Superga Sport Panatta: torna la scarpa che ha segnato la storia del

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Superga Sport Panatta: torna la scarpa che ha segnato la storia del
Superga Sport Panatta: torna la scarpa che ha segnato la storia del tennis
Intervista ad Adriano Panatta 40 anni dopo il suo trionfo al Roland Garros
Parigi, 13 giugno 1976. Adriano Panatta entra nella storia del tennis. In meno di due
settimane ha vinto – primo italiano a realizzare l’accoppiata nello stesso anno – gli
Internazionali di Roma (30 maggio) e il Roland Garros (13 giugno). Il 24 agosto si
aggiudica il record italiano, a oggi imbattuto, di miglior piazzamento nel ranking
mondiale in Era Open (4° posto). A metà dicembre, in Cile, vince la Coppa Davis con la
squadra italiana e con una maglietta rossa, che indossa in segno di protesta contro il
regime di Pinochet: un gesto che ispirerà un film e una canzone.
Oggi, a, 40 anni di distanza, Panatta torna a Parigi a premiare il vincitore del Roland
Garros. E a presentare un’edizione limitata (100 pezzi) delle scarpe da tennis con cui entrò
nel mito: le Superga Sport Panatta. Le stesse che, quel 13 giugno 1976, qualcuno aveva
improvvisamente fatto sparire dal suo spogliatoio...
È vero che, proprio la mattina della finale, il suo amico e collega Paolo Bertolucci partì
per Berlino portandosi via le sue Superga?
“Vero, sì: io ho il 44, lui il 43. Facile sbagliarsi. Lasciavamo le Superga, che erano in tela, ad
asciugare in spogliatoio. Paolo le scambiò per errore e mise le mie nella sua borsa”.
Lei cosa fece quando se ne rese conto?
“Era un problema. Intanto, per contratto, io dovevo indossare quelle scarpe con quel logo,
chiamato ‘a coda di rondine’. Mi proposero di tutto. Anche di comprarmi un paio di
scarpe da tennis bianche e disegnarci su il logo con un pennarello”.
E lei?
“Ero talmente abituato alle mie Superga... Giocare senza sarebbe stato un grosso elemento
di disagio. Erano almeno un paio d’anni che usavo soltanto quelle”.
Le foto e i filmati del 1976 mostrano inequivocabilmente che batté Harold Solomon
indossando le “sue” Superga: come fece?
“A Parigi, nel 1976, era impossibile trovarle. Così chiamai il mio amico Manlio Bartoni, che
aveva un negozio a Roma, Bartoni Sport appunto. Lui disse: ne prendo due paia del tuo
numero e vado subito a Fiumicino. Lì trovò un pilota che faceva scalo all’aeroporto di
Orly, poco distante da Parigi, e gli diede le scarpe. La finale si giocava alle due del
pomeriggio. Io ero arrivato in spogliatoio verso le dieci di mattina. I tempi erano molto
stretti, ma le Superga arrivarono”.
Crede che avrebbe perso senza?
“Quando giochi a quei livelli diventi molto abitudinario, e anche superstizioso. A Roma,
per esempio, dovevo sedermi sempre a destra dell’arbitro; a Parigi, a sinistra.
L’asciugamano, poi, mai sul bracciolo: solo sullo schienale. Inoltre avevo anche contribuito
a crearle, quelle scarpe”.
In che modo?
“All’inizio usavo il modello con la suola classica: quella che io chiamo ‘a buccia d’arancia’.
Però scivolavo. Feci rifare la suola con le spighette, e così non scivolavo più. Quella, per il
tennis, era una scarpa tecnica”.
Come avrebbe reagito se avesse perso la finale a causa di un paio di scarpe?
“Avrei pesantemente insultato Bertolucci”.
Quella mattina le cose non andarono tutte dritte. Raccontano che un suo amico le chiuse
la mano nella portiera dell’automobile.
“Sì, era la destra. Gli dissi: ehi, la mia mano! Poi mi accorsi che non mi ero fatto nulla.
Come non fosse successo niente”.
Come ci si sente a tornare al Roland Garros da veterano? A premiare il vincitore?
“Divertito”.
E 40 anni fa come si sentiva?
“Non sono mai stato scomposto quando ho vinto. La sera della vittoria ero persino
malinconico”.
Nel 1983 abbandonò il tennis. Aveva appena 33 anni. Perché?
“Quello che avevo da vincere l’avevo vinto. Il tennis ma non è mai stato lo scopo della mia
vita”.
Che cosa fa oggi Adriano Panatta?
“Tanti stage di tennis”.
Mi prende in giro?
“No: a giugno inizia la stagione degli stage. Via uno, l’altro. E mi occupo di
comunicazione”.
Altro?
“Tre figli e due volte nonno”.
Le sue passioni?
“Mi piace cucinare. No, mi correggo: sono molto bravo a cucinare. Poi ci sono la
motonautica e il golf”.
Qual è il suo luogo?
“Il mare”.
E in Italia?
“Il mare della Sardegna”.
Perché iniziò a giocare con le Superga?
“Non so se raccontarla… Suona un po’ arrogante”.
Proviamo.
“Era il 1975. L’amministratore delegato della Pirelli, che a quel tempo era proprietaria del
marchio Superga, mi telefonò: cortesemente, Panatta, potrebbe venire a Torino? Io ci
andai. Lui mi fece accomodare in ufficio e disse che voleva farmi un contratto. Chiese:
quanto vuole? Buttai lì: 100 milioni. E lui: ma lo sa che io sono l’amministratore delegato e
ne guadagno 30? E io, candido: ma lo sa che io metto le palle sulle righe?”
Ci vuole una certa audacia.
“Avevo 25 anni e l’arroganza della gioventù. Guadagnavo più con le scarpe che con
l’abbigliamento”.
Com’è tornato in contatto con Superga? È da un pezzo che il marchio non appartiene
più alla Pirelli ma al gruppo torinese BasicNet.
“Da 15 anni, tra aprile e maggio, facciamo una grande manifestazione in 10 piazze italiane
con i bambini delle scuole elementare. Si chiama “Banca Generali Un Campione per
amico”, guardi un po’ su Internet quanto ne parlano! Atleti e ragazzini si ritrovano per
trascorrere tutti insieme una giornata dedicata allo sport; divertimento e attività fisica
servono a condividere valori positivi come il gioco di squadra, la sana competizione, la
disciplina. Insomma, qualche anno fa chiamo Marco Boglione (fondatore e presidente di
BasicNet, proprietaria tra gli altri del marchio Superga, ndr) e gli chiedo un po’ di polo e
un po’ di abbigliamento tecnico. Lui mi dice: no. Invece, alla fine, mi manda le sue tute
Kappa, ed eccoci qui”.
Qual è il tennista più forte che ha incontrato in campo?
“Borg. Era difficile da battere”.
E quante volte lo ha battuto?
“Sei volte io, nove volte lui. Però al Roland Garros ho sempre vinto io”.
C’è una sconfitta che brucia più delle altre?
“La finale di Roma del 1978. Sempre Borg, naturalmente”.
Oggi qual è il suo tennista preferito?
“Federer, un fenomeno. L’unico che guardo volentieri. Fa delle cose che non si possono
fare. Lo guardi e dici: ma le leggi della biomeccanica non lo consentono. Però lui le fa”.
Il giocatore più forte di tutti i tempi?
“Non c’è. Ogni periodo ha il suo”.
Qualche anno fa uscì un libro strepitoso e terribile: Open, la biografia di Agassi. Quel
drago sputa-palle contro cui il padre lo costringeva ad allenarsi da bambino nel cortile
dietro casa ha suscitato la pietà degli appassionati. Anche lei ha iniziato spinto da
qualcuno?
“Macché! Io ho avuto due genitori meravigliosi! Mia madre non sapeva nemmeno i
punteggi del tennis. Mio padre era custode del tennis Club Parioli, ma non ha mai giocato
in vita sua. Non mi ha mai chiesto una volta: perché hai perso? Mi lasciavano fare”.
Che effetto le fa oggi, a 40 anni di distanza, indossare di nuovo le “sue” Superga?
“Sono contento. E faremo concorrenza alle Stan Smith (ride)”.
Le è capitato spesso di indossare le Superga fuori dal campo?
“Sempre. Non quelle da tennis, però: quelle classiche. Le ho sempre portate senza lacci.
Un must. Bianco, blu ed ecrù. D’estate ti risolvono la vita, e più le metti in lavatrice più
diventano belle. Se penso che, quando cambiai casa, fui costretto a buttarne via almeno
una ventina. A forza di usarle, ormai le avevo divorate”.