karolina firlej – bielanska nullo i jego towarzyzse varsavia 1923

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karolina firlej – bielanska nullo i jego towarzyzse varsavia 1923
KAROLINA FIRLEJ – BIELANSKA
NULLO I JEGO TOWARZYZSE
VARSAVIA 1923
(TRADOTTO IN ITALIANO IL SOLO CAPITOLO SU F. NULLO,
CASARI)
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Nika Zoričić
Francesco Nullo1
A Bergamo, città natale dell’eroe, nella meravigliosa “Biblioteca Civica” si trova
il suo busto. La scritta su di esso recita:
Francesco Nullo uno dei Mille
combattente della libertà
il giorno 5 maggio dell’anno 1863 morì nobilmente
lottando per la Polonia.
L’iscrizione non menziona le decine di battaglie grazie alle quali è diventato
celebre il giovane colonnello, non ricorda Roma o Milano...
Per gli italiani è sufficiente ricordarlo come uno dei Mille. Il fatto che tra questi
mille fosse il più Valoroso tra i Valorosi è testimoniato dal suo comandante e dai suoi
compagni d’arma.
Chi erano i “Mille”?
Nell’anno 1860 di sera, anche questo il 5 maggio, salpava dal porto di Genova
una spedizione, il cui obiettivo era la liberazione della Sicilia.
- Quanti siamo? – chiese Garibaldi.
- Attorno ai mille – gli risposero. E lui:
- Oh! Addirittura così tanti!
E si stava avviando verso la vittoria su un’armata di 150000 persone. Non è
importante ora se ce ne fosse qualcuno in meno o qualcuno in più; il popolo dirà
sempre: mille – così come si dice: i trecento spartani di Leonida oppure i diecimila di
Senofonte. “I mille” – una parola breve ma vibrante come una fanfara suonata al
mattino da un’avanguardia di temerari, un numero pieno, nel quale ha trovato
realizzazione la più perfetta forma di ideale.
Tra la schiera dei combattenti più intrepidi che circondavano il comandante e che
provenivano dalle più diverse parti d’Italia, si stava avverando il sogno di una Patria
unita. E agli italiani si univano i rappresentanti di altre nobili nazioni: ungheresi e
polacchi, diffondendo, accanto all’idea di indipendenza dei popoli, un ideale ancora
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Primo capitolo tratto dal libro Nullo i jego towarzysze (Nullo e i suoi compagni, 1923, Warszawa) di
Karolina Firlej-Bielańska. La traduzione è nostra. Le note sono a cura del traduttore.
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più ampio: quello della fratellanza universale. E’ proprio questo il significato dei Mille,
più importante persino delle vittorie che hanno riportato.
La storia di questa spedizione appare a noi, abituati ad amare delusioni, come
una bella favola. E come cavaliere della favola si presenta a noi Francesco Nullo, il
conquistatore di Palermo. - Spronando il cavallo, ha varcato per primo la porta della
città, animato dallo stesso impeto smodato che lo avrebbe trascinato, tre anni più
tardi, verso un campo di battaglia lontano fino al confine della Polonia, per poi morire
lì il giorno 5 maggio dell’anno ’63 – versando il proprio sangue sacrificato per una
patria non sua (Bertocchi).
Negli occhi dei contemporanei è rimasta la visione di Nullo come il “più bel
cavaliere” dell’esercito garibaldino, con la camicia rossa, in sella a un cavallo
ricoperto di sangue, con la spada sollevata, imponente, orgoglioso, paragonato da
D’Annunzio al Centauro, ad Aiace da un altro poeta: l’immagine di come lui
attaccasse l’insediamento nemico ancora non conquistato. Un uomo per il quale non
esisteva nulla di impossibile.
Tale è rimasto anche nella memoria dei compagni sui campi di Krzykawka
quando, “come un arcangelo della guerra”, si trovava sulla fatale altura dove fu
colpito da un proiettile moscovita, proprio lui, che mai fu colpito da un proiettile prima
di quel momento.
Cosa lo spinse verso la Polonia?
Non solo l’impeto smodato, non solo il desiderio di guerra, dal momento che in
Italia, in seguito allo scontro d’Aspromonte, si stava ristabilendo una tregua di lunga
durata. Si trattava di un sentimento di riconoscenza e di fratellanza verso la Polonia,
espresso in modo chiaro e forte. Un’ondata di simpatia nei nostri confronti stava
attraversando l’intera Italia.
Un popolo, ebbro di gioia per la propria indipendenza, il quale analogamente
aveva percorso un arduo cammino di educazione alla sofferenza, poteva
comprendere perfettamente a questo punto le sofferenze altrui, e fare un bel gesto di
omaggio all’eroismo – nonostante si trattasse di un eroismo senza speranze.
- “Non stiamo facendo un regalo alla Polonia – le stiamo solamente
restituendo un debito – un debito di fratellanza e amore”2 - così suonavano le parole
del manifesto civile per la Polonia redatto a Bergamo, nobile città lombarda, dove
ancora si ricordava la presenza della legione polacca.
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Il testo originale recita: “Or dunque non è un dono che Italia deve alla Polonia, ma essa sconta un
sacro debito di fratellanza e d’amore” (Petizione dei cittadini di Bergamo al Parlamento nazionale in
favore della Polonia, 1863, Biblioteca Civica Angelo Mai, Collezione Giuseppe Gamba, Vol. XLVIII).
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Nullo conosceva Mickiewicz3 e la sua legione.
Nel palazzo dei Caroli, amici della Polonia, Nullo reclutava i volontari: “L’Europa non ha dato nulla alla Polonia fino a questo momento, fatta esclusione per
note diplomatiche di poca importanza, convegni e simpatia platonica. Noi italiani
dovremmo dare qualcosa in più, perché i polacchi non ci avranno magari elogiato
con belle parole e complimenti, ma sono venuti da noi e per noi hanno rischiato la
loro vita in più occasioni. Ecco ora arrivato il momento per l’Italia di dare alla Polonia
la dovuta prova di riconoscenza, e noi bergamaschi vediamo di dare il buon
esempio”.
In queste parole di Nullo è riassunto il valore dell’intera impresa. Poco importa
se insieme a lui siano partite alcune decine o alcune centinaia di persone. Coloro i
quali sono partiti hanno consolidato l’eterna unità degli spiriti appartenenti a un’unica
famiglia; la famiglia di chi si precipita proprio lì, dove vi è il maggior pericolo e dove vi
è la possibilità di una sconfitta.
I
Francesco Nullo nacque l’11 marzo4 1826 a Bergamo. Discendeva dalla razza dei
montanari bergamaschi, semplici ma fieri, la quale non ha mai fatto esperienza di
alcun giogo, distinta persino nel suo dialetto duro, incomprensibile per un italiano
proveniente da altri luoghi.
- “Apparteneva al popolo – scrive di lui G. C. Abba, storico dei garibaldini – ma
chiunque lo avesse visto, avvolto nel mantello bianco da lanciere o nella divisa
garibaldina, avrebbe pensato che lui fosse sceso dalla scala del castello di famiglia
per prendere parte a una grande spedizione con altri cavalieri. La natura fu così
generosa con il suo aspetto, come con uno dei suoi favoriti. Di versi non ne scriveva,
ma era poeta nell’anima e nei fatti”.
Nel mentre la sua giovinezza trascorreva in un lavoro duro e grigio. Si diplomò
presso un Istituto commerciale di Milano, dove imparò a parlare in francese e
tedesco. Iniziò a lavorare presso una fabbrica di tessuti e ottenne una medaglia per il
telaio da lui stesso costruito.
Ma giunse la calda primavera del 1848. Il grande sogno di indipendenza e
unificazione iniziava a divenire realtà. Insorse Milano durante le famose “cinque
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Adam Bernard Mickiewicz (1798-1855), grande poeta e scrittore, considerato, con Słowacki e
Krasiński, uno dei tre più importanti poeti del Romanticismo polacco. Fin da giovane divenne
portavoce dell’aspirazione all’indipendenza polacca e si impegnò attivamente per tale causa. Nel
1848, in Italia, costituì una legione polacca con alcuni volontari e si unì agli insorti italiani a Milano e a
Roma (<http://www.treccani.it/ enciclopedia/tag/adam%20mickiewicz/>).
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Il giorno esatto, in realtà, sarebbe l’1 marzo 1826.
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giornate” di marzo, ponendo fine al giogo austriaco. Bergamo inviò in aiuto alla città
sorella qualche decina di volontari, tra i quali vi erano anche Nullo e i suoi due fratelli.
Il suo battesimo del fuoco avvenne sulle barricate presso Porta Tosa. In seguito ai
primi colpi sparati cadde ferito al suo fianco il fratello Ludovico. Nullo, invece, ebbe la
fortuna di essere tra i primi a fare il proprio ingresso nella città liberata. Si arruolò
immediatamente nel corpo dei volontari e ottenne in breve tempo il grado di
maresciallo. Combattè presso Castelnuovo (Peschiera) e presso Castel Tombino
(Trentino).
Quando la sconfitta presso Novara sottomise nuovamente la Lombardia al
dominio dell’Austria, la strada verso casa per Nullo era sbarrata. Decise, dunque, di
seguire l’uomo con il quale da quel momento avrebbe stretto un legame di sconfinata
devozione, l’uomo che era l’incarnazione dell’assidua lotta contro l’invasore e la
violenza: Garibaldi. Nullo prese parte alla difesa della Repubblica Romana di
Mazzini, l’altro uomo che impresse un segno indelebile nell’anima del giovane
soldato e che fece diventare Nullo un repubblicano per tutta la vita, nonché un
propugnatore della stessa dottrina che da noi veniva professata da Mickiewicz.
Nullo si arruolò al reggimento di cavalleria dei “Lancieri della Morte” del
colonnello Angelo Masina, un distaccamento scelto, splendido con i suoi mantelli
bianchi e gli enormi cappelli raffiguranti teschi. Combattè presso Porta San
Pancrazio, divenne famoso per l’incredibile attacco a Villa Corsini, occupata
precedentemente in modo insidioso dai francesi di Oudinot. Un pugno di lancieri si
spinse a galoppo, sotto una pioggia di proiettili, verso la scalinata del palazzo e, con
sciabola alla mano, scacciò da lì il nemico. Il colonnello Masina morì durante gli
scontri, colpito da un proiettile. La difesa della Città Eterna dagli attacchi dell’esercito
austriaco, di quello borbonico e – nota più dolente – di quello francese, difensore dei
diritti del Papa, si tramutò in gesto disperato. Nell’epica “Ritirata offensiva” di
Garibaldi, Nullo lo accompagnò come quartiermastro di uno squadrone di sconfitti ma
fedeli fino all’ultimo. Comparve poi nella Repubblica di San Marino a capo di un
gruppo di dodici ulani come inviato del comandante, nella speranza di trovare un
rifugio, anche solo temporaneo, per Garibaldi e la sua morente moglie. E quando in
riva al mare i fedelissimi si separarono, Nullo si addentrò per i sentieri di montagna,
tra mille avventure, diretto verso il paese natio. Riconosciuto dalla polizia austriaca,
venne rinchiuso in prigione. Liberato dopo poco tempo in seguito a un’amnistia, fece
ritorno alle sue botteghe e, grazie al suo lavoro energico, divenne benestante e
conquistò una posizione autorevole in ambito industriale.
Passarono dieci lunghi anni di silenzio disperato. Finché, con l’inizio dell’anno
1859, gli occhi dei patrioti non si rivolsero al Piemonte, che stava stringendo
un’alleanza con la Francia contro l’Austria. L’astuto Cavour, silenziosamente,
metteva in guardia Garibaldi affinché fosse pronto all’azione. Alle primissime notizie
riguardanti una guerra di liberazione, Nullo abbandonò i propri libri contabili e le
proprie botteghe, salì a cavallo, prese con sé le armi accuratamente nascoste e si
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precipitò in Piemonte, verso il corpo dei volontari riunito da Garibaldi. Si unì ai
Cacciatori delle Alpi (Gidy konne), brigata nella quale confluì l’antico squadrone dei
Lancieri della Morte di Masina, e combattè contro gli austriaci nei pressi di Varese e
San Fermo.
Il 7 giugno, in una missione segreta altamente rischiosa, travestito, raggiunse
non senza difficoltà Bergamo, città nella quale ancora regnavano gli invasori. L’8
giugno fece il suo ingresso nella sua città natale da vincitore, al fianco di Garibaldi e
accolto da una pioggia di rose.
A Rezzato e a Treponti fornì ulteriori prove di coraggio, ma la campagna si
concluse – troppo rapidamente.
L’armistizio di Villafranca liberò la Lombardia ma inflisse un colpo alle
speranze di una completa unificazione. Garibaldi, dunque, non potè riposare e il suo
fedele soldato abbandonò per poco l’uniforme per indossare immediatamente la
camicia rossa e condurre, al primo ordine del comandante, duecento volontari scelti
verso la spedizione siciliana. Erano questi la quinta parte dei “Mille”, e costituivano
l’ottava compagnia, denominata Brigata di ferro.
Ferito lievemente a Catalafimi, il 27 maggio Nullo conquistò con i suoi
bergamaschi la porta di Palermo, atto questo di eccezionale spavalderia, travolgendo
a cavallo la barricata borbonica. Tornò poi a Bergamo con un nuovo corpo di
volontari. Garibaldi affidò a lui e a Missori la missione in Calabria, compito che Nullo
portò a termine tra terribili pericoli, combattendo con duecento persone attraverso
l’armate borbonica e distogliendo l’attenzione di quest’ultima da Garibaldi.
Il 21 agosto combattè per due ore presso Reggio, sotto una pioggia di
proiettili, e venne nominato maggiore sul campo di battaglia. Il giorno seguente,
presso Villa San Giovanni, con un’ardita pattuglia composta da sole sei persone, a
quattro miglia dal proprio esercito, si imbattè in una brigata borbonica con a capo il
generale Briganti, le intimò la resa e la fece prigioniera.
Il 7 settembre, assieme a Garibaldi, fece il suo ingresso trionfale a Napoli e
rimase nello stato maggiore del Dittatore.
L’1 ottobre, a Volturno, ottenne, sempre sul campo di battaglia, il grado di
tenente colonnello.
A Isernia, circondato da un pugno di temerari, riuscì a trafiggere le
preponderanti forze del nemico con un assalto disperato alla baionetta.
Il 9 novembre Garibaldi consegnò la dittatura nelle mani del Re e partì alla
volta di Caprera per raggiungere il suo modesto casale. Nullo lo accompagnò.
Confermato con il grado di tenente colonnello nell’esercito regolare, dopo
poco tempo decise tuttavia di rassegnare le proprie dimissioni e tornare a casa al
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precedente lavoro. Nel 1861, alla mostra di Firenze, ottenne un’importante medaglia
per i suoi tessuti. Ma veniva spesso richiamato alle assemblee segrete dal suo excomandante, il quale non riusciva a rassegnarsi al fatto che ci fossero ancora delle
province che gemevano sotto il giogo nemico, che Venezia non fosse libera, che
Roma non fosse la capitale dell’Italia... Nella primavera del 1862 il governo, per
placare i timori dell’Austria, arrestò Nullo, incolpandolo di aver diretto la spedizione in
Trentino e di aver accumulato un arsenale di armi a Sarnico. Venne rinchiuso nella
prigione di Brescia. La popolazione, tuttavia, organizzò delle manifestazioni a tal
punto violente di fronte alle mura del carcere, al grido di: vogliamo Nullo! – che il
governo lo dovette rilasciare immediatamente, al fine di scongiurare delle serie
sommosse. Una volta liberato, si sforzò di raggiungere Garibaldi, il quale meditava
una disperata spedizione all’insegna del motto: Roma o morte! Durante la funesta
battaglia sull’Aspromonte Nullo si trovava nello Stato Maggiore del Comandante. Fu
lui a afferrare tra le braccia il ferito; sempre lui condusse i negoziati con il
comandante dell’esercito reale Pallavicini. Imprigionato insieme a Garibaldi, venne
rinchiuso nella fortezza di Fenestrelle fino all’amnistia, la quale risolse la dolorosa
questione. Fece ritorno a Bergamo, ma nuovamente non per molto, in quanto alle
prime notizie relative all’insurrezione in Polonia e ai successi di Langiewicz radunò
una spedizione di volontari con l’intenzione di sottomettersi agli ordini del Dittatore
polacco, suo collega nei Mille.
“E chi mai l’avrebbe potuto frenare? – diceva Garibaldi – Si precipitava in
Polonia per ripagare, con il nostro sangue, quel sangue che i polacchi avevano
versato in tutti i campi di battaglia di un’Europa ingrata, atroce, egoista, un’Europa
che li aveva abbandonati. Ah, Nullo! ...”.
II
Alberto Mario, compagno di battaglie di Nullo, lo dipinse in questo modo nel suo libro
“I Mille”:
“Severo come pochi nell’aspetto, insofferente di fronte alle vuote chiacchiere,
decisamente taciturno, in grado di valutare correttamente e precisamente il
patriottismo altrui, coraggioso fino all’arroganza, energico fino all’ostinazione,
repubblicano”.
È strano forse che questo taciturno montanaro bergamasco provasse
repulsione di fronte ai comizi scanditi da vuote parole e di fronte agli articoli
sentimentali, se poi la politica del governo proseguiva sulla linea della prudenza?
Nullo.
“...Se nessun altro dovesse andare, allora io e Caroli partiremo da soli” – disse
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Ne partirono di più, - un gruppetto non numeroso, ma composto da persone di
animo nobile, da ufficiali valorosi: Mazzoleni, Marchetti, Arcangeli, Cristofoli, Dilani soprannominato Farfarello e destinato a una morte eroica presso Monte Suello -,
Sacchi, Testa...i più “giovani veterani”, che da anni combattevano sotto il comando di
Garibaldi e alla scuola di Nullo, il quale, “non conoscendo egli stesso il significato
della parola stanchezza, abituò i propri uomini a trasformarsi in uomini di ferro” –
soldati della compagnia di ferro dei dintorni di Marsala. Una ventina solo da
Bergamo, altri da diverse parti d’Italia. Organizzati in dieci sezioni, ognuna composta
da pochi uomini, iniziarono ad attraversare furtivamente la frontiera, indicando nei
passaporti scopi commerciali o artistici come motivo di viaggio. Caroli pagò il tragitto
agli indigenti. A Cracovia la polizia austriaca perseguitò gli stranieri, arrestandone
alcuni e consegnandoli ai gendarmi, affinché questi li riportassero alla frontiera.
Nonostante questo, il valoroso Aiace Sacchi riuscì a scappare dalle mani delle
guardie grazie a un audace salto dal vagone e tornò per combattere con
Rochebrune. Ancora prima, in Svizzera, fuggì Belotti e intraprese la via del ritorno –
verso la sua gloriosa morte.
Il 31 aprile (sic!)5 Nullo scriveva da Cracovia: “I messaggeri del Governo di
Varsavia hanno dimostrato nei miei confronti una bontà e un rispetto tali da indurmi a
una reale commozione. La questione è difficile e pericolosa. La Russia sta
conducendo una guerra efferata. Spero che la mia buona stella mi assista e che Dio
non abbandoni coloro i quali combattono per i diritti dell’uomo”.
III
Sapeva in polacco solo tre parole: “Assalto alla baionetta” (“Naprzód na
bagnety”), e questo sarebbe potuto bastare fino alla vittoria. Poiché vincere non gli fu
possibile, morì. Tale fu la sua storia in terra polacca.
Aveva solo 37 anni quando, per citare le parole di un poeta, “sul cuore della
Polonia si esaurì il poema della sua vita”, ma era quella una personalità già così
consumata, così cristalizzata nella sua schietta ideologia di eroico coraggio e
sconfinato sacrificio di sé, che una bella morte rappresentava proprio il coronamento
armonioso di un’esistenza piena di gloria.
La Polonia subì una grave perdita nel momento in cui lì, sull’argine di
Krzykawka, durante un assalto organizzato in modo imprudente e infelice, perse la
vita un eccezionale soldato, il quale avrebbe potuto rendere ancora incalcolabili
servigi alla causa polacca e avrebbe potuto innalzare gloriosamente lo stendardo
della Polonia Indipendente.
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Errore nel testo. L’autrice, con ogni probabilità, si riferisce in realtà all’1 maggio.
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“Non c’era timore che quell’uomo si arrendesse, che diventasse uno
strumento delle combriccole o del reparto. Era la personificazione della generosità e,
grazie al suo grande cuore, era degno del suo Comandante di vecchia data”, scrisse il francese Andreoli6, uno dei componenti della Legione – e tracciò così il
ritratto del colonnello:
“Un uomo nel pieno della sua maturità fisica e mentale, una figura austera,
caratterizzata da un’energia bella e nobile. Il suo volto era scuro, ricco di fascino
maschile. Dei fili d’argento attraversavano già i suoi folti capelli. Dai suoi occhi
trasparivano la bontà, la sincerità e il coraggio più autentici. Era quella una persona
che ispirava un’assoluta fiducia. Chiunque lo vedesse per la prima volta doveva
subito innamorarsene.
Se c’era qualcuno generoso, quello era lui. Diceva: “Siamo quasi tutti ufficiali,
ma siamo venuti a servire la Polonia come semplici soldati. Che nessuno si senta
intimidito dal mio grado di colonnello. Non ho servito la mia patria per guadagnarmi le
spalline, non è per i gradi o i ranghi che siamo giunti qui. Non pretenderò nulla e non
sarò di peso per nessuno, perchè ho persino la mia personale carabina, e la porterò
io stesso se ce ne dovesse essere il bisogno, come un soldato semplice”.
Nella casa dei Lewicki Nullo conobbe Józef Miniewski, un ragazzo giovane e
ricco, il quale venne autorizzato dal governo nazionale a formare un reparto
insurrezionale. Contemporaneamente creavano dei reparti anche Rochebrune,
Jordan, Romocki, purtroppo senza reciproca intesa. I delegati del governo nazionale
offrirono a Nullo il comando congiunto del reparto assieme a Miniewski, reparto che
contava circa seicento iscritti, proponendo, sempre a Nullo, il grado di generale. I
volontari di Bergamo, ai quali si erano uniti a Cracovia alcuni italiani e francesi,
avrebbero dovuto costituire un reparto a sé, la Legione straniera. La partenza fu
stabilita per il 3 maggio.
Nel tranquillo appartamento dell’architetto Pokutyński, ben nascosto agli occhi
alla polizia, Nullo studiava le mappe e organizzava il piano per l’irruzione nel Regno.
Desiderava impadronirsi di Kielce e rafforzare lì il proprio reparto grazie all’adesione
di nuovi volontari. Successivamente, con una rapida mossa, intendeva occupare
Olkusz e mantenere i contatti con la Galizia, per dare la possibilità d’ingresso al
reparto che seguiva.
La mattina del 5 maggio il reparto insurrezionale si trovava in una radura
boschiva nelle vicinanze di Krzykawka, nei pressi della strada che portava a Olkusz.
Erano per la maggior parte giovani ragazzi, “non più grandi dei loro fucili”, suddivisi in
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Èmile Andreoli (1835-1900), professore di storia e giornalista francese, decise di seguire Nullo a
Cracovia nella Legione straniera. Imprigionato dai russi, venne deportato in Siberia assieme a Luigi
Caroli. Nel 1866, dopo essere stato liberato, fece ritorno in Francia e pubblicò le sue Memorie (De
Pologne en Siberie), tradotte in italiano nel 1869 (cfr. Donati Petteni, G., 1960, “La spedizione Nullo in
Polonia”. In: Agazzi, A. (a cura di), Storia del volontarismo bergamasco, Bergamo, Istituto Civitas
Garibaldina, Ed. S. Alessandro: p. 297).
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quattro compagnie di tiratori e di zuavi. Gli stranieri, il cui numero era diminuito a
causa degli arresti condotti all’ultimo momento dalla polizia austriaca a Cracovia,
costituivano un reparto separato, composto quasi esclusivamente da soli ufficiali.
Il giorno precedente i soldati avevano già affrontato uno scontro rivelatosi poi
particolarmente fortunato nei pressi di Podłęż, che mise in luce il coraggio di
determinati soldati, ma allo stesso tempo evidenziò il punto dolente e il difetto dei
distaccamenti di Cracovia: la diserzione (gli zuavi furono disertori). L’errore fu l’aver
definito in modo poco chiaro la questione del comando, al quale si aggiunse, inoltre,
la percezione di una mancanza di informazioni; i russi, al contrario, sapevano tutto.
Nemmeno il tempo di distendersi per un po’ nel bosco, stremati dall’estenuante
marcia, che gli insorti furono destati dagli spari della fanteria moscovita, la quale,
distribuita su dei carri per velocizzarsi, giungeva da Olkusz. Ai lati avanzava la
cavalleria. Nullo, che aveva assunto il comando dell’ala destra (l’ala sinistra era
condotta dal conte Czapski), dispose i propri soldati in linea uno accanto all’altro
dietro l’argine del bosco, chiamato „diga”, circostanza che offriva loro una protezione
sicura. I moscoviti non si affrettavano con l’attacco. Nascosti nel bosco, fatto che
concedeva loro la superiorità, riversavano sul nemico una grandine di proiettili.
Cadde, ferito al collo, il tenente Marchetti; cadde Arcangeli, colpito alla gamba
mentre si precipitava a soccorrere il compagno. Vedendo quanto la situazione fosse
seria e come i russi avrebbero potuto accerchiare l’intero reparto e annientarlo in
massa, il garibaldino pensò che l’unica soluzione corretta fosse cercare di smuovere
il nemico dal bosco e, con un bell’assalto alla baionetta – come a Catalafimi, come a
Isernia – obbligarlo a retrocedere e distruggerlo, per poi successivamente prendere
d’assalto Olkusz, ormai libera dall’esercito, e rafforzarsi. Un piano simile si sarebbe
potuto attuare, giacché i russi non si sentivano sicuri e, a ogni tentativo di attacco dei
nostri, iniziavano a ritirarsi.
Per invogliare con il proprio esempio i giovani soldati, non abituati al fuoco,
Nullo ordinò che gli venisse fornito un cavallo e, con la sua consueta e tranquilla
spavalderia, avanzò lentamente verso il fronte, noncurante sia dei proiettili che
fischiavano tutt’intorno a lui, sia delle richieste degli amici che lo invitavano a non
mettere a repentaglio la sua vita in questo modo. Vietando un inutile scontro a fuoco
che non avrebbe inflitto alcun danno ai russi, Nullo attendeva il momento appropriato
per lanciare con la sciabola il segnale di assalto alla baionetta. Improvvisamente un
proiettile colpì l’arto del cavallo e questi si accasciò a terra, trascinando con sé Nullo.
“Non è niente ragazzi, sono solamente rimasto impigliato negli speroni” disse
sorridente Nullo ai compagni che si impegnavano a estrarlo da sotto il cavallo, ma
non fece nemmeno in tempo a raddrizzarsi in tutta la sua altezza che spalancò le
braccia, si rigirò su se stesso e cadde supino, senza emettere nemmeno un gemito.
Il proiettile lo colpì di lato e, trafiggendo la cinghia della sciabola, spingendosi verso
l’alto, raggiunse proprio il cuore.
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La sua buona stella gli concesse perlomeno una bella morte. Il reparto,
sconvolto da tale perdita, minacciato dalla forza superiore del nemico, indietreggiò
verso la Galizia, soccorrendo non senza difficoltà i feriti. Il capitano Mazzoleni
trasportò tra le proprie braccia, quasi un miracolo, Marchetti, il quale morì due giorni
più tardi a Chrzanów. Nella confusione provocata dall’attacco di cosacchi venne
imprigionato un pugno di italiani, ai quali toccò il destino più crudele: i lavori forzati in
Siberia, luogo dove morì il povero Caroli. Il resto dei volontari venne internato dagli
austriaci.
Il corpo di Nullo, dilaniato dalle sciabole cosacche, venne trovata sul campo
dove si combattè la battaglia, e su ordine del prinicipe Szachowskoj venne sepolta
con gli onori militari a Olkusz. Il rapporto ufficiale recitava:
“La banda composta da 600 persone, che si addentrò nel Regno di Polonia da
Cracovia, è stata sconfitta il giorno 28 aprile (5 maggio) nei dintorni di Sławków, nei
boschi di Krzykawka. Il comandante della banda, di cognome Nullo, è stato ucciso.
Sono stati imprigionati più di 30 insorti. Le perdite dell’esercito sono state
insignificanti”.
Né i russi, né tantomeno gli austriaci, che tenevano sotto custodia i prigionieri,
potevano capire che cosa concretamente gli italiani cercassero in Polonia. “L’Italia!
Terra di eroi e di pazzi!” esclamò il principe Szachowskoj.
Garibaldi invece aveva ben chiare le motivazioni che animavano i suoi
compatrioti. Ecco la lettera che egli indirizzò alla madre della vittima, la signora
Angela Nullo-Magno7:
“Signora, a te mi lega un sentimento fraterno. Perdonami se mi permetto di
introdurmi nel Santuario della tua sofferenza. Perdonami se vengo a condividere il
tuo dolore materno, dolore che un uomo non sarà mai in grado di stimare a
sufficienza – ma che mi sento in diritto di spartire perché amavo il figlio tuo.
Sì, lo amavo e lo rispettavo, il più valoroso in assoluto tra i valorosi del reparto,
grazie al quale l’Italia sentirà meno il fardello dell’antica onta.
Morì come muoiono gli audaci e per una santa causa, e quando le persone
riusciranno a comprendere tutta la nobiltà del sacrificio del vostro Francesco, oh,
solo allora l’umanità potrà predicare, senza commettere sacrilegio: Libertà, Virtù,
Eroismo!”...
La madre gli rispose:
“Distinto Generale,
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Di seguito non viene riportata la versione originale delle due lettere, bensì la loro traduzione dal
polacco.
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il mio Francesco ti amava come un padre e la tua lettera è la prova che anche
tu amavi mio figlio come fosse il tuo. Le tue parole affettuose accrescono il dolore per
la perdita che ho subito.
L’enorme sofferenza non mi ha permesso di risponderti così rapidamente
come avrei, invece, desiderato. Il mio Francesco era non solo un grande patriota, ma
anche il migliore dei figli, il quale, con la sua virtù e il sacrificio nella vita pubblica e
privata, mi regalava molte soddisfazioni. L’unico sostegno nel mio infinito tormento è
la compassione dei nobili d’animo che lo hanno conosciuto e lo hanno amato proprio
così come meritava; e più di ogni altra, Generale, mi è di sostegno la tua
compassione”.
A Bergamo l’eroe defunto non venne dimenticato. Nel 1907 venne innalzato
un monumento in suo onore e ancora prima venne inscritta nella parete della
biblioteca locale una lapide dedicata alla memoria dei caduti “per la libertà dei
popoli”.
E la Polonia, soggiogata e schiava, per bocca del suo grande scrittore Stefan
Żeromski8, rendeva omaggio a queste ceneri, custodite in un sepolcro senza nome,
con le seguenti parole: “Ora la Polonia non può rendere ossequio sul proprio suolo a
Francesco Nullo in altro modo se non onorandolo nel profondo del cuore. Non
appena la sua “santa causa” si libererà dalle catene, uno dei primi atti della Polonia
indipendente sarà raccogliere le ceneri di Francesco Nullo e deporle nel luogo che gli
spetta nel pantheon del popolo”.
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Stefan Żeromski (1864-1925), scrittore e drammaturgo polacco, approfondì nelle sue opere
tematiche a sfondo sociale, politico, psicologico e storico-patriottico. Molto stimato sia in Polonia, sia
in ambito europeo, esercitò una forte influenza sulla società polacca dell’epoca
(<http://www.treccani.it/enciclopedia/ricerca/Stefan-%C5%BBeromski/>).
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