Jezebel and the Clown. La Storia

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Jezebel and the Clown. La Storia
Jezebel & The Clown – La Storia
I
n piedi. Fermo. Immobile, con i pugni così strinti da lacerarsi i palmi delle mani con le
unghie, lo sguardo assente, apparentemente perso nel riflesso di se stesso datogli dallo
specchio, nessun antidepressivo al mondo avrebbe funzionato meglio della rabbia repressa in
un essere così brutalmente innocuo e ormai conforme alla massa.
Nessuno avrebbe mai pensato che dietro alla solarità e all’allegria di un giovane ventiquattrenne in
carriera, nato e cresciuto in un piccolo paesino europeo sperduto e trasferitosi a diciotto anni nella
tanto amata e bellissima California, potesse celare così tanto dolore, incomprensione e rabbia.
La storia di Malcom Holland era diversa; un mondo ed un passato fatto di eccessi di ogni tipo,
dall’Alcol alla Zoccola, passando per Droga e con un contorno che lo aveva visto da protagonista in
svariate occasioni sia sui palchi, che nella vita e per un periodo di tempo a cui, forse, neanche lui
sapeva dare misura : Il Punk
In data X, del mese X, nell’anno X, Malcom perse un amico o meglio un fratello, che a gli occhi
degl’altri poteva sembrare solo un conoscente, invece erano cresciuti a pochissimi chilometri di
distanza l’uno dall’altro e si frequentavano fin da quando le loro madri bestemmiavano in sala parto
con la vagina in fiamme; lui e Michael erano sempre stati schivi l’uno con l’altro: mai un segno
d’affetto o una parola più dolce, ma si volevano un bene dell’anima, sì, proprio inimmaginabile,
tanto da stringere un tenero patto di fratellanza sanguigna a 14 anni, anni che però segnarono la
morte di Michael e una vita in salita degna di essere chiamata tortura per Malcom.
Iniziarono così prematuramente i vizi dati da alcol, droghe, sesso e violenza a cui veniva dato sfogo,
per la maggiore, durante gli show dei suoi “Aliens in Wonderland” nei vari squats d’Europa;
sperava di mentire a se stesso, convincendosi che tutto quello che era diventato, era per il suo
volere, ma sapeva benissimo che non era così. La verità è che i Suoi lo imprecavano di morire o di
andarsene e ,che nel momento peggiore della sua adolescenza un suo amico era morto per colpa di
uno stupidissimo incidente, così si ritrovò a pensarci su nel freddissimo dicembre del 1993, a
diciassette anni, rannicchiato sul marciapiede di un locale di Vienna, Austria, con una bottiglia di
rum scadente ormai alla fine, i capelli verdi, il volto delicato anche se con un piercing al setto e i
lobi dilatati,il corpo scarno, ma molto attraente e degli occhi di un marrone scuro e profondissimo
pieni di lacrime, che cadevano sul suo ginocchio insanguinato per colpa di un taglio, come se
volessero ricucire la ferita, ma il collasso emotivo arrivo alla prima visita ai suoi genitori dopo un
anno di assenza, trovò la porta chiusa, le finestre sbarrate e rimase silenzioso, si sentì tradito ed uno
strano senso di noia alla vita lo stava avvolgendo, mentre scrutava un cartello plastificato (male a
suo parere) sulla maniglia del portone che diceva “SOLD”.
Era il più piccolo a Villa Panico, quasi diciotto anni, ma ne dimostrava molti di più, sia per l’aspetto
un po’ malandato, che per le esperienze di vita; i “Panici” erano molto fieri di averlo in giro per la
villa, anche perché si era portato dietro tutti gli altri “Aliens” e sinceramente in quello squat di
Firenze, Italia, mancavano la freschezza e le menti innovative dei giovani, che la città aveva
annientato con istituzioni come la scuola.
Malcom era sempre più pensieroso e introverso, era un continuo rimuginare ed architettare, si
divertiva a sfruttare la sua apparente innocenza e la sua misteriosità per procurarsi il necessario:
sesso, droga (se marijuana può essere definita tale) alcol e qualche libro, evidenziando a se stesso la
superficialità nell’arrivare a determinate conclusioni dell’essere umano, stava arrivando allo stremo
delle sue forze psicofisiche e lui ne era perfettamente a conoscenza. Il 13 Luglio 1994 era il suo
diciottesimo compleanno e decise farsi un regalo, che poco tempo dopo avrebbe segnato la sua
esistenza; All’alba di quel giorno, di punto in bianco, annunciò a tutti che nel tardo pomeriggio si
sarebbe imbarcato per un viaggio di sola andata per San Diego, California e che avrebbe lasciato il
gruppo per inseguire la vita, che gli stava scivolando di mano inesorabilmente.
Fece le valigie, si mise in tasca quel biglietto per la vita che si era permesso investendo tutti i
risparmi di un’esistenza e alle 18:30 si imbarcò per lasciare l’Europa e volare oltre oceano alla
vista del Sogno Americano, inteso così molto differentemente da lui.
Durante il viaggio in aereo ripensò a tutto quello che aveva passato: la morte di Michael, le
conoscenze e le situazioni passate in tour per l’Europa, l’abbandono dei genitori e il tempo trascorso
in Italia; gli salì un senso di immensa tristezza e nausea che sfogò sulla bottiglia di rum appena
comprata da una bellissima hostess mora con gli occhi verdi, dopodiché buio totale.
Il signorino Holland si risvegliò nel San Diego Hospital Center, con la vista offuscata e un dolore al
cervello atroce, tanto da immaginare di strapparlo per spremere via il malessere; appena
riconquistata la capacità d’intendere e di volere, si accorse che la stessa hostess del volo stava
parlando con i medici per esporre i fatti e analizzando la situazione, decise di scappare dall’ospedale
durante la notte.
La sera del giorno dopo realizzò che faceva un caldo bestiale e non sarebbe vissuto a lungo senza un
tetto, un lavoro e soprattutto senza cibo, quindi tirò fuori quell’indirizzo con scritto: “Bussa tre
volte, capirò che sei tu” , dato un tizio incontrato la notte precedente per strada , mentre cercava
invano di trovare qualche avanzo nel retro di un ristorante; l’indirizzo portava esattamente in quel
vicolo così differente da come si ricordava la notte prima e dopo aver bussato tre volte, aprì la porta
una ragazza incantevole, che fece arrossire il giovanotto, sbalordito per l’errore commesso, tanto da
fargli abbassare lo sguardo, cercando di nascondere la timidezza. Fattosi un po’ di coraggio rialzò il
volto, ma stavolta sgranando gli occhi nell’accorgersi che quella bellissima hostess che lo aveva
accudito durante la sua sbronza in aereo.
“Piacere, Jezebel Kennedy” avanzò lei, tendendogli la mano, “Pia-Pia-Piac-Piacere, Malcom Hoholland” rispose lui, aveva la faccia color pomodoro e balbettava nervosamente. “Su dai, entra, ti
devo parlare”, Malcom si ricompose, annuì e si mise solo ad ascoltare la voce di quella ragazza che
emanava un’aura strana, soave e tranquillizzante: “So che non hai voglia di parlare, ma so chi
sei..Siamo cresciuti nello stesso paese e so più cose che tu ti possa immaginare..” “Ad Esempio?”
“Che sei scappato di casa dopo aver perso qualcuno..che sei tornato dopo un annetto, scoprendo che
i tuoi avevano venduto casa e che sei ripartito col cuore in mano” Sentendosi violato, il ragazzo si
chiuse ed iniziò a negare e negare fino all’evidenza, fino a scoppiare in un pianto ininterrotto,
durato tutta la sua esistenza e represso, trasformando il dolore in rabbia. “Non ti preoccupare” disse
lei abbracciandolo: “Adesso sei dall’altra parte del mondo, hai trovato un lavoro, una casa ed
un’amica”, Malcom alzò lo sguardo stupefatto, ma prima che riuscisse a dire qualcosa lei lo
anticipò “Shhhh, con codesto visino carino e gentile farai il cameriere. Il ristorante è di mio fratello
quindi non ci sono problemi, per mangiare e dormire starai da me per tutto il tempo che serve, tanto
da oggi io farò la cuoca.. La bravata di ieri sera mi è costata il posto di lavoro” “Nessuno ha chiesto
il tuo aiuto, non ti dovevi incasinare per me, poi in casa romperò sicuramente il cazzo ai tuoi o al
tuo tipo.. me la sono cavata fino ad ora e continuerò a cavarmela.” “Allora non dovevi venire a San
Diego.. il lavoro da hostess non lasciava vita sociale, quindi non me ne importa. Secondo, i soldi
fatti con quel lavoro mi hanno permesso di comprarmi un casa da sola. Terzo, a ventidue anni non
ho voglia di trovarmi un coglione per la vita e di conseguenza vivo da sola.” “Gne Gne Gne..”
rispose lui sorridendole smorfiosamente. “Vieni, ti porto a casa, avrai una fame da morire..”
Senza tanti convenevoli, si diressero verso casa, cenarono e festeggiarono, anche se in leggero
ritardo, il compleanno di Malcom, aprirono una bottiglia di champagne ed arrivati a fine lui avanzò
singhiozzando con aria birbante: “ Mmm.. secondo me sei più vecchia!” “ Cooooosaaaaaaaaa??!!
14 giugno, classe 1972!! Non si dicono certe cose alle signore!” “Scusa non ti seguivo.. in che
classe hai detto che eri nel ’72?” I due divertiti dalla situazione creata, iniziarono ad azzuffarsi per
gioco (Sì, per i 3/4 è colpa dello champagne) e ridendo e scherzando cadono sul tappeto l’uno su
l’altra; Si inizia a respirare nell’aria un’alchimia strana, si guardano negl’occhi tanto profondamente
da riuscire a capire i pensieri dell’altro e inevitabilmente si lasciano andare in un bacio, che
continua e sembra non finire mai, come ad esorcizzare tutto il dolore, lo stress , la solitudine e la
rabbia, che li ha inseguiti per troppo tempo; I vestiti diventano leggeri, così leggeri da non sentirne
più la presenza e una volta nudi si lasciano scoprire: si iniziano a toccare i sapori, ad assaggiare la
pelle e ad ascoltare il tatto, ma stranamente niente comunica solo sesso; su di lui, le cicatrici paiono
disegnate, il corpo, anche se magro è curvoso e muscoloso quanto basta e la pelle è ruvida, vissuta,
ma sempre tenera, che combacia perfettamente con la pelle liscia di Jezebel, pura, quasi di seta e
mentre Malcom scende con la testa lungo il suo corpo, scorge un seno piccolo, ma elegante, la
pancia piatta e il bacino largo dando l’idea della perfezione di un corpo, che lui mai si era
immaginato esistesse; gli occhi si chiudono lasciando spazio alla fantasia coperta da magia, che
porta ad una splendida vista di un frutto unico che provoca un passionale piacere reciproco e li
lascia avvicinare ed aprirsi ad un nuovo modo di concepire l’atto e ad un nuovo modo di dipendere
da una persona.
Autunno 1999. Sono passati ormai più di cinque anni da quella notte, che poi si sarebbe trasformata
in anni: così tanto, ma poco tempo agl’occhi di Holland, che ormai si era abituato al costante
amore-dolore dato da quel cuore, che credeva non avrebbe smesso mai di battere così forte.
Quella costante armonia di sensazioni ed emozioni, aveva completamente annegato, o meglio
coperto, quel senso di rabbia mista ad incomprensione e quella “(A)” , che da sempre lo
proteggevano dagl’altri e sopratutto da se stesso; Durante gli anni si sono viste sparire creste,
giubbotti di pelle borchiati, anfibi e piercing, lasciando spazio ad un abbigliamento molto sobrio e
addirittura formale durante l’orario di lavoro.. Aspettate.. Non l’avevo detto?.. Malcom era un
broker nel settore assicurativo della “Lewis S.p.A.”, di proprietà di un coglione repubblicano che si
faceva chiamare Jall Gold, tutto soldi e cravatta, che in realtà era nato da un scommessa tra sua
madre e tre ragazzi canadesi, poi successivamente, abbandonato davanti al portone di una chiesa,
proprio dalla stessa, ma questa è un’altra storia.
A fine anni ’90, il signorino ormai cresciuto (in realtà più piccolo di prima), si presenta con il
cervello lobotomizzato da quell’amore mai chiesto e voluto provare, apolitico convinto, senza alcol
nel sangue da tre anni, membro dell’NRA e credente in chi sa quale delle religioni inventate da
qualche nano verdognolo con le orecchie a punta, che comunemente chiamiamo “rimasto”.
Ci volle quel 25 Dicembre a risvegliare quel sonnambulo e si sa, risvegliando bruscamente un
ipnotizzato, lo si può uccidere.
Malcom aprì di soppiatto la porta di casa, aveva dolcemente pensato di fare una sorpresa all’amata,
chiedendo il pomeriggio libero al capo per stare la vigilia di Natale con lei; si stava per presentare
con un banalissimo regalo e una bottiglia dello stesso champagne bevuto quella prima notte, aprì la
porta di camera lasciando uno spiraglio alla vista, ma si impietrì.
Le cose non vanno sempre come vogliamo che vadano, c’è e ci sarà sempre quel momento in cui gli
eventi ti troveranno vulnerabile e quando lo sarai, piangerai sul latte versato, rimpiangendo di essere
quello che sei e cercando di eliminare il dolore, estinguendone la base: Te Stesso; una soluzione
alquanto stupida ed ignorante, perché credo vivamente, che chi si lascia sopraffare dagli eventi,
dovrebbe fare i conti con la propria debolezza, anche se l’orgoglio non l’accetta e dice,
ipocritamente, di sparire dal mondo in quanto credente nello “scacco matto”. Una persona si
rafforza nell’essere caparbia, facendo volare la scacchiera per aria e costringendo la Vita ad un’altra
partita, fino ad arrivare alla vittoria, che non cancellerà le sconfitte, ma sicuramente insegnerà a
colmare i punti deboli e a giocare alla pari le partite prossime, magari costringendo la Vita a
pronunciare quella frase che credevi ti avessero costretto a far giacere il Re.
Jezebel era sul letto, nuda e mugolante di piacere, dato da un qualcuno, che non assomigliava
affatto ad una figura maschile, distinguibile, anche se in penombra, dal petto sporgente di una donna
a tre quarti di profilo.
Il cuore infranto del ragazzo venne improvvisamente coperto da una freddezza glaciale, che gli
permise di non avanzare e di chiudere lentamente la porta, pensando istantaneamente al niente. Un
reset totale di cinque anni, i pensieri andarono a quel 13 luglio 1994 , chiedendosi come sarebbe
andata se non avesse preso quel biglietto aereo, si rispose che li avrebbe investiti in libri e droghe e
che sicuramente sarebbe morto o impazzito nel giro di qualche mese, cosa che lo affascinava molto.
In piedi. Fermo. Immobile, con i pugni così strinti da lacerarsi i palmi delle mani con le unghie, lo
sguardo assente, apparentemente perso nel riflesso di se stesso datogli dallo specchio, nessun
antidepressivo al mondo avrebbe funzionato meglio della rabbia repressa in un essere così
brutalmente innocuo e ormai conforme alla massa.
Si vergognava di quello che era diventato e tutta la rabbia se ne stava uscendo prepotentemente,
lasciando che la freddezza lo avvolgesse, abbandonandosi all’amore verso l’odio, così si diresse in
salotto, lasciando la bottiglia sul quel tappeto e adocchiò la cristalliera degli alcolici, prendendo il
rum più cattivo. Si mise sulla poltrona e sporgendosi prese una scatola di pallottole ed un fucile, lo
caricò e dopo un paio di sorsi di rum se lo puntò in bocca, ma un senso di ingiustizia lo prese alla
sprovvista, lasciando che le sue mani agguantassero e caricassero un’altro fucile; ne lasciò uno
appoggiato alla poltrona e l’altro disteso sulle sue gambe, mentre cercava di finire più in fretta
possibile quella bottiglia.
La porta di camera si aprì e le due ragazze, baciandosi e coperte solo da un lenzuolo bianco che le
avvolgeva insieme, si diressero verso il salotto; Jezebel inciampò su quella bottiglia, che cadde
rompendosi, rialzò lo sguardo e vide Malcom, seduto su quella poltrona che la fissava con il rum
finito e il fucile sulle ginocchia. Il cuore batteva forte, Jezebel si sentiva sporca, il ragazzo lo
sapeva, ma non gliene fregava un cazzo; ci furono una decina di secondi di assoluto silenzio,
dopodiché il ragazzo si alzò prendendo i fucili e puntandoli disse: “Fate silenzio il cane si è
svegliato! Mettetevi a sedere per favore”. Le fanciulle, terrorizzate lo assecondarono e le vennero
scotchate bocca, busto e arti superiori e inferiori saldamente con del nastro isolante, ad eccezione
delle braccia di Jezebel; dentro di loro stavano pregando il niente e lo sapevano, il cuore esplodeva
e il sudore freddo colava dalle fronti.
Malcom le porse un fucile, ma tenendo sempre puntato l’altro: “Sparale o sparerò a te.” Lei sgranò
gli occhi e scosse la testa, lui le punto l’arma alla tempia e sul suo volto non c’era segno di
nervosismo, appoggiò l’indice sul grilletto e Jezebel impugno meglio il fucile. “Puntalo sulla sua
faccia, chiudi gli occhi e tira il grilletto.” Iniziò a piangere cercando di chiedere scusa con la voce
colma di saliva e tappata dal nastro; Malcom capì, puntò l’arma sull’altra ragazza e da circa un
metro e mezzo di distanza le sparò un colpo in pieno volto, ribaltandola dalla sedia con totale
freddezza e puntando ancora una volta il fucile verso lei, che stava continuando a piangere
ininterrottamente; “Ora punta il fucile contro di me, ma stavolta spara prima che lo faccia io, perché
adesso sarai tu a perdere la vita.” Lui le levò lo scotch dalla bocca e lei non urlò, non avrebbe mai
fatto una cosa così stupida, si sarebbe ritrovata una pallottola nel cranio senza accorgersene.
Impugnò nuovamente il fucile, che si incrociò con l’altro; “Spara!” “Ti amo!” Rispose lei con gli
occhi distrutti dalle lacrime e col cuore in mano.“Spara!” “No, ti amo!” Gli sguardi si incrociano,
ma stavolta non hanno la stessa espressione di cinque anni prima. “SPARA!” “ TI AMO!”
BOOOOOOM! Si sentì un boato rintronare in tutta la casa, che ormai l’udito di Malcom percepiva
come assoluto silenzio, il suo corpo giaceva per terra in mezzo ad un lago di sangue, proveniente
dal torace sfondato e Jezebel si sentì morire: iniziò ad urlare istericamente e a chiedersi come fosse
possibile, ma sapeva che Malcom era talmente innamorato da preferire di morire per mano della
persona che amava piuttosto che suicidarsi, non le avrebbe mai fatto del male, non le avrebbe
sparato.
Jezebel raccolse le forze rimanenti, prese il fucile, guardò in faccia la morte e stavolta, senza esitare
l’abbracciò, lasciando a gli occhi di terzi un triangolo della morte così perfetto e macabramente
affascinante.
“But is a clown who makes a joke in Jokeland, garanted like the kindless for a princess?”
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