Il giallo di Milla

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Il giallo di Milla
Il giallo di Milla
Tra il 1999 e il 26 giugno 2002 il newsgroup it.hobby.scacchi fu allietato dalla presenza di una serie
di messaggi a firma di una certa “Milla”, appassionata scacchista fan di Bobby Fischer, nonché
cultrice di fisica ed astronomia. Nel corso di tre anni apparvero circa ottocento messaggi (fonte:
Google) di o su questa fantomatica presenza, riguardanti i più disparati argomenti: teoria delle
aperture, richiesta di consigli, meccanica quantistica, racconti e anche la proposta per gruppi di
studio permanenti su determinate aperture. L’entusiasmo, la simpatia e la parvenza fisica
(almeno quella rivelata: tale Milla aveva indicato la foto che
vedete, appartenente al suo “sosia” Milla Jovovich) della
scrivente facevano sì che ogni messaggio su IHS della stessa
fosse seguito con particolare attenzione. Alcuni esempi: titolo:
ve l`avevo promesso... data (2000/02/12 ) indirizzo completo
del messaggio:
http://groups.google.com/groups?selm=38a54080.13495185@
news.interbusiness.it&oe=UTF-8&output=gplain
titolo: per farmi perdonare data (2001/03/14) indirizzo
completo del messaggio:
http://groups.google.com/groups?selm=200103141201.f2EC1
[email protected]&oe=UTF-8&output=gplain
contenenti ognuno un racconto di carattere fantascientifico
(fonte:Google, : I thread più lunghi, 8 novembre 2003).
Ma anche frivoli pettegolezzi o “scandali”: (titolo: ho aiutato
un amico a vincere delle partite su FICS ).
Ecco quanto scriveva di sé stessa (messaggio del 10.03.2001):
“ Si', il mio nome e ' Emanuela e non dovrebbe essere un
segreto, mi pare lo scrissi una volta su IHS. Non sono sposata e non intendo farlo, almeno per ora.
Fidanzata non ve lo dico,(chissà, magari Bobby decide altrimenti...:-). Non rilascio foto (non ne
esistono nemmeno in rete), a qualcuno tempo fa mandai una foto di Milla J. che - in quella foto mi
e' sputata (Si' si', e' per questa ragione che ho scelto questo nick. D'altronde e' il mio soprannome
da molto prima del 5 Elemento). Per i curiosoni:
http ://www.cinemastars.com/milla/GalleryTwo.htm immagine n.15, la terza da sinistra (è la foto qui riprodotta, ndr).
Non do' appuntamenti al di fuori di Internet. Scusate se in questo sono noiosa fino alla pallosità.
Non dico dove abito, amo la mia privacy. (…) Amo la fisica (cosmologia e MQ) e la matematica
ma non sono una fisica. Non vi dico cosa ho studiato perche'sono una femmina e in quanto tale
vanesia e capricciosa.” La feroce ritrosia, apparentemente spontanea per una bella ragazza che si
collega al variegato mondo di Internet, fu presa abbastanza seriamente dai partecipanti del NG
It.hobby.scacchi, dato che bastava la sola presenza di quella magica firma per accendere
l’attenzione di tutti: “Si, ma certe cose si percepiscono anche se tra di noi c'e` solo un monitor con
delle scritte ASCII davanti. Tu sei diversa dalle altre...Tutto IHS se n'e` accorto.”
Tutto proseguì fino alla fatidica data del 26 giugno 2002, quando apparve il seguente messaggio:
(Oggetto:*** leggete questo ***), in cui compariva questo indirizzo: ww.geocities.com/milla_451.
Andando a tale indirizzo si poteva leggere quanto segue:
Mentre sto scrivendo queste righe so che questo non è un saluto temporaneo, di quelli che ci si
scambia di solito tra amici, ma un addio, e definitivo. Questo addio è per la creatura che, per varie
vie non del tutto previste, mi ha dato molto. Grazie Milla, grazie per la tua temporanea esistenza in
questa mia vita. E addio.
Sono convinto che la bellezza salverà il mondo. Non solo quella esteriore, che pure è ricercata ed
inseguita. Spesso la vera bellezza è nascosta, e la sua ricerca costa fatica. E’ certo più facile
inseguire l’apparenza. Qualche volta tuttavia dietro l’apparenza scopriamo le parole, e se penso a
Milla la rivedo come una creatura non di immagini, ma di parole.
Prima che leggiate il resto voglio lasciarvi un ultimo dono. E’ la cronaca di un incontro, e di un
bacio. Il mio augurio è che possiate ancora un poco sognare con esso. D’altra parte, esclusi i sogni e
il gioco (oltre alla famiglia, i buoni libri, il vino e gli amici), che altro ci resta per sopravvivere ?
Non molto tempo fa…
Questo pomeriggio torrido sembra non finire mai, e in un certo senso ho desiderato che fosse così.
I villeggianti che affollano il marciapiedi sembrano appartenenti ad una misteriosa vociante tribù.
La spiaggia non è lontana, e l’odore di salsedine, a cui non sono abituato, si spinge fino qua. Sfilo il
portafogli dalla tasca. All’interno qualche carta moneta e, dagli spigoli ormai consunti, un foglietto
ripiegato E’ una foto di lei. Non ho bisogno di vederla. Milla è lì, con quell’espressione copiata da
un angelo sceso per errore su questa terra. Conosco quell’immagine in ogni suo millimetro, potrei
disegnarla, suonarla o ricrearla con ogni oggetto. Quei pochi tocchi di colore che formano un viso
hanno logorato i miei giorni e le mie notti, è stata una lenta malattia che, mio malgrado, mi ha
catturato sempre più.
Questo pomeriggio sembra non finire mai. Anche se finirà, come tutte le sere e tutti i giorni di
questa terra. Forse in un luogo non troppo lontano dell’universo le sere così belle rimangono in
eterno. Come nel paradiso o nel nirvana, dove dicono si annullino tutte le sofferenze. L’aria ora
porta un profumo di fiori e di mare, la vicinanza di grandi palme fa di questo viale un enorme
giardino esotico.
Guardo per l’ennesima volta lo sgraziato scatolone dell’Hotel ****. L’ultimo turno del torneo
scacchistico si è concluso da poco. La premiazione comincerà tra poco meno di un’ora. Davanti
all’entrata sosta un gruppo di persone in attesa. So che tra loro ci sono anche dei GM, ma non mi
importa granché. So che lei è là dentro, da qualche parte. Se i miei amici sapessero che sono qui non
per giocare ma solo per vedere lei, mi prenderebbero per scemo. Probabilmente lo sono. Uno scemo
con un sogno. Forse tutti quelli che inseguono un sogno lo sono.
Mi alzo per sgranchirmi le gambe. Sono in attesa ormai da un’ora. Il sudore mi cola lungo le
guance. Aspetto non lontano dalla porta a vetri dalla quale lei uscirà, come è già successo altre volte
in questi giorni. Uscirà in compagnia di un tipo che sembra sbucato da un’agenzia per modelli. Mi
specchio in una vetrina poco distante e vedo l’immagine di una persona che non ha niente a cui
vedere con quella specie di vichingo abbronzato. Lei passerà a pochi metri di distanza e forse sarà
come le altre volte, altre volte in cui mi è sempre mancato il coraggio. Ripenso a tutti i momenti in
cui l’ho veduta durante questi giorni, assorta sulla scacchiera, una ciocca di capelli biondi che sfiora
il tavolo, i suoi occhi che guardano seri davanti a sé. So che il mio desiderio vive di pura fantasia,
ed è della stessa materia dei sogni. So che non ho alcuna speranza, ma non cerco nemmeno una
soluzione. Preferisco inseguire un sogno, il mio sogno. La banalità delle parole che esprimono
questo pensiero, “inseguire un sogno” non mi infastidisce più con il suo sapore di luogo comune.
Ora che sto scrivendo me ne rendo conto. Era, è stato per molto tempo – da quando ho veduta la sua
foto per la prima volta - un luogo comune. E’ vero. Ma era il mio luogo comune.
Continuo a fissare quel punto come se lì risiedesse il centro del mondo, l’origine e il termine
ultimo di tutte le mie domande. E’ solo una porta, una stupida porta di vetro e metallo che si apre su
di una parete di albergo. Solo ora mi rendo conto di quanto tempo ho atteso per essere qui ora,
quante volte la mia immaginazione ha costruito questo momento. Ed è naturalmente diverso, come
è diverso ogni avvenimento troppo atteso e non ancora accaduto. Figli della memoria, mi scorrono
di fronte una quantità di scenari diversi, assemblati nei più minuti istanti e particolari: una spiaggia
al tramonto, un lungo viale alberato, un colonnato in penombra… solo ora mi rendo conto
dell’evidenza così ridicola di tali fantasie. In questo momento sono appoggiato ad un cartellone
pubblicitario, un cane sta orinando a due metri dalle mie gambe, poco distante c’è un cassonetto
della spazzatura. So che non pretendo poco, il paradiso non si guadagna così facilmente. Ma questo,
se qualcuno lo vorrà, sarà il mio pezzo di paradiso.
Il destino a cui mi sono abbarbicato con tutte le mie speranze è stato di parola. La porta si apre e
Milla esce, seguita dal ragazzo biondo, occhiali specchiati e una maglietta senza maniche. Lei gli
sta dicendo qualcosa e ride. Sembrano due divi del cinema. Sto per staccarmi dal marciapiede
quando accade qualcosa che mi fa capire che qualcuno lassù, se esiste, mi sta offrendo un regalo
unico. Dopo una decina di passi lei si ferma e dice qualcosa all’amico, che fa dietrofront e torna
nell’albergo. Il viale davanti a me è deserto, ed è così strano, poco fa sembrava pieno di gente. Tra
noi ci sono poco più di dieci metri. E allora lo faccio. L’avrei fatto lo stesso con quella sorta di
guardia del corpo presente. L’ho già fatto decine di volte nella mia testa. Da settimane, mesi l’avrei
fatto. Approfitto della distrazione del destino, di Dio o di qualcun altro che sta lassù, attraverso la
strada e mi dirigo verso di lei. Milla alza la testa, Mi vede. “Ciao amore”, penso, Ciao Milla. Lei
sembra interdetta. Si è sicuramente accorta che non sono uno scacchista, che lì, in quel momento,
non c’entro niente. Non voglio spaventarla. Sorrido, lei mi rimanda il sorriso ma avverto del timore.
Devo agire velocemente per impedire che i miei movimenti siano fraintesi. Mi fermo, dal marsupio
estraggo la scatola che contiene la rosa che ho scelto per lei. E’ una rosa bianca, appena screziata di
rosso. Alzo la scatola e la porta a vetri dietro a Milla si riapre.
Il resto accade tutto in pochi secondi, come accadono gli eventi che cambiano una vita, come
forse è avvenuta la creazione. Il mio ricordo ora dilata quei pochi attimi all’infinito, smagliando le
immagini e i pensieri come una rappresentazione congelata di tre attori che cercano di seguire un
assurdo copione. Io che apro la scatola e dalla scatola esce quello che della rosa non è più, solo
pochi petali arruffati e un paio di foglie accartocciate. Milla che mi guarda e sorride, mentre il
ragazzo mi si avvicina. La mano di lei si alza, la sua voce dice qualcosa all’amico che non riesco a
sentire. Il ragazzo si blocca ad un metro di distanza, mi sorpassa di tutta la testa, so che potrei
prendermi un ceffone da un momento all’altro. Intimorito, ho eseguito un movimento istintivo con
la testa e mi sono caduti gli occhiali da sole. Solo ora mi rendo conto di aver avuto una reazione
stupida. Milla si fa avanti. Non sorride più, ma nella sua serietà non c’è più timore. Si china, mi
raccoglie gli occhiali. “Chi sei ?” dice, “Ci conosciamo ?” Lì per lì non capisco, mi rendo conto che
sto facendo la figura del deficiente. dalla sua bocca le parole sono uscite quasi mormorate. La sua
voce è proprio come l’ho sempre immaginata, calda e morbida. Ti ho conosciuta attraverso il
newsgroup rispondo, ho saputo da *** che eri qui a giocare. E il mio nome non ha molta
importanza, non sono nessuno, solo uno che vuole un bacio. Un bacio per una rosa. E le porgo lo
stelo sfinito. Lei ha posato la mano sopra il braccio dell’amico. Basterebbe una sua parola e mi
ritroverei steso per terra. “Un bacio”, ripete Milla, “Un bacio per una rosa”, e ha un’espressione che
la mia memoria ormai potrebbe dipingere ovunque. Poi ride, e questo è l’ennesimo regalo. Un bacio
per una rosa, ripete, e questa frase sembra divertirla. Ma non sta canzonando la mia richiesta
stupida. Allunga una mano e prende quello che rimane della mia rosa. “Questa è una…rosa ?”
sorride ancora. Poi avvicina il suo viso al mio. Sento un profumo di limone, il tocco minuscolo
delle labbra che si sfiorano. “…e questo è un bacio”. Le ultime cinque parole le hanno udite solo
due persone. Questo è il suo ultimo regalo. Mi saluta. Senza capire cosa sto dicendo ripeto il suo
saluto. La seguo con gli occhi mentre, mano nella mano, si allontana con il suo biondo angelo
custode.
Attraverso la strada e mi dirigo verso un bar. Ordino una birra. Lungo il viale passano urlando una
manciata di ragazzi in bicicletta. La piccola folla di curiosi davanti all’entrata dell’Hotel si è
dissipata. Qualcuno ride forte.
La birra è calda, ma non ci faccio caso. Pago, mi accendo un mezzo toscano e mi incammino verso
la stazione.
Cari amici,
Prima di cominciare con le spiegazioni vorrei che leggeste questo messaggio inviato a IHS
nell’aprile dello scorso anno.
Da:Andrea
Soggetto:per Claudio Benzi (e per Seby)
Newsgroups:it.hobby.scacchi
Data:2001-04-26 10:29:41 PST
ciao ragazzi,
Riporto
uno
"scambio
di
battute"
tra
due
partecipanti
al
newsgroup
it.hobby.scacchi, Claudio Benzi e Seby (thread "depressione" di Claudio Benzi,
risposta di Seby del 25 aprile 2001):
Claudio Benzi: "Sono molto depresso perché non riesco a perdere dignitosamente
contro Gnu e sul Fics, dovendo fare in fretta, vado nel pallone e poi finisce
che abbandono".
Seby: "Bè come dici tu stesso "dovendo fare in fretta" non giochi bene, ma
nessuno ti vieta di giocare con tempi + lunghi".
Claudio: "In tutta la mia vita (ne ho 63) avrò fatto forse dieci partite con
amici, molto scarsi,in verità, ed ora, grazie al PC, mi sono un po' allargato,
ma sono veramente sconsolato. Penso che non vivrò abbastanza per poter affermare
di 'saper giocare a scacchi'......"
Seby: "Certamente puoi affermare di saper giocare a scacchi, per ciò basta
conoscere le regole... ma non potrai affermare di saper perdere se la prendi in
questo modo.
Secondo me la prendi troppo sul serio:
1 - tu non sei un professionista degli scacchi!
2 - l'importante nella vita è partecipare!
3 - ci sono ben altri motivi per cui varrebbe la pena di essere depressi, non
credi?
4 - hai mai analizzato una tua partita persa?
5 - giochi per giocare o per dimostrare qualcosa a te stesso e agli altri?
6 - guarda agli scacchi come un mezzo per distrarti dai problemi reali e non il
contrario e sarai felice...almeno mentre giochi :-)
P.S. ricorda che mille giorni di tristezza non ne fanno uno di felicità."
Questo era il thread. Ora dico la mia. Ho una storia, e ve la racconterò.
Premessa:
Questo periodo della mia vita (almeno da due anni a questa parte)è
caratterizzato dal gioco degli scacchi. Dire caratterizzato è alquanto
limitante. Più propriamente posso affermare che sono letteralmente bruciato
dalla febbre degli scacchi. Ho quasi quarant'anni e ho cominciato a muovere i
pezzi due anni fa. Da allora ho studiato libri, ho frequentato il circolo della
mia città e ho giocato quanto più possibile. Un anno fa ho preso coscienza che
chi inizia a giocare a quarant'anni ed è immerso in una vita di impegni di
lavoro e familiari non diventerà mai un campione. Dal canto mio non mi faccio
troppe illusioni. Ho partecipato ad un unico torneo a costo di notevoli sforzi e
credo che non avrò più tante occasioni nella vita, se non quando sarò in
pensione. E' noto che negli scacchi per possedere una categoria
è necessario
partecipare a tornei.
Rimpianti ?
Potrebbe servirmi il rimpianto di non aver iniziato a giocare a dieci anni ?
Vediamo un po' cosa ho fatto nella mia vita giovanile. A dieci anni costruivo
capanne sugli alberi in riva al fiume, a tredici anni mi sbafavo pagine di
Asimov e a sedici correvo dietro alle ragazze. A vent'anni ho cominciato ad
andare seriamente in motocicletta e le due ruote mi hanno regalato istanti
indimenticabili. Ho studiato, ho cominciato a lavorare, mi sono sposato e ho
generato dei figli.
Insomma, durante la mia giovinezza (e anche dopo) ho fatto altro.
Certo, conoscevo l'esistenza degli scacchi. Verso i dieci anni (era il '72),
lambito dalla scia del match del secolo ho rischiato di cominciare a giocare, ma
nessuno dei miei amici giocava, e non me la sentivo di andare solo soletto nel
circolo della mia città (non credo nemmeno sapessi dell'esistenza di un
circolo). Mancando degli stimoli in questo senso, l'idea degli scacchi
progressivamente
si
allontanò.
Talvolta
tuttavia
essi
tornavano:
mi
incuriosivano quei problemi che appaiono nei giornali enigmistici, e possedendo
una certa passione per la logica qualcosa mi diceva che prima o poi avrei
imparato le regole. Tuttavia soprassedevo, giustificandomi con l'affermazione
che in fondo gli scacchi sono una perdita di tempo e che ci sono altre attività
più utili per passare il tempo.
La mia storia
Passò così l'infanzia, passò l'adolescenza, arrivarono i momenti delle grandi
scelte, del lavoro, della famiglia. Nel 1992 per motivi di lavoro dovetti
cambiare città per un luogo che conoscevo soltanto sulla carta, lasciando a casa
la famiglia e gli amici. Causa la lontananza tornavo a casa solo il fine
settimana. I primi tempi (si era in primavera) alloggiai ospite di un convento.
Ero completamente solo e durante i lunghi tramonti estivi imparai a giocare a
scacchi.
Mi ero comprato un libricino, "giocare a scacchi" di Averbach e avevo con me una
scacchierina portatile. Durante quell'estate imparai a muovere i pezzi. Quando
trovai un alloggio stabile cominciai a frequentare un bar in cui si talvolta si
radunavano gli studenti universitari per giocare. Lì imparai il significato di
avere un avversario. Perdevo quasi sempre, ma non mollavo. Ricordo in
particolare uno studente, un greco, che era considerato il campioncino del bar:
ci batteva tutti, invariabilmente. Un giorno comparve un uomo dimesso, quasi un
barbone, che dopo aver bevuto un bicchiere si fermò a guardare il gioco del
greco. Dopo qualche minuto sfidò il campione del bar, che umiliò in poche mosse.
Era uno di quegli slavi che vendevano binocoli e macchine fotografiche sul
marciapiede. Fu in quel momento che intravidi l'esistenza di una qualità di
gioco superiore a quello dilettantesco.
Passarono tre anni in cui, dopo un periodo iniziale di passione il gioco si
affievolì, più che altro per mancanza di avversari. Riuscii a tornare alla mia
città e cercai di frequentare l'unico circolo scacchistico. Un paio di visite
confermarono l'impressione iniziale: il circolo era praticamente inesistente, e
trovare un avversario era un'impresa ardua. Lasciato solo a me stesso, mi
allontanai di nuovo dal gioco. Ma era una brace che covava sotto la cenere:
appena vedevo qualcuno giocare mi avvicinano, un paio di volte andai a vedere un
torneo. Insomma, la scacchiera continuava ad esercitare su di me il suo fascino.
Nel 1999 caso volle che un parente si trasferisse nella mia città. Giocava a
scacchi da dilettante, come me, e cominciammo a vederci qualche volta per
giocare. La brace riprese forza, divenne un fuoco dirompente. Ricominciai a
frequentare il circolo andando letteralmente a scovare avversari disponibili,
acquistai libri, cominciai a studiare partite commentate. Nei primi mesi del
2000 partecipai in una città vicina [Rimini] ad un Festival in cui c'era una
sezione per la promozione alla Terza Nazionale. Persi tutte le partite meno una,
l'ultima, ma le ripetute sconfitte non fecero altro che accrescere la mia voglia
di continuare a giocare e imparare.
Da allora continuo a giocare. Purtroppo, per accresciuti impegni, non riesco più
a frequentare il circolo, ma ho un PC e la sera tardi strappo un'oretta al sonno
per frequentare FICS. Non gioco breve perché ancora non ne sono capace, e i
tempi lunghi (almeno 20') aiutano la mia connaturata lentezza nel pensare. Ogni
tanto do un'occhiatina a qualche libro tecnico.
E' chiaro che ho dovuto fare delle scelte. Per giocare a scacchi ho rinunciato
ad altre cose a cui tenevo e continuo a tenere tantissimo. Ma credo che il gioco
degli scacchi sia un gioco bellissimo e che valga la pena di "perderci" un po'
di tempo. D'altronde la scelta è stata unicamente mia.
Il gioco degli scacchi è una "meravigliosa" perdita di tempo. Ora si tratta di
valutare come viene perso questo tempo. Poche sere fa mia moglie mi chiese
perché ero così intrattabile. Risposi che avevo perso tutte le partite in FICS.
Lei si mise a ridere rispondendomi: "ma se dev'essere un gioco, a che vale
arrabbiarsi tanto ?". E' vero, gli scacchi sono un gioco e le affermazioni di
Seby sono sacrosante. Le riporto ancora perché ne vale la pena: "ci sono ben
altri motivi per cui varrebbe la pena di essere depressi, non credi?", "giochi
per giocare o per dimostrare qualcosa a te stesso e agli altri?", "guarda agli
scacchi come un mezzo per distrarti dai problemi reali e non il contrario". Sono
affermazioni molto importanti e razionalmente le comprendo, anche se a volte il
"sacro fuoco scacchistico" me li fa dimenticare. Invece le dobbiamo tenere
sempre presenti.
Gioco a scacchi. Perché gioco? Gioco perché mi dà gusto, perché mi fa sentire
vivo. Probabilmente da qui a vent'anni non riuscirò a partecipare a tornei ma,
grazie ad Internet, oggi è possibile giocare in un circolo virtuale grande come
il mondo. Non sento il bisogno di possedere categorie ufficiali (anche se sarei
fiero di possederne),non mi interessa una carriera professionistica. Penso che
il giocatore di scacchi non sia quello che si fregia di 3N, 1N o GM, ma la
persona che siede davanti ad una scacchiera. Che siede e gioca. E' il gioco che
crea gli scacchi, non tutto quello che gli sta intorno (e che tuttavia gli è
necessario).
"guarda agli scacchi come un mezzo per distrarti dai problemi reali e non il
contrario". Gli scacchi sono una delle poche medicine a questo straccio di vita
(oltre alla famiglia, i buoni libri, il vino e gli amici). Gli scacchi sono per
il me il momento della sera in cui, nel silenzio di casa mia, magari con un
birrino, mi piazzo davanti al PC, entro in FICS e il cuore comincia a battere
più veloce nel momento in cui il mio avversario ha accettato la partita. E' la
stessa sensazione che provavo quando ero alla partenza di una gara
motociclistica. E in questo senso gli scacchi allungano indefinitamente la
giovinezza.
E, come ogni cosa della vita, si continua ad imparare, sempre. Anche a perdere.
Anzi. Ultimamente mi è capitato di complimentarmi con il mio avversario per la
sua vittoria, mentre qualche mese fa gli avrei messo, se avessi potuto, un dito
in un occhio. Sono permaloso di natura e gli scacchi mi fanno bene. Per me gli
scacchi sono anche la "lettura" di una partita commentata di un grande campione.
In un certo senso è come leggere un bel libro; intuire anche in misura minima le
meraviglie tattiche e strategiche di un grande dà appagamento. Il gioco degli
scacchi in effetti è qualcosa di più di un gioco: è agonismo, studio,
meditazione (la famosa triade: arte, scienza e sport è indicatissima).
Quindi gioco a scacchi, e continuo a farlo. Magari cercando di evitare dannosi
estremismi. A quest'età non me li potrei permettere. (una volta seppi di una
persona che aveva perso il lavoro per il gioco: ecco, questo è quello che
definisco un estremismo dannoso). Giocare per vivere e non viceversa quindi.
Ho cominciato a giocare a quarant'anni, ma vorrei che il gioco degli scacchi mi
accompagnasse per il resto della mia vita. E questo, a prescindere dall'età in
cui si comincia, è una cosa stupenda.
Andrea
Ho premesso questo lungo messaggio per il semplice fatto che Andrea sono io. Non mi chiamo
Andrea ma Francesco. Tutto quello che ho scritto nel messaggio precedente è vero. Tutto quello che
vi ho scritto finora è vero, salvo le due bugie sull’età… e naturalmente sul sesso.
Ora le spiegazioni. Perché ho fatto nascere Milla. Non è stata una stupida facezia.
Come principiante avevo grossi problemi a imparare a giocare a scacchi. Nella mia città ci sono
pochissime occasioni per giocare. Quindi se volevo risolvere i miei problemi dovevo darmi da fare
da un’altra parte. Internet e il newsgroup era una porta aperta sul mondo scacchistico, ma come
sfruttarla ?
Quando ho iniziato a scrivere su IHS e a porre domande su molti dubbi che affioravano un giorno
dopo l’altro ho scoperto una cosa: che difficilmente gli esperti scacchisti – per il 99% uomini rispondono ad un messaggio firmato “Francesco”. Altra cosa era se scriveva una ragazza. E’ allora
che è nata Milla. In quei giorni avevo visto “Il quinto elemento”, ed ero rimasto affascinato da Milla
Jovovich. Non ho dovuto faticare granché, in fondo mi sono soltanto cambiato sesso ed eseguito
una correzione sull’età (una quarantenne principiante di scacchi sarebbe stata forse poco credibile,
una trentenne forse più attraente). Per il resto, la casa vicino al fiume, i gusti letterari, gli studi
scientifici – tutto è rimasto inalterato. Ho pescato una foto della Jovovich con la quale, chi voleva,
poteva associare un volto alla “voce” di Milla. Insomma, ho creato una personalità virtuale ma
nemmeno tanto, dato che al 90% ero io.
L’esperimento funzionò, e alcuni cominciarono a rispondermi. Abbandonai volutamente i contatti
di chi insisteva per incontrarmi, o di chi aveva voglia di perdere solo tempo. Grazie ad Internet
risolsi vari dubbi che, progredendo, affioravano. E per questo devo ringraziare tutti voi.
Tuttavia mi rendevo sempre più conto che era ingiusto continuare a tacere la verità. Prima o poi
avrei dovuto scoprire le carte.
D’altra parte Milla aveva sorpassato le mie più rosee previsioni, mi era venuta troppo bene ! era
perfetta: bella come una dea, intelligente e spudorata, appassionata di scacchi, di letteratura e
cosmologia, delicata e maliziosa… forse la femmina ideale, forse inesistente?
Devo dire che parecchi hanno tentato di penetrare non nel rifugio informatico che avevo dovuto
necessariamente creare (finti indirizzi, depistaggi su improbabili server, numeri di cellulare fasulli),
e devo dire che qualcuno ce l’aveva quasi fatta a smascherarmi. Ma fra le innumerevoli email che
Milla ha ricevuto durante questi anni, queste sono le righe (scusami amico, ho perduto il tuo nome)
che forse meglio hanno colto il “personaggio” Milla:
“…qui nel web la maschera conta più del volto. Anzi, la maschera è il volto (…) sta di fatto però
che hai creato un personaggio affascinante, con una personalità specifica e immanente, che però
esiste solo in quella realtà impalpabile e aspaziale che è il web. In altre parole sei il vero frutto del
superweb, una scintillante promessa irrealizzabile, l'albero degli zecchini d'oro promesso dal gatto
e dalla volpe…”
Cara Milla, addio.
E così Milla scomparve dalla scena scacchistica di IHS.
Poco tempo fa ci pervenne il seguente messaggio anonimo:
(l’ indirizzo del mittente : [email protected] - è evidentemente fasullo, il mittente ha
mascherato in qualche modo il suo vero indirizzo) –
Milla Milla Milla Milla. M-i-l-l-a. M come magnificenza fatta carne, meravigliosa incarnazione
dei miei sogni. I come imprescindibile prorompenza, L languida rotondità dei suoi seni e ancora L,
perché i seni delle donne sono due e per la limpidezza del suo sorriso. A come angoscia per la sua
assenza, agognata presenza, abbracci lentissimi su far della sera… Amore ? Che cos’è l’amore,
virgoletta rosa tra le paroline “ora t’amo, tra sei mesi chissà”, stracciatella linguistica sbrodolata in
ogni sonetto ed in ogni salsa, spalmata ad ogni cambio di nota per sanremesi vagonate armoniche,
girata rigirata e rosolata per bibliche generazioni di show televisivi. Amore, amore, amore…Detta,
ridetta e stradetta e infarcita da interi zoo di pussi pussi, micci micci, ticci ticci, chiudi tu no prima
tu, dai fammi il gattino l’orsetto il cagnolino il cucciolino il pipistrellino il barracudino il
coccodrillino… e che cazzo !
No, l’amore come “Amore”, sentimento sublime ed indissolubile che smuove le montagne e
innesca conflitti continentali è defunto, ucciso dall’idiozia degli adepti, divorato dall’interno dalla
sua stessa bocca, compresa la lingua – disgustosamente rosa confetto. Sminuzzati i suoi eterei atomi
di tenerezza, prerogativa questa intercambiabile con altre seimila almeno, in un andirivieni
evocativo che ha del paranoico nella storia dell’umanità. Amore. Il Love shakespiriano, Amore
leopardiano, Amor nerudiano si è sbriciolato in stupidità extragalattica. L’unico oggetto che è
capace di muovere non è certo una montagna, e i conflitti innescati sono quelli che s’impigliano tra
una cerniera lampo e un reggicalze difettoso. L’universale divorato dal particolare, digerito in
porcheria qualunque (ma caspiterina se commercializzabile) e adoperato come concime. Ad uso
della banalità cretina, che piace sempre e tira l’audience.
That’s amore. Se l’Amore è “quell’amore”, non so che farci per Milla. Quindi non dirò cosa provo
per Milla. L’inutilità mi toglie le parole, ad un oceano di inesattezza è preferibile un secco ma
preciso silenzio. Cosa prova un elettrone per il suo nucleo, l’archetto per il suo violino, una patatina
per un tubetto di maionese, o meglio un bicchiere di Coca-Cola ? Milla non ha cambiato la mia vita,
ma l’ha presa e messa in lavatrice, in un programma con due prelavaggi e sette centrifughe. Milla
ha dovuto essere inventata perché esistessi, in caso contrario perché trascinarmi dal pannolino al
sudario, dallo spermatozoo alla tomba ?
La incontrai a Rimini, il tre luglio del 2000 alle ore quindici e trenta. Ricordo bene l’ora perché
parcheggiai l’auto in zona grattino, un’ora duemila lire, le ore successive mille e così via in serie
decrescente fino alla notte dei tempi e della Riviera. Il calcolo dell’orario di parcheggio mi ha
sempre portato via una considerevole fetta di parcheggio già pagato. Credo che la difficoltà di
interpretazione delle spiegazioni dei parcometri sia una subdola necessità per rimpinguare le casse
comunali.
Dovevo incontrarmi con Windo per andare insieme ad una improbabile mostra di grafica
computerizzata. Nel luogo scelto per l’appuntamento Windo non c’era. Conoscendo il mio amico,
mi recai nel più vicino bar e mi presi un caffè. Windo non c’era dieci minuti più tardi, non c’era il
quarto d’ora successivo e nemmeno quaranta minuti dopo. Dopo tre caffè, un cappuccino, un
bicchiere d’acqua gassata e una incipiente incazzatura decisi di tornare a casa. Dovevo prevederlo
che era più probabile fare pipì sulle scarpe del presidente degli Stati Uniti che avere un
appuntamento con Windo. E a proposito di pipì avevo qualcosa da dire. Di molto lungo. Ero certo
che il viaggio verso casa non avrebbe che peggiorato la situazione della mia vescica. E se qualcuno
ha viaggiato in auto sulla Statale Adriatica trafficata con la vescica ricolma sa cosa voglio dire. Non
un angolino appartato, non un bar, l’angolo di un’officina né l’entrata di un supermercato. Una
disperazione organica per chilometri e chilometri, fino alla risoluzione estrema di uno spartitraffico
trafficatissimo.
Il problema maggiore era stato l’acqua gassata. Le bollicine di anidride carbonica avevano
sadicamente organizzato un party nei miei tubercoli renali, mentre le molecole lattee del cappuccino
mi lavoravano allo stomaco. Sapevo di avere pochissima autonomia. Forse un altro paio di centinaia
di metri e non avrei più risposto delle mie azioni organiche. Tornare al bar dell’appuntamento non
mi andava, avrei dovuto ordinare qualcosa d’altro e solo la vista delle file di bottiglie di liquidi
dietro il bancone mi avrebbe fatto esplodere come un palloncino ad una fiera paesana. Ci voleva un
diversivo, e subito.
Due oggetti risolsero il mio problema e cambiarono per sempre la mia vita. Il primo era l’insegna
TOILETTES all’interno della hall di un albergo, il secondo un cartello riguardante un torneo di
scacchi che si stava svolgendo nel salone delle conferenze accanto alla hall. Vicino ai bagni, dove la
provvidenza divina di qualche superno architetto vi aveva dislocato un lavandino, due rubinetti, un
rotolo di carta igienica e un vater, un cesso alla turca o un qualsiasi buco nel pavimento che mi
avrebbe concesso di rivivere. Il torneo di scacchi era ad ingresso libero. Mentre infilavo l’entrata
dell’albergo avevo già pronto il mio piano: assistere per trenta secondi al torneo, quindi fiondarmi
nel cesso. Come spettatore scacchistico ne avevo tutti i diritti.
La sala conferenze era gremita di gente. Una sfilza di tavoli disposti su quattro file esponeva
altrettante scacchiere con tanto di scacchi e scacchisti. Su tutto vigilava un silenzio che nemmeno
una motosega gli avrebbe fatto granché. Non ero, fortuna mia, il solo spettatore. Accennai qualche
passo tra i tavoli, giusto per salvare l’apparenza, simulando un grande interesse. Mentivo
spudoratamente, e capii che lì tutti lo sapevano. Avevo per gli scacchi e gli scacchisti quella specie
di compassionevole indifferenza che si concede agli handicappati, o alle persone geneticamente
pedanti. Il solo pensiero che due persone sprecassero ore della loro vita nel muovere dei pezzi di
legno su un altro pezzo di legno mi indisponeva. L’aspetto più fastidioso della faccenda era che, alla
fin fine, si trattava di un gioco: tutte quelle energie mentali che in altra sede avrebbero potuto
sfornare trattati, stilare poemi o comporre sinfonie venivano sprecate in una schizofrenica danza di
alfieri, torri e cavalli.
Dopo tre passi capii che era venuto il momento della resa dei conti tra me e la mia vescica. Stavo
per fare dietro front e catapultarmi verso l’agognata porta, quando ogni liquido contenuto nel mio
organismo si congelò all’istante. Mi pietrificai in una posa dall’equilibrio incerto. Stavo avendo una
visione, in tecnicolor e in tempo reale, ma non era su Internet. Nemmeno san Giovanni della Croce
avrebbe osato sperare tanto. Se Dante avesse visto quello che stavo vedendo io, avrebbe aggiunto
un’appendice al paradiso. Seduta tre tavoli più in là c’era una ragazza. Non voglio attardarmi sui
particolari fisici: alta, capelli biondo scuri, due tormaline al posto degli occhi, un paio di labbra
burrose, come il resto sotto al mento. Un errore ontologico, sicuramente un errore in un torneo di
scacchi. Lei doveva essere seduta su una panchina per il lungomare, appiccicata con tutta sé stessa
al sottoscritto in un bacio interminabile. Lei, solo lei e per sempre lei, fino alla fine del mondo, dei
giorni o di qualsiasi altra cosa s’inventassero gli altri. In un quarto di secondo dimenticai tutto: la
mia vescica, l’incazzatura con Windo, Windo stesso e tutto il resto della galassia. E feci male. Ci si
può dimenticare del resto del mondo in mezzo ad una piazza, in un viale deserto nel bagno di casa,
ma non nel bel mezzo di un torneo di scacchi. In preda ad un’inarrestabile trance mi avvicinai al
tavolo di lei, la mia coscia destra incappò nello spigolo del tavolo vicino tirandosi dietro scacchiera
e relativi scacchi. In quel silenzio da cosmo profondo il complesso ligneo rovinò a terra con il
fracasso di una supernova. Della supernova invece il mio viso acquistò il colore e calore. Mi sembrò
che tutti si alzassero in piedi e si tirassero su le maniche. Intorno a me non riuscivo a vedere che
sguardi molto spiacevoli. Ma quelli che mi facevano più paura erano i due ai quali avevo interrotto
la partita. Avevano visi uguali a quelli di due ufficiali delle SS che non trovano lo spazzolino da
denti. Pensavo già alla mia fine ed ero incerto tra il linciaggio, la castrazione e la crocifissione ad
una grande scacchiera murale. In ogni caso niente che avrebbe risolto i miei due problemi primari:
lei e la mia pipì. Iniziai una laboriosa contorsione linguale mentre elaboravo la più umile scusa che
essere umano possa concepire. Purtroppo gli effetti della paresi divina che mi aveva colto alla vista
della creatura dagli occhi verdi persistevano, e il meglio che riuscii a concepire furono una terna di
bi, bo e bu in lenta successione. Accennai a chinarmi per raccogliere i cocci, ma la frittata era già
fatta e mangiata. Una mano mi tenne la spalla bloccata: - lasci, lasci, ha già fatto abbastanza danni –
grugnì il proprietario della zampa.
Ma il destino, le divinità o qualcun altro stavano lavorando, eccome. dopo il terzo monosillabo tra
la buia ferocia degli sguardi d’odio comparve il sole. Era un’alba di un altro pianeta agli inizi di un
altro universo: di sicuro non era della mia città.
- Ma su, non ha mica fatto apposta.
Alzai gli occhi e in quel momento accadde tutto. Capita di vedere quei film in cui lei e lui si
guardano per la prima volta: lo sguardo indugia quella frazione di tempo più del necessario, e quella
briciolina temporale implica già tanti baci, abbracci, gite in barca e pic-nic in riva al lago, nonché
una brillante commedia a lieto fine. La briciolina arrivò, si fermò quel tanto che basta e quindi se ne
andò. Ma era bastata. Sapevo che mia vita non sarebbe stata più la stessa. Rialzai la testa, cercai di
sorridere e di ringraziare. Dalla bocca non mi uscì nulla. In compenso durante una sequenza di
movimenti che non saprei più ricostruire riuscii a rovesciare un’altra scacchiera vicina. Forse fu il
sentimento della mia morte imminente che mi scongelò dalla trance. In preda ad un istinto di
conservazione puramente animale fuggii. Mi infilai nel primo bar che incontrai. Mentre ordinavo il
quinto espresso della giornata chiesi, senza fermarmi, del bagno. Se non ce l’avevano gliela avrei
fatta sul bancone. Ce l’avevano. Ripassandomi tutte le tabelline sciolsi la vescica martoriata.
Quando uscii dalla toilette lei era lì. Dal suo sorriso capii che, se volevo fare colpo, in qualche
modo c’ero riuscito.
- Dimmi un po’, lo hai fatto apposta ?
Tornai all’auto sorvolando le strisce pedonali. Ero in uno dei corridoi del paradiso e in cielo
nuvolette di pappagallini rosa di peluche cinguettavano solo per me. Per poco non venni disossato
da un BMW e il grido “ma dove vivi deficiente” mi riportò parzialmente alla realtà. Il grattino era
ancora al suo posto. In compenso mi avevano grattato la radio. Poco importava. In quel momento il
mio peggior nemico avrebbe potuto augurarmi la rottura di un aneurisma che l’avrei baciato. Infilai
una cassetta nel portacenere, simulai lo zufolio dell’amplificatore e continuai così fino a casa,
ridettandomi tutte le loving’ songs dei Dire Straits, tour compresi. Avevo un nome, Emanuela “ma
tutti mi chiamano Milla”, un numero di telefono ed ettolitri di felicità che potevo riversare
sull’asfalto da Rimini a Fano senza timore di rimanerne senza. All’altezza di Riccione provai
compassione per tutti quelli che s’imbarcano in spedizioni infernali da Milano per beccare una
pollastra che frutterà loro una mediocre pomiciata. Verso Cattolica meditai che la gloriosa discoteca
Baia Imperiale non aveva mai visto la mia faccia, ragione per cui, secondo gli amici, la mia
giovinezza non avrebbe conosciuto alcuna femmina. Alla vista del castello di Gradara conclusi che
Paolo e Francesca erano stati degli emeriti coglioni e che invece di farsi scoprire per finire sulla
quartina dantesca più odiata dagli studenti avrebbero potuto continuare ad essere sconosciuti, ma
felici.
Io, che non ero milanese, né bello e famoso, né bravo a ballare o cantare ma zoppo e bruttino,
avevo beccato. Ed era per la vita.
Che dire ?
Alcune ipotesi possono essere avanzate, Considerando le corrispondenze tra i vari scritti. La data
del 3 luglio 2000 sembra corrispondere a quella del 7° Festival Internazionale "Città di Rimini"
svoltosi dal 2 al 9 Luglio (vinto dal IM Laketic, ndr), ma nell’elenco dei partecipanti alla categoria
Promozione non si è trovata alcuna traccia di iscritti femminili. Appare tuttavia evidente l’origine
comune degli scritti. Dopo attente ricerche non si sono inoltre trovati riferimenti scacchistici a tale
nome nei tornei svolti successivamente al 2000, escludendo le partecipanti con età non confrontabili
con quella della presunta “Milla”. La nostra conclusione è che si tratti di una burla messa su per
scherzo da qualche buontempone, anche se continuano a pervenire isolate segnalazioni che
indicherebbero la presenza di questa eccezionale bellezza nei circoli della riviera adriatica. Da parte
nostra possiamo solo dire: Milla, Emanuela o chi altra: se esisti, fatti viva ! nessuno ti farà del male,
vogliamo solo conoscerti (e a questo punto, sapere la verità).
A tutt’oggi rimaniamo con l’amletico dubbio: Milla esiste o non esiste ?
Ai posteri l’ardua sentenza…