalancò la bocca e fece un
balzo avanti. «Che stai facendo?»
«Ho quasi finito…».
«Sei pazza!». Blaise cercò di strapparle l’amuleto dalle mani, poi, dato che Thea non cedeva, afferrò la scatola
d’argento.
«Lasciala!», Thea prese l’altro lato della scatola. Iniziarono a tirarla con forza, ognuna dalla sua parte. Il fuoco bruciava le mani di Thea.
«Lasciala!», urlò Blaise, cercando di strapparle di mano la scatola. «Ti avverto…».
Le dita di Thea erano umide di sudore. La scatola le
sfuggì.
Fu allora che successe.
Blaise cadde all’indietro facendo rovesciare la scatola,
e gli amuleti si sparsero ovunque. Ciocche di capelli grigi, neri, rossi, tutti per aria. La maggior parte ricadde a
terra, ma una ciocca finì direttamente nel falò.
Thea sentì lo schianto del sigillo d’argilla che si spezzava.
Restò impietrita per un istante, poi mise la mano nel
fuoco. Ma l’argilla era già rovente: era diventata bianca
per il calore. Non riusciva a toccarla. Per un attimo sol-
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tanto, le parve di vedere un simbolo scolpito in mezzo al
blu delle fiamme, e poi esplose un lampo, come un fulmine a ciel sereno. La forza d’urto la catapultò sul letto
di Blaise, e mandò Blaise contro il muro.
Quel lampo formò una colonna e qualcosa schizzò
fuori.
Thea, più che vederla, la percepì. Una forma spettrale
che si scatenò per la stanza come una furiosa folata di
vento artico. Spedì per aria libri e vestiti. Quando raggiunse la finestra, sembrò fermarsi un istante, come per
raccogliersi, poi schizzò via attraversando il vetro.
Era sparita.
«Grande Madre della Vita», sussurrò Blaise, ancora
contro la parete. Fissava la finestra con gli occhi spalancati e lucidi per la paura. Era spaventata. Blaise era spaventata.
Fu allora che Thea capì che era successo qualcosa di
grave.
«Cosa abbiamo fatto?», mormorò.
«Cosa abbiamo fatto… cosa hai fatto, semmai», scattò
Blaise, mettendosi a sedere e riacquistando
l’autocontrollo. Era di nuovo se stessa, o quasi. «Cos’era
quella cosa?».
Thea indicò timidamente gli amuleti sparpagliati.
«Cosa credi che fosse? Una strega».
«Ma chi?»
«Come faccio a saperlo?». Thea stava quasi gridando,
la paura cedette il posto alla rabbia. «Questa è quella che
stavo riportando indietro». Raccolse i capelli ramati e
l’amuleto spezzato di Phoebe Garner. «Quello era un
amuleto qualunque che è caduto quando hai preso la scatola».
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«Non cercare di dare la colpa a me. Tu sei quella che
fa gli incantesimi proibiti. Tu sei quella che invoca gli antenati. E qualunque cosa accada con quella roba», Blaise
indicò la finestra, «tu sei responsabile».
Si alzò, ergendosi in tutta la sua altezza. «E questo è
quello che ti meriti per aver cercato di aizzarmi contro gli
spiriti!». Si voltò, e a grandi falcate uscì dalla stanza.
«Non stavo aizzando gli spiriti contro di te!», gridò
Thea, ma la porta si era già chiusa violentemente.
La rabbia di Thea svanì. Era sconvolta, inebetita.
Guardò la scatola d’argento rovesciata, dove aveva messo il fazzoletto con il sangue di Eric.
Cercavo solo di trovare qualcuno che proteggesse lui.
Qualcuno che lo aiutasse a respingere i tuoi incantesimi,
che capisse che è una persona, anche se è un umano.
Si guardò intorno desolata. Poi, sentendosi più vecchia
della nonna, si rimise in piedi a fatica e cominciò meccanicamente a ripulire.
Rovesciando la cenere dal braciere, trovò una specie
di residuo attaccato al fondo. Non riusciva a lavarlo via e
neanche a grattarlo con un coltello. Infilò il braciere sotto
il letto.
Mentre riordinava, continuava a rimuginare.
Chi era sbucato fuori? Non c’era modo di saperlo. Era
impossibile arrivarci per esclusione, con tutti quegli amuleti privi di simbolo.
Che faccio adesso? Non sapeva neanche quello.
Se lo dico a qualcuno – anche alla nonna – dovrò
spiegare perché stavo cercando di invocare i morti. Ma se
la verità viene fuori, per me ed Eric sarà la fine.
Verso il tramonto una limousine si fermò nel vicolo
sul retro. Thea la vide dalla finestra e, allarmata, scese di
corsa al piano di sotto.
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Due vampiri educati e inespressivi stavano aiutando la
nonna a scendere dall’auto. Servitori di Thierry.
«Nonna, che cosa è successo?»
«Non è successo niente. Sono solo un po’ debole, ecco
tutto». Colpì uno dei vampiri con il suo bastone. «Posso
fare da sola, figliolo!».
«Signora», rispose il vampiro, che poteva anche avere
tre o quattro volte gli anni della nonna. Rivolgendosi a
Thea, disse: «Tua nonna è svenuta, per un po’ è stata abbastanza male».
«E quell’apprendista sfaticato non s’è fatto vedere»,
disse la nonna, avviandosi verso l’ingresso posteriore.
Thea rivolse ai vampiri un cenno di saluto. «Nonna,
riguardo a Tobias… è stata colpa mia. Gli ho lasciato il
giorno libero». Da tutto il giorno sentiva una terribile
morsa allo stomaco, e adesso era anche peggio. «Stai male davvero?»
«Non temere, per qualche anno mi avrete ancora tra i
piedi». Cominciò a salire le scale, a fatica. «I vampiri non
capiscono cosa vuol dire essere vecchi».
«Perché sei andata lì?»
La nonna si fermò per tossire. «Non sono affari tuoi,
comunque per prendere delle decisioni con Thierry. Ha
accordato al Circolo Interno il permesso di servirsi delle
sue terre per Samhaim».
Thea andò nel piccolo cucinotto a preparare una tisana. Poi, quando la nonna si mise sotto le coperte a sorseggiare la bevanda calda, si fece coraggio.
«Nonna, quando gli Anziani invocano gli spiriti durante Samhaim… come li rispediscono indietro?»
«Perché t’interessa?», rispose la nonna scorbutica. Ma
poiché Thea non rispondeva e si limitava a guardarla,
proseguì. «Ci sono degli incantesimi che vengono usati
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per l’invocazione – e non chiedermi quali – e per rispedire indietro gli spiriti si pronunciano al contrario. La strega che invoca uno spirito deve essere la stessa che lo
congeda».
Quindi solo io posso farlo. «Tutto qui?», chiese Thea.
«Oh. Naturalmente no. C’è un lungo procedimento per
accendere il fuoco e spargere le erbe, ma se tutto viene
fatto a dovere, si può far scendere lo spirito che sta fra le
pietre erette e rispedirlo da dove è venuto». La nonna
continuò a borbottare, ma Thea si soffermò sulla frase
precedente.
«Fra… le pietre erette…», le sfuggì.
«Le pietre erette che circondano gli spiriti. Be’, Thea!
Se non avessi un cerchio di qualche tipo per rinchiuderli,
semplicemente… voom», la nonna fece un ampio gesto.
«Scapperebbero via e chi li ritroverebbe più? Ecco perché oggi sono andata da Thierry», aggiunse sorseggiando
rumorosamente la tisana. «Abbiamo bisogno di un luogo
dove le arenarie formino un circolo naturale… e naturalmente tocca a me organizzare tutto…», continuò a lagnarsi a bassa voce.
Thea si sentì svenire.
«Devi essere fisicamente vicino allo spirito, per rispedirlo indietro?»
«Naturalmente. E non credere che non sappia perché
me lo chiedi».
Thea rimase senza fiato.
«Stai architettando qualcosa per Samhaim… e probabilmente è un’idea di Blaise. Voi due siete come Maya e
Hellewise. Scordatevelo: questi sono incantesimi per gli
Anziani, non per le vergini». Smise di parlare per tossire.
«Non capisco perché volete diventare vegliarde quando
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siete ancora vergini. Dovreste godervi la vostra gioventù,
finché l’avete…».
Thea la lasciò che ancora borbottava.
Non aveva tracciato alcun cerchio prima di invocare lo
spirito: non sapeva che avrebbe dovuto farlo.
E ora… come poteva avvicinarsi abbastanza a quella
cosa?
Be’, dovrà restare nel mondo, si disse per farsi coraggio. Davvero un peccato… ma tanto ci sono altri spiriti
che se ne vanno in giro come se niente fosse. Magari, se
non gli piacerà vagabondare, tornerà indietro.
Ma si sentiva male per il senso di colpa, era scoraggiata. E preoccupata – anche se solo un po’ – per lo svenimento della nonna.
Blaise non salì in camera. Restò al piano di sotto e lavorò alla sua collana fino a notte inoltrata.
Lunedì a scuola parlavano tutti di Randy Marik e del
ballo andato a monte. Le ragazze erano seccate e furiose
con Blaise; i ragazzi erano seccati e furiosi con Randy.
«Stai bene?», chiese Dani a Thea dopo la lezione di
letteratura. «Sembri un po’ pallida».
Thea sorrise debolmente. «È stato un weekend impegnativo».
«Davvero? Hai fatto qualcosa con Eric?» Il tono con
cui pronunciò quel “qualcosa” allarmò Thea. Il viso a
forma di cuore di Dani era come sempre dolce e premuroso… ma Thea non riusciva a fidarsi nemmeno di lei.
Era una Creatura delle Tenebre, una strega, e odiava gli
umani.
Non importava. Thea era così nervosa che le parole le
uscirono di bocca senza che lei potesse farci niente. «Fa-
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re qualcosa tipo? Sfasciargli la macchina? Trasformarlo
in un rospo?»
Dani sembrò scioccata, e spalancò gli scuri occhi vellutati.
Thea si voltò e si allontanò in fretta.
Stupida, stupida, si disse. Sei stata una completa idiota. Forse non devi più fingere di giocare con Eric di fronte a Blaise, ma davanti alle altre streghe devi continuare a
recitare.
Senza quasi guardare dove andava, si diresse
all’armadietto di Eric, ignorando le persone che incrociava.
Sto qui solo da una settimana. Come può essere diventato tutto così orribile nella mia vita? Sono in guerra con
Blaise; ho fatto un incantesimo proibito; non ho il coraggio di parlare alla nonna… e ho infranto la legge del
Mondo delle Tenebre.
«Thea, ti cercavo».
Era la voce di Eric. Affettuosa, piena di speranza…
l’esatto contrario di Thea. Si voltò e vide gli occhi verdi,
luminosi e screziati di grigio e quel sorriso meraviglioso.
Un sorriso che l’assorbì completamente, rischiarando il
mondo.
Magari sarebbe andato tutto bene, dopotutto.
«Ieri ti ho chiamato, ma continuava a rispondermi la
segreteria».
Thea non aveva neanche ascoltato i messaggi. «Scusa… sono successe un sacco di cose». Eric aveva un’aria
così gentile che Thea si sentì in dovere di dargli almeno
una spiegazione. «Mia nonna è stata male».
Lui si fece subito serio. «È terribile».
«Sì». Thea cercò nello zaino il cuscinetto di erbe che
vi aveva riposto quella mattina. Poi esitò. «Eric… c’è un
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posto dove possiamo parlare da soli? Solo per pochi minuti? Voglio darti una cosa».
Lui sbatté gli occhi, poi inarcò le sopracciglia. «Non
chiedo di meglio. E conosco il posto adatto. Andiamo».
La condusse attraverso il campus fino a un grosso edificio isolato dal resto del complesso. Aveva un aspetto
squallido, e la vernice sul portone a due ante era scrostata. Uno striscione annunciava a lettere arancioni e nere:
NON PERDETEVI LA PIÙ INCREDIBILE FESTA DI
HALLOWEEN
«Dove siamo?».
Eric, che stava aprendo la porta, si portò un dito alle
labbra. Diede un’occhiata dentro, poi le fece un cenno.
«È la vecchia palestra. Dovrebbero ristrutturarla come
centro servizi per gli studenti, ma non ci sono abbastanza
soldi. E adesso… cos’è che volevi darmi?»
«È…». Quando capì dove si trovava, restò impietrita,
e ogni pensiero sul cuscinetto di erbe svanì dalla sua
mente. «Eric…». Si guardò intorno con gli occhi sbarrati,
sentendo una lenta ondata di nausea che cominciava ad
agitarle lo stomaco. «È per la festa di Halloween?»
«Sì. Ogni semestre organizzano un paio di eventi per
raccogliere fondi. È un po’ strano… ma è stato fatto anche l’anno passato e ha portato un sacco di soldi».
“Strano” non è il termine giusto, pensò Thea esterrefatta. Strano non si avvicina neanche lontanamente a questo.
Metà della sala era vuota, solo un pavimento di legno
consunto, un tabellone da basket rotto, e tubazioni scoperte lungo il soffitto. L’altra metà però sembrava un incrocio fra una prigione medievale e una sala da gioco.
L’attraversò lentamente, i passi riecheggiavano nel vuoto.
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Stand di legno di varie dimensioni erano decorati con
carta crespa nera e arancione e ragnatele finte. Thea lesse
un’insegna dopo l’altra.
«Prevediamo il fututo…. Tiro alla Strega… Pesca delle teste essiccate?».
«In realtà si pescano mele», disse Eric, che sembrava
imbarazzato. «E non si gioca davvero d’azzardo. Si usano i soldi finti e poi si scambiano con dei premi».
Thea non riusciva a smettere di fissare gli stand. Ruota
della Tortura: una ruota della fortuna con il fantoccio di
una strega legato al centro. Blackjack Maledetto. Freccette del Diavolo… un gioco di freccette con una strega di
sughero come bersaglio.
E c’erano immagini di streghe dappertutto. Streghe di
pezza appese a cappi che pendevano dalle tubazioni.
Streghe di cartone che spiavano maligne in cima agli
stand. Streghe di carta che ballavano sulle pareti. Erano
grasse, magre, con i capelli bianchi, grigi, con gli occhi
storti, strabici, con le verruche, buffe, spaventose… e
brutte. Questa era la sola cosa che avevano in comune.
È questo che pensano di noi. Gli umani. Tutti gli umani…
«Thea? Stai bene?»
Thea si voltò di scatto. «No, non sto bene». Fece un
gesto ad indicare la sala. «Vuoi guardare questa roba?
Credi davvero che sia divertente? Che ci sia qualcosa da
festeggiare?». Senza rendersi conto di ciò che faceva, lo
fece voltare perché potesse guardare bene la Vergine di
Ferro… una copia di legno della macchina di tortura, con
punteruoli di gomma.
«Cosa farà la gente? Pagherà il biglietto per entrare là
dentro? Non capiscono che una volta era vera? Che ci si
mettevano persone vere, e che quando si chiudeva il co-
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perchio, quei punteruoli gli si conficcavano dentro, nelle
braccia e nello stomaco, e negli occhi…». Non riuscì a
continuare.
Eric sembrava ferito come Dani poco prima. Non
l’aveva mai vista così. «Thea, ascolta, mi dispiace… non
avevo mai pensato…».
«O quella», indicò la Ruota della Tortura. Continuava
a parlare, non riusciva a fermarsi. «Sai come funzionava
realmente? Mettevano la strega sulla ruota, le spezzavano tutte lo ossa, così potevano farle passare braccia e
gambe attraverso i raggi come spaghetti. Poi mettevano
la ruota su un palo e la lasciavano lì a morire…».
Il viso di Eric si contorse per l’orrore. «Dio, Thea…».
«E queste immagini… le streghe che venivano torturate non avevano la pelle verde e gli occhi maligni. Non erano mostri, e non avevano nulla a che fare col diavolo.
Erano persone».
Eric cercò di accarezzarla, ma lei si ritrasse, fissando
una strega particolarmente brutta sul muro. «Pensi che
questo sia un posto adatto per una festa? Che sia un bel
divertimento? Che le streghe avessero quest’aspetto?».
Allungò il braccio di scatto, sull’orlo di una crisi isterica.
«Be’, lo pensi?».
Con gli occhi della mente, vide con chiarezza com’era
diviso il mondo: Dani e Blaise e tutte le altre streghe a
sinistra; Eric e tutti gli studenti della scuola a destra. Le
razze si odiavano e si disprezzavano a vicenda… e lei da
qualche parte nel mezzo.
Eric le mise una mano sulla spalla. «No, non credo
che sia un posto adatto. Thea, mi vuoi ascoltare per un
secondo?».
La stava scuotendo, ma lei vide che aveva le lacrime
agli occhi.
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«Mi sento malissimo», le disse. «Non ho mai preso sul
serio tutta questa roba – ed è stata una mia stupida colpa,
e so che non è una scusa. Ma ora che me lo dici, capisco
quanto è orribile. E non avrei mai dovuto portare qui
proprio te, fra tutti…».
Thea, che aveva cominciato a rilassarsi, s’irrigidì di
nuovo. «Perché non me, “fra tutti”?».
Eric esitò un attimo, poi la guardò negli occhi e parlò
piano. «Per il negozio di tua nonna. Voglio dire, so che
sono solo erbe e suggestioni, ma so anche che un tempo
qualcuno l’avrebbe denunciata, l’avrebbe chiamata strega».
Thea si rilassò di nuovo. Non era un problema che la
gente pensasse che la nonna era una strega, se per “strega” intendevano una vecchia stravagante che parlava alle
piante e si inventava lozioni casalinghe per capelli. E non
riusciva a non credere a Eric, le bastava fissare quegli occhi verdi per fidarsi di lui. Ma vide un’opportunità e la
colse.
«Sì, e probabilmente avrebbero bruciato me per averti
fatto questo regalo», gli disse, aprendo la mano. «E tu
probabilmente ti saresti spaventato, o ti saresti fatto prendere dalla superstizione, se ti avessi chiesto di tenerlo con
te tutto il tempo: avresti pensato che volevo farti qualche
sortilegio…».
«Non avrei pensato proprio a niente», rispose lui deciso, e prese il piccolo involto verde. Aveva l’odore fresco
degli aghi di pino del New Hampshire, ed era proprio
quello il contenuto… principalmente. Aveva aggiunto
qualche erba protettiva e un cristallo di Ishtar, un berillo
dorato a trentatré facce, sul quale era inciso il nome della
dea madre babilonese. Era tutto quello che poteva fare
per aiutarlo a respingere gli incantesimi di Blaise.
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«Lo avrei baciato soltanto e me lo sarei messo in tasca, senza mai separarmene», continuò Eric. E così fece,
fermandosi dopo il bacio per dire: «Mmm, ha un buon
odore».
Thea non poté fare a meno di sorridergli. Si azzardò a
dire: «Veramente, è solo per ricordarti di me».
«Non lascerà mai le mie tasche», disse lui solennemente.
Be’, aveva funzionato.
«Guarda, probabilmente possiamo fare qualcosa per la
festa», disse Eric, guardandosi intorno. «Il comitato scolastico non vuole cattiva pubblicità. Che ne dici se corro
a prendere in prestito una macchina fotografica dall’aula
di giornalismo? Potremmo fare qualche foto e la gente
capirebbe perché protestiamo…».
Thea diede un’occhiata all’orologio. «Perché no? Tanto credo di aver già perso francese».
Lui sorrise. «Torno fra un minuto».
Quando rimase sola, Thea si aggirò lentamente fra gli
stand silenziosi, persa nei suoi pensieri.
Ci sono stati momenti, durante la mia crisi isterica, in
cui gli ho quasi detto la verità. E dopo ho pensato che
forse aveva capito da solo.
Ma sarebbe poi così terribile? È già condannato a
morte solo perché l’amo; non fa differenza che lo sappia
o meno.
E se lo sapesse… che direbbe? Magari non ha problemi con le streghe finché per lui rimangono una cosa
astratta, ma davvero ne vuole una come ragazza?
Il solo modo di scoprirlo era chiederglielo.
Si appoggiò a una scala e guardò senza davvero vederla un’incerata distesa sotto un cappio che penzolava. Ov-
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viamente, erano solo congetture. Che futuro potevano
mai avere…?
Improvvisamente Thea si rese conto di cosa stava
guardando.
Da sotto il telo spuntava una scarpa, e la scarpa era attaccata a qualcosa. Inconsciamente, aveva immaginato
che fosse un altro fantoccio… ma ora mise a fuoco la
scena. Le venne subito la pelle d’oca.
Perché mai avrebbero dovuto mettere a una strega delle Nike nere alte alla caviglia?
100
Capitolo 9
L
a scarpa era così fuori luogo in quella scena che
per un istante Thea pensò che i suoi occhi le stessero giocando un scherzo. Era sicuramente colpa di
quell’atmosfera tetra… la stanza cupa e oppressa da tutti
i suoi macabri stand. Magari doveva solo distogliere lo
sguardo e poi osservare meglio…
Era ancora lì.
Dovrei aspettare, dovrei chiamare qualcuno. Potrebbe
essere qualcosa di terribile. Ci sono le autorità umane;
dovrei almeno aspettare Eric.
Thea si ritrovò a muoversi come in sogno, al rallentatore. Strinse fra indice e pollice l’orlo del telo e lo sollevò
giusto di qualche centimetro.
C’era una gamba attaccata alla scarpa.
Una gamba in blue jeans. Non era un fantoccio. E poi
c’era un’altra scarpa.
Fu sommersa da un’ondata di orrore e adrenalina. E,
stranamente, lo shock la aiutò a riprendersi. Il suo primo
pensiero fu: È una persona e potrebbe essere ferita. Passò in modalità soccorso, frapponendo un muro fra sé e la
propria paura.
“Aspetta, stai bene? Fammi vedere…”.
Tirò l’incerata, strattonandola per farla venir via. Vide
delle gambe, un corpo, dita serrate sulla manica del fantoccio di una strega vestita di nero…
101
Poi vide la testa e fece un salto indietro, con le mani
premute sulla bocca. Aveva dato solo un’occhiata, ma
quello che aveva visto le era rimasto impresso a fuoco
nella mente.
Un viso grigio e blu, orribilmente gonfio. Gli occhi
che sporgevano in modo grottesco. La lingua simile a una
salsiccia che spuntava fra le labbra livide…
Le cedettero le gambe.
Aveva già visto dei morti. Aveva partecipato alle cerimonie di commiato dove le spoglie mortali delle streghe venivano restituite alla terra. Ma quelle erano morti
naturali, e i cadaveri sembravano sereni. Mentre questo…
Sembrava essere un ragazzo. Aveva i capelli corti e il
torace piatto. Ma era impossibile riconoscere la faccia.
Un’espressione così stravolta – non pareva neanche umana…
È stata una morte violenta. Possa il suo spirito essere
liberato, e non trattenuto qui dal bisogno di vendetta. Oh,
Sekhmet, dea egizia dalla testa leonina; Signora della
Morte, Tu che apri la via, Sekhmet che riduci al silenzio…
I suoi pensieri sconnessi furono interrotti quando la
luce del sole penetrò nella stanza. Eric esclamò: «Sono
tornato!».
Thea si alzò. Le gambe minacciavano di cedere
un’altra volta. Aprì la bocca, ma ne uscì solo un sussurro.
«Eric…».
Lui la raggiunse di corsa. «Cosa c’è che non va? Thea?»
«C’è un morto».
Eric stralunò gli occhi incredulo, poi fissò il corpo alle
spalle di Thea. Fece un passo verso la cosa sul pavimento, si fermò, si accovacciò e restò a osservarla per un se-
102
condo. Poi si voltò di scatto e abbracciò Thea come se
potesse in qualche modo proteggerla da quello che aveva
visto.
«Non guardare; non guardare», ansimò. «Oh, Dio, è
orribile».
«Lo so. L’ho visto».
«È orribile; così orribile…».
Continuavano a stringersi. Era il solo rifugio che avevano in quell’incubo.
«È morto. Quel ragazzo è morto», disse Eric. Era ovvio, ma Thea capiva il suo bisogno di sfogarsi. «Non c’è
nulla che possiamo fare per lui. Oh, Dio, Thea, credo sia
Kevin Imamura».
«Kevin?». Puntini neri danzavano davanti agli occhi di
Thea. «Non, non può essere…».
«Gli ho visto quella camicia altre volte. E i capelli… e
fa parte del comitato che si occupa delle decorazioni di
questo posto. Probabilmente stava preparando quel pupazzo».
La mente di Thea le mostrò un’immagine orribile. Un
graffio rimarginato sul quel viso tumefatto, simile alla ferita prodotta dal taglio di un rasoio. E i morbidi capelli
neri…, sì, poteva essere Kevin. E questo voleva dire…
Blaise.
«Andiamo», stava dicendo Eric con voce stupefatta e
strozzata. «Dobbiamo avvertire la preside».
Stordita, Thea si lasciò guidare da lui. La sua mente
era da tutt’altra parte.
Blaise. Blaise sapeva… Blaise avrebbe potuto…
Non riusciva neppure a formulare quel pensiero, ma
non poteva scacciarlo.
…arrivare fino in fondo? Non solo versare del sangue,
ma prendere una vita?
103
Era proibito alle streghe. Ma gli Harman erano in parte lamie, e a volte i vampiri uccidevano per il potere. possibile che Blaise si fosse addentrata così tanto
nell’oscurità?
Dopo essere andati in presidenza, gli avvenimenti si
succedettero in fretta, ma Thea non era realmente presente. Intorno a lei le attività fervevano: le segretarie, la preside, la polizia. Era grata a Eric, che continuava a ripetere
la loro versione dei fatti ininterrottamente, in modo che
lei non dovesse fare nulla.
Devo trovare Blaise.
Erano di nuovo davanti alla palestra. La polizia delimitava l’edificio col nastro giallo. Studenti e insegnanti si
accalcavano per guardare la scena. Thea osservò la folla,
ma non vide Blaise da nessuna parte.
Sentiva i commenti della gente intorno a lei.
«Ho saputo che era Kevin Imamura».
«Qualcuno ha detto che il ragazzo del ballo è tornato e
l’ha beccato».
«Eric! Eric, tu l’hai visto davvero?».
Poi una voce sovrastò le altre. «Ehi, preside Cheng,
che ne sarà della festa di Halloween? Per allora la palestra sarà agibile?».
La preside, che parlottava con un paio di agenti di polizia, si voltò. Con i capelli neri che le svolazzavano davanti agli occhi, mossi dal vento, si rivolse a tutti i presenti.
«Non so cosa ne sarà della festa. Si è consumata una
tragedia, e ora ci saranno delle indagini. Dobbiamo solo
aspettare e stare a vedere cosa succede. Per favore, gli insegnanti riaccompagnino gli alunni in classe».
104
«Non posso rientrare», bisbigliò Thea. Lei ed Eric erano un po’ in disparte e la folla si stava assottigliando.
Sembrava che gli altri li avessero dimenticati.
«Ti riporto a casa», disse immediatamente Eric.
«No, devo trovare Blaise. Devo chiederle una cosa».
Cercò di pensare lucidamente, anche se era ancora inebetita. «Eric, avrei dovuto dirtelo prima. Devi stare attento».
«A cosa?»
«A Blaise».
Lui la fissò, incredulo. «Thea…». Rivolse lo sguardo
alla vecchia palestra. «No puoi credere che lei c’entri
qualcosa con… quanto è successo a Kevin».
«Non lo so. Potrebbe aver convinto qualcuno a ucciderlo, o averlo spinto a togliersi la vita». Thea parlava a
voce bassa. Guardò Eric negli occhi, desiderava con tutte
le sue forze che le credesse.
«Eric, so che non riesci a capire, ma quello che ti ho
detto di lei è vero. È come Afrodite. O Medea. È felice
quando distrugge qualcosa. Specie quando s’infuria… e
ora è furiosa con te».
«Perché?»
«Perché mi hai preferito a lei… perché mi piaci… per
un sacco di motivi. Questo non ha importanza. Il punto è
che potrebbe venire a cercarti. Potrebbe provare a… sedurti. E…», Thea guardò il nastro giallo intorno
all’edificio, mosso dal vento, «…potrebbe cercare di farti
del male. Quindi, starai attento se la vedi? Me lo prometti?».
Eric era esterrefatto e sconvolto, ma annuì lentamente.
«Te lo prometto».
«Ci vediamo dopo allora. Ci sono ancora delle cose di
cui dobbiamo parlare, ma prima devo trovare Blaise».
105
Si incamminò, lasciando Eric solo, a ripararsi dal vento. Era consapevole che lui la stava fissando.
Poi Thea si accorse che qualcuno la chiamava a gesti.
Era Dani, e sembrava preoccupata.
«Thea, stai bene?»
«Più o meno». Thea fece una risata molto poco convincente. «Hai visto Blaise nei paraggi?».
La mano morbida di Dani accarezzò la sua. «Lei e Vivienne sono andate a casa… a casa tua, cioè. Io torno con
te, se ti va. Non dovresti restare da sola».
Thea le strinse la mano. «Grazie, mi farebbe piacere».
Si sentì grata e sollevata che Dani non ce l’avesse con lei.
«Dani, volevo scusarmi per come mi sono comportata
prima…».
«Non ci pensare. Non so cosa possa aver detto di sbagliato, ma non volevo farti arrabbiare. Thea, stai bene sul
serio? Davvero? Perché non voglio turbarti ancora di
più…».
«Perché?», rispose, e poi: «Che succede, Dani?».
«Tua nonna sta male. Ecco perché Blaise e Vivienne
sono andate a casa: la mamma di Vivienne l’ha chiamata
sul cercapersone. È una guaritrice – la mamma di Vivienne, intendo – e credo che voglia portare tua nonna a
casa sua».
Thea era agitata. Las Vegas attirava molte Creature
delle Tenebre, ma la nonna si era trasferita lì per ben altre
ragioni. Le lamie e i vampiri trasformati erano richiamati
dai moltissimi umani di passaggio, di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza in caso di scomparsa. Le altre
streghe venivano per i vortici di potere nel deserto. Ma la
nonna era venuta per il clima caldo e secco. Aveva avuto
problemi ai polmoni fin da bambina.
106
Per favore, fa’ che non sia grave, continuava a pensare
Thea mentre Dani la riportava a casa in macchina. Si sentiva fragile, come se le avessero strofinato la pelle fino a
farla diventare troppo sottile.
Quando arrivarono al negozio, la nonna era già andata
via.
«Sta bene?», chiese Thea. «È qualcosa di grave?»
«Non troppo grave», le rispose Tobias. «Oggi continuava a girarle la testa, poi ha avuto un attacco di tosse e
non riusciva a smettere. Alla fine ha deciso che era meglio cercare qualcuno che cantasse per lei, per scacciare il
male. E così ha chiamato la signora Morrigan».
Oh, fantastico… i canti. Proprio quello che la nonna
detesta. Doveva sentirsi davvero male se li ha chiesti.
«Posso chiamarla?»
«Io non lo farei», si intromise Vivienne. I suoi occhi
verdi erano gentili, la voce rassicurante. «Sono sicura che
a questo punto la mamma si starà occupando di lei, e
quando inizia un canto, le occorre tutta la notte. Meglio
non disturbarle. Ma non preoccuparti, Thea, la mia
mamma è davvero brava».
«Sì… non sono preoccupata», Thea si guardò intorno
distrattamente, e alla fine fissò di nuovo Vivienne. «Hai
saputo che cosa è successo a scuola?»
«No», Vivienne era vagamente curiosa.«Che cosa è
successo?».
Invece di risponderle, Thea chiese:«Dov’è Blaise?»
«Di sopra a preparare una borsa. Stanotte resta da me.
Vieni anche tu, Thea?».
Thea stava già correndo su per le scale.
Si precipitò nella stanza che divideva con Blaise. Sua
cugina stava preparando una piccola valigia.
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Thea non si perse in chiacchiere. «Hai ucciso Kevin
Imamura?».
Blaise lasciò cadere a terra un body di seta nero. «Ho
fatto cosa? Di che parli?»
«È morto».
«E tu pensi che sia stata io? Grazie molte, ma non è
lui che voglio uccidere». Blaise socchiuse gli occhi e
Thea sentì improvvisamente freddo. Poi inclinò la testa
da un lato. «E com’è morto?»
«È stato strangolato. Qualcuno lo ha ucciso».
Blaise alzò solo un sopracciglio e mormorò: «Mmm,
mi chiedo dove sarà Randy?». Prese una camicetta, la osservò e aggiunse: «Vuoi venire con me a casa di Viv?
Sempre meglio che startene qua da sola».
«Non so. Devo sorvegliarti per essere sicura che Eric
non faccia la stessa fine di Kevin?».
Blaise la incenerì con lo sguardo. «Quando vado dietro a un ragazzo, lo prendo. Non lo strangolo prima che
inizi il divertimento».
Chiuse di colpo la valigetta e uscì irata dalla stanza.
Thea si mise a sedere sul letto.
Nonostante le sue parole taglienti, Thea sapeva che
non era stata Blaise. Sua cugina era rimasta genuinamente sorpresa quando le aveva parlato di Kevin.
E Randy? Potrebbe essere stato lui, se è riuscito a
scappare in qualche modo dal posto in cui l’avevano portato. Aveva un motivo per odiare Kevin. Eppure…
Un’altra spiegazione le si affacciò alla mente con tale
rapidità che Thea capì che doveva essere già nascosta nel
suo animo da tempo.
Lo spirito.
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Rimase seduta per un tempo infinito, cercando di pensare. Era come tentare di ritrovare la strada in mezzo a
una fitta nebbia.
La nonna non c’è… e se sta male non posso darle altre
preoccupazioni… Blaise, naturalmente, non mi aiuterà…
ma devo potermi fidare di qualcuno…
Dani bussò con gentilezza. «Posso entrare?». Quando
Thea annuì, venne avanti e si andò a sedere sul letto di
Blaise.
«Sono uscite. Ho detto anche a Tobias che poteva andare: voleva vedere una ragazza. Io stasera resto con te,
se vuoi».
Thea fece un sospiro incerto. «Grazie Dani».
«Senti Thea, non voglio farmi gli affari tuoi, ma…
stai bene? Voglio dire, sei pallida come un cadavere…».
Dani si morse il labbro. «Scusa. Brutta scelta di parole.
Ma sono tua amica, e se c’è qualcosa che posso fare, vorrei aiutarti».
Un altro sospiro. Poi Thea si decise.
«Ho fatto un incantesimo proibito».
Dani sembrò colpita, ma non sconvolta. «Quale?»
«Ho invocato uno spirito».
Dani non urlò né svenne, e Thea capì che poteva raccontarle tutta la storia. La sua invocazione… tutto, a parte il motivo per cui l’aveva fatto. «E adesso ho paura»,
concluse. «Ieri ho fatto uscire qualcosa, e oggi Kevin è
stato ucciso. Non è stata Blaise. Lei pensa che Randy
possa essere coinvolto, ma…». Thea scosse la testa.
«Ma, Thea, ragiona. Perché dovrebbe avere qualcosa a
che fare con il tuo incantesimo?». La razionalità di Dani
era rasserenante. «Hai fatto uscire qualcuno, non qualcosa. Gli Anziani invocano i predecessori tutto il tempo
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senza che succeda nulla di brutto. Ti senti in colpa solo
perché sai che non dovevi farlo».
«No, Dani, non so spiegartelo, ma la cosa che ho lasciato uscire… non era amichevole. Ha scagliato a terra
me e Blaise. Nessuno degli spiriti invocati dagli Anziani
lo ha mai fatto».
«Be’…», Dani sembrava dubbiosa. «Ma perché uno
dei predecessori dovrebbe voler uccidere un umano?»
«Non lo so», rispose. Parlarne, in qualche modo, le
aveva schiarito la mente. Disse piano: «Però, forse… il
libro ce lo dirà».
Dieci minuti dopo sedevano fianco a fianco sul letto di
Thea, con lo scrigno di ferro sul pavimento e il libro in
mezzo a loro.
«Per cominciare, puoi dirmi qualcosa dell’amuleto che
è caduto nel fuoco?», chiese Dani con tono indagatore, da
ispettore della polizia. «Per esempio, se aveva i capelli
grigi magari…».
«La strega era vecchia». Thea la capì subito. «No, non
erano grigi, né bianchi. Erano scuri… mogano, direi».
Chiuse gli occhi, tentando di ricordare. «È successo tutto
così in fretta, ma credo fossero lunghi. Erano ripiegati
molte volte, nell’argilla».
«Perciò forse era una donna».
«Sì». Thea continuò a leggere per parecchi minuti.
«Aspetta un momento. Guarda qua».
«Suzanne Blanchet», lesse Dani con qualche difficoltà. «Nata nel milleseicentotrentaquattro a Esgavans, il
giorno in cui vennero accesi dei falò per celebrare la pace
tra Francia e Spagna. Processata nel milleseicentocinquantaquattro a Ronchain, prigioniera presso la corte di
Rieux».
110
«E senti per quali accuse», disse Thea, cupa. «Aver
lanciato un maleficio sul raccolto del grano, aver ucciso
il bestiame, aver portato la fame nel paese, “e aver strangolato gli infanti di notte coi suoi lunghi capelli”».
«Strangolato», sussurrò Dani.
«Lei negò, quindi la torturarono. Ascolta: “Dopo essere stata un po’ sottoposta al supplizio della ruota, si mise
ad urlare che non era una strega, ma quando intensificarono la tortura, ammise che era vero”».
«E poi torturarono la sua famiglia», continuò Dani,
spostando il dito qualche riga più sotto. «Oh, Iside, guarda qua. Aveva un fratello di dieci anni di nome Clement
e una sorella di sei di nome Lucienne. Li torturarono entrambi».
«E li bruciarono». Thea aveva cominciato a tremare in
modo incontrollabile. La stanza non era fredda, ma lei
aveva la sensazione che nelle vene le scorresse del ghiaccio. «Senti. “Ai bambini fu promessa la grazia di essere
strangolati prima di venire messi al rogo, ma poiché il
boia non aveva ricevuto la paga, furono consegnati vivi
alle fiamme…”». Non riuscì a finire.
«…davanti agli occhi della propria sorella», sussurrò
Dani. Anche lei stava tremando, e si era rannicchiata accanto a Thea. «Come hanno potuto farlo?»
«Non so», disse Thea con voce inespressiva.
«Insomma, non mi meraviglio che le leggi del Mondo
delle Tenebre siano così severe. Non c’è da stupirsi se
dobbiamo restare nascoste: guarda cosa ci fanno se ci
scoprono».
Thea deglutì – non le andava di pensare alle regole del
loro mondo. «E poi bruciarono Suzanne», proseguì piano, gli occhi fissi sul libro. «Quando la consegnarono alle
111
fiamme, proruppe in numerose esclamazioni, giurando
vendetta a gran voce».
«Lo fare anch’io», disse Dani, con una nota d’acciaio
nella voce dolce. «Tornerei e li ucciderei».
Di colpo si ammutolì, e lei e Thea si guardarono.
«E forse è proprio quello che ha fatto», disse Thea
lentamente. «Solo che non ha potuto vendicarsi dei suoi
torturatori. Ma ha ritrovato una scena simile a quella impressa nella sua memoria: la riproduzione di una camera
della tortura. E c’era Kevin, che faceva qualcosa al pupazzo di una strega… lo impiccava, forse. Forse lo trattava in un modo che l’ha fatta pensare a…». Thea accennò
al libro. «Comunque sia, qualcosa l’ha fatta infuriare».
«E l’ha ucciso. Strangolandolo: proprio il crimine di
cui era stata accusata. Thea?». Dani fece una smorfia, poi
continuò. «Quando hai visto il corpo di Kevin, aveva
qualcosa intorno al collo?».
Thea fissò le finestre, cercando di ricordare. Quel terribile viso tumefatto… la lingua che sporgeva… e segni
scuri sulla gola.
«No», disse piano. «C’erano dei segni, ma qualunque
cosa lo avesse strangolato, era sparita».
«L’ha portata via con sé». Dani rabbrividì, poi posò le
mani sul libro. «O magari no. Ascolta Thea, questa è una
storia fantastica da raccontare a una festa, ma, davvero,
sono solo congetture».
Thea fissava la pagina ingiallita fra le dita di Dani.
«Non credo», rispose piano. «Vedi il simbolo accanto al
nome di Suzanne Blanchet? Lo riconosco. L’ho visto soltanto per un secondo… sull’amuleto che è finito nel fuoco».
«Sei sicura?».
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Thea distolse lo sguardo. «Sì. È lei, Dani. E la colpa è
mia. Io l’ho lasciata uscire… e ora sta uccidendo delle
persone. A causa mia, qualcuno è morto».
Fu solo quando lo ebbe detto ad alta voce che
l’enormità dell’accaduto la colpì, come se pronunciare
quelle parole le avesse rese vere. Kevin era morto. Non
sarebbe più andato a scuola, non avrebbe avuto la possibilità di riparare la sua Porsche. Mai più avrebbe sorriso a
una ragazza. Aveva perso tutto quello che una persona
poteva perdere.
«E io… io ci sto così male», disse Thea. Il dolore che
le serrava la gola si riacutizzò in uno sorta di spasmo.
Non riuscì a trattenere le lacrime.
Dani la tenne stretta mentre singhiozzava. Alla fine,
quando Thea si calmò, le disse: «Non lo sapevi. Non volevi fare nulla di male. Stavi solo giocando, ed è andata
male. Non lo sapevi».
«Non ha importanza». Thea si asciugò il viso con la
manica. Ora il dolore nel petto s’era attutito, e lentamente
si stava rendendo conto che sentiva qualcos’altro, qualcosa di cado e luminoso. Il bisogno di agire.
«Non ha importanza», ripeté, questa tragedia è successa perché io l’ho resa possibile. Ma ti dirò una cosa: non
permetterò che continui. Devo fermarla. Il che vuol dire
che devo rimandarla indietro».
«Sono con te», disse Dani, la piccola mascella serrata
per la determinazione. «Ma come?».
The fissò la parete un momento, poi rispose: «Ho
un’idea».
113
Capitolo 10
«L
a nonna mi ha detto che l’unica persona che
può rimandare indietro uno spirito è quella che l’ha invocato», disse Thea. «Ma il problema è che devi stargli vicino. Poi puoi fare un incantesimo di restituzione».
«Ok», disse Dani annuendo. «Ma…».
«Aspetta, ci sto arrivando». Thea si alzò e iniziò a
camminare avanti e indietro, fra il suo letto e quello di
Blaise. Cominciò a parlare, prima lentamente, e poi sempre più veloce. «Sto pensando che non può essere la prima volta che succede. Una volta, da qualche parte, in
qualche modo, una strega deve aver invocato uno spirito
che poi è scappato. E la strega sarà stata costretta ad andare a cercarlo per riprenderlo».
«Sicuramente sì. E allora?»
«Allora, se trovassimo un resoconto di come ha fatto –
come è riuscita a ritrovarlo – potremmo avere una possibilità».
Dani si stava entusiasmando. «Sì, e non c’è neppure
bisogno di ritrovare un precedente di uno spirito invocato. Insomma, alcuni non vanno affatto dall’altra parte una
volta morti, giusto? Magari uno di quelli è stato spedito
al di là del velo e noi potremo trovarne il resoconto».
«O un racconto. O un poema. Qualsiasi cosa possa
darci un’idea di come costringere lo spirito a stare nella
tua stessa stanza mentre fai l’incantesimo». Thea
s’interruppe e sorrise a Dani. «E la nonna possiede cro-
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nache e storie e poemi in quantità industriale. Nel laboratorio ci sono centinaia di libri».
Dani saltò in piedi, gli occhi scuri che brillavano.
«Chiamo mia mamma e le dico che stanotte resto qui.
Poi… lo troveremo».
Dopo che Dani ebbe avvisato sua madre, Thea chiamò
Eric per assicurarsi che stesse bene. Ora che sapeva di
aver lasciato libero uno spirito folle, era preoccupata per
lui.
«Sei sicura di stare bene tu?», le chiese lui. «Insomma,
mi sento ancora uno schifo per averti portato in quel posto. Volevo… be’, mi piacerebbe poterti vedere senza
che accada qualcosa di terribile».
Thea ebbe la sensazione che il suo cuore venisse stretto in una morsa. «Anch’io».
«Magari potremmo fare qualcosa domani. Se ti va».
«Sarebbe bello». Non osava continuare a parlare con
Dani lì accanto. Se l’avesse sentita, avrebbe subito intuito
i suoi sentimenti.
La prima cosa che Tea notò nel laboratorio fu che
Blaise aveva portato con sé il suo nuovo lavoro.
Doveva averlo quasi finito.
«Inizierò da qui», disse Dani, in piedi di fronte a una
grossa libreria. «Alcuni sembrano molto antichi».
Thea si dedicò agli altri scaffali. C’erano libri di ogni
genere: con la rilegatura in pelle, cartone, tela, camoscio,
o anche non rilegati. Alcuni erano stampati, altri scritti a
mano. Certi erano in lingue che Thea non conosceva.
Sul primo scaffale non trovò nulla, a parte un incantesimo interessante dal titolo “COME FABBRICARE UN
ELISIR DI AVVERSIONE, che funzioni altrettanto bene, o forse appena un po’ peggio, dei tradizionali Elisir di
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Ripugnanza o Aborrimento, e che sia meno delicato e costoso dell’Elisir di Odio utilizzato dai reali o dai nobili.
Si conserva in ottime condizioni per un tempo lunghissimo”.
Mmm…
Thea mise il libro da parte. Aveva passato in rassegna
per metà lo scaffale successivo quando Dani disse: «Ehi,
ho trovato il tuo albero genealogico».
Thea corse a controllare. «Sì, è quello che la nonna
tiene nascosto. Non si avvicina neanche lontanamente a
Hellewise». Rise.
«Chi è questo tipo?», Dani indicò un nome. «“Hunter
Redfern”. Credevo che i Redfern fossero una celebre famiglia di vampiri».
«Di lamie. Cioè, c’è una differenza, lo sai. Chi viene
trasformato in vampiro non può avere figli».
«Ma che ci fa una lamia nel vostro albero genealogico?»
«Celebrò una cerimonia di parentela con Maeve Harman, nel Seicento. Allora era lei a capo della famiglia.
Vedi? E discendiamo tutti dalla loro figlia Roseclear».
«L’ha fatto con un vampiro? Da brividi».
Thea sorrise. «Lo fece per porre fine alla guerra fra le
loro famiglie: c’era una faida in atto. E così oggi tutti noi
Harman abbiamo un po’ di sangue vampiresco».
«Mi ricorderò di stare attenta se cominci a fissarmi il
collo». Dani scorse l’albero genealogico. «A quanto pare
tu e Blaise siete le ultime discendenti femmine degli
Harman».
«Sì, è così. Le ultime Donne del Focolare».
«È una grossa responsabilità».
Più o meno quello che diceva la nonna. Improvvisamente Thea scoprì di odiare gli alberi genealogici. «Be’.
116
Uhm. Credo faremmo meglio a proseguire con la lettura».
Solo molte ore più tardi Dani disse piano: «L’ho trovato».
«Cosa?». Thea andò a sedersi accanto a lei. Il libro
che Dani teneva sulle ginocchia era rilegato in verde con
una falce di luna e tre stelle in copertina: un simbolo delle streghe molto diffuso nel Mondo delle Tenebre.
«È un libro di storielle umoristiche, ma dovrebbero
essere tutte vere. Questa parla di un uomo di nome Walstan Harman del Settecento. Morì, ma non passò
dall’altra parte. Restò in città e si mise a fare scherzi alla
gente: appariva di notte con la testa sotto il braccio e roba
del genere. Però non restava mai in un posto abbastanza a
lungo perché lo prendessero».
«Allora come lo catturarono?».
Dani fece un sorriso trionfante. «Non lo catturarono,
lo attirarono».
Thea s’illuminò. «Ma certo… che stupida che sono.
Ma come?».
Il dito sottile di Dani continuò a scorrere la pagina.
«Bene, prima attesero Samhain, in modo che il velo fra i
due mondi fosse più sottile. Poi Nicholas Harman allestì
questo sontuoso banchetto, con un enorme tavolo su cui
era servita in abbondanza la pietanza preferita di Walstan». Dani fece una smorfia. «Che a quanto pare era pasticcio di carne d’orso e zucca, in crosta di granoturco.
C’è anche la ricetta. Bleah».
«Lascia perdere. Funzionò?»
«A quanto pare sì. Lasciarono i pasticci sul tavolo in
una stanza vuota, poi tracciarono un cerchio tutt’intorno.
Il vecchio Walstan venne attratto dal cibo, non riuscì a
non dargli almeno un’occhiata, anche se non poteva
117
mangiarlo. E quando entrò, aprirono la porta e lo catturarono».
«Lo spedirono in fretta e con gran soddisfazione per lo
stretto sentiero al vuoto aereo», lesse Thea. Lo storia
sembrava vera: solo una persona che avesse davvero assistito a un’invocazione o avesse visto un incantesimo di
restituzione poteva conoscere quelle parole.
«Quindi ora sappiamo cosa fare», disse Dani. «Aspettiamo Halloween e poi attiriamola. Dobbiamo solo trovare qualcosa che le piaccia…».
«O qualcosa che odi», s’intromise Thea che aveva appena avuto un’idea.
Si guardarono.
«Come ciò che ha visto nella vecchia palestra», sussultò Dani. «Qualcosa che le ha ricordato quello che le
hanno fatto».
«Sì, solo che…», Thea s’interruppe. Stava esaminando tutti gli scenari possibili, ma non voleva condividere i
suoi pensieri con Dani. A parte il fatto che gli umani avevano già in programma qualcosa per Halloween, qualcosa che avrebbe attirato Suzanne. Se la polizia riapriva
la vecchia palestra, la festa sarebbe stata un richiamo incredibilmente allettante. Tutti quegli orribili stands…
Perciò se voglio attirarla da qualche altra parte, devo
escogitare qualcosa che sia peggio, qualcosa che le ricordi in modo ancora più netto quanto è successo. E ho bisogno di un’esca, di un bersaglio che la attiri. Un umano.
Qualcuno che mi aiuti, che si presti…
Non Eric.
I suoi pensieri arrivarono a un punto morto quando intuì le possibili conseguenze. Le mani divennero di ghiaccio e il cuore rallentò i battiti.
118
No. Eric no, non importava cosa sarebbe successo.
Neanche per salvare delle vite.
Respinse l’idea. Sicuramente c’erano altri modi, e li
avrebbe trovati. C’era tempo…
«Thea? Sei ancora qui con me?». Dani la stava osservando.
«Cercavo solo di farmi venire in mente qualcosa».
Thea si costrinse a parlare con calma e a concentrarsi su
Dani. «Uhm. Ascolta, ho appena avuto una buona idea…
forse ci resta un po’ di tempo. Se Suzanne tiene ancora
sott’occhio la vecchia palestra, noi potremmo approfittarne. Finché l’edificio resta chiuso, nessuno può entrare,
e lei non ha modo di assalire nessuno».
«Lo spero», rispose Dani. «Voglio dire, capisco la furia di Suzanne, ma nessuno merita di morire come Kevin.
Neanche un umano».
Più tardi, a notte fonda, mentre Dani dormiva tranquilla nel letto di Blaise, Thea continuava a fissare il debole
bagliore che proveniva dalla finestra.
Non era solo l’immagine di Kevin che la tormentava.
Continuavano a tornarle in mente le parole di Dani e della nonna sulle sue responsabilità.
Anche se rimando indietro Suzanne, anche se la nonna
guarisce, anche se riesco a impedire a Blaise di uccidere
Eric… che ne sarà di me?
Sono una strega rinnegata. E non c’è futuro per me ed
Eric… a meno che non fuggiamo. Ma lui dovrebbe lasciare per sempre la sua famiglia, e verremmo perseguitati ovunque andassimo. E io tradirei le Donne del Focolare
e il Mondo delle Tenebre.
Un ultimo pensiero arrivò a tormentarla, prima che
riuscisse a costringere la sua mente a svuotarsi.
119
Questa storia non può avere un lieto fine. Non c’è
speranza.
Il mattino dopo Thea arrivò a scuola in ritardo. E riuscì a trovare Blaise solo dopo averla cercata dappertutto;
finalmente a ora di pranzo lei e Dani incontrarono le
streghe del Circolo di Mezzanotte nel cortile.
«Per favore, mostracela», stava dicendo Selene quando Thea e Dani le raggiunsero. «Solo un’occhiatina, eh?»
«Prima voglio provarla», rispose Blaise, che sembrava
molto compiaciuta di sé. Bevve un sorso di tè freddo, ignorando Thea e Dani.
«Come sta la nonna?», chiese Thea senza alcun preambolo.
Blaise si voltò. «Meglio, e non per merito tuo. Perché
non hai chiamato stamattina?»
«Ho dormito troppo». Dopo aver avuto incubi terribili
su gente strangolata.
«Ieri notte siamo rimaste in piedi fino a tardi. Non è
stata colpa di Thea», aggiunse Dani.
«Tua nonna si sta riprendendo molto bene», disse Vivienne gentilmente. «Ha solo bisogno di riposare un po’.
Mamma probabilmente la farà rimanere da noi un paio di
giorni. Il sonno aiuta a guarire, sai».
Thea sentì una leggera sensazione di sollievo, fresca
come brezza primaverile. La nonna stava meglio: una cosa in meno di cui preoccuparsi. «Grazie Viv. Ti prego,
ringrazia anche tua madre».
Blaise alzò un sopracciglio e sbuffò. Poi si picchiettò
il mento con le sue lunghe unghie. «Un giro di prova…»,
ripeté, lo sguardo perso in lontananza.
120
Era vestita in modo insolito, con un abito di seta color
bronzo che aveva una chiusura lampo tirata fin sotto il
mento. Thea ebbe un improvviso soprassalto.
«Cosa devi provare?», chiese Dani.
Blaise le rivolse un sorriso sornione. «Aspettate e vedrete». Perlustrò il cortile con lo sguardo e disse dolcemente: «Ed ecco il bersaglio perfetto. Selene, andresti a
chiamarlo, per piacere?».
Selene si alzò e veleggiò languidamente in direzione
del ragazzo indicato da Blaise.
Thea lo riconobbe. Era Luke Price, un ragazzo che
guidava una scattante Maserati rossa e sembrava il protagonista bello e dannato di un film hollywoodiano. Aveva
un’aria studiatamente trasandata e la barba di qualche
giorno, occhi blu elettrico, e al momento pareva vagamente sorpreso di aver dato retta a Selene, che lo stava
accompagnando da Blaise.
«Luke, come va?», disse Blaise con tono amichevole.
Luke alzò le spalle. «Tutto bene. Che vuoi?». I suoi occhi
blu elettrico indugiarono su Blaise, ma ovviamente cercava sempre di fare il duro con le ragazze. Blaise fece
una risatina, come se la domanda la cogliesse di sorpresa.
«Quello che non posso avere», mormorò, e sembrò leggermente stupita della propria risposta. «Voglio parlarti»,
proseguì soave, riacquistando l’autocontrollo. «E…»,
piegò la testa di lato, pensosa. «Magari le chiavi della tua
auto».
Luke rise forte. Si appoggiò al muro di cemento accanto alle scale, pescando con due dita una sigaretta dal
taschino della camicia.
«Sei pazza», disse piano.
Dani tossì quando il fumo le arrivò alle narici. Thea
fece roteare la bottiglietta d’acqua che teneva in mano.
121
Blaise fece una smorfia«. Mettila via; è disgustosa»,
disse.
Luke le soffiò il fumo in faccia. «Se devi dirmi qualcosa, dilla». Fissò con disapprovazione la giacca chiusa
fino al collo di Blaise. «Altrimenti smettila di farmi perdere tempo».
Blaise sorrise.
Si sfiorò la zip. «Vuoi provare a indovinare cosa ho
sotto?».
Gli occhi di lui percorsero dall’alto in basso la giacca,
specie nei punti in cui fasciava più strettamente le curve
di Blaise. «Magari potresti mostrarmelo».
«Vuoi che te lo mostri? Sei davvero sicuro?».
Thea alzò gli occhi al cielo, mentre col pollice giocherellava con l’apertura della bottiglia.
Luke s’accigliò, e soffiò fuori il fumo a labbra strette.
Gli occhi blu elettrico erano sottili come fessure. «Tu
vuoi solo stuzzicarmi…».
Blaise prese la lampo fra due dita e la abbassò.
La collana era stretta come un collare, risaltava sulla
pelle candida e sulla semplice maglia di un nero opaco.
Ed era esattamente come Thea l’aveva immaginata.
Fragile, raffinata, magica. Volute di stelle e lune formavano disegni incantevoli. Gemme di tutti i tipi erano
incastonate fra le sue misteriose linee. Corniola verde,
topazio imperiale, eliolite, cinabro. Zaffiro viola, smeraldo africano, quarzo affumicato.
Mentre la guardava sembrava trasformarsi, le sue linee
cambiavano come fossero liquide. Ti attiravano al cuore
del suo mistero, ti si avvolgevano attorno come morbidi
fili lucenti. Ti stringevano…
Thea si riscosse di soprassalto. Dovette chiudere gli
occhi e sollevare una mano per riprendersi.
122
E se fa questo a me…
Luke non riusciva a distogliere lo sguardo. Thea poteva vedere il cambiamento che si rifletteva sul suo viso,
mentre la collana operava il suo incantesimo. Come un
attore da Oscar che nel giro di pochi secondi si trasforma
da bello e impossibile a ragazzetto vulnerabile proprio
sotto gli occhi degli spettatori. Spalancò la bocca, le labbra serrate si ammorbidirono. I muscoli intorno agli occhi
si rilassarono e lo sguardo diffidente venne spazzato via.
Sembrò sorpreso, poi totalmente indifeso.
Quegli occhi blu elettrico divennero del tutto sconcertati, le pupille si dilatarono. Annaspò come se gli mancasse l’aria. Ora pareva intimorito; ora ipnotizzato; ora
anelante…
Stregato.
Era ormai trasformato. Tutto il suo corpo sembrava
rimpicciolito. Le labbra erano dischiuse. Gli occhi spalancati e luminosi. Pareva che da un momento all’altro
dovesse gettarsi a terra e mettersi ad adorare Blaise.
Lei era seduta come una regina, coi capelli corvini che
ricadevano sulla collana, il petto che si sollevava leggermente al calmo ritmo del suo respiro, gli occhi che brillavano come gemme.
«Butta via quella sigaretta schifosa», disse.
Luke fece cadere la sigaretta e la calpestò come se
fosse un ragno.
Poi puntò di nuovo gli occhi su Blaise. «Sei… sei bellissima». Allungò una mano per toccarla.
«Aspetta», disse Blaise. Il suo viso assunse
un’espressione tragica e malinconica. «Prima voglio raccontarti una triste storia. Avevo un cagnolino che amavo,
un cocker spaniel, facevamo insieme lunghe passeggiate
all’imbrunire».
123
Thea guardò la cugina con la coda dell’occhio. Non
aveva mai sentito una bugia tanto grossa. E perché Blaise
s’era messa a parlare di cani?
«Ma è stato investito da un tir», mormorò Blaise. «E
da allora, mi sento così sola… mi manca tanto». Fulminò
con lo sguardo l’inerme ragazzo che le stava di fronte.
«Luke… vuoi essere il mio cagnolino?».
Luke sembrava confuso.
«Vedi», proseguì Blaise facendosi scivolare una mano
nella tasca, «se potessi avere qualcuno che me lo ricordi,
mi sentirei proprio meglio. Perciò, se vuoi infilarti questo
per me…».
Teneva in mano un collare blu per cani.
Luke era sempre più confuso. Un intenso rossore si
diffuse dal collo fino al mento. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Per me?», lo blandì Blaise, facendo tintinnare il collare: sicuramente era troppo grande per un cocker spaniel, notò Thea. «Te ne sarei così grata».
Sembrava che Luke stesse combattendo una tremenda
battaglia interiore. Il respiro si fece affannoso. Deglutì.
Contrasse la mascella.
Poi, molto lentamente, allungò una mano per prendere
il collare. Blaise lo abbassò.
Gli occhi di lui lo seguirono. Muovendosi a scatti,
come se i muscoli del suo corpo si rifiutassero di obbedire, s’inginocchiò accanto a Blaise. Restò lì, il viso impietrito, mentre Blaise gli allacciava il collare intorno al collo.
Quando l’ebbe stretto bene, scoppiò a ridere. Poi
guardò le altre e fece tintinnare l’anello metallico che
serviva ad assicurare la targhetta. «Bravo cagnolino»,
disse, e gli diede una pacca sulla testa.
124
Il viso di Luke s’illuminò di un’eccitazione che sconfinava nell’estasi. Guardò Blaise negli occhi.
«Ti amo», disse rauco, ancora accovacciato.
Blaise arricciò il naso e rise ancora. Poi si riallacciò la
giacca.
La trasformazione del viso di Luke stavolta fu più rapida. Per un istante rimase del tutto inespressivo, poi si
guardò intorno come se si fosse appena risvegliato nel bel
mezzo di una lezione.
Le dita corsero al collare. Travolto dalla rabbia e
dall’orrore, saltò in piedi.
«Che succede? Che ci faccio qui?».
Blaise gli rivolse uno sguardo perfettamente sereno.
Luke si strappò il collare e gli tirò un calcio. Anche se
scoccava a Blaise occhiate di odio, pareva non ricordare
gli ultimi minuti. «Allora, mi dici cosa vuoi o no?», disse
bruscamente, col labbro superiore che tremava. «Non voglio mica aspettare tutto il giorno».
Poi, visto che nessuno gli rispondeva, s’allontanò con
aria offesa. I suoi amici dall’altra parte del cortile ridevano a più non posso.
«Oops», disse Blaise, «mi sono scordata di chiedergli
le chiavi della macchina». Si girò verso le altre. «Ma direi che funziona».
«Direi che è impressionante», sussurrò Dani.
«Direi che è incredibile», mormorò Selene.
«Direi che è stupefacente», aggiunse Vivienne.
Io direi che è l’Armageddon degli accessori, pensò
Thea. E, fra parentesi, Vivienne e Selene non c’avevano
messo molto a cambiare atteggiamento. Anche se erano
rimaste scioccate per quanto era successo a Randy e Kevin, il loro sdegno non era durato a lungo.
125
«Blaise», disse seccamente, «se te ne vai in giro per la
scuola a mostrare quella roba, provocherai un putiferio».
«Ma io non ho intenzione di mostrarlo in giro», rispose lei. «Per il momento sono interessata a un solo ragazzo. E questa», si toccò la gola, «ha dentro il suo sangue.
Se fa quest’effetto sugli altri, mi chiedo cosa succederà a
lui».
Thea respirò profondamente per sciogliere il nodo che
sentiva allo stomaco. Non aveva mai affrontato Blaise nel
campo della stregoneria. E nessuno aveva mai osato sfidarla per un ragazzo.
Ma non aveva scelta… e rimandare non sarebbe servito a nulla.
«Di sicuro stai aspettando il momento giusto per fargli
un’imboscata», disse. «Non appena abbasso la guardia».
Funzionò. Blaise la guardò, alta e regale nella sua
giacca di seta bronzea, le mani in tasca, i capelli che le
ricadevano sulle spalle come una cascata. Le rivolse un
sorriso calmo.
«Non ho bisogno di tendere imboscate a nessuno»,
disse, con spaventosa sicurezza. «Anzi… perché non fissiamo un appuntamento dopo la scuola? Solo noi tre. Io,
tu ed Eric: ci affrontiamo una volta per tutte. E che vinca
la strega migliore».
126
Capitolo 11
«N
on capisco», disse Erik con voce lamentosa
mentre Thea lo trascinava verso le gradinate.
«Be’, è logico».
«Blaise vuole parlarmi da solo e tu vuoi che io accetti».
«Esatto». Thea si rese conto che nella sua voce c’era
un’inflessione allegra e desolata allo stesso tempo, per
quanto potesse sembrare strano. «Te l’avevo detto che
probabilmente ti avrebbe cercato…».
«E mi hai detto di stare attento. Sei stata piuttosto
chiara in proposito».
«Lo so. È solo…». Thea cercò di trovare una spiegazione che non fosse proprio una bugia e strinse la bottiglietta d’acqua. Non aveva bisogno di chiedergli se aveva
con sé l’amuleto protettivo: riusciva a sentire l’odore degli aghi di pino del New Hampshire.
« È solo che credo sia meglio sistemare le cose», disse
alla fine. «In un modo o nell’altro. Perciò, forse, se parlare faccia a faccia… be’, puoi decidere cosa vuoi e risolviamo la cosa».
«Thea…». Eric si fermò, costringendo anche Thea a
fermarsi. Sembrava assolutamente esterrefatto. «Thea,
non so a cosa stai pensando, ma non ho bisogno di parlare con Blaise per sapere cosa voglio». Le posò dolcemente le mani sulle braccia. «Niente di ciò che dirà potrà
cambiare le cose».
127
Thea lo guardò, osservò il suo volto pulito e buono e i
suoi occhi profondi. Era convinto che le cose fossero facili.
«Allora dille solo questo», disse, simulando un tono
ottimista. «E l’intera faccenda sarà risolta».
Eric scosse la testa, ma la seguì senza fare obiezioni.
Blaise era appoggiata alla panchina vicino al campo
da baseball. Quando si trovarono a un paio di metri di distanza, Thea si fermò e fece segno a Eric di andare avanti.
Lui si avvicinò a Blaise, che si raddrizzò con la pigra
grazia di un serpente che esce dalla cesta.
Thea infilò il pollice nella bottiglietta e la agitò piano.
«Thea mi ha detto che volevi parlarmi». La voce di
Eric era cortese ma non incoraggiante. Dopo averlo detto,
si voltò a guardare Thea.
«Sì», rispose Blaise con la sua voce liquida e suadente. Ma Thea, con immensa sorpresa, si accorse che sua
cugina guardava a terra, impacciata. «Ma adesso… be’,
sono così imbarazzata. So cosa pensi di me… be’, ti sto
parlando di certe cose mentre la tua ragazza ti guarda là
in fondo».
«Be’…», Eric si girò di nuovo. «Non ti preoccupare»,
aggiunse, con voce più dolce. «Voglio dire, è meglio parlare davanti a lei piuttosto che alle sue spalle».
«Sì. Sì, è vero». Blaise fece un respiro profondo per
riprendersi e poi alzò il viso e fissò Eric negli occhi.
Che diavolo stava facendo? Thea fissava sua cugina.
Che senso aveva quella sceneggiata?
«Eric… Non so come dirtelo, ma… Ci tengo a te. So
che sembra strano. Starai pensando che ho dozzine di ragazzi e che da come li tratto sembra che non mi importi
nulla di nessuno. E non ti biasimo se vuoi andartene in
128
questo preciso istante, senza neanche starmi a sentire».
Blaise giocherellava con la zip, tirata su fino al mento.
«Ah, senti, non me ne andrò. Non ti farei mai questo»,
disse Eric, e la sua voce era ancora più gentile.
«Grazie. Sei così carino, non me lo merito».
Distrattamente, come se fosse il gesto più casuale del
mondo, Blaise afferrò la zip e la tirò giù.
La collana sbucò fuori.
Non guardarla, disse Thea fra sé e sé. Lei invece fissava la nuca di Eric, che si irrigidì improvvisamente.
«E sai, ti sembrerà strano, ma alla maggior parte di
quei ragazzi non piaccio davvero». La voce di Blaise adesso era dolce: seducente ma vulnerabile. «È solo che…
mi vogliono. Guardano la superficie, e non provano neanche a cercare in profondità. E questo mi fa sentire…
così sola a volte».
Anche a quella distanza, Thea vedeva stelle dorate e
lune muoversi e fluttuare. Radice di eupatoria e altre essenze deliziose solleticarono le sue narici. Prima non
l’aveva notato; era troppo presa dall’incantesimo della
collana. E nell’aria riecheggiavano debolmente due o tre
note appena percepibili.
Cristalli risonanti. Ovvio. Blaise stava attaccando tutti
i sensi, tessendo una tela dorata dalla quale era impossibile scappare… e tutte le sue armi erano state personalizzate col sangue di Eric.
«Tutto ciò che ho sempre voluto è un ragazzo che tenga davvero a me, che riesca a guardare sotto la superficie». La voce di Blaise si incrinò. «E… be’, prima che
sapessi che piacevi a Thea, pensavo che quel ragazzo potessi essere tu. Eric, per favore, dimmi: è assolutamente
impossibile? Devo perdere ogni speranza? Perché se mi
dici di sì, lo farò».
129
Eric aveva assunto una posizione strana, come se fosse storpio. Thea riusciva a sentire il suo respiro accelerato. Non voleva guardarlo in faccia: sapeva che espressione doveva avere in quel momento. Come quella di Luke.
Stupore vuoto che mutava in ammirazione per Blaise.
«Basta che me lo dici», continuò Blaise, alzando una
mano con gesto melodrammatico. «E se mi dirai di no,
me ne andrò per sempre. Ma se… se credi che potresti
interessarti a me… anche solo un po’…». Lo guardò con
occhi luminosi e pieni di desiderio.
«Io…». La voce di Eric era tesa ed esitante. «Io…
Blaise…». Sembrava non riuscisse a iniziare la frase.
E non c’era da stupirsi. Era già perso.
Thea ne fu improvvisamente certa e smise di agitare la
bottiglietta di plastica. Il suo piccolo Elisir di Aborrimento non aveva alcuna possibilità contro la magia di Blaise.
Eric era completamente preso e Blaise lo stava catturando.
E non era colpa sua. Nessuno poteva sperare di resistere alla fascinazione che stava esercitando. Magia e
psicologia insieme, così meravigliosamente unite che la
stessa Thea per poco non si fece convincere.
Ma doveva tentare comunque. Non poteva lasciar andare via Eric senza lottare.
Dopo averla agitata un’ultima volta, con forza, Thea
tolse il pollice dal collo della bottiglietta. Un liquido incolore volò in aria, schizzò in alto e si riversò su Eric. Un
geyser di odio.
Ma non tutto andò per il verso giusto. Appena il misterioso acquazzone colpì Eric, lui si girò per vedere da
dove provenisse. Invece di guardare Blaise mentre l’elisir
gli impregnava la pelle, fissò Thea.
130
Lei guardò a sua volta i suoi occhi screziati di grigio
con una sorta di terrore.
Un doppio incantesimo. Adesso era sotto l’influenza
di due condizionamenti magici: uno lo spingeva ad amare
Blaise e l’altro a odiare lei.
Oh, Ilizia, è finita…
Era un momento critico, e Thea reagì d’istinto. Raggiunse Eric, per salvarlo, per salvarsi. Proiettò un pensiero, proprio come avrebbe allungato la mano per salvare
qualcuno che sta per cadere da un precipizio.
Eric.
Una connessione…
Come un circuito che si chiude: e fu sufficiente. Thea
sentì un’ondata di… qualcosa, qualcosa di caldo e dolce,
più magico della magia di Blaise. Forse un distillato di
elettricità. L’aria tra lei e Eric era talmente carica che le
venne la pelle d’oca, come se qualcuno l’avesse sfiorata
con del velluto. Era come stare nel punto dove si scontravano delle forze cosmiche.
E andava tutto bene. Sul viso di Eric era dipinta la solita espressione. Viva, sveglia, piena di calore… per lei.
Nessuna venerazione abulica per Blaise.
Thea.
Non può essere così facile, pensò.
Ma lo era. Lei ed Eric si fissavano nell’aria tremante e
l’universo era un solo grande cristallo risonante d’amore.
Stiamo bene insieme.
Un grido scosse la silenziosa comunione. Thea guardò
verso la panchina e vide che Blaise era sparita.
«Mi hai bagnato», strillò Blaise. «Sei pazza? Hai idea
di cosa fanno le gocce d’acqua sulla seta?».
Thea aprì la bocca, poi la richiuse di nuovo. Il sollievo
che provava era così dolce che le girava la testa. Non sa-
131
peva se Blaise pensasse davvero che l’elisir fosse solo
acqua, ma una cosa era chiara: l’incantesimo di Blaise,
per quanto potente, adesso era spezzato. E Blaise lo sapeva.
Blaise richiuse la zip di scatto e se ne andò.
«È arrabbiata», disse Eric.
«Be’…», Thea era ancora stordita. «Te l’ho detto che
le piace arrabbiarsi». Afferrò il braccio di Eric con delicatezza, e si appoggiò a lui. «Andiamo».
Dopo solo pochi passi Eric disse: «Grazie a Dio mi hai
gettato addosso l’acqua».
«Sì». Anche se l’elisir non aveva funzionato, aveva in
qualche modo interrotto la concentrazione di Eric o distratto Blaise o qualcosa del genere. In seguito avrebbe
cercato di capire cosa aveva spezzato un incantesimo potente come quello di Blaise…
«Sì, perché, sai, stava diventando davvero imbarazzante», proseguì Eric. «Continuavo a pensare a una scusa
gentile per dirle che non c’era alcuna possibilità, ma non
ci riuscivo. E appena mi sono reso conto che dovevo dirlo e urtare i suoi sentimenti… be’, ci hai bagnati».
Thea si fermò di colpo.
Era serio.
«Voglio dire, so che ho comunque urtato i suoi sentimenti. Altrimenti non se ne sarebbe andata via così arrabbiata. Uhm, tu sei arrabbiata adesso? Thea?».
Thea riprese a camminare. «Stai dicendo che non hai
neanche desiderato di stare con lei? Neanche per un attimo?».
Lui si fermò. «Come potrei voler stare con lei se voglio stare con te? Te l’ho detto prima che iniziasse
l’intera faccenda».
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Forse è perché siamo anime gemelle. Forse è perché
lui è così testardo. Ma qualunque cosa sia, è meglio non
dire niente a Blaise. Avrebbe un motivo in più per ucciderlo se scopre che il suo incantesimo è rimbalzato contro un muro di gomma.
«Be’, comunque, adesso è tutto risolto», mormorò, e
in quel momento lo credeva davvero. Era troppo felice
per pensare a qualcosa di brutto.
«Lo è? Allora possiamo finalmente uscire? Tipo darci
un appuntamento?»
Lo disse in tono così colmo di desiderio che Thea rise.
Si sentiva leggera e libera e piena di energia. «Sì. Possiamo uscire anche adesso. O possiamo entrare. A casa
tua, intendo. Mi piacerebbe rivedere tua sorella e
Madame Curie».
Eric fece una smorfia preoccupata. «Be’, a Madame
Curie probabilmente farebbe piacere. Ma Roz ha perso la
causa: il tribunale ha stabilito che l’associazione di
trekking maschile è un ente privato. E non si può dire che
sia al settimo cielo».
«Un motivo in più per andarla a trovare. Povera piccola».
Eric la squadrò. «Sul serio? Potresti andare ovunque a
Las Vegas e vuoi venire a casa mia?»
«Perché no?». Thea non disse che per lei una casa di
umani era più esotica di qualunque altro posto.
Era felice.
La casa era semplice, di legno, all’ombra di un paio di
comuni alberi, non palme. Mentre entravano Thea si sentì
sommersa da un’ondata di timidezza.
«Mamma è ancora al lavoro. E», Eric guardò
l’orologio, «Roz dovrebbe restare in camera sua fino alle
133
cinque. Arresti domiciliari. Stamattina ha messo la Barbie nel forno a microonde».
La porta di Rosamund era tappezzata di cartelli scritti
a mano. VIETATO ENTRARE. ALLA LARGA, CAPITO ERIC? IL FEMMINISMO È IL CONCETTO RADICALE SECONDO CUI LE DONNE SONO PERSONE.
Quando Eric aprì la porta un salvadanaio a forma di
puzzola gli volò contro. Lui si abbassò. Il proiettile improvvisato colpì il muro e, stranamente, non si ruppe.
«Roz…»
«Odio tutti! E tutti mi odiano!». Un libro dalla copertina rigida volò contro il muro.
Eric chiuse velocemente la porta. Bang.
«Non ti odia nessuno!», gridò.
«Be’, io invece odio tutti! Vattene!».
Bang. Bang. Crash.
«Penso sia meglio lasciarla sola», disse Eric. «Ogni
tanto è un po’ di cattivo umore. Vuoi vedere la mia camera?».
La sua camera era carina, stabilì Thea. Tanti libri, alcuni che odoravano di muffa. «Li ho presi al negozio di
libri usati». Anatomia comparata dei vertebrati. Sviluppo
e struttura del feto del maiale. Il pony rosso. La maggior
parte parlava di animali, in un modo o nell’altro.
E tanti trofei. Trofei di baseball, di basket, qualcuno di
tennis. «Devo alternare baseball e tennis nei vari anni».
Attrezzature sportive erano sparpagliate disordinatamente
in giro, insieme ai libri e a qualche calzino sporco.
Non era così diversa dalla camera di un adolescente
del Mondo delle Tenebre. Semplicemente era la camera
di una persona.
134
Sulla scrivania c’era la foto di un uomo che aveva gli
stessi capelli e lo stesso magnifico, ammaliante sorriso di
Eric.
«Chi è?»
«Mio padre. È morto quando Roz era piccola: un incidente aereo. Era un pilota». Eric lo disse con semplicità,
ma il suo sguardo s’incupì.
Thea disse dolcemente: «Anche i miei genitori sono
morti quando ero piccola. La cosa triste è che non me li
ricordo veramente».
Eric guardò di nuovo la fotografia. «Sai, non ci avevo
mai pensato, ma io sono felice di ricordarmelo così bene.
Perlomeno è stato con noi per tanto tempo».
Si sorrisero a vicenda.
Vicino al letto c’era un acquario dal quale proveniva il
piacevole ronzio del filtro dell’acqua. Thea vi si sedette
accanto e guardò la luce iridescente. Spense la luce della
camera per vederlo meglio.
«Ti piace?»
«Mi piace tutto», disse Thea. Lo guardò. «Tutto». Eric
sbatté le palpebre. Guardò il letto dove era seduta Thea,
poi lentamente andò alla scrivania. Abbassò il gomito per
appoggiarsi e dei fogli caddero a terra.
«Ops».
Thea trattenne una risata. «È la domanda per
U.C.Davis?».
Eric alzò lo sguardo, speranzoso, mentre li raccoglieva. «Certo. Vuoi vederla?».
Thea stava per dire di sì. Era talmente di buon umore
che era pronta a dire di sì a tutto, voleva essere aperta a
tutto. Ma un pensiero improvviso le fece cambiare idea.
Succedeva tutto troppo velocemente.
«Non adesso, grazie».
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«Be’…». Rimise a posto i fogli. «Sai, puoi ancora valutare l’idea di iscriverti al corso di zoologia a scuola. La
signora Gasparro è un’ottima insegnante. E ti piacerebbe
davvero quello che studiamo».
Forse potrei, pensò Thea. Che male ci sarebbe?
«E se vuoi, il dottor Salinger è sempre in cerca di aiuto extra. Non paga molto, ma è una buona esperienza».
E… che male ci sarebbe? Non contravverrei a nessuna
legge. Non dovrei usare neanche alcun potere, potrei solo
stare vicina agli animali.
«Ci penserò», disse Thea. Poteva sentire nella propria
voce l’eccitazione a stento trattenuta. Guardò Eric, che
stava seduto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, piegato in avanti, e la fissava con trasporto. «E… grazie»,
aggiunse dolcemente.
«Per cosa?»
«Perché… vuoi il meglio per me. Perché ci tieni a
me». La luce dell’acquario proiettava ghirigori azzurri
sulle pareti e sul soffitto. Faceva sembrare la camera un
piccolo mondo sottomarino. Danzava sulla pelle di Thea.
Eric la guardò a lungo. Deglutì e chiuse gli occhi. Poi,
senza riaprirli, disse con voce stravolta dall’emozione:
«Non credo che tu sappia quanto tengo a te».
Poi riaprì gli occhi.
Di nuovo quella connessione. Sembrava attirarli l’uno
verso l’altra, era quasi una sensazione fisica. Era eccitante, ma pericolosa.
Eric si alzò molto lentamente e attraversò la stanza. Si
sedette accanto a Thea. Nessuno dei due abbassò gli occhi.
E poi le cose semplicemente accaddero da sole. Le dita si intrecciarono. Continuavano a fissarsi. Erano così
136
vicini che i respiri si fusero. Thea ebbe un brivido di elettricità.
Tutto sembrava avvolto da una foschia dorata.
Crash.
Qualcosa colpì l’altra parte del muro.
«Ignoralo; sono i fantasmi», mormorò Eric. Le sue
labbra erano vicinissime a quelle di lei.
«È Rosamund», mormorò a sua volta Thea. «Non sta
bene… e non è una bella cosa. Dovremmo cercare di farla sentire meglio». Era così felice che voleva che tutti
condividessero la sua gioia.
Eric cercò di dissuaderla. «Thea…».
«Fammi solo vedere se riesco a tirarla su. Torno subito».
Eric chiuse gli occhi, li aprì, e accese la lampada. Le
rivolse un sorriso addolorato. «Ok. Tanto devo annaffiare
le piante di mamma fuori, dar da mangiare ai conigli e
cose varie. Fammi sapere quando si è ripresa abbastanza.
Ti aspetto».
Thea bussò e si abbassò per entrare in camera di Rosamund. «Roz? Posso parlarti solo un minuto?»
«Non chiamarmi così. Chiamami Fred».
«Uhm, e come mai Fred?». Thea si sedette con cautela
sul bordo del letto: anzi, non era il letto, in realtà, ma la
rete a molle. Il materasso era per terra, messo di lato in
un angolo. Sembrava che l’intera camera fosse stata colpita contemporaneamente da un uragano e da un terremoto, e puzzava di porcellino d’India.
Lentamente, una testa fece capolino da sotto il materasso. Due occhi verdi fissarono Thea.
«Perché», disse Rosamund con un tono sorprendentemente maturo, «non sono più una ragazza. Le cose sono
sempre andate così per le ragazze, andranno sempre così
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e non cambieranno mai. E non ripetermi anche tu che le
donne sanno ascoltare, lavorano meglio nei sottomarini e
sono brave con i motori, perché non m’importa. Da adesso sarò un ragazzo».
«Sei una bambina intelligente», disse Thea. Era incredibilmente intelligente, e desiderava confortarla più di
ogni altra cosa.
«Ma devi studiare la Storia. Le cose non sono sempre
andate così. Ci sono state epoche in cui le donne e gli
uomini erano uguali».
Rosamund disse solo: «Quando?»
«Be’… nell’antica Creta, per dirne una. Erano tutti figli di Ilizia, la Grande Dea, e i ragazzi e le ragazze facevano entrambi cose pericolose, come le acrobazie con i
tori selvaggi. Ovviamente…». Thea fece una pausa, colpita da un pensiero improvviso. «Arrivarono i Greci e li
conquistarono».
«Uhm, uhm».
«Ma…», Thea si sforzava di ripescare le sue nozioni
di storia umana. «Be’, gli antichi Celti non erano male,
ma poi arrivarono i Romani e li conquistarono. E… e…».
La storia umana era un problema.
«Te l’ho detto», disse amaramente Rosamund. «Finisce sempre così. Adesso vattene».
«Be’…», Thea esitò.
Fu tutta colpa dell’euforia. Quella sensazione di stordimento che le fece credere che non mondo andasse tutto
bene. La rese troppo sicura di sé, le fece pensare che la
legge del Mondo delle Tenebre fosse una piccolezza di
cui si poteva fare a meno, se necessario.
Non farlo, le sussurrava una parte della sua mente.
Non farlo o te ne pentirai.
138
Ma Rosamund era così triste. E il bagliore dorato circondava ancora Thea, facendola sentire al sicuro. invulnerabile.
«Ascolta», disse. «Forse non ti aiuterà molto, ma ti
racconterò una storia, una storia che mi faceva sentire
meglio quando ero piccola. Soltanto, devi mantenere il
segreto».
Gli occhi verdi di Rosamund brillarono di interesse.
«Una storia vera?»
«Be’… non posso dire che sia proprio vera». E almeno questa non è una bugia: non posso dirlo. «Ma è una
bella storia, e parla di un tempo in cui le donne erano al
potere. Parla di una ragazza di nome Hellewise».
139
Capitolo 12
T
hea si sistemò sulla rete del letto, anche se non si
poteva dire che fosse un posto comodo. «Dunque, tutto
accadde all’epoca in cui ancora esisteva la magia, ok? E
Hellewise sapeva fare magie, così come la maggior parte
dei membri della sua tribù. Era la figlia di Ecate, Regina
delle Streghe…».
«Era una strega?», Roz sembrava intrigata.
«Be’, non la chiamavano così allora. La chiamavano
Donna del Focolare. E non aveva l’aspetto di una strega
di Halloween. Era bella: alta, con lunghi capelli biondi…».
«Come te».
«Eh? Ah», Thea sorrise. «Grazie, ma non è così. Hellewise era davvero bella, ed era anche intelligente e forte.
E quando Ecate morì, Hellewise guidò la tribù insieme a
sua sorella, Maya».
Adesso Rosamund aveva tirato su la testa dal materasso. Ascoltava con grande interesse, anche se continuava
ad avere un’espressione scettica.
«Dunque, Maya». Thea si morse il labbro. «Be’, anche
Maya era bella: alta, ma con lunghi capelli neri».
«Come la ragazza che ti è venuta a cercare dal veterinario».
Thea trasalì. Aveva dimenticato che Rosamund aveva
visto Blaise. «Be’… ehm, sì, un po’. Comunque, anche
Maya era intelligente e forte, ma non le piaceva dividere
140
la supremazia con Hellewise. Voleva comandare da sola
e voleva qualcos’altro. Vivere per sempre».
«A me sembra una buona idea», bofonchiò Rosamund.
«Be’, sì, sono d’accordo, non c’è niente di male a essere immortali. Ma, sai, dipende da quanto sei disposta a
pagare. Mi segui?»
«No».
«Be’…», Thea era imbarazzata. Qualunque Creatura
delle Tenebre avrebbe capito di cosa stava parlando, anche nell’improbabile eventualità che non avesse mai sentito la storia. Ma ovviamente gli umani erano diversi.
«Be’, sai, c’era un prezzo da pagare. Nessun normale incantesimo poteva renderla immortale. Le tentò tutte e
Hellewise la aiutò persino. E finalmente capirono qual
era l’incantesimo che avrebbe funzionato, ma a quel punto Hellewise si rifiutò».
«Perché?»
«Perché era troppo orribile. No, non chiedermelo»,
aggiunse Thea appena vide che gli occhi di Rosamund si
accendevano di interesse. «Non te lo dirò. Non è cosa da
bambini».
«Cosa, cosa? Se non me lo dici, immaginerò cose anche peggiori».
Thea sospirò. «Aveva a che fare con i bambini, ok? E
col sangue. Ma non è questo il punto della storia».
«Uccidevano i bambini?»
«Non Hellewise. Maya lo fece. E Hellewise cercò di
fermarla, ma…».
«Scommetto che bevve il loro sangue».
Thea si fermò e fissò Rosamund. I bambini umani erano ignoranti ma non stupidi. «Ok, sì, bevve il sangue.
Soddisfatta?».
141
Roz sorrise, annuì e si rimise a sedere, godendosi ogni
singola parola del racconto.
«Ok, quindi Maya divenne immortale. Ma solo dopo
seppe il prezzo che avrebbe dovuto pagare. Poteva vivere
per sempre, ma solo se beveva il sangue di una creatura
mortale ogni giorno. Altrimenti, sarebbe morta».
«Come un vampiro», disse con sollievo Rosamund.
Thea rimase scioccata per un istante, poi rise di se stessa.
Ovviamente gli umani conoscevano i vampiri, così come
conoscevano le streghe. Stupide leggende piene di false
informazioni.
Ma questo significava che Thea poteva raccontare la
sua storia senza timore che Rosamund la prendesse alla
lettera.
«Proprio come i vampiri, sì», disse con enfasi, fissando Rosamund. «Maya fu il primo vampiro. E tutti i suoi
figli furono condannati anch’essi ad essere vampiri».
Roz storse il naso. «I vampiri non possono avere figli». Poi fu presa dal dubbio «Possono?»
«Quelli che discendevano da Maya potevano», disse
Thea. Non avrebbe mai pronunciato la parola “lamia”
davanti a un’umana. «Quelli che non possono sono quelli
che diventano vampiri dopo essere stati morsi. Maya aveva un figlio vampiro di nome Red Fern e mordeva le
persone. Questa è la storia, capisci: Maya voleva piacere
a tutti. Perciò iniziò a mordere tutti quelli della sua tribù.
E alla fine Hellewise decise che doveva smetterla».
«Come?»
«Be’, era questo il problema. La tribù di Hellewise voleva lottare contro Maya e gli altri vampiri. Ma Hellewise
sapeva che, se lo avessero fatto, probabilmente sarebbero
morti tutti. Entrambi gli schieramenti. Perciò Hellewise
sfidò a duello solo Maya. Una singolare tenzone».
142
Rosamund spinse via il materasso. «Mi immagino un
duello col signor Hendries, il capo dell’associazione di
trekking». Saltò sul materasso e si lanciò all’attacco di un
cuscino con le mani e i piedi… e i denti. «E vincerei anche. È fuori forma».
«Be’, Hellewise non voleva lottare, ma doveva. Aveva
paura, perché come vampiro Maya adesso era molto più
forte».
Per un attimo Thea si fermò e immaginò vividamente
la vecchia storia, come faceva da bambina. Vide Hellewise con l’abito di pelle bianco, in piedi nella foresta scura, che aspettava l’arrivo di Maya. Sapeva che, se anche
avesse vinto la battaglia, probabilmente sarebbe morta,
ed era abbastanza coraggiosa da rimanere. Aveva la forza
di volontà di rinunciare a tutto per il popolo che amava, e
per la pace.
Non credo che io potrei mai essere così coraggiosa.
Cioè, spero di esserlo, ma ho il terribile sospetto che non
ci riuscirei.
E allora accadde una cosa strana. In quell’istante, le
sembrò di sentire una voce, non la solita che sentiva nella
sua mente, ma una voce insistente e quasi accusatoria,
che le poneva una domanda perentoria, come se Thea
non avesse già deciso.
Rinunceresti a tutto?
Thea si mosse sul letto, nervosa. Di solito non sentiva
voci.
Forse è quello che si è chiesta Hellewise, disse a se
stessa.
«Allora cosa successe? Ehi! Thea! Cosa successe?».
Rosamund saltellava sul materasso come una lottatrice.
«Ah. Be’, fu una battaglia terribile, ma Hellewise vinse. Cacciò via Maya. E la tribù fu lasciata in pace e visse-
143
ro tutti felici e contenti… uhm, tranne Hellewise. Morì a
causa delle ferite».
Rosamund smise si saltellare e la fissò incredula. «E
tu mi hai raccontato questa storia per farmi sentire meglio? Non ho mai sentito un racconto così schifoso». Era
così agitata che tremava.
Thea si era scordata che aveva a che fare con una
bambina umana. Allargò le braccia come aveva fatto col
cucciolo Bud, come avrebbe fatto con ogni creatura sofferente, e Rosamund le corse incontro.
«No, no», disse Thea, affrettandosi a consolarla. «Vedi, il punto è che il popolo di Hellewise sopravvisse e fu
libero. E può sembrare una sciocchezza, visto che erano
solo una piccola tribù, ma quella piccola tribù crebbe
sempre più e rimase libera. E tutte le streghe del mondo
discendono da essa, e tutte ricordano Hellewise e la onorano. È una storia che tutte le mamme raccontano alle
proprie figlie».
Rosamund per un attimo riprese fiato tra i singhiozzi.
«E ai figli?»
«Be’, anche ai figli. Quando dico “figli”, intendo “figli e figlie”. È solo per abbreviare».
Un occhio verde indagatore sbucò fuori da una massa
di capelli arruffati. «Come quando si dice “uomini” per
intendere anche le “donne”?»
«Sì». Thea ci rifletté su. «Immagino che sia sbagliato
in entrambi i casi». Alzò le spalle. «La cosa importante è
che il coraggio di una donna ci… le… ha rese tutte libere».
«Senti», Rosamund la fissò, scostando i capelli. «Mi
stai prendendo in giro o è una storia vera? Perché, francamente, a me tu sembri una strega».
144
«Era quello che stavo per dire io», disse una voce divertita alle spalle di Thea.
Thea si voltò di scatto. La porta era leggermente aperta e sulla soglia c’era una donna. Era alta e allampanata,
con degli occhialetti sottili e lunghi capelli castani. La
sua espressione le ricordava Eric, quando aveva quello
sguardo di tenero smarrimento, come se improvvisamente fosse stato colpito da uno dei misteri sconvolgenti della vita.
Ma non aveva importanza. Quello che importava era
che era una sconosciuta. Un’Estranea.
Un’umana.
Thea aveva spifferato i segreti del Mondo delle Tenebre, la storia delle streghe, e un’adulta umana aveva sentito tutto.
Improvvisamente le si intorpidirono mani e piedi.
L’alone dorato scomparve lasciandola in una realtà fredda e grigia.
«Mi dispiace», stava dicendo l’umana, ma a Thea
sembrò che la voce provenisse da molto lontano. «Non
volevo spaventarti. Stavo solo scherzando. Mi piaceva
davvero la storia: una sorta di leggenda moderna per
bambini, giusto?».
Lo sguardo di Thea si fissò su un altro umano alle
spalle della donna. Eric. Anche lui aveva sentito tutto.
«Mamma scherza sempre», disse nervosamente. Gli
occhi verdi erano dispiaciuti… e intensi. Come se stesse
cercando di stabilire una connessione con Thea.
Ma Thea non voleva connettersi. Non poteva funzionare, con tutte quelle persone. Era circondata da umani,
intrappolata in una delle loro case. Si sentì come il serpente a sonagli circondato da enormi creature armate di
bastoni.
145
Fu sopraffatta da un terrore puro e assoluto.
«Dovresti fare la scrittrice, sai?», stava dicendo
l’umana. «Tutta questa creatività…». Entrò in camera.
Thea si alzò, facendo cadere a terra Rosamund. Stavano andando verso di lei, le sembrava che persino le pareti
si stessero stringendo. Erano alieni, crudeli, sadici, terrorizzanti, malvagi, non-della-sua-specie. Erano Cotton
Mather e l’Inquisizione e sapevano di lei. L’avrebbero
denunciata, si sarebbero messi a gridare: «Strega!».
Thea corse via.
Sgattaiolò tra Eric e sua madre come un gattino spaventato, senza nemmeno sfiorarli. Attraversò di corsa il
corridoio e il salotto e uscì dalla porta.
Fuori il cielo era coperto e stava facendo buio. Thea si
fermò solo un attimo per orientarsi, poi si diresse a ovest,
camminando più in fretta possibile. Il cuore le batteva
forte e le diceva di andare più veloce.
Scappa, scappa. Vai alla terra. Trova casa.
Correva cambiando direzione continuamente a zigzag, come una volpe inseguita dai cani da caccia.
Era a dieci minuti da casa quando sentì il rombo di un
motore che la seguiva. Si voltò. Era la jeep di Eric. Eric
stava guidando e a bordo c’erano sua madre e Rosamund.
«Thea, fermati. Per favore, aspetta». Eric fermò la jeep e saltò giù.
La superò e le bloccò la strada. Thea raggelò.
«Ascoltami», disse con voce bassa dando le spalle alla
jeep. «Mi dispiace che siano venute anche loro, non sono
riuscito ad impedirglielo. Mamma si sente malissimo.
Stava piangendo, Roz stava piangendo… per favore, torni da noi?».
Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime anche lui.
Thea era semplicemente paralizzata.
146
«È tutto ok. Sto bene», disse. «Non volevo turbare
nessuno». Per favore lasciami andare.
«Ascolta, non avremmo dovuto origliare. Lo so. Era
solo… sei così buona con Rosamund. Non ho mai visto
nessuno che le piacesse così tanto. E… e… so che sei
sensibile riguardo tua nonna. È questo che ti ha infastidito, vero? Quella storia te la raccontava lei, vero?».
Pian piano, da qualche parte in fondo alla mente di
Thea, si accese una luce. Lui credeva che fosse una storia
inventata.
«Anche noi abbiamo le nostre storie di famiglia», stava dicendo Eric, con una punta di disperazione nella voce. «Mio nonno ci raccontava di essere un marziano: giuro su Dio che è vero. E un giorno venne all’asilo e io avevo raccontato a tutti i bambini che era un marziano e
tutti gli fecero bip bip e scoppiarono a ridere, e io mi sentii così in colpa. Lui era davvero imbarazzato…».
Stava farfugliando. Thea si era ripresa abbastanza da
sentirsi dispiaciuta per lui. Ma poi davanti a lei si profilò
un’ombra e si irrigidì di nuovo. Era sua madre, con i setosi capelli al vento.
«Ascolta, Thea», disse la madre di Eric. Aveva
un’espressione triste e seria. «Tutti conoscono tua nonna,
sanno che è anziana, che è un po’… stramba. Ma se ti sta
spaventando, se ti racconta roba strana…».
«Mamma!», gridò tra i denti Eric.
Lei lo zittì con un cenno della mano. Le si erano appannati gli occhiali. «Non devi starla a sentire, ok? Nessun bambino dovrebbe. Se vuoi un posto dove stare; se
hai bisogno di qualcosa – se dobbiamo chiamare i servizi
sociali…».
«Mamma, per piacere, ti prego. Sta’ zitta».
147
I servizi sociali, pensava Thea. Per Iside, ci sarà una
specie di indagine. Gli Harman in tribunale. La nonna
accusata di essere demente, o di far parte di qualche setta.
E poi il Mondo delle Tenebre avrebbe imposto la sua
legge…
Il terrore si tramutò in isteria e poi scomparve improvvisamente, lasciandola estremamente calma.
«È tutto a posto», disse, spostando lo sguardo su Eric.
Non lo fissò direttamente negli occhi ma recitò accuratamente la sua parte. «Tua madre vuole solo essere
d’aiuto. Ma davvero», continuò la pantomima anche con
la madre, «va tutto bene. Mia nonna non è strana. Racconta storie, ma non spaventa nessuno».
Basterà? È quello che volete sentire? Ora mi lascerete
in pace?
Apparentemente sì. «È solo che non voglio sentirmi
responsabile per te ed Eric se… be’…». La mamma di
Eric sospirò nervosamente e fece una risatina isterica.
«Ci lasciamo?». Thea cercò a sua volta di simulare
una risata. «Non si preoccupi. Non ci ho mai pensato».
Rivolse un sorriso ad Eric, abbassando gli occhi perché
non riusciva a guardarlo. «Mi dispiace di essere stata così… permalosa. Ero solo imbarazzata, credo. Come tuo
nonno».
«Torni da noi? O ti riaccompagniamo a casa?», la voce di Eric era dolce. Voleva che tornasse a casa sua.
«A casa mia, se non ti spiace. Devo sbrigare delle faccende». Sollevò lo sguardo, sforzandosi di sorridere di
nuovo.
Eric annuì. Non era felice, ma nemmeno agitato come
prima.
Sul sedile posteriore della jeep, Rosamund guardò
Thea e le strinse la mano.
148
«Non ti arrabbiare», sibilò, agguerrita come sempre.
«Sei arrabbiata? Mi dispiace. Vuoi che uccida qualcuno
per te?»
«Non sono arrabbiata», sussurrò Thea, guardando al di
sopra della testolina arruffata di Rosamund. «Non preoccuparti».
Avevo deciso di applicare la strategia di ogni animale
in trappola. Aspetta il tuo momento. Non lottare finché
non vedi una reale possibilità di scappare.
«Ci vediamo domani», disse Eric mentre lei scendeva
dalla jeep. La sua voce era quasi una supplica.
«A domani», disse Thea. Non era ancora il momento
di andarsene. Li salutò con la mano finché la jeep non fu
lontana.
Quello era il momento. Si precipitò in casa, su per le
scale, dritto da Blaise.
«Aspetta un minuto», disse Blaise. «Spiegami bene.
Quindi stai dicendo che non hanno creduto a niente?»
«Esatto. Tutt’al più la mamma di Eric crede che nonna
sia un po’ suonata. Ma ci è mancato poco, per un attimo
ho creduto che volesse far internare la nonna o cose del
genere».
Erano sedute sul pavimento, vicino al letto di Blaise.
Blaise mangiava caramelle gommose e con l’altra mano
scriveva su un blocco giallo a righe, il tutto mentre ascoltava attentamente il suo racconto.
Perché Blaise era così. Poteva essere vanitosa ed egocentrica, litigiosa, irascibile, pigra, crudele con gli umani,
e in generale non era facile vivere con lei, ma per la famiglia avrebbe fatto qualsiasi cosa. Era una strega.
Mi dispiace di aver detto che un po’ potresti assomigliare a Maya, pensò Thea.
149
«È colpa mia», disse ad alta voce.
«Sì, lo è», replicò Blaise, continuando a scrivere.
«Avrei dovuto trovare un modo per tenerlo lontano
all’inizio».
Ma, ovviamente, era colpa di Blaise se non l’aveva
fatto. Aveva pensato che Eric fosse più al sicuro con lei
che con Blaise. Aveva pensato che in qualche modo… in
qualche modo…
Le cose avrebbero funzionato. Ecco. C’era sempre stata, in fondo al suo cuore, una segreta speranza di un possibile futuro con Eric. Un posticino nascosto nel suo animo in cui conservava l’illusione che tutto potesse andar
bene.
Ma adesso doveva affrontare la realtà.
Non c’era futuro.
L’unica cosa che poteva dare a Eric era la morte. Ed
era tutto ciò che lui poteva dare a lei. Lo aveva capito con
un’improvvisa e terribile intuizione quando aveva visto la
madre di Eric in camera.
Non c’era modo che potessero stare insieme senza essere scoperti. Anche se fossero fuggiti, un giorno, da
qualche parte, il Popolo delle Tenebre li avrebbe trovati.
Sarebbero stati portati al cospetto del Concilio del Mondo delle Tenebre, i vampiri e le streghe più anziani. E la
legge avrebbe seguito il suo corso...
Thea non aveva mai visto un’esecuzione, ma ne aveva
sentito parlare. E se gli Harman avessero provato a fermare il Concilio, sarebbe iniziata una guerra. Streghe
contro vampiri. Forse persino streghe contro streghe. Poteva significare la fine di tutto.
«Quindi pare che non dobbiamo uccidere la madre»,
disse Blaise, aggrottando le sopracciglia mentre studiava
i suoi appunti. «D’altro canto però, se uccidiamo i ragaz-
150
zi, la madre sarà disperata e potrebbe trovare un legame.
Perciò, per essere sicure…».
«Non possiamo uccidere nessuno», disse Thea. La sua
voce era flebile ma decisa.
«Non intendevo noi due. Chiamerò uno dei nostri cari
cugini vampiri. Ash… dovrebbe trovarsi da qualche parte
sulla costa occidentale, vero? O Quinn, gli piacciono
queste cose. Un morsetto veloce, un po’ di sangue…»
«Blaise, non lascerò che i vampiri uccidano Eric. O
qualcun altro», aggiunse prima che Blaise potesse aprire
bocca. «Non è necessario. Nessuno deve morire».
«Allora hai un’idea migliore?».
Thea guardò la statuetta di Iside, la Regina delle Dee
egiziane, sulla scrivania. «Io… non lo so. Ho pensato alla
Coppa del Lete. Fare in modo che si dimentichi di me.
Ma la cosa potrebbe destare sospetti – un’intera famiglia
con un vuoto di memoria. E i ragazzi a scuola si chiederebbero perché Eric non ricorda più il mio nome».
«Vero».
Thea fissò la luna incastrata tra le corna dorate di Iside. La sua mente, che aveva lavorato con freddezza e razionalità, aiutandola a sopravvivere, si era bloccata. Doveva esserci un modo per salvare Eric e la sua famiglia –
altrimenti, la sua stessa vita non avrebbe più avuto senso.
Poi ci arrivò.
«La soluzione migliore, credo», disse lentamente, perchè le procurava quasi un dolori fisico, «sarebbe che Eric
smettesse di interessarsi a me. Che si innamorasse di
un’altra».
Blaise si rimise a sedere. Allungò la caramella gommosa con le sue unghie lunghe ed eleganti. Ne mangiò un
pezzetto.
«Ti ammiro», disse. «Molto premurosa».
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«Non tu», replicò Thea a denti stretti. «Hai capito?
Un’umana. Se si innamora di un’altra ragazza mi dimenticherà senza bisogno di bere nessuna coppa. Nessuno
sparirà né avrà amnesie; nessuno si insospettirà».
«Ok. Anche se mi sarebbe piaciuto metterlo alla prova. Ha una grande forza di volontà, credo che avrebbe resistito per un po’. Sarebbe stata una bella sfida».
Thea ignorò la sua osservazione. «Ho ancora un po’
del suo sangue. La domanda è: hai conservato qualcosa,
qualche incantesimo d’amore che gli faccia perdere completamente la testa?».
Blaise mangiò un altro pezzetto di caramella gommosa. «Ovviamente». Spalancò gli occhi verdi. «E, ovviamente, è un incantesimo proibito».
«Lo immaginavo. Blaise, ormai sono la principessa
degli incantesimi proibiti. Uno in più non ha importanza.
Ma lo realizzerò io, non voglio metterti nei guai».
«Non ti piacerà. Avrai bisogno della pietra di bezoar
presa dallo stomaco di uno stambecco, e si dà il caso che
ne abbia presa una quando abitavamo da zia Gerdeth».
Gli stambecchi erano una specie a rischio. Ma tanto
quello era già morto. «Lo farò io», disse decisa Thea.
«Ci tieni proprio a lui, vero?»
«Sì», sussurrò Thea. «Penso ancora che siamo anime
gemelle. Ma…».
Rinunceresti a tutto?
«Non voglio causare la sua morte. O una guerra tra gli
Harman e il resto del Mondo delle Tenebre. E se devo rinunciare a lui, lo farò fino in fondo, assicurandomi che
sia al sicuro con qualcun’altra che lo ami».
«Hai già in mente qualcuna?»
«Si chiama Pilar». Thea guardò sua cugina. «Blaise?
Quando Luke ti ha chiesto cosa volevi, e tu gli hai rispo-
152
sto “quello che non posso avere”… che cosa intendevi
dire?».
Blaise reclinò la testa all’indietro e fissò il soffitto. Poi
abbassò lo sguardo. «Le persone desiderano forse ciò che
possono avere?»
«Io… non lo so».
Blaise si strinse le ginocchia e vi appoggiò il mento.
«Se possiamo avere una cosa, in realtà non la vogliamo
più. Perciò c’è sempre qualcosa che desideriamo e non
possiamo avere… e forse questo è un bene».
A Thea non sembrava un bene. Sembrava una lezione
di vita di uno di quei terribili programmi educativi che
dovrebbero renderti più matura.
«Facciamo l’incantesimo», disse.
153
Capitolo 13
«S
ai, probabilmente ti amava solo per la radice di
eupatoria», disse Blaise.
Thea, seduta nel laboratorio di chimica vuoto, alzò lo
sguardo. Era l’intervallo, e quello era il posto più tranquillo di tutta la scuola. «Grazie, Blaise. È proprio quello
di cui avevo bisogno».
Però forse era vero. Aveva quasi dimenticato di avere
usato un incantesimo per conquistarlo, all’inizio.
Questo poteva esserle d’aiuto, si disse. Se avesse potuto pensare che nulla era stato autentico, non ne avrebbe
sofferto.
Ma aveva ancora la sensazione di essere racchiusa in
un blocco di ghiaccio.
«L’hai preso?»
«Certo». Blaise gettò un anello sul tavolo. «Le ho
chiesto se potevo vederlo, poi ho fatto finta che mi fosse
caduto fra i cespugli. Lo sta ancora cercando».
Thea prese dallo zaino l’incantesimo di unione.
Due bambole anatomicamente perfette, modellate con
la cera blu che Blaise usava per i gioielli. Meravigliose
piccole creature: Blaise era un’artista. Il maschio conteneva il Kleenex imbevuto del sangue di Eric e un singolo
capello color sabbia che Thea si era trovata su una spalla.
Thea mise l’anello di turchese di Pilar intorno ai piedi
della femmina e lo legò con un filo rosso. Allungò una
mano.
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Blaise tirò fuori dal suo zaino una bottiglietta esagonale chiusa da un turacciolo. Il liquido che conteneva era un
miscuglio di cose disgustose, inclusa la pietra di bezoar
macinata. Thea trattenne il respiro mentre versava il tutto
sulle due figurine: immediatamente dalla cera si levò un
denso fumo.
«Ora legale insieme», disse Blaise, tossendo ed agitando la mano davanti al viso per respirare.
«Lo so». Thea prese un nastrino scarlatto lungo più di
due metri e cominciò ad avvolgerlo intorno alle bambole.
Le fasciò come due mummie. Piegò ad anello il capo restante.
«Ed ecco qua», disse Blaise. «Uniti fino alla morte.
Congratulazioni. Vediamo, ora sono le dieci e un quarto,
avrà dimenticato la tua esistenza alle… diciamo, dieci e
sedici». Si stiracchiò e si passò le mani fra i capelli morbidi, una cascata di acqua nera.
Thea cercò di sorridere.
Il dolore era insopportabile. Era come se una parte del
suo corpo le fosse stata mozzata. Aveva la sensazione
che la pelle fosse carne viva e sanguinante e non riusciva
a concentrarsi su cose come il francese o la trigonometria.
Doveva esserci qualcosa di più nella vita. Andrò da
qualche parte e farò qualcosa per gli altri; lavorerò nei
Paesi del terzo mondo o cercherò di salvare le specie in
via di estinzione.
Ma pensare a future opere pie non eliminava il dolore.
Né la sensazione che una volta finita tutta quella storia
sarebbe diventata definitivamente insensibile e non sarebbe mai più stata felice.
E tutto questo per un umano…
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Non ci riusciva più. Ormai le era impossibile tornare
al suo vecchio modo di pensare. Forse gli umani erano
diversi, ma erano sempre persone. Non valevano meno
delle streghe. Erano solo diversi.
Riuscì ad arrivare alla fine delle lezioni senza imbattersi in Eric, anche se fu costretta a sgattaiolare per i corridoi dopo il suono della campana e arrivare in classe in
ritardo. Stava andando alla lezione di storia, che anche
Dani seguiva, quando andò praticamente a sbattere contro Pilar.
«Thea!».
Nella sua voce c’era una certa sorpresa. Thea alzò lo
sguardo.
Incontrò due occhi color ambra incorniciati da folte
ciglia nere. Pilar la guardava in modo molto strano.
Ti stupisci della tua buona sorte?, pensò Thea. Eric ti
si è già dichiarato? «Che c’è», chiese.
Pilar esitò, poi scosse la testa e si allontanò.
Thea si affrettò a raggiungere l’aula.
«Thea!», la chiamò Dani.
Le parlavano tutti con lo stesso tono meravigliato.
«Dove sei stata? Eric ti sta cercando dappertutto».
Certo, avrei dovuto immaginarlo. Blaise si sbagliava:
non riuscirà a dimenticarmi e ad andarsene. È un gentiluomo, me lo verrà a dire.
«Posso venire a casa con te?», chiese a Dani tristemente. «Ho bisogno di un po’ di tranquillità».
«Thea…», Dani la trascinò in un angolo e la scrutò
con occhi ansiosi. «Eric vuole vederti sul serio… ma cosa c’è che non va?», bisbigliò. «C’entra Suzanne? La
vecchia palestra è sempre chiusa, vero?»
156
«Non ha niente a che fare con lei». Stava per chiederle
di nuovo di andare via quando una sagoma alta e slanciata apparve sulla porta.
Eric.
Andò subito verso Thea.
I ragazzi che stavano intorno alla cattedra li guardarono. L’insegnante li fissò. Thea si sentiva un fenomeno da
baraccone.
«Dobbiamo parlare», disse Eric con voce piatta.
Non l’aveva mai visto così. Era pallido, con lo sguardo vitreo, il viso scavato. Sembrava che non dormisse da
una settimana.
E aveva ragione. Dovevano parlarne e farla finita. Doveva dirgli che era tutto a posto, o non sarebbe mai riuscito a lasciarla.
Posso farcela.
«Da qualche parte dove possiamo discutere in pace»,
gli disse Thea.
Lasciarono Dani e attraversarono il campus, superando la vecchia palestra col nastro giallo della polizia che
penzolava. Attraversarono il campo da football. Thea non
sapeva dove stessero andando, e sospettava non lo sapesse neanche Eric: semplicemente continuarono a camminare finchè non furono lontani.
Il verde curato dei prati si tinse di giallo, poi lasciò
posto al marrone, e alla fine al deserto. Thea si strinse le
braccia al corpo, e pensò che la temperatura si era abbassata moltissimo nel giro di una settimana e mezza.
L’estate era finita sul serio.
E ora ne parleremo, pensò quando Eric si fermò. Ok,
non ci devo pensare, devo solo dire le frasi giuste. Si costrinse a guardarlo.
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Lui le rivolse uno sguardo sofferente e tormentato e
disse: «Voglio che tu la smetta».
Buffa scelta di parole. Forse intendeva: «Voglio lasciarti, non vederti più». Farla finita con quello strazio.
Non riusciva a capire, così chiese solo: «Cosa?»
«Non so cosa stai combinando», le rispose, «ma voglio che tu la smetta. Adesso».
I suoi occhi verdi erano decisi. Non chiedevano scusa,
ma pretendevano qualcosa da lei. Il tono di voce era piatto.
Improvvisamente Thea ebbe la sensazione che le cose
le stessero sfuggendo di mano. Le venne la pelle d’oca.
Presa alla sprovvista, disse: «Io… di che parli?»
«Sai benissimo di cosa parlo». La guardava ancora
dritto negli occhi.
Thea fece segno di no con la testa.
Lui alzò le spalle, come a dire che se l’era cercata.
«Qualunque cosa tu stia facendo», le disse scandendo
chiaramente ogni sillaba, «per fare in modo che mi piaccia Pilar, devi piantarla. Non è giusto nei suoi confronti.
È turbata perché mi sto comportando da pazzo. Ma io
non voglio stare con lei. È te che amo. E se vuoi liberarti
di me, dimmelo, ma non cercare di farmi piacere
un’altra».
Thea ascoltò tutto il discorso come se stesse volando a
molti metri da terra. Il cielo e il deserto sembravano troppo luminosi, non erano caldi, solo splendenti. Mentre la
sua mente girava in tondo come Madame Curie nella
gabbia, riuscì a replicare: «Come potrei mai aver fatto
qualcosa… per farti piacere Pilar?».
Eric si guardò intorno, individuò una roccia, e andò a
sedercisi sopra. Per quasi un minuto restò a guardarsi le
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mani. Alla fine alzò lo sguardo, aveva un’espressione
impotente.
«Dacci un taglio, Thea», le disse. «Mi credi davvero
così stupido?»
Oh.
«Oh». Poi pensò che non poteva restarsene lì come
una scema. L’hai già ingannato una volta. Sei riuscita a
fargli credere di non essere stato morso da un serpente.
Per amore della Dea Terra, qualsiasi cosa stia pensando
adesso, puoi fargli cambiare idea.
«Eric, siamo stati tutti sotto pressione…».
«Oh, ti prego, non provarci neanche». Sembrava che
si rivolgesse ai fichi d’India lì accanto, studiandone le
spine orribili come se progettasse di saltarci in mezzo.
«Per favore, non ci provare».
Fece un profondo respiro e parlò con ponderata calma.
«Tu incanti i serpenti e leggi il pensiero dei criceti. Curi
il morso di un serpente a sonagli semplicemente toccando
la ferita. Ti insinui nella mente delle persone. Prepari
potpourri magici e quella matta di tua cugina è la dea Afrodite». La guardò. «Ho scordato qualcosa?».
Thea individuò un’altra roccia e si avviò in quella direzione muovendosi come un automa. Si mise a sedere.
Era sconvolta, alienata, e non riusciva a connettere. Sentiva solo il proprio respiro, nient’altro.
«Ho la sensazione», disse Eric, guardandola coi suoi
occhi verdi, «che voi discendiate sul serio da Ecate, la
vecchia Regina delle Streghe. Sbaglio?».
«Pensi di aver vinto qualcosa?», Thea ancora non riusciva a pensare. Non riusciva a rispondere nulla di intelligente. Poteva solo farfugliare.
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Lui restò zitto e sorrise, un sorriso triste e sarcastico, il
primo che gli avesse visto fare quel giorno. Poi il sorriso
si spense. «È così, vero?», le disse semplicemente.
Thea guardò il deserto in lontananza, fino alla maestose rocce. Lasciò che lo sguardo si perdesse nella vastità,
finchè il panorama non divenne solo una distesa di un
verde bruciato. Poi si sfiorò il naso con due dita.
Stava per fare una cosa per cui i suoi antenati
l’avrebbero condannata, una cosa che nessuno di coloro
con cui era cresciuta avrebbe mai potuto capire.
«È vero», mormorò.
Lui sospirò, insignificante e sperduto nella vastità del
deserto.
«Da quanto l’hai capito?», gli disse.
«Non… non so bene. Cioè, credo di averlo sempre saputo in qualche modo. Ma non era possibile, e tu non volevi che lo sapessi. Quindi io non lo sapevo». Una sorta
di eccitazione s’era insinuata nel suo sconforto. «È vero,
allora. Puoi fare delle magie».
Dillo, si fece forza Thea. Tutto il resto lo hai già fatto.
Pronuncia quella parola davanti a un umano.
«Sono una strega».
«Una Donna del Focolare, hai detto. È questo che mi
ha raccontato Roz».
A quelle parole Thea si riscosse, piena di orrore. incredula. «Eric… non puoi parlare di queste cose con Roz.
Non capisci. La uccideranno».
Lui non sembrò sconvolto come si sarebbe aspettata.
«Sapevo che avevi paura di qualche cosa. Pensavo che
temessi solo che quella gente potesse fare del male a te, e
a tua nonna».
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«Lo faranno; mi uccideranno. Ma uccideranno anche
te e Roz, tua madre e qualsiasi altro umano, se crederanno di essere stati scoperti…».
«Chi sono loro, esattamente?».
Lo guardò, annaspando per un attimo alla ricerca delle
parole, poi tradì la sua stirpe una volta per sempre.
«Il Mondo delle Tenebre».
«Ok», replicò lui lentamente, mezz’ora più tardi. Erano seduti su una roccia, uno accanto all’altra. Non si toccavano, ma tutto il corpo di Thea sentiva quella vicinanza.
«Ok, quindi in parole povere i discendenti di Maya
sono lamie e quelli di Hellewise sono streghe. Insieme
formano questa grande organizzazione segreta, il Mondo
delle Tenebre».
«Sì». Thea doveva combattere il proprio istinto, che la
spingeva a sussurrare. «Non si tratta solo di lamie e di
streghe, però. Ci sono mutaforma e vampiri e lupi mannari e altre creature. Tutte le razze da cui quella umana si
tiene lontana».
«Vampiri», mormorò Eric al fico d’India, con gli occhi che si facevano di nuovo vitrei. «È una cosa incredibile, vampiri veri. Non so perché, è una conseguenza più
che logica…». Guardò Tea, lo sguardo di nuovo limpido.
«Ascolta, se avete tutti questi poteri soprannaturali, perché non prendete il potere?»
«Non siamo abbastanza numerosi», disse Thea. «E
“voi” siete troppi. I nostri poteri non sarebbero sufficienti».
«Ma, ascolta…».
«Vi riproducete molto più in fretta, avete più figli… e
ci uccidete quando riuscite a trovarci. Le streghe erano
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sull’orlo dell’estinzione, prima di unirsi con le altre razze
e formare il Mondo delle Tenebre. Ed ecco perché la legge del Mondo delle Tenebre è così severa riguardo alla
necessità di proteggere dagli umani il nostro segreto».
«Ed ecco perché hai cercato di passarmi a Pilar», disse
Eric.
Thea poteva percepire l’intensità dello sguardo di Eric. Si concentrò sui rovi ai suoi piedi. «Non volevo che
morissi. Non volevo morire neanch’io».
«E davvero ci uccideranno perché ci amiamo?»
«Senza pensarci un attimo».
Le toccò la spalla. Thea avvertì il calore che si sprigionava dalla sua mano e dovette sforzarsi per non tremare. «Allora manterremo il segreto», disse.
«Eric, non è così semplice. Non capisci. Non c’è nessun posto dove potremmo andare, non possiamo nasconderci da nessuna parte. Il Popolo delle Tenebre è ovunque».
«E seguono tutti le stesse regole».
«Sì. È quello che permette loro di sopravvivere».
Lui fece un profondo respiro, poi disse con voce roca:
«Dev’esserci un modo».
«Anch’io ho voluto crederlo… per un po’». Le tremava la voce. «Ma dobbiamo affrontare la realtà. La sola
possibilità che abbiamo di sopravvivere è andarcene ognuno per la sua strada. E tu devi cercare con tutte le tue
forze di dimenticare me e tutto quello che ti ho detto».
Adesso tremava sul serio, e aveva le lacrime agli occhi. Ma strinse i pugni ed evitò di guardarlo.
«Thea…».
Le lacrime cominciarono a scendere sulle guance della
ragazza. «Non voglio essere la causa della tua morte!».
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«E io non posso dimenticarti! Non riesco a smettere di
amarti».
«Be’, magari anche questo è un incantesimo», rispose
lei, tirando su col naso. Le lacrime ormai sgorgavano copiose e cadevano sulla roccia. Eric si guardò intorno, poi,
non trovando nulla di meglio, le asciugò le guance col
pollice.
Lei si ritrasse. «Ascoltami! Quando hai elencato tutto
quello che ho fatto, hai saltato una cosa. Faccio incantesimi d’amore anche per me. Ne ho fatto uno su di te, ecco
perché all’inizio ti sei innamorato».
Eric non sembrò colpito. «Quando?»
«Quando l’ho fatto? Il giorno che ti ho invitato al ballo».
Lui rise.
«Tu…».
«Thea», scosse la testa. «Ascolta», le disse con gentilezza, «mi sono innamorato di te prima di allora. È successo quando eravamo qui col serpente. Ci siamo guardati e… e… ho visto un alone che ti circondava ed eri la
cosa più bella del mondo». Scosse di nuovo la testa. «E
forse quella era magia, ma non si trattava di un sortilegio».
Thea si asciugò gli occhi con la manica. Ok, quindi
l’eupatoria non c’entrava niente. E comunque, sembrava
che tutti gli incantesimi d’amore gli rimbalzassero addosso: neanche le bambole avevano funzionato…
Improvvisamente si chinò per prendere lo zaino. «E
non capisco come mai questo non abbia funzionato»,
mormorò. Tirò fuori una trousse per il trucco, aprì la
lampo e prese due piccoli oggetti.
Le bambole erano ancora avvolte nel filo. A un primo
sguardo sembravano a posto. Poi Thea lo vide.
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Il maschio si era girato. Invece di trovarsi faccia a faccia con la femmina, le dava la schiena.
Il nastro scarlatto era ancora strettamente legato. Non
poteva assolutamente essere scivolato, non era possibile
che fosse successo per caso. Ma le bambole erano nella
trousse, e la trousse era rimasta nel suo zaino per tutto il
giorno.
Eric stava guardando intensamente le bambole. «Quello è l’anello di Pilar. Ehi, è questo l’incantesimo su me e
Pilar? Posso vederlo?»
«Oh, perché no?», sussurrò Thea. Era di nuovo confusa.
Quindi non poteva essere stato un caso, e nessun umano avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. E una
strega neppure.
Forse…
Forse c’era una magia più potente degli incantesimi.
Magari era la forza delle anime gemelle, e se due persone
erano destinate a stare insieme, niente avrebbe potuto dividerle.
Eric stava svolgendo goffamente il nastro. «Restituirò
l’anello a Pilar», disse. Disfece l’incantesimo d’unione e
rimise con delicatezza i vari componenti nella trousse.
Poi la guardò.
«Ti ho sempre amato», le disse. «Ho solo una domanda…». S’interruppe e tornò a essere il timido Eric che
conosceva. «E la domanda è: mi ami?», concluse alla fine. La sua voce era dolce, ma la guardava senza battere
ciglio.
Forse ci sono delle cose che non si possono combattere…
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Lei si costrinse a guardarlo. Ma non riusciva a metterlo a fuoco, le immagini le si sdoppiavano davanti agli occhi.
«Ti amo», sussurrò. «Non so cosa succederà, ma ti
amo».
Caddero lentamente come in un sogno, l’una nelle
braccia dell’altro.
«C’è un problema», disse Thea un po’ dopo. «Oltre a
tutti gli altri. La settimana prossima devo fare una cosa e
ho bisogno che tu mi dia un po’ di tempo».
«Che cosa?»
«Non posso dirtelo».
«Devi dirmelo», rispose lui calmo, il suo respiro sui
suoi capelli. «Adesso devi dirmi tutto».
«È roba magica ed è pericolosa…». Si accorse del suo
errore un secondo troppo tardi.
«Che vuol dire pericolosa?». Eric si tirò in piedi. Il
suo tono le fece capire che quell’intervallo di serenità era
finito. «Se pensi che ti lascerò fare da sola qualcosa di
pericoloso…».
Alla fine riuscì ad averla vinta. Era bravo a sfinire le
persone – perfino meglio di sua sorella – e Thea non sapeva dirgli di no. Gli raccontò di Suzanne Blanchet.
«Una strega morta», commentò lui.
«Uno spirito. E molto arrabbiato».
«E tu pensi che tornerà».
«Penso non si sia mai allontanata. Forse è rimasta nei
paraggi della vecchia palestra, cosa che non le è servita a
niente perché nessuno è andato ad aggredire quei fantocci. Ma se la riaprono per la festa di Halloween…».
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«Sarà piena di umani che affolleranno quegli stand e
le ricorderanno quello che odia. Può scrollarseli di dosso
come un cane si libera delle pulci».
«Qualcosa del genere. Credo potrebbe essere davvero
pericoloso. Perciò dobbiamo cercare di attirarla da qualche altra parte e rispedirla da dove è venuta».
«E come hai intenzione di fare?»
«Non so». Thea si posò una mano sulla fronte. Il sole
calava oltre le rocce e le ombre del pomeriggio si allungavano sul deserto.
«Hai già un piano», disse semplicemente Eric.
Non tu, pensò Thea. Mi sono ripromessa di non servirmi di te. Neanche per salvare delle vite.
«Hai un piano che credi sia pericoloso per gli umani.
E per me, dato che ho intenzione di aiutarti».
Non mi servirò di te…
«Rendiamo le cose più semplici per tutti. Tu sai che
non te lo lascerò fare da sola. Potremmo prenderlo come
un dato di fatto, e cominciare da qui».
Questo è il ragazzo matto che ignora i morsi di un serpente e affronta un folle armato solo di un bicchiere di
punch, ricordò a se stessa. Davvero pensavo di convincerlo a non aiutarmi?
Ma se dovesse succedergli qualcosa…
Di nuovo quella voce. Thea non la capiva, ma non le
piaceva affatto.
Rinunceresti a tutto?
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Capitolo 14
U
n’altra settimana passò più o meno tranquillamente. Nonna Harman tornò a casa, la sua tosse era migliorata. Non notò niente di diverso in Thea.
Ormai faceva notte presto, e a scuola tutti parlavano di
feste e costumi. L’aria era più fredda e venne comunicato
l’annuncio che per la notte di Halloween la vecchia palestra sarebbe stata riaperta.
Thea venne a sapere che Randy Marik era stato trasferito in un ospedale psichiatrico, in terapia intensiva. Pareva facesse dei progressi.
Ogni giorno lei ed Eric lavoravano al loro piano.
Il solo momento davvero emozionante fu la sera in cui
Thea entrò in camera, si mise a sedere sul letto di Blaise,
e le disse: «Non lo fermano neanche le pallottole».
«Che?», Blaise smise di spalmarsi la crema e alzò gli
occhi.
«Voglio dire, gli incantesimi non lo fermeranno. Eric.
Gli rimbalzano addosso. Te lo dico perché prima o poi
scoprirai che non sta con Pilar».
Blaise richiuse il tubetto di scatto. Restò a guardarla
per un minuto buono, poi disse secca: «Di che stai parlando?».
Thea aveva perso ogni voglia di scherzare. Abbassò
gli occhi a terra. «Dico che siamo anime gemelle», rispose piano. «E che non posso evitarlo. Davvero, non c’è
niente, niente, che io possa fare».
167
«Non riesco a crederci, dopo tutto quel…».
«Vero. Dopo tutto quel lavoro. E dopo che io ho provato e riprovato a farla finita, perché sono spaventata a
morte. Ma non c’è modo di combattere questa cosa, Blaise. È quello che sto cercando di spiegarti. Devo trovare
un modo per accettare la situazione». Guardò la cugina:
«Ok?»
«Sai che non è ok. Non lo è proprio per niente».
«Quello che sto cercando di dirti, credo, è questo: per
favore, prometti che non proverai a ucciderlo e che non ci
tradirai. Non sopporterei di trovarmi di nuovo contro di
te. E non posso smettere di infrangere la legge».
Blaise scagliò il tubetto contro la cassettiera.
«Ti senti bene, Thea?», le chiese preoccupata. «Ti stai
comportando in modo molto…».
«Fatalista?»
«Fatalista e assolutamente inquietante».
«Sto bene. È solo che… non so cosa succederà, ma
sono, direi… calma. Farò del mio meglio. Eric farà del
suo meglio. E a parte questo, non c’è nulla di certo».
Blaise la fissò per un altro minuto, gli occhi grigi che
la scrutavano. Poi scosse la testa. «Non ti tradirò. Sai che
non lo farei mai. Siamo sorelle. E quanto a provare a ucciderlo…», alzò le spalle, cupa. «Probabilmente non ci
riuscirei. Quel ragazzo è impossibile».
«Grazie, Blaise». Thea le sfiorò il braccio.
Blaise le accarezzò la mano con le sue unghie rosse,
solo per un momento. Poi si appoggiò alla testiera e sistemò più comodamente i cuscini con un colpetto.
«Non dirmi niente però, va bene? Me ne lavo le mani
di voi due e non voglio sapere che succede. Oltretutto, ho
già i miei problemi. Devo decidermi fra una Maserati e
una Karmann Ghia».
168
Halloween.
Thea guardava il mondo avvolto nell’oscurità dalla
sua finestra. Nel vicolo non c’erano molti bambini, ma
sapeva che erano tantissimi quelli che si aggiravano per
la città. Gnomi e fantasmi e streghe e vampiri: tutti finti. I
vampiri veri se ne stavano a casa seduti davanti al caminetto, o magari partecipavano a party esclusivi, e se la ridevano.
E le vere streghe si preparavano per i loro Circoli di
Samhain.
Thea indossò una veste bianca senza maniche, molto
semplice. Strinse una morbida cintura intorno alla vita e
con un capo formò un cappio rivolto verso l’alto, facendoci passare dentro l’altro capo per tre volte. Il Nodo di
Iside. Le streghe lo facevano da quattromila anni.
Fece un respiro e guardò di nuovo fuori. Goditi la pace finchè puoi, si disse. Sarà una notte movimentata.
La jeep di Eric si fermò nel vicolo. Si sentì un unico
colpo di clacson.
Thea afferrò lo zaino che aveva nascosto sotto il letto.
Era pieno di roba. Quercia, frassino, schegge di quassia,
cardo benedetto, radice di mandragola, e il residuo indurito sul fondo del braciere di bronzo, che era riuscita a
grattare a fatica usando uno dei coltelli da lavoro di Blaise. Un timbro di legno, anche quello inciso con gli utensili di Blaise. E una fialetta di onice con tre preziose gocce della pozione d’invocazione prese dalla bottiglia di
malachite.
Corse verso le scale.
«Ehi, vai già via?», le chiese Blaise, uscendo dal bagno. «Manca – quanto? – un’ora e mezza prima del Circolo».
169
Blaise era bellissima: solo in quel periodo era meravigliosamente, pienamente se stessa. Anche la sua tunica
nera era senza maniche. I capelli sciolti le arrivavano ai
fianchi, ed erano intrecciati con piccole campanelle. Le
braccia risaltavano candide e splendide contro il nero dei
capelli e della veste. Era scalza, e portava una cavigliera.
«Devo uscire di corsa a fare una cosa, prima», le rispose Thea. «Non chiedermi niente».
Blaise ovviamente non sapeva cosa stavano architettando Thea e Eric. E neanche Dani. Era meglio così.
«Thea…». Blaise si fermò in cima alle scale e la
chiamò un attimo prima che si precipitasse fuori. «Sta’
attenta!».
Thea la salutò con la mano.
I sedili posteriori della jeep erano pieni di legna.
«Ho pensato che fosse meglio portarne un altro po’,
per prudenza», disse Eric prendendole lo zaino e buttandolo in macchina. Poi aggiunse, cambiando completamente tono: «Sei… fantastica… con quel vestito».
Gli sorrise. «Grazie. È tradizionale. Anche tu sei carino».
Eric era vestito come un soldato francese di Ronchain
del diciassettesimo secolo, perlomeno da quanto avevano
potuto capire dalle xilografie nei vecchi libri.
Si inoltrarono nel deserto, superando le alte rupi brulle, allontanandosi dalla strada maestra e immergendosi
fra gli arbusti, finchè non trovarono il posto. Non era che
un piccolo avvallamento circondato da colonne di arenaria rossa. Non somigliavano per niente ai monoliti di
Stonehenge, erano molto più somiglianti – così bozzute e
storte – a torri di plastilina fatte da un bambino che poi
aveva cercato di buttarle giù. In ogni caso, servivano allo
scopo.
170
Si trattava di un luogo che avevano scoperto da soli, e
Thea ne era molto orgogliosa.
«Il fuoco brucia ancora», disse. «Bene».
Era rimasto acceso al centro del cerchio per tutti gli
ultimi tre giorni. Thea sperava che avrebbe incuriosito
Suzanne, allontanandola dalle persone riunite nella vecchia palestra. E a quanto pare aveva funzionato.
Non solo il fuoco, naturalmente. Dovevano attirarla
anche i tre fantocci che giacevano a terra, legati ai pali.
«Anche i nostri ragazzi sembrano a posto», commentò
Eric. Raccolse il fantoccio più piccolo e lo spolverò.
Quando piantò il bastone in un buco del terreno, per farlo
stare in piedi, il manichino assunse vagamente l’aria di
uno spaventapasseri.
Uno spaventapasseri vestito con una tunica nera legata
da un nodo di Iside. Con un cartello appeso al collo: LUCIENNE.
L’altro fantoccio piccolo portava un cartello con su
scritto: CLEMENT. Quello grande, invece, ne aveva uno
con scritto: SUZANNE.
«Ok», disse Thea quando ebbero scaricato la legna, lasciando il suo zaino sulla jeep. «Ora ricordati di non fare
nulla finchè non torno io, va bene? Niente di niente. E se
ritardo di qualche minuto, aspettami e basta».
Lui smise di annuire. «La festa di Halloween inizia alle nove. Se non sei qui alle nove in punto, potrei…».
«No. Non toccare nulla, non fare nulla».
«Thea, potremmo perderla. E se lei pensa che qui non
succede niente e quindi va alla festa…».
«Non farò tardi», replicò Thea semplicemente. Era
l’unico modo per chiudere la discussione. «Ma non bruciare le streghe prima che io sia qui a tracciare il cerchio.
Ok?»
171
«Buona fortuna», disse lui.
Con quegli abiti esotici era bello e misterioso. Diverso
dal solito. Si baciarono sotto la luna, piena per metà.
«Sta’ attento», sussurrò Thea, riuscendo alla fine a
trovare la forza per staccarsi da lui.
«Torna sana e salva», rispose lui bisbigliando. «Ti
amo».
Tornò in città con la jeep, per partecipare all’incontro
delle vergini del Circolo del Crepuscolo.
Quell’anno si teneva in un club del Mondo delle Tenebre alla periferia sud della città. Sulla porta non c’era
nessuna targa, ma sul tappetino, fra due sorridenti zucche
di Halloween, era stata dipinta una dalia nera.
Thea bussò e la porta si aprì.
«Dani! Sei fantastica».
«Anche tu», le rispose Dani. Era vestita di bianco, con
una lunga e diafana veste a pieghe che le arrivava alle
caviglie, sembrava un’egiziana. Le trecce nere trattenute
sulla sommità del capo da un fermaglio d’argento le ricadevano sulle spalle, sulla schiena e le braccia. Era una
bellissima regina Iside. «Non hai indossato un costume?», le chiese.
«Io e Blaise dovremmo essere Maya e Hellewise», replicò Thea. La verità era che si sentiva più a suo agio con
il normale vestito del Circolo, e Blaise sapeva di essere
magnifica con il suo.
«Be’, scendi. Sei l’ultima», le disse Dani prendendola
per mano.
Scesero una rampa di scale e raggiunsero una stanza
sotterranea. Aveva un’aria dismessa, disordinata, con
cassette rovesciate a mo’ di sedili, e fili di lucette colorate appese fra i pilastri di cemento. Delle sedie metalliche
erano state spostate di lato.
172
«Ciao Thea! Ehi! Felice incontro!», la chiamò qualcuno. Thea girò per la sala dispensando sorrisi e abbracci.
«Felice Samhain», continuava a dire. «Unità».
Per quei pochi minuti si dimenticò di quello che doveva accadere quella notte. Era così bello rivederli tutti insieme, tutti i suoi amici dei Circoli estivi.
Kishi Hirata era vestita da Amaterasu, la dea del sole
giapponese, di oro e arancio. Alaric Breedlove – che frequentava il secondo anno alla Lake Mead High – da
Tammuz il pastore, figlio della dea madre Ishtat. Claire
Blessingway da Donna che si Rinnova, dea navajo, con
un vestito decorato con turchesi e petali rossi. Nathaniel
Long da Herne, dio celtico della caccia, tutto di verde
con corna di cervo.
Quella sera gli umani indossavano costumi per mascherarsi. Le streghe invece li mettevano per riflettere la
propria interiorità: com’erano veramente, o come desideravano essere.
«Prendi, assaggia questo», disse Claire, porgendole un
bicchiere di carta. Dentro c’era una densa tisana rossa
con cannella e chiodi di garofano. «È ibisco. Una ricetta
di mio padre».
Qualcun altro stava offrendo dolcetti di pastafrolla a
forma di falce di luna. Thea ne prese uno. Era tutto così
accogliente, caldo, e lei sarebbe stata felicissima se avesse potuto semplicemente godersi la serata. Trascorrere un
normale Samhain. Festeggiare…
Ma Eric l’aspettava al buio e al freddo nel deserto. E
Thea faceva il conto alla rovescia.
«Ok gente, è ora di iniziare».
Lawai’a Ikua, una graziosa ragazza dalla corporatura
robusta con capelli che sembravano fatti di nylon nero,
era in piedi al centro della stanza. Indossava una tunica
173
rossa e una ghirlanda di fiori: Pele, la dea hawaiana del
fuoco, pensò Thea.
«Avanti, formiamo il cerchio. Bene, così. Chang Xi,
sei tu la più giovane adesso».
Una ragazza minuta con grandi occhi a mandorla si
aggregò timidamente agli altri. Thea non l’aveva mai vista prima, doveva aver compiuto sette anni dopo l’ultimo
Circolo d’estate. Era vestita di verde giada come Kuan
Yin, la dea cinese della compassione.
Paralizzata dalla tensione, prese un ramoscello di ginestra e spazzò l’area al centro del cerchio.
«Thea, tu occupati del sale».
Thea fu sorpresa e felice. Prese la ciotola di sale marino che Lawai’a le porgeva e percorse lentamente il perimetro del cerchio, spargendolo.
«Alaric, tu prendi l’acqua…».
Lawai’a s’interruppe, guardando in direzione delle
scale con aria stupita. Thea vide che anche gli altri si voltavano. Si girò a sua volta.
Due adulte, due Madri, stavano scendendo. Quando la
luce rischiarò i loro volti, Thea ebbe un sussulto.
Era zia Ursula.
Indossava un vestito grigio e aveva l’espressione tetra
che Thea conosceva tanto bene.
Nessuno nella stanza fiatò. Restarono immobili come
alberi a guardare le donne, finchè non furono ai piedi delle scale.
Interrompere un Circolo a metà era una cosa inaudita.
«Felice Samhain», disse Lawai’a esitante.
«Felice Samhain», rispose gentilmente zia Ursula, ma
senza sorridere. Come un’insegnante scontenta. «Spiacente di interrompervi, ci vorrà solo un minuto».
Il cuore di Thea cominciò a battere forte.
174
È solo la voce della coscienza che mi fa sentire in colpa, cercò di convincersi. Non possono avercela con me.
Ma era proprio così. E una parte di lei lo sapeva già
prima che zia Ursula passasse in rassegna il cerchio e dicesse: «Thea Sophia Harman».
Come se non sapesse chi sono, pensò Thea confusa.
Frenò il cieco impulso di superare la zia e correre in
strada. Ora capiva perché i conigli erano così stupidi da
lasciare un buon nascondiglio e correre alla cieca quando
un cane si avvicinava. Semplice panico, tutto qua.
Fece un passo avanti, fra Kishi che la fissava a sinistra
e Nat stupefatto a destra. Si sentiva tutti gli occhi addosso.
«Che succede?», chiese, cercando di sembrare meravigliata.
Zia Ursula la guardò dritto negli occhi, come a dire:
Lo sai.
Ma non aprì bocca, il che forse era anche peggio.
«Dani Naete Mella Abforth»
Oh, Ilizia, Dani no…
Dani stava uscendo dal cerchio. Teneva la testa alta,
orgogliosa, ma Thea le poteva leggere negli occhi la paura.
Si fece avanti, la veste di lino le ondeggiava intorno
alle caviglie, e si mise accanto a Thea.
Dani, mi dispiace…
«È tutto», disse zia Ursula. «Voialtri potete continuare
il vostro Circolo. Felice Samhain a tutti». E rivolgendosi
a Thea e Dani: «Voi verrete con me».
La seguirono in silenzio. Non c’era altro da fare. Una
volta fuori, nell’aria fresca della notte, Dani disse: «C’è
qualcosa… che non va?». Spostò lo sguardo da zia Ursu-
175
la all’altra donna, che era bassa, ma aveva un portamento
altero.
A Thea sembrava avesse un’aria familiare, poi capì. È
Nana Buruku. Del Circolo Interno.
Non è un affare di famiglia. Ci ha mandato a chiamare
il Circolo Interno.
«Dobbiamo parlare di un po’ di cose. Andiamo, così
potremo sistemare tutto in fretta», disse tranquilla Nana
Buruku, posando una mano color cannella sul braccio di
Thea. La vecchia Lincoln Continental era ferma lì fuori.
Nana Buruku si mise alla guida.
Sui sedili posteriori Dani e Thea si tenevano per mano. Le dita di Dani erano ghiacciate.
L’auto percorse le strade costellate di finti mostri e
fantasmi, fino a una grande casa simile a un ranch, con
alti muri di mattoni che nascondevano alla vista il giardino sul retro. La casa di Selene, pensò Thea, leggendo
«Lucna» sulla cassetta della posta.
Deve essere il posto in cui si riuniscono le vergini del
Circolo di Mezzanotte.
Zia Ursula scese dall’auto. Thea e Dani rimasero dentro con Nana Buruku. Dopo pochi minuti, la zia tornò
con Blaise.
Selene, vestita d’argento, e Vivienne, in nero, le seguirono fino alla strada. Erano serie e spaventate, non sembravano certo delle streghe pericolose.
Ma Blaise sì. Scalza, al freddo, le campanelle tintinnati, era rossa in viso e sembrava arrabbiata e sprezzante.
Aprì di scatto la portiera e si lasciò cadere sul sedile accanto a Thea, che le fece spazio.
«Che succede?», chiese quasi gridando. «Mi perderò i
dolcetti di mezzaluna, tutto quanto. Che Samhain è mai
questo?».
176
Thea non l’aveva mai ammirata come in quel momento.
«Torneremo in tempo», disse Dani, e la sua voce non
tremò, anche se aveva le dita fredde.
Che coraggiose sono tutte e due, pensò Thea. E io?
Ma nonostante tentasse con tutte le sue forze, non riusciva a emettere neppure un suono, aveva la gola serrata.
Si aspettava quasi che Nana Buruku imboccasse
l’autostrada e si dirigesse verso il deserto, verso i territori
di Thierry. Invece la Lincoln prese strade familiari e alla
fine si fermò nel vicolo dietro il negozio di nonna Harman.
Thea avvertiva su di sé lo sguardo interrogativo di
Dani. Ma non aveva idea di cosa stesse succedendo, e
aveva paura di guardarla in faccia.
«Forza», disse zia Ursula, e le fece entrare dal retro,
oltre la tenda di perline che conduceva al laboratorio.
Tutte le sedie degli studenti della nonna erano state disposte a formare un circolo approssimativo. C’erano alcune persone sedute e altre in piedi che parlavano tranquillamente, ma quando Thea fece il suo ingresso al seguito di Nana Buruku, s’interruppero tutti e la guardarono.
Thea spostò lo sguardo da un viso all’altro, le sembrava di essere precipitata in un sogno confuso e sconnesso.
Nonna Harman aveva un’aria molto severa e stanca. Madre Cibele, la Madre del Circolo Interno, come la nonna
ne era la Vegliarda, pareva ansiosa. Aradia, la Vergine,
col bel viso triste e serio.
Gli altri li riconobbe per averli visti due anni addietro.
Erano molto famosi, tutti li conoscevano. Rhys, Belfana,
Creon, Old Bob.
177
Zia Ursula e Nana Buruku erano le ultime due dei nove membri del Circolo.
Sembravano persone normali, impiegati o pensionati
molto svegli, come se ne incontrano tutti i giorni per
strada.
Non lo erano.
Si trattava della più grande concentrazione di talenti
magici di tutto il mondo. Fra le streghe erano i geni, i
prodigi, i saggi, i veggenti, i responsabili delle decisioni.
Erano il Circolo Interno.
E tutti loro stavano guardando Thea.
«Le ragazze sono arrivate», disse piano Madre Cibele
ad Aradia. «Sono al centro».
La nonna disse: «Bene, possiamo cominciare. Prendete posto tutti, per favore». Non era una richiesta, ma un
ordine. La nonna era la più anziana fra tutte quelle celebrità.
Ma non guardava Thea. E quella era la cosa più terribile, più spaventosa. Si comportava come se lei e Blaise
fossero delle sconosciute.
Si misero tutti a sedere, spostandosi fino a formare un
cerchio più ordinato. Portavano abiti di tutti i giorni, notò
Thea: completi, pantaloni e camicette. Nel caso di Aradia, jeans. Nel caso di Old Bob, una tuta sudicia.
Quindi non avevano neanche iniziato la loro cerimonia, quella sera. La questione era abbastanza importante
da saltare Samhain.
Era un processo.
Belfana spinse la sedia a rotelle di Creon fino a uno
spazio libero. Fu l’ultima a sedersi.
Mi hanno accerchiato, pensò Thea, terrorizzata.
Era la sua peggiore paura, quella che l’aveva spinta ad
allontanarsi da Eric nel deserto la prima volta che aveva
178
avvertito che erano anime gemelle. E ora l’incubo si era
avverato.
Sentiva il respiro spezzato di Dani, e il fioco tintinnio
delle campanelle di Blaise quando spostava il peso da un
piede all’altro.
«Bene», disse nonna Harman, con voce stanca ma
formale. «In nome della Terra, dell’Aria e del Fuoco, richiamo questo Circolo all’unità». Proseguì recitando
l’antica formula per le riunioni di deliberazione.
Quelle parole si fusero con il rombo del battito del
cuore nelle orecchie di Thea. Non aveva mai pensato che
essere completamente circondata da altre persone potesse
essere così terrificante. Dovunque guardasse vedeva
un’altra faccia indecifrabile. Si sentiva in trappola come
fra umani.
«Thea Sophia Harman», continuò la nonna, e
all’improvviso Thea ritrovò tutta la concentrazione. «Sei
sotto accusa…».
Seguì una pausa apparentemente eterna, anche se in
realtà durò meno di un attimo.
«…per aver fatto incantesimi proibiti in aperta disobbedienza alle leggi di Hellewise e di questo Circolo…».
Per un po’ Thea non riuscì a sentire altro che quelle
parole: «aver fatto incantesimi proibiti».
L’accusa restò sospesa, riecheggiò nell’aria. Parte di
lei continuava ad aspettare le altre, più terribili imputazioni: aver tradito i segreti del Mondo delle Tenebre e essersi innamorata di un umano. Ma non arrivarono.
«…invocato uno spirito dai luoghi estremi oltre il velo… aver unito due umani con un incantesimo d’amore
proibito…».
E poi la nonna lesse il nome di Blaise.
179
Blaise era accusata di aver creato una collana utilizzando materiali vietati e di aver unito due umani con un
incantesimo proibito.
Dani venne accusata di complicità nell’invocazione di
uno spirito dai luoghi remoti: un’accusa falsa, pensò
Thea con la testa che le girava.
Sentiva uno strano formicolio in tutto il corpo, dalle
piante dei piedi ai palmi delle mani, fino ai capelli. Era
paura… e qualcosa che assomigliava al sollievo.
Non lo sapevano. Non avevano scoperto la parte peggiore, altrimenti l’avrebbero già detto, no? E se io sto zitta, perché mai dovrebbero scoprirlo?
Poi spostò l’attenzione sulla nonna, che aveva finito di
leggere le accuse e ora stava parlando di nuovo con un
tono di voce normale. «E devo dire di essere delusa da
tutte e tre. Specie da te, Thea. Me lo sarei aspettato da lei,
naturalmente» – fece un cenno in direzione di Blaise, rivolgendosi al resto del Circolo – «la mia discendente che
oggi è vestita come la figlia cattiva di Ecate. Ma onestamente credevo che Thea avesse più buon senso».
E difatti sembrava delusa. E anche… ferita. Thea era
sempre stata la brava bambina, la ragazza d’oro, la più
giovane e promettente delle Donne del Focolare. Ora,
spostando lo sguardo da un viso all’altro, leggeva ovunque delusione.
Ho fallito; ho disonorato la mia stirpe. Mi vergogno
tanto…
Avrebbe voluto farsi piccola, piccola e scomparire.
Proprio allora ci fu un tintinnio argentino di campanelle. Blaise scuoteva i capelli neri. Aveva un’aria spavalda
e sprezzante, molto orgogliosa, e anche un po’ annoiata.
180
«Quello che vorrei sapere io è chi ha fatto la spia»,
disse in un sussurro quasi impercettibile, ma indubbiamente minaccioso. Chiunque sia stato, se ne pentirà».
E improvvisamente, per qualche ragione, Thea si sentì
meno spaventata. Quella delusione non era poi così importante. Era impossibile scandalizzare il Circolo Interno
e restare incolumi. Blaise ne era la prova.
Fu allora che Thea capì quanto fosse paradossale la situazione. Per tutta la vita si era messa nei guai per colpa
di Blaise, e ora eccole qua, nel peggiore guaio possibile… per colpa sua.
E anche Dani c’era finita di mezzo. I suoi occhi vellutati erano pieni di lacrime. Quando se ne accorse, Thea
sentì che il groppo alla gola si allentava. Era di nuovo in
grado di parlare.
«Ascoltate, scusatemi, ma c’è qualcosa che dovreste
sapere. Prima di andare avanti…».
«Ti sarà dato modo di parlare in seguito», disse Madre
Cibele, con voce morbida e ferma, come il suo corpo piccolo e tondo.
«No, devo dirlo adesso». Thea si voltò verso la nonna
e si rivolse, solo per quei pochi secondi, proprio a sua
nonna, non alla Vegliarda del Circolo Interno. «Nonna,
Dani non dovrebbe essere qui. Davvero. Davvero. Non
sapeva nulla dell’invocazione; ho fatto tutto da sola. Lo
giuro».
L’espressione di sua nonna s’ammorbidì un po’, le rughe sul viso si distesero. Ma tornò subito impassibile.
«Bene, bene, lo vedremo più tardi. La prima cosa da
scoprire è cosa hai fatto tu. Dal momento che a quanto
pare sei stata proprio tu l’istigatrice».
Quando sentì le parole “più tardi”, la consapevolezza
travolse Thea come un uragano.
181
Più tardi… Che ore sono?
Si guardò freneticamente attorno per trovare un orologio. Poi, dietro il capo grigio del Vecchio Bob…
Le dieci meno dieci.
Eric.
Non sapeva come fosse stato possibile, ma la tensione
che aveva provato fin dal momento in cui zia Ursula era
andata a cercarla le aveva fatto completamente dimenticare che lui la stava aspettando nel deserto.
Ora poteva vederlo, perfettamente chiaro nella sua
mente, come se fosse fisicamente lì con lui. Eric fissava
l’orologio, i minuti che passavano, e Thea non arrivava.
Eric che guardava il falò e i tre fantocci vestiti di nero legati ai pali.
E la festa. La festa di Halloween della scuola. Le porte
metalliche e scrostate che venivano aperte e i ragazzi che
si riversavano all’interno. Scarpe che calpestavano
l’impiantito consunto, maschere che si aggiravano sotto i
fantocci di streghe penzolanti. Ragazzi che ridevano forte, che si scambiavano banconote finte, che si affollavano
negli stand della tortura.
Mentre qualcosa era in agguato fra le tubazioni del
soffitto. Forse invisibile, forse simile a un’ombra bianca
e percepibile come una raffica di vento artico. Forse simile a una donna dai lunghi capelli color mogano.
In agguato… poi all’improvviso che piomba giù…
Li ucciderà. Sono completamente inermi...
Thea avvertì il morso della paura, simile a punte di
metallo conficcate nella sua carne.
Stava accadendo tutto in quel momento, e lei non faceva nulla per impedirlo. Ormai era già passata un’ora,
e non ci aveva neppure pensato.
182
Capitolo 15
«T
hea». Dani le aveva afferrato un braccio e la
scuoteva. «Stanno parlando con te».
Le visioni svanirono. Thea si ritrovò nel laboratorio della
nonna, le sembrava di vedere tutto attraverso una lente
deformante. I visi erano distorti; le voci riecheggiavano
in modo strano.
«Ti ho chiesto, come hai imparato la formula per invocare gli spiriti?», chiese la nonna parlando con estrema
lentezza.
Eric. Non mi aspetterà; comincerà senza di me. O forse no? Gli ho detto di non fare niente. Ma sarà preoccupato per la festa…
La festa. Tutti quei ragazzi… anche bambini. Umani,
ma pur sempre persone. Come pulcini avvistati da un falco. Quanti di loro faranno la stessa fine di Kevin?
«La formula per invocare gli spiriti!». La nonna urlava
come se Thea fosse dura d’orecchi.
«Io… noi… io ti ho sentita a Samhain due anni fa. Nel
Vermont. Ho visto l’invocazione fatta dal Circolo Interno». Anche la sua voce risuonava strana e distorta.
«Ti abbiamo vista. Tutte e due. Eravamo nascoste dietro gli alberi e non ve ne siete neanche accorti», affermò
Blaise con voce chiara, e le campanelle tintinnarono di
nuovo.
Thea sentì confusamente di ammirarla, anche se nella
sua mente si susseguivano senza tregua orribili pensieri.
183
Eric… ma se cerco di raggiungerlo, se il Circolo Interno scopre che è coinvolto… questo sì che provocherebbe la sua morte. Un umano che conosce il Mondo delle Tenebre. Condanna a morte immediata.
Ma Suzanne. Se dà fuoco a quei fantocci, Suzanne lo
ucciderà come ha ucciso Kevin.
Qualunque cosa fosse successa Eric sarebbe morto in
ogni caso.
A meno che…
«Quale… spirito… hai invocato?». Ormai la nonna
gridava come se Thea fosse non solo sorda ma anche lenta di comprendonio.
A meno che…
«È proprio quello che voglio dirti», rispose Thea.
Aveva intravisto una strada. Per lei sarebbe stata la fine, ma forse poteva salvare Eric. Se c’era abbastanza
tempo, se la lasciavano in pace, se Eric non si metteva a
fare l’eroe in quel momento esatto…
«Voglio dirvelo», ripetè. E poi le parole uscirono a
precipizio, sempre più in fretta, come se dentro di lei fosse crollata una diga. «E vi dirò tutto… ma per favore,
nonna, per favore, ora devi lasciarmi andare, poi tornerò
e farete di me ciò che vorrete».
«Aspetta un minuto», disse Madre Cibele, ma Thea
non poteva aspettare.
«Per favore, per favore nonna. Ho fatto una cosa terribile, e sono la sola che può rimediare. Tornerò…».
«Aspetta, aspetta, aspetta. Calmati», rispose la nonna.
Anche lei sembrava agitata. «Cos’è questa fretta improvvisa? Spiegati con calma. Cosa pensi di dover fare?»
«Devo rimandarla indietro». Thea capì che doveva dare una qualche spiegazione. Provò a parlare con calma e
lentamente, per farsi capire bene. «Lo spirito che ho la-
184
sciato scappare, nonna. Si chiama Suzanne Blanchet ed è
stata bruciata nel Seicento. Ora è libera, là fuori, e ha già
ucciso un umano.
Adesso ascoltavano tutti, alcuni si sporgevano in avanti, altri apparivano accigliati. Thea guardò il cerchio
di visi intorno a lei, rivolgendosi a tutti, uno per uno. Era
ancora terrorizzata, ma che importava? Solo Eric era importante per lei.
«La settimana scorsa ha ucciso un ragazzo della mia
scuola. E stasera ne ucciderà altri, alla festa di Halloween. Ora non posso spiegare come faccio a saperlo… non
c’è tempo. Ma lo so. E sono la sola in grado di fermarla.
Sono stata io a invocarla; solo io posso rimandarla indietro».
«Sì, ma sfortunatamente non è così semplice», disse
una voce pacata. Thea si voltò e riconobbe Rhys, un uomo dall’aspetto robusto che indossava un camice bianco.
«Se lo spirito è libero…».
«Lo so, ma conosco un modo per catturarlo. È tutto
pronto, e io…», Thea esitò. «Ho convinto qualcuno con
l’inganno ad aiutarmi», disse lentamente. «E ora è in pericolo. Questo è il motivo per cui dovete lasciarmi andare, perché devo occuparmene di persona. Vi prego».
«Vuoi andare a scuola. Dove si tiene la festa», disse
zia Ursula. Anche se aveva le labbra contratte come al
solito, non sembrava arrabbiata. Sembrava più… furba.
Thea aprì la bocca per rispondere di no, poi si fermò,
nuovamente confusa.
La festa… o il deserto? Se davvero Suzanne stava uccidendo dei ragazzi alla festa, doveva andare lì. Ma solo
se Eric nel frattempo non la stava attirando nel deserto.
Nel suo cuore lui era sempre più importante di chiunque
altro. Ma se non stava facendo niente – e Suzanne era al
185
party – avrebbe potuto uccidere prima che Thea e Eric
riuscissero ad attirarla…
Sto impazzendo.
Si sentiva, letteralmente, svenire. La testa le girava
vorticosamente. C’erano troppe opzioni. Tutto dipendeva
da dove era Suzanne in quel momento, e non c’era modo
di saperlo.
Thea iniziò a tremare con violenza, puntini neri le
danzavano davanti agli occhi.
Non so che fare.
«Scusate… potreste ascoltarmi tutti per un attimo?
Vedo qualcosa».
Era la voce di Aradia, calma e controllata. Matura e
consapevole, anche se era di poco più grande di Thea.
Cercò di guardarla attraverso quel pulviscolo nero di
punti vorticosi.
«Credo sia qualcosa di importante, qualcosa che riguarda quello di cui stiamo parlando», continuò Aradia.
Il suo bel viso, dalla pelle liscia colo caffelatte, era rivolto a Thea. I grandi occhi castani erano fissi su un punto
indefinito davanti a lei, come sempre.
Aradia non vedeva con quegli occhi, non ne aveva bisogno. Vedeva con la mente… e vedeva cose che erano
nascoste ai più.
«Vedo un ragazzo: è vestito con un costume d’altri
tempi. È accanto a un fuoco, in mezzo a un cerchio di
pietre».
Eric…
«Tiene in mano un bastone, un tizzone. Si guarda intorno. Ora sta… vedo una specie di spaventapasseri. Non
capisco bene. Sta sopra a un mucchio di legna. Si china.
Dà fuoco alla legna».
No.
186
«Devo andare», disse Thea. Non stava più chiedendo
il permesso.
Aradia stava ancora parlando. «Ecco, la legna prende
fuoco. Ora vedo più chiaramente… e non è uno spaventapasseri; pare una specie di strega. Una bambola». Si interruppe, i begli occhi ciechi di spalancarono. «Si muove… no, c’è qualcos’altro a muoverla. Ora lo vedo: uno
spirito. Uno spirito fa muovere la bambola. Adesso avanza, va verso il ragazzo…».
«Devo andare», disse Thea. E poi si mosse, si fece
strada spingendo da parte Rhys e Old Bob, spezzò il cerchio. Le perline della tenda le colpirono il viso, richiudendosi rumorosamente alle sue spalle.
«Aspetta un attimo, Thea!».
«Thea, torna qui!».
«Ursula, va’ a prenderla…».
La jeep. Ho lo zaino nella jeep. Prima devo prenderlo.
Le chiavi della Lincoln erano appese a un chiodo accanto
alla porta sul retro. Thea le afferrò.
Aprì la porta nel momento stesso in cui tre o quattro
persone sbucavano da dietro la tenda. Gliela sbattè in
faccia.
La macchina. Svelta. Va’ via.
Fece retromarcia per uscire dal vicolo, i pneumatici
che stridevano. Vide la luce che usciva dal negozio
quando i suoi inseguitori spalancarono la porta, poi imboccò Burren Street.
Eric…
Guidava in modo per lei inconsueto, accelerando a tavoletta un attimo prima che scattasse il rosso, imboccando le scorciatoie al buio. In pochi minuti raggiunse il club
del Mondo delle Tenebre, con le zucche illuminate sulla
veranda.
187
Non c’era posto per parcheggiare la Lincoln. La lasciò
in mezzo alla strada, con la chiave ancora nel cruscotto.
Prese quelle della jeep e saltò a bordo.
In fretta. In fretta. Partì con la jeep sgommando.
Muoviti. L’autostrada.
Eric…
Fa’ che non sia troppo tardi. Devo raggiungerlo. È tutto quello che chiedo, il resto non m’importa.
Rinunceresti a tutto?
Stavolta la voce non le sembrò sconosciuta, né minacciosa. Solo curiosa. E Thea conosceva la risposta.
Sì.
Se riuscissi solo ad arrivare lì, in tempo, potrei farlo
andar via. Gli racconterò una storia, lo convincerò in
qualche modo. Lo farò nascondere. Dirò al Circolo che
l’ho ingannato, o incantato, per farmi aiutare. Non svelerò nemmeno il suo nome. Non potranno costringermi.
Qualunque cosa mi faranno, lui sarà al sicuro. È la sola cosa che mi interessa. È tutto quello che chiedo.
Ma era comunque molto, e lo sapeva, perciò continuò
a tenere il piede sull’acceleratore.
Lo svincolo per uscire dall’autostrada. Una strada secondaria.
Guidava a velocità folle. Una voce ronzante nella testa
ripeteva: «Sbrigati, sbrigati», anche se l’auto sbandava
pericolosamente.
Il deserto.
Ora la strada era brutta. La visibilità era scarsa; la luna
era quasi calata. La jeep sobbalzava sui dossi e le buche.
Eric, fa’ qualcosa. Parlale, scappa. Sei così intelligente, per favore, per favore, usa la testa. Distraila, tienila
lontana dal tuo collo.
188
Quanto poteva essere forte uno spirito? Thea non lo
sapeva.
Per favore, ora capisco tutto, mi rendo conto di ogni
cosa. Sono stata egoista, ho pensato solo a me stessa, a
cosa poteva rendermi felice. Tutte quelle fesserie su
quanto fossi disperata. Avrei dovuto mettermi a ballare
per la felicità, altroché. Finché Eric sta bene, non
m’importa se vive su Marte, non m’importa se non lo rivedrò più. Se starà bene sarò felice, vergognosamente felice.
Uno scossone la fece sobbalzare. Ormai aveva lasciato
la strada e si faceva guidare dai punti di riferimento nel
paesaggio. Attraversò foreste di piante di yucca morte
che assomigliavano a tanti Cugini It.
Ci voleva un’eternità, troppo. Sbrigati. Sbrigati.
Ora vedeva le colonne di arenaria di fronte a lei, illuminate dai fari.
Ecco! Vai, vai!
La jeep sfrecciò sui cespugli di acacia. Nella depressione fra le colonne riusciva ad intravedere il falò. Si diresse in quella direzione.
Fuoco, movimenti, una persona…
«Eric!»
Urlava mentre spingeva il freno con tutta la forza che
aveva. La macchina si fermò di botto, a pochi centimetri
da un cumulo deforme di arenaria.
«Eric!». Aveva lo zaino in mano. Spalancò la portiera
e scese giù correndo.
«Thea! Stai lontana!».
Fu allora che lo vide.
La luce del fuoco illuminava l’arenaria già vivida di
uno strano bagliore. Ogni cosa sembrava rossa, come se
tutto il paesaggio fosse stato immerso nel sangue. Il rug-
189
gito del motore della jeep e quello del fuoco si fusero,
sembrava di sentir crepitare le fiamme dell’inferno.
Ma Eric era vivo e combatteva. Combatteva con quella cosa.
Thea gli si buttò contro, mentre la sua mente registrava ogni dettaglio.
Una forma spettrale che prima pareva una donna e
l’istante successivo una nube sfilacciata. Una parte avvolgeva Eric, che si teneva entrambe le mani intorno al
collo. Pezzi dell’amuleto di aghi di pino che Thea aveva
confezionato per lui giacevano sparsi ai suoi piedi. Inservibili.
«Lascialo stare! Sono io che ho architettato tutto!», urlò Thea. Raggiunse Eric e colpì il fantasma con violenza,
attaccò il tentacolo arrotolato intorno alla gola. Le sue
mani incontrarono quelle di Eric, e aria fredda.
«No, Thea, attenta…».
Vide che la cosa si districava da Eric, lasciandolo barcollante. Poi la vide riformarsi, compatta, e scagliarsi
contro di lei.
«Thea!». Eric la spinse di lato. Una folata fredda le
passò accanto.
Lei ed Eric caddero uno sull’altra.
«Eric», boccheggiò Thea, prima di alzarsi. Provò a
spingerlo via, guardandosi intorno in cerca di quella creatura. «Va’… allontanati da qui! La jeep è accesa, salta su
e allontanati. Ci sentiamo più tardi».
«Rimaniamo schiena contro schiena», rispose Eric
senza fiato. «È incredibilmente veloce». Aggiunse a denti
stretti: «Sai che non me ne andrò».
«Questa è roba da streghe, idiota che sei!», lo aggredì
lei, restando in posizione come aveva detto lui. «Non ti
voglio qui. Mi sei solo di impiccio».
190
Era stato un coraggioso tentativo. Riuscì perfino a far
trasparire qualcosa di simile all’odio. Ed Eric non era
perfetto. Si voltò, l’afferrò per le spalle e le urlò: «Sai che
non me ne andrò, quindi non sprecare il tuo tempo!».
Poi la spinse di nuovo di lato e il vento gelido le sferzò una guancia, lasciandole l’orecchio intorpidito.
«Scusami», le disse lui con voce normale. «Stai bene?».
Thea si girò e guardò dietro di sé. Lo spettro era lì che
galleggiava. Aveva le sembianze di una donna fatta di
vapore, con gambe e braccia solo vagamente delineate,
ma una lunga coda di capelli che sferzavano l’aria.
«Ho quel che serve», Thea mormorò a Eric, riconoscendo implicitamente che poteva restare. «Ma fare
l’incantesimo richiederà qualche minuto. Dovremmo tenerci lontano dalla…».
Teneva sott’occhio la coda, ma non fu abbastanza veloce. Ci fu un rumore – una via di mezzo fra lo schiocco
di una frusta e una scarica elettrica – e i capelli
d’improvviso le si avvolsero intorno al collo.
All’inizio avvertì solo una sensazione di freddo.
Ghiaccio senza sostanza, come una sciarpa di vento artico. Poi però lo spettro fece forza e la sciarpa si strinse e
adesso sì che aveva sostanza. Era come di metallo, un tubo pieno di liquido gelido, il tentacolo di una creatura aliena che avesse ghiaccio al posto del sangue. La soffocava.
Non riusciva a respirare né a infilarci le dita sotto. La
morsa si strinse di più, dolorosamente. Sentiva che gli
occhi cominciavano a uscirle dalle orbite.
«Guardami!», gridò Eric. Teneva in mano un ramo infuocato ad un’estremità e saltava su e giù come un invasato dall’altra parte del falò. «Guarda, Suzanne! Prendo
191
la tua sorellina!». Affondò il ramoscello infuocato nel
corpo di Lucienne, non nel mucchio di legna ai suoi piedi, ma proprio nel fantoccio.
«Ecco! Che te ne pare?», affondò ancora una volta il
ramo. Un anello di fuoco divampò sugli abiti neri. «Confessa di essere una strega!».
Thea sentì che i capelli scivolavano via e si ritrovò libera.
Cercò di gridare, ma non le uscì che un gracidio soffocato. Eric però si stava già buttando di lato.
Doveva averlo fatto per tutto quel tempo. Schivare i
colpi.
«Tieni duro, Eric!».
«Ok, ma fa’ in fretta!», e si gettò dal lato opposto.
Thea si costrinse a distogliere l’attenzione da lui. Lo
zaino era ai bordi del cerchio, dove l’aveva lasciato cadere. Lo afferrò e ne rovesciò il contenuto a terra.
Doveva agire senza commettere errori e più in fretta di
quanto non avesse mai fatto precedenza.
Quercia e frassino. Li gettò nel falò, poi rapidamente
si avvicinò al fuoco, trascinando gli altri ingredienti.
Strappò una busta di plastica e prese una manciata di
schegge di quassia. Erano leggere, e dovette praticamente
mettere la mano fra le fiamme per assicurarsi che vi finissero in mezzo.
Il cardo benedetto era in polvere; lo gettò con grande
attenzione. La radice di mandragola era intera, gettò dentro anche quella.
Aveva appena afferrato la boccetta di onice, quando
Eric gridò: «Thea, buttati giù».
Non alzò gli occhi per guardare. Si buttò a terra
all’istante, e così si salvò la vita. Un vento ghiacciato le
sollevò i capelli verso il fuoco.
192
«Suzanne!», stava gridando Eric. «Ho tuo fratello!
Guarda!».
Ora tutti e tre i pali erano in fiamme, ed Eric saltava
dall’uno all’altro, colpendo i fantocci col ramo.
Thea strappò via con i denti il tappo di plastica della
boccetta. La scosse immergendo di nuovo la mano nel
fuoco.
Uno, due, tre.
Il falò divampò altissimo, le fiamme divennero blu.
Thea si tirò indietro.
«Suzanne! Qui!». La voce di Eric faceva fatica a coprire il crepitare delle fiamme.
Le lacrime scorrevano sul viso di Thea, il naso e gli
occhi le bruciavano per l’odore acre. A tentoni afferrò
l’ultimo ingrediente… il sacchetto con il residuo del braciere di bronzo. Ne prese una manciata con la mano sinistra e la gettò fra due ceppi carbonizzati ai bordi del falò.
Poi si alzò in piedi, e vide che Eric era nei guai.
Aveva perso il tizzone. Lo spettro lo aveva afferrato
per la gola e lo faceva girare vorticosamente, cambiando
forma ogni secondo. Eric teneva la bocca aperta, ma non
emetteva alcun suono.
«Che il Potere delle Parole di Ecate possa venire a
me!».
Lo urlò, in mezzo al fragore delle fiamme, verso
l’ombra vorticosa e in continua trasformazione.
E le parole arrivarono, le uscirono di bocca dotate di
una loro forza autonoma.
«Dal cuore della fiamma… io ti rimando indietro! Per
il sentiero angusto… io ti rimando indietro!».
Mise in quelle parole tutta la forza che aveva, urlando
con un’autorità che non aveva mai sospettato di possede-
193
re prima d’allora. Perché lo spirito lottava. Non voleva
tornare da nessuna parte.
«Al vuoto aereo… io ti restituisco! Attraverso le nebbie degli anni… io ti rimando indietro!».
Eric vacillò, venne spinto con violenza da una parte.
Sembrò che lo spettro lo sollevasse in aria.
«All’altra parte del velo… ti restituisco! Va’ in fretta,
a mio vantaggio, e senza indugio!».
I piedi di Eric scalciavano l’aria. È così che è morto
Kevin, si disse Thea con assoluta certezza.
Si ritrovò a urlare parole che non aveva mai sentito
prima. «Per il potere della Terra e dell’Aria e dell’Acqua!
Per il potere del Fuoco in questa notte che appartiene a
Ecate! Per il mio potere di figlia di Hellewise! Va’ in
fretta, a mio vantaggio, e senza indugio, brutta stronza!».
Non aveva idea da dove le fossero arrivate quelle parole. Ma un istante dopo Eric cadde. L’ombra l’aveva lasciato andare.
Si scagliò contro Thea, ma poi si fermò come se fosse
andata a sbattere contro un muro di mattoni. Era proprio
sopra il falò.
Presa.
Le fiamme azzurre eruttavano fumo, ma solo lateralmente. E sopra, Thea distingueva chiaramente l’ombra.
Per la prima volta non pareva più una nube, ma una donna.
Una ragazza. Più grande di Thea, certo, ma dimostrava al massimo vent’anni. Con lunghi capelli scuri, il viso
pallido e grandi occhi tristi. Dischiuse le labbra come se
volesse parlare.
Thea la fissò. Sentì la sua stessa voce sussurrare: «Suzanne…».
194
La ragazza allungò una mano pallida verso di lei. Ma
in quello stesso momento il fuoco divampò di nuovo verso l’alto. Sembrò incendiare anche i suoi capelli. Le
fiamme scure l’avvolsero e sul suo viso si dipinse
un’espressione di infinita tristezza.
D’istinto Thea allungò una mano…
Il fuoco ruggì…
E ci fu un bagliore simile a quello di un lampo.
Suzanne fu attirata verso il cuore della fiamma. E il
bagliore si trasformò in un cono: il sentiero angusto.
Buste di plastica e altri rifiuti cominciarono a vorticare
intorno al cerchio, come catturati da un vortice.
Suzanne e il cono di luce bianca si fusero e scomparvero, inghiottendosi reciprocamente.
Al vuoto aereo. Attraverso la nebbia degli anni.
Le fiamme infuriarono innalzandosi al di sopra di
Thea, poi si abbassarono. Il blu sembrò ricadere sul fondo. Il fuoco tornò giallo, come qualsiasi falò.
Come se fosse stata tirata una tenda.
Oltre il velo.
Ecco dove si trova ora Suzanne.
Ai bordi del falò, dove era stato gettato il residuo raschiato dal fondo del braciere, restava un grumo di morbida argilla. Thea si inginocchiò e lo raccolse. Guardò al
centro del fuoco, e vide una ciocca di lunghi capelli color
mogano. Le punte iniziavano ad annerire e ad accartocciarsi tra le fiamme.
Thea allungò la mano e velocemente racchiuse i capelli nell’argilla. Non fu certo un gesto perfetto, Blaise avrebbe fatto un lavoro di gran lunga migliore, ma i capelli erano lì dentro. A tentoni perlustrò il terreno alla ricerca del timbro di legno, lo trovò e lo premette sull’argilla.
195
Il simbolo di Suzanne, il segno cabalistico che rappresentava il suo nome, rimase indelebilmente impresso.
Fatto.
L’amuleto era stato ricomposto, Suzanne era di nuovo
in trappola. Sarebbe rimasta nel luogo a cui apparteneva,
a meno che qualcun altro non fosse così stupido da farla
tornare.
Thea fece cadere l’amuleto senza guardarlo, si alzò, e
barcollando girò intorno al falò per raggiungere Eric stesa a terra. Vedeva tutto stranamente grigio.
Dopo tutto questo… deve stare bene… oh, ti prego,
fa’ che…
Nel momento in cui lo raggiunse Eric si mosse.
«Eric, ce l’abbiamo fatta. È andata via. Ce l’abbiamo
fatta».
Lui le sorrise debolmente. Con voce roca le disse:
«Non devi piangere».
Non si era neanche resa conto delle lacrime che le rigavano le guance.
Eric si mise a sedere. Era ridotto davvero male, con i
capelli scompigliati e il viso sporco. Le sembrò bellissimo.
«Ce l’abbiamo fatta», sussurrò di nuovo. Allungò una
mano per toccargli i capelli, e restò paralizzata.
Lui gettò un’occhiata verso le fiamme, poi la guardò
di nuovo. «Odiavo dirle quelle cose. Voglio dire, non
importa quanto fosse cattiva…», accarezzò il collo di
Thea con dolcezza. «Stai bene? Credo che tu abbia un livido».
«Io? Sei tu quello che è messo male», gli sfiorò il collo con le dita della mano libera. Ma capisco che cosa
vuoi dire», mormorò. «Mi è… dispiaciuto… per lei alla
fine».
196
«Non piangere. Per favore. Non lo sopporto», le disse
lui piano, e l’abbracciò con il suo braccio libero.
E poi si ritrovarono a baciarsi come matti. Fuori di sé
per la gioia. Ridevano e si baciavano e si abbracciavano.
Thea sentì sulle labbra di lui il sapore delle proprie lacrime, si scaldò al suo calore, tremando come un uccellino.
Un momento dopo sentirono un rumore. Thea evitò di
guardare, ma Eric lo fece e s’irrigidì.
«Uh, abbiamo compagnia».
Alzò gli occhi anche lei.
Proprio oltre le colonne di arenaria c’erano delle macchine. Erano ferme lì. Dovevano essere arrivate durante
la lotta con Suzanne, quando il fragore delle fiamme aveva sovrastato il rumore dei motori, mentre tutta
l’attenzione di Thea era concentrata sullo spettro che tentava di ucciderla.
Infatti i passeggeri erano già scesi. Nonna Harman,
sorretta da zia Ursula. Rhys con il suo camice. La sagoma rotondetta di Madre Cibele che teneva una mano sul
braccio di Aradia. Old Bob, Nana Buruku.
Praticamente tutto il Circolo Interno era lì radunato.
197
Capitolo 16
T
hea cercò di allontanare Eric. Poteva ancora salvarlo.
Ma lui non la lasciava andare. E poi il suo istinto le
suggeriva di tenerlo stretto a sé.
Restarono lì insieme, abbracciati, ad affrontare uniti il
Circolo Interno.
«Bene», disse Madre Cibele, chiudendo gli occhi. «Aradia ci ha condotto qui pensando che aveste bisogno di
aiuto. Ma vi siete difesi da soli. Abbiamo assistito alla fine, davvero notevole».
«Anch’io ho visto», intervenne Aradia. Il suo viso si
girò verso Thea, sulle labbra l’ombra di un sorriso. «Hai
fatto un buon lavoro, Thea Harman. Sei una vera Donna
del Focolare».
«Sì, e da dove è venuta quell’ultima invocazione?»,
disse la nonna, appoggiandosi al bastone che la aveva dato Rhys. «In tutta la mia vita non ho mai sentito nessuno
invocare il potere come figlia di Hellewise». Lo disse
brontolando, ma Thea ebbe la strana sensazione che ne
fosse quasi compiaciuta.
Le aveva tutte di fronte a sé: la Vergine, la Madre e la
Vegliarda del Circolo Interno. Restò abbracciata a Eric.
«Non so da dove mi sia venuta», rispose, e fu felice di
sentire che la voce non le tremava troppo. «È venuta… e
basta».
198
«E tu? Come ti chiami, giovanotto?», domandò la
nonna.
«Eric Ross». A Thea piacque il tono in cui lo disse,
tranquillo e rispettoso, ma non intimidito.
La nonna spostò lo sguardo su Thea. E di nuovo su di
lui.
«Hai aiutato mia nipote in questa cosa?»
«Lui non sa nulla…», esordì Thea, ma naturalmente
era inutile. E ridicolo.
«Io so di amare Thea», la interruppe Eric. «E lei ama
me. E se c’è qualche regola che dice che non possiamo
stare insieme, è una regola stupida».
Era incredibilmente coraggioso, e terribilmente giovane. Thea sentì la testa che le girava. Strinse con forza le
dita di Eric, finché le loro mani non tremarono. Per la
prima volta si rese conto di avere una brutta scottatura
sulla mano destra.
«Per favore, nonna, lascialo andare», mormorò. E poi,
dato che la nonna restava zitta: «Ti prego… non lo rivedrò più e lui non parlerà. Ha solo cercato di aiutarmi, di
salvare delle vite. Per favore, non punitelo per colpa
mia». Le lacrime le riempirono gli occhi e cominciarono
a scenderle sul volto.
«Il ragazzo ha cercato di difendere la legge», intervenne Aradia. «Almeno credo».
Thea non era sicura di aver sentito bene. Neanche la
nonna, a quanto pareva. «Che vuoi dire?», chiese.
«Hellewise ha detto che alle streghe è proibito uccidere gli umani, no?», disse Aradia, serena. «Be’, quello spirito era una strega che aveva già ucciso un umano… e
voleva ucciderne altri. E lui ha dato una mano a rimandarla indietro. Ha aiutato Thea a distruggere
199
l’incantesimo proibito, e a impedire che la legge venisse
nuovamente infranta».
«Un’arringa davvero notevole», mormorò Rhys, ma
Thea non riuscì a capire se fosse d’accordo o meno.
La nonna fece un passo avanti, lo sguardo fisso su Eric. «E cosa hai fatto esattamente per aiutarla, giovanotto?»
«Non so se sono stato d’aiuto», rispose Eric col suo
tono tranquillo e diretto. «Per lo più ho cercato di non
farmi ammazzare…».
«Quando hai acceso i falò?», chiese Thea sottovoce,
con le mani ancora intrecciate alle sue.
Lui le lanciò un’occhiata, gli tremava leggermente
l’angolo della bocca.
«Alle nove», rispose.
«Anche se io non c’ero». Thea alzò leggermente la
voce. «E sapevi che Suzanne avrebbe cercato di fermarti,
e non avevi nessuna magia per combatterla. Allora perché l’hai fatto?».
Lui la guardò, poi osservò la nonna. Poi di nuovo lei.
«Lo sai perché. Perché altrimenti sarebbe andata alla festa».
«E avrebbe ucciso altre persone». Thea guardò sua
nonna.
La nonna fissava Eric, gli occhi scuri fissi e concentrati. «Quindi hai salvato delle vite».
«Non lo so», rispose di nuovo Eric, sincero in modo
irritante. «Ma non ho voluto rischiare».
«Ha salvato anche la mia vita», disse Thea. «Suzanne
ha cercato di uccidermi. E non sarei mai riuscita a compiere l’incantesimo di restituzione se lui non l’avesse distratta».
200
«Carino da parte sua, ma non sono molto sicuro», disse Old Bob, passandosi una mano sul mento ispido. Il suo
viso segnato dalle rughe era perplesso. «Non c’è scritto
da nessuna parte che far rispettare una legge compensi il
fatto di averne infranta un’altra. Specie una legge del
Mondo delle Tenebre. Potremmo metterci nei guai se
prendessimo la cosa sottogamba».
La nonna e Madre Cibele si guardarono. Poi la nonna
si rivolse a Old Bob.
«Ti ho cambiato i pannolini… non dirmi che sulla
legge del Mondo delle Tenebre ne sai più di me», sbottò.
«Non permetterò a una combriccola di vampiri assetati di
sangue di dirmi che cosa devo fare». Guardò gli altri.
«Dobbiamo andare in un luogo più appartato. Torniamo
da me».
Un luogo più appartato. Mentre la jeep sferragliava e
sobbalzava verso casa Thea si sentiva confusa ma piena
di speranza.
Eric guidava e Thea era seduta dietro, quindi non potevano parlare. Zia Ursula era sul sedile davanti accanto a
lui.
La nonna si sta battendo per me. E Aradia, e forse anche Madre Cibele. Non vogliono che io muoia. Credo che
non vogliano neanche che muoia Eric.
Ma la dura realtà continuava a fugare le sue speranze.
Che possono fare? Non possono perdonare una strega e
un umano che stanno insieme. Non possono rischiare la
guerra col Mondo delle Tenebre, neanche per salvare me.
Non c’è soluzione.
La piccola carovana si fermò nel vicolo dietro il negozio della nonna.
201
Poi Thea si ritrovò nel laboratorio, in mezzo alle sedie
disposte a cerchio. Creon e Belfana erano già lì ad aspettarli, e anche Blaise e Dani, sedute.
«Stai bene?», esordì Dani, alzandosi… e poi si azzittì.
Guardava Eric con gli occhi scuri sbarrati per lo stupore.
Un umano nel Circolo.
«Abbiamo rimandato indietro Suzanne», rispose Thea
semplicemente. Strinse di nuovo la mano di Eric.
Il Circolo Interno si richiuse intorno a loro due – una
strega e un umano -, al centro.
«Abbiamo un problema», disse la nonna. E spiegò la
situazione, anche se tutti avevano già capito. Fece un resoconto completo, guardando ognuno di loro a turno. Aradia e Madre Cibele le sedevano ai lati, e ogni tanto intervenivano con dei commenti meditabondi.
Thea impiegò qualche minuto per comprendere la sua
strategia. La nonna stava cercando di portarli dalla sua
parte uno alla volta, rivolgendosi a ciascuno individualmente e facendo capire senza ombra di dubbio che la
Madre e la Vergine la sostenevano. Voleva convincerli
tutti.
«E il risultato finale è che dobbiamo giudicare questi
due», disse alle fine. «Dobbiamo decidere cosa fare di loro. È una decisione che spetta al Circolo Interno, alle figlie e ai figli di Hellewise. Non al Consiglio del Mondo
delle Tenebre», aggiunse guardando Old Bob.
Lui si passò una mano fra gli ispidi capelli grigi e borbottò: «Il Consiglio potrebbe non vederla allo stesso modo», ma sorrise.
«C’è stato un tempo», aggiunse la nonna, «in cui streghe e umani convivevano pacificamente, molto più di adesso. Sono sicura che chiunque abbia un albero genea-
202
logico che risale abbastanza indietro nel tempo lo sappia
già».
Eric guardò Thea, che scosse la testa e fissò Blaise.
«Vuol dire», intervenne Madre Cibele, «che molto
tempo fa le streghe prendevano mariti umani. Per compensare il fatto che non c’erano mai abbastanza uomini.
A quei tempi esisteva ancora il terzo Circolo, il Circolo
dell’Alba. Quello che cercò di insegnare la magia agli
umani».
«Finchè gli umani non iniziarono a bruciarci», disse
Belfana, il viso lentigginoso cupo e serio sotto la massa
di capelli rossi.
«Be’, questo qui non brucerà nessuno», commentò acidamente zia Ursula. In quel momento, Thea pensò che
le voleva bene.
«Nessuno sta dicendo che le leggi dovrebbero essere
cambiate», affermò Madre Cibele, congiungendo le dita
paffute. «Non possiamo tornare a quei giorni, e ora sappiamo che per noi gli umani rappresentano un pericolo. Il
punto è: c’è modo di fare un’eccezione in questo caso?»
«Non vedo come», replicò seccamente Rhys. «Non
senza finire tutti accusati di tradimento».
«Significherebbe dare un nuovo inizio alle Guerre della Notte», aggiunse Nana Buruku. «Ogni razza del Popolo delle Tenebre contro tutte le altre».
«Non auguro loro alcun male», disse Creon dalla sua
sedia a rotelle, la sua voce ansimante era a malapena udibile. «Ma non possono vivere nel nostro mondo, e non
possono vivere nel mondo umano».
Quelle parole, pensò Thea, riassumevano benissimo la
situazione. Per loro non c’era posto. Perché lei era una
strega e lui un umano…
203
L’idea le venne in un lampo, come la scintilla uscita
dal falò.
Così semplice. Eppure così terribile.
Poteva funzionare…
Ma riuscirei a sopportarlo?
Rinunceresti a tutto?
Tutto: incluse la nonna e Blaise. Dani e Lawai’a e cugina Celestyn. Zio Galen, zia Gerdeth, zia Ursula… Selene e Vivienne, tutto il Circolo del Crepuscolo.
L’odore delle erbe, lavanda mista a petali di rosa. Il
bacio fresco di una pietra sul palmo della mano. Ogni
canto, ogni invocazione… tutti gli incantesimi che aveva
appreso. La potenza della magia che scorre fra le punta
delle dita. Perfino il ricordo di Hellewise…
Hellewise con la sua veste bianca, nella foresta scura…
Rinunceresti a tutto… per la pace?
Per Eric?
Ma questa volta la voce interiore era la sua stessa voce. Si ritrovò a guardare Eric, e già conosceva la risposta.
Era così buono, così caro. Tenero ma appassionato.
Intelligente e coraggioso e onesto e perspicace… e amorevole.
Mi ama. Per me era pronto a morire.
Lui rinuncerebbe a tutto.
Eric la stava osservando, gli occhi grigi e screziati
pieni di preoccupazione. Capiva che stava succedendo
qualcosa.
Thea gli sorrise. E fu orgogliosa della sua forza di carattere, perché perfino in quel momento, circondato da
persone che dovevano sembrargli uscite da qualche incubo orribile, riuscì a rivolgerle un mezzo sorriso tirato.
204
«Ho un’idea», disse, rivolgendosi alla nonna e al Circolo Interno. «La Coppa del Lete».
Calò il silenzio. I presenti si guardarono l’un l’altro.
La nonna sembrava esterrefatta.
«Non solo per lui», disse Thea. «Per me».
Si udirono nel silenzio lunghi respiri.
La nonna chiuse gli occhi.
«Se ne berrò abbastanza, dimenticherò tutto». Thea
parlava con calma, fissando tutte quelle facce serie nella
stanza. «Ogni cosa del Mondo delle Tenebre. Non sarei
più una strega, perché non ricorderei chi sono».
«Diverresti una strega perduta», disse Aradia. Il suo
bel viso era calmo, non sembrava sconvolta. «Come i
sensitivi che non sanno da chi discendono. E le streghe
perdute possono vivere in mezzo agli umani».
«E nessuno dei due si ricorderà del Mondo delle Tenebre», riprese Thea. «Quindi non potremmo infrangere
le leggi».
«La legge verrebbe rispettata», disse Aradia.
La mano di Eric strinse con ancora più forza quella di
Thea. «Ma…».
Lei lo guardò. «È il solo modo che abbiamo per restare insieme».
Lui non replicò.
Il silenzio che seguì fu molto lungo.
Poi Blaise, che era rimasta a osservare in piedi, a
braccia conserte, disse: «A me ha detto che erano anime
gemelle».
Per un istante, Thea credette che ci fosse del disprezzo
nella sua voce, che volesse ferirla.
Ma la nonna si voltò sorpresa. «Anime gemelle. È da
un po’ che non ne sentivo parlare».
«Un mito arcaico», intervenne Rhys, agitato.
205
«Forse no», disse Madre Cibele dolcemente. «Forse
gli antichi poteri si stanno risvegliando. Forse cercano di
dirci qualcosa».
La nonna guardò a terra. Quando rivolse di nuovo lo
sguardo verso Thea, nei fieri occhi scuri c’erano delle lacrime. E per la prima volta da quando la conosceva, quegli occhi le parvero veramente vecchi.
«Se ti permetteremo di farlo», le disse, «se ti lasceremo rinunciare alla tua stirpe e allontanarti da noi… dov’è
che andrai?».
Fu Eric a rispondere. «Verrà con me», disse semplicemente. «Mia mamma e mia sorella le vogliono già bene. E la mamma sa che è un’orfana. Se le dirò che Thea
non può più restare qui… be’, la prenderà con sé, non c’è
alcun dubbio».
«Capisco», rispose la nonna. Eric non aveva accennato al fatto che sua madre era già convinta che Thea vivesse in una situazione precaria con una vecchia signora
squilibrata, ma Thea ebbe la sensazione che la nonna lo
sapesse.
Ci fu un’altra pausa, mentre la nonna si guardava intorno. Alla fine, annuì, e sospirò. «Credo che la ragazza
ci abbia offerto una via d’uscita», disse. «Ci sono obiezioni?».
Nessuno parlò. Molti erano quasi commossi. Credono
sia un destino peggiore della morte, si rese conto Thea.
Improvvisamente Blaise disse: «Vado a prendere la
Coppa».
Uscì di corsa.
Bene. È un bene farla finita in fretta, pensò Thea. Il
cuore le batteva all’impazzata. Lei ed Eric si stringevano
le mani a tal punto che le dita ferite le facevano male.
206
«Non sarà doloroso», gli sussurrò. «Ci sentiremo confusi… ma la memoria tornerà… a parte quella riguardante la magia».
«Potrai passare a zoologia», disse lui, «e andare alla
Davis». Le sorrideva, ma aveva le lacrime agli occhi.
Dani fece un passo avanti. «Posso? Vorrei salutarti».
All’inizio mantenne l’autocontrollo, ma poi perse la voce
e si gettò fra le braccia di Thea.
Thea ricambiò il suo abbraccio. «Mi dispiace di averti
messo nei guai», le mormorò.
«Non l’hai fatto, hai detto a tutti che non è stata colpa
mia. Non mi faranno niente. Ma a scuola mi sentirò così
sola senza di te…». Si allontanò scuotendo la testa, cercando di non piangere. «Che tu sia benedetta».
Blaise tornò, accompagnata dal tintinnio di campanelle. In una mano teneva un calice di peltro e nell’altra una
bottiglia.
Appena la vide Thea fu percorsa da un brivido. Il vetro era così annerito dagli anni che non si riusciva a distinguerne il colore originario, e la bottiglia era talmente
deformata che non si capiva se in origine fosse cilindrica
o squadrata. Il tappo era rivestito di cera e chiuso da sigilli e nastri.
La nonna ruppe i sigilli e tolse i nastri. Cercò di svitare il tappo rompendo la cera, ma Blaise dovette aiutarla.
Poi inclinò la bottiglia sopra il calice che Blaise le
porgeva.
Ne uscì un liquido marroncino. La nonna continuò a
versarlo finché la coppa non fu piena a metà.
«Quando lo berrai», disse a Thea, «ti dimenticherai di
me. Non riconoscerai più nessuno qui. Ma noi non ti dimenticheremo». Poi dichiarò ufficialmente dinnanzi al
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Circolo: «Thea Sophia Harman, che sia messo agli atti
che sei una degna figlia di Hellewise».
Si avvicinò e la baciò su una guancia.
Thea la strinse forte, abbracciando il fragile, vecchio
corpo per l’ultima volta. «Arrivederci, nonna. Ti voglio
bene».
Poi si avvicinò Blaise, porgendole la coppa con entrambe le mani. Era indomita e bella, i capelli erano una
cascata nera, le mani pallide avvolgevano il calice.
«Addio», disse Thea.
Blaise le sorrise.
Ora, si disse Thea. Non esitare. Non ci pensare.
Alzò la coppa e bevve.
Il primo sorso le andò quasi di traverso. Era… sapeva
di…
I suoi occhi incontrarono quelli di Blaise.
Erano grandi, grigi e luminosi. Sostennero il suo
sguardo fermamente. Anzi, sua cugina aveva
un’espressione così determinata che sembrava volesse
avvertirla di qualcosa.
Thea continuò a bere.
Tè. Tè freddo annacquato. Era di quello che sapeva la
Coppa del Lete.
Ma la bottiglia era sigillata – e lei non aveva avuto
abbastanza tempo – c’era la cera sul sughero…
Thea esaminava freneticamente tutte le possibilità. Ma
le restava abbastanza buonsenso da fare una cosa: bevve
in gran quantità il liquido nella coppa, qualunque cosa
fosse. Una volta che Eric avesse finito, il Circolo non avrebbe più avuto modo di esaminare la pozione.
E quando Blaise le tolse il calice di mano per passarlo
a lui, rimase del tutto imperturbabile.
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Eric bevve, sembrò leggermente sorpreso, e continuò
a bere.
«Finiscilo tuuuutto», disse Blaise. Teneva gli occhi
ancora fissi su Thea.
E fu allora che Thea capì senza ombra di dubbio.
Hai preparato tutto quando hai parlato per la prima
volta di somministrare ai ragazzi umani la Coppa del Lete dopo aver preso loro il sangue al ballo della scuola.
Hai versato il contenuto e l’hai messo da qualche altra
parte sostituendolo col tè, e poi hai rimesso i sigilli: evidentemente eri in grado di riprodurli usando degli stampi.
E adesso… adesso…
Quando Blaise riprese il calice, Thea fu travolta da un
pensiero che la trascinò sull’orlo dell’isteria.
Non funzionerà mai. Non ci crederanno mai. Ma…
Prese la mano di Eric e gli piantò le unghie nel palmo.
Non osò dirgli neanche una parola, non ebbe neppure il
coraggio di guardarlo. Non parlare, non fare niente, imita
solo quello che faccio io, pensava.
Cercò di rendersi inespressiva come una bambola di
cera.
Eric rimase immobile. Non sapeva cosa aspettarsi, ma
ovviamente sentì le unghie di Thea. E dimostrò la sua intelligenza non dicendo neanche una parola.
«La seduta è aggiornata», disse la nonna con voce tesa. «Blaise, accompagnali fuori finché sono ancora in
confusione. Dovrebbero essere in grado di tornare a casa
da soli». Si voltò senza guardare Thea.
«Nessun problema», replicò Blaise.
«Vengo con te», disse Aradia.
209
Capitolo 17
S
’incamminarono verso la jeep di Eric. L’aria notturna era gelida e non c’era la luna.
Thea teneva la mano sulla schiena di Eric, pronta a sospingerlo se avesse esitato. Ma lui non rallentò il passo.
Arrivata alla portiera della macchina, Thea guardò
Blaise. Aveva paura di mostrare una qualsivoglia emozione.
Aradia poteva vederli? Desiderava disperatamente abbracciare Blaise per l’ultima volta.
«Il negozio ha una finestra che dà su questo lato?»,
chiese Aradia.
Thea guardò Blaise. Blaise rispose: «No».
«Allora potete salutarvi. Dopodiché dovrete fingere di
non conoscervi».
Thea la fissò, poi dovette reprimere la risata che le nasceva nel petto. «Ora so perché sei la Vergine», disse, in
un sussurro a malapena udibile. «Ma… se ne è accorto
qualcun altro?»
«Non credo. Alcuni avranno dei sospetti, ma penso
che terranno la bocca chiusa. Ditevi addio in fretta».
Thea abbracciò Blaise, non riusciva a lasciarla andare.
«Grazie. Oh, Ilizia, Blaise, mi mancherai».
«Ora sono io l’ultima degli Harman», disse Blaise
cercando di simulare un tono ironico, di scherno, ma con
poco successo. «Avrò la stanza tutta per me», aggiunse
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con un’intonazione più credibile. «E darò a Sheena quel
che si merita».
«A chi?»
«Giusto, tu non lo sai. È quella che ci ha tradito. Una
delle ragazzette di Tobias, del Circolo della Mezzanotte.
A quanto pare ci spiava. Lui le ha svelato qualcosa e lei
ha capito che stavamo facendo degli incantesimi proibiti,
e poi ha spifferato tutto alla nonna».
«Ora non ha più importanza».
«Scherzi? Io finirò al Convento. La ammazzo». Le
campanelle tintinnarono quando scosse la testa.
Poi strinse più forte Thea. «Non so perché vuoi stare
con un umano, mormorò, ma spero che continuerai a volerlo, ora che l’hai conquistato».
«Blaise, quando torni, per favore, non fare più del male. Gli umani sono persone. Davvero».
Blaise sospirò; Thea aveva seri dubbi sulla condotta
futura di sua cugina. Ma ciò che disse, con un sussurro
quasi impercettibile, fu: «Mi mancherai, sorella».
Poi la lasciò andare.
Quando salì sulla jeep, Aradia si affacciò alla portiera
aperta.
«Due cose», disse rapidamente. «E sono il solo aiuto
che posso darvi. Madre Cibele ha menzionato il Circolo
dell’Alba. Ho sentito delle voci secondo cui da qualche
parte ci sono delle streghe che stanno progettando un
nuovo inizio: vogliono dimenticare l’Epoca dei Roghi, e
non riconoscono la legge del Mondo delle Tenebre. Non
so se è vero. Ma se le cose stanno così, magari puoi trovare quel Circolo».
Thea rimase senza fiato. Una debole speranza si risvegliò dentro di lei, come una gioia inaspettata.
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«E l’altra cosa», disse Aradia, con un raro sorriso che
le illuminava il volto. «Si dice che alcuni tuoi cugini Redfern abbiano assunto dei comportamenti curiosi. Ho perfino sentito che alcuni vogliono trovare l’anima gemella
fra gli umani, proprio come te. Potresti provare a contattarli e vedere di che si tratta».
Thea ritrovò il fiato, e con questo le lacrime. «Oh, Aradia, grazie».
«Buona fortuna, Thea. Anche a te, Eric. A tutti e due,
dovunque andiate».
Eric, che era rimasto tranquillamente seduto al volante, si protese per sfiorarle la mano. «Grazie». Thea capì
dalla sua voce che era confuso e stupito, ma cercava di
non darlo a vedere.
Poi partirono. Thea si voltò a guardare Blaise che diventava sempre più piccola. Una brezza leggera le soffiava fra i capelli, e sembrava una oscura e misteriosa Afrodite, una dea che agiva sempre nel modo più imprevedibile.
Eric guidò ad alta velocità finché non furono a distanza di sicurezza dal negozio, poi accostò su una stradina di
un quartiere residenziale. Guardò Thea e disse cauto:
«Sono immune anche a questa roba? Perché non mi sto
dimenticando niente. Oppure farà effetto da un momento
all’altro?».
Thea lo baciò.
Poi scoppiò in una risata isterica.
«No. No».
«Vuoi dire che siamo davvero al sicuro? Che conserverai i tuoi poteri?»
«Sì! Sì!».
Dovette ripeterglielo parecchie volte prima di riuscire
a convincerlo. Ma alla fine lui capì, e il suo viso si tra-
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sformò istantaneamente. Illuminato dal suo sorriso irresistibile. La strinse e la scosse e alla fine saltò giù dalla jeep e gridò: «Bene! Evviva Blaise! Sì! Sì!»
«Eric!».
Eric tirò un pugno alla jeep.
«Eric, torna su, idiota che sei! Qualcuno del Popolo
delle Tenebre potrebbe vederci». Poi, ridendo ancora,
senza riuscire a fermarsi per l’amore e la gratitudine e il
sollievo, allargò le braccia e disse: «Vieni qua».
Lui saltò su. Si adattavano perfettamente l’uno al corpo dell’altra, le sue braccia la circondavano, il suo respiro
accarezzava i capelli di lei.
«Sono così felice», le disse. «Ti amo, strega».
Thea rideva e piangeva. «Ti amo anch’io».
Le baciò una tempia. Lei gli restituì il bacio sulla
guancia. Poi lui la baciò sulla bocca e rimasero così a
lungo. E Thea dimenticò di ridere. Dimenticò che esisteva un mondo là fuori.
Restarono seduti vicini nell’oscurità, appoggiati l’una
all’altro, semplicemente respirando. Al sicuro. Uniti.
Thea era con una persona che la conosceva, che vedeva quello che vedeva lei. La sua anima gemella. Ed erano
liberi di stare insieme, senza essere inseguiti, senza paura.
Si sentì piena di gioia e tranquillità.
E anche di una quieta tristezza. Quel nuovo inizio non
era un dono dal cielo. Era pur sempre un’esule, divisa
dalla sua famiglia. Aveva perso la nonna per sempre. Se
voleva rivedere Blaise, doveva farlo in segreto. Aveva
rinunciato a molto. Quasi a tutto.
Ma non se ne pentiva. Non con Eric caldo e forte fra
le sue braccia. Non col Mondo delle Tenebre al riparo da
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una guerra civile, e con la minaccia agli umani ormai
scongiurata.
“E adesso?”, si chiese.
Stranamente, anche se non c’era una risposta chiara,
non aveva paura. Riusciva a intravvedere molti futuri, e
sembravano tutti ugualmente possibili.
Ora sarebbero andati a casa di Eric, e sua madre sarebbe stata sconcertata ma ospitale, e Roz sarebbe stata
aggressiva ma felice. E la settimana seguente Thea sarebbe tornata a scuola e si sarebbe iscritta al corso di zoologia avanzata.
Avrebbe ottenuto una borsa di studio per la Davis e
avrebbe fatto il veterinario, e avrebbe usato i propri poteri per scoprire cosa c’era che non andava negli animali
malati. O si sarebbe appassionata di lupi o di elefanti e
sarebbe diventata una naturalista che andava in posti
sperduti per studiarli. Oppure lei ed Eric avrebbero adottato un cucciolo come Bud e avrebbero scritto insieme un
libro per aiutare le persone a capire i loro cani.
Oppure avrebbe trovato il Circolo dell’Alba e incontrato le streghe che volevano dimenticare l’Epoca dei
Roghi. E sarebbero stati i primi a far conoscere di nuovo
la magia agli umani, e Rosamund sarebbe cresciuta indomita e orgogliosa, e avrebbe conosciuto tutte le leggende di Hellewise.
Oppure avrebbe ritrovato i cugini vampiri e scoperto
se veramente il principio delle anime gemelle era tornato
in auge. E il loro gruppo sarebbe stato una calamita che
avrebbe attratto altri giovani del Popolo della Notte con
idee radicali, dando inizio a una rivoluzione sotterranea.
Forse una nuova generazione di Redfern e Harman avrebbe stretto un’alleanza con gli umani. Forse era tempo
che l’odio finisse.
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Forse gli antichi poteri si stavano risvegliando e nuovi
tempi dovevano arrivare. Forse il mondo era in procinto
di cambiare.
Solo una cosa era certa.
C’erano infinite possibilità.
Abbracciò Eric e sentì il suo respiro. Era in pace con
la notte.
(Continua con L’angelo nero)
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INDICE
p.
2
9
21
35
48
60
74
87
101
114
127
140
154
167
183
198
210
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
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