Tatarstan - Eastonline

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REUTERS/CONTRASTO/DENIS SINYAKOV
RUSSIA/TATARSTAN
Tatarstan
“Gratta un russo e troverai un tartaro”.
Un vecchio detto ricorda ai concittadini di
Putin che prima dei Sovietici e prima ancora
dello zar la Russia si è formata dall’unione di
popoli nemici, come gli Slavi e i Mongoli.
Per tartaro, infatti, nel XIII sec. si intendeva
qualunque popolo nomade che provenisse
dall’Asia o avesse radici turcofone
di Cecilia Tosi
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K
azan, la capitale, è una città moderna,
con un centro elegante e moschee colorate che si alternano con le cupole
celesti e dorate delle chiese ortodosse. Il benessere dei suoi abitanti, per metà russi e per
metà tartari, dipende dal petrolio: la Repubblica è una zolla di terra da cui sprizzano 800
milioni di tonnellate di greggio all’anno. Il volume delle riserve stimato supera addirittura
il miliardo di tonnellate. Risorse che danno ai
Tartari un potere contrattuale che Mosca non
ha mai potuto ignorare.
Negli anni Novanta, Boris Eltsin ha garantito
alla Repubblica un’autonomia così ampia da illuderla di poter conquistare l’indipendenza. Poi
è arrivato Vladimir Putin, che nel 2000 ha
messo il guinzaglio a tutte le regioni più intraprendenti, specie quelle musulmane. Nel caso
tartaro, a differenza della Cecenia, non ha sfoeast european crossroads
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derato il kalashnikov ma solo l’esattore delle
tasse: la quota delle entrate fiscali da versare a
Mosca è cresciuta dal 15 al 50% in un attimo.
E il Presidente della Repubblica è diventato
un’autorità nominata dal Cremlino, così come
tutti i governatori delle altre regioni russe.
“È dal 1943 che sfruttano il nostro petrolio”,
si lamenta Timur, dell’All-Tatar Public Center,
dove si riunisce la vecchia guardia nazionalista
composta da ex ufficiali dell’Armata rossa che,
caduta l’Urss, hanno deciso di combattere per
la gloria tartara. “Ci hanno succhiato 3,2 miliardi di tonnellate di greggio e cioè 200 miliardi di barili. Mosca ogni anno guadagna 600
miliardi di rubli grazie al nostro petrolio”.
Oggi i militanti del “Centro” sono considerati
inoffensivi, quattro vecchietti che si ritrovano
per parlare tartaro e ricordare il passato, ma all’inizio degli anni Novanta le loro idee hanno
avuto un successo strepitoso: nel 1992, il 61%
della popolazione ha votato a favore dell’indipendenza, in un referendum che Mosca decise
di considerare solo un punto di partenza di un
lungo negoziato. Gli eredi dei nazionalisti di allora sono i giovani di Azatlik, un’organizzazione
guidata da un 22enne, Nail Nabiullin, che ha
pochi seguaci ma strizza l’occhio ai movimenti
islamici, facendo della differenza religiosa una
bandiera distintiva più forte di quella linguistica.
E a Mosca, si sa, l’islam fa sempre paura.
Ma il Tatarstan non è il Caucaso, il benessere tiene lontani i giovani dai mitra. Invece di
farsi crescere la barba e inneggiare alla jihad, i
giovani di Azatlik hanno proclamato il 2013
l’anno di Batu Khan (nipote del più celebre
Gengis) che guidò l’Orda d’oro alla conquista
della Russia e dell’Europa orientale. Nabiullin
sostiene che attraverso la personalità di Batu
Khan si possa rievocare un periodo in cui “tutte
le steppe di Russia e d’Europa tremavano a sentire il galoppo dei combattenti tartari”.
Ma le istituzioni repubblicane oggi sono le
prime a difendere l’autorità costituita e vigilano
numero 50 novembre/dicembre 2013
REUTERS/CONTRASTO/ALEXEI NIKOLSKYI/RIA NOVOSTI/POOL
RUSSIA/TATARSTAN
sul rispetto del potere centrale. Questo non significa che il malcontento non esista. “Ci danno
i contentini – si lamenta Yusuf, anche lui ex ufficiale – ci fanno l’elemosina. Quest’anno, ad esempio, hanno detto che ci avrebbero dato un sacco
di soldi per organizzare le Universiadi, invece i
Giochi sono costati 230 miliardi di rubli e loro ci
hanno dato solo 60 miliardi. Eppure Putin va a
raccontare in giro che i Russi hanno organizzato
splendidamente un grande evento sportivo. I
Russi, mica i Tartari!”
Le Universiadi hanno monopolizzato Kazan
per tutta l’estate. Il Cremlino ha trasformato
le gare in uno spettacolo grandioso. Un evento
che nelle altre città del mondo passa quasi
inosservato, qui è servito a fare le prove generali delle Olimpiadi invernali del 2014 e dei
Mondiali di calcio del 2018. La città si è rimessa a nuovo, sciami di volontari hanno oc-
\ Vladimir Putin
insieme al Mufti Ildus
Faizov, nella Moschea
Bianca di Bolgar.
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FAUSTO GIACCONE/ANZENBERGER/CONTRASTO
RUSSIA/TATARSTAN
cupato tutti i quartieri, mentre la televisione
non faceva che trasmettere le gare e celebrare
grandi vittorie degli atleti russi.
Ma fuori dagli stadi non c’era traccia di
quegli stranieri che i Russi volevano impressionare. Solo qualche atleta disorientato in
cerca di souvenir. Eppure la frenesia di apparire ha spinto le istituzioni fino a spostare di
un mese la festa nazionale tartara di Sabantui
– fatta di gare tra bambini, danze in costumi
tradizionali e pic nic grandiosi – pur di farla
coincidere con le Universiadi.
Il 17 luglio le gare sono finite e il carrozzone
se n’è andato. I cittadini di Kazan hanno tirato
un sospiro di sollievo e sono tornati alla loro
quotidianità, retta da un fragile equilibrio tra
due comunità che cominciano a marcare le
differenze. La versione ufficiale dice anche
che i fondamentalisti in Tatarstan non esi36
stono. Ma l’anno scorso i terroristi hanno ferito
il mufti Faizov e ucciso il suo vice Yakupov in
un duplice attentato perché colpevoli di essere
stati scelti dal Cremlino per rimpiazzare due
leader musulmani più radicali. Le forze speciali russe hanno risposto immediatamente: i
presunti responsabili sono stati sterminati con
un’irruzione in un appartamento non lontano
dal centro. Altre 600 persone sono state arrestate e la moschea di Al-Islakh è stata chiusa
perché – dicono le autorità – “sosteneva i terroristi e propagandava il califfato”. Il Cremlino
dichiara che il cancro è estirpato e che il Tatarstan può godersi gli eventi sportivi e dormire sogni tranquilli. Almeno per ora.
\ Il Tatarstan è abitato
da circa 70 etnie.
I gruppi maggiori sono
i Tartari e i Russi, le cui
lingue sono quelle
ufficiali.
Cecilia Tosi giornalista del settimanale Left (l’Unità)
e collaboratrice della rivista Limes. Si occupa in
particolare di Paesi dell’ex Unione Sovietica.
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