il caso `pomodoro s. marzano`. le controverita

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il caso `pomodoro s. marzano`. le controverita
IL CASO ‘POMODORO
GIURIDICHE.
S.
MARZANO’.
LE
CONTROVERITA’
L’ennesimo attacco euro-burocratico al made in Italy agroalimentare. E’ in questi termini, pochi mesi fa, che è
stata accolta nel nostro Paese la risposta che il Commissario UE all’Agricoltura Phil Hogan ha fornito in replica
alle interrogazioni presentate da due europarlamentari italiani, a seguito della notizia della produzione e
commercializzazione di pomodori in Belgio etichettati come ‘S. Marzano’ dall’azienda “Lava” con sede a Leuven.
Dapprima, con atto di sindacato ispettivo n. P-012317-15, l’eurodeputato Paolo De Castro aveva chiesto alla
Commissione se intendesse <<attivarsi per far cessare l'utilizzo del termine ‘S. Marzano’ nell'etichetta di pomodori di
provenienza belga>>. Successivamente, la collega Marta Bizzotto, attraverso l’interrogazione n. E-012917-15, ha
chiesto se la Commissione si riproponesse di <<attivarsi presso le autorità belghe per far rispettare la normativa UE
tutelando i produttori italiani e i consumatori tratti in inganno>> assicurandosi che <<le autorità vietino la
commercializzazione dei pomodori prodotti in Belgio che si fregiano di un'etichetta tutelata e protetta dalla
denominazione Dop>>.
Il riscontro di Hogan è stato perentorio. Il Commissario ha controdedotto che <<la varietà di Pomodoro S.
Marzano può essere coltivata al di fuori della zona geografica delimitata >> e che la stessa <<non costituisce una
prerogativa dei produttori italiani>>, aggiungendo che <<spetta principalmente alle autorità competenti degli Stati
membri rilevare eventuali mancanze in occasione dei controlli effettuati>>.
Ne è così scaturita la reazione di profondo sdegno dei principali rappresentanti del settore agricolo italiano, ben
oltre l’ambito della filiera di riferimento, nonchè di molti esponenti istituzionali, tutti a contestare il preoccupante
indirizzo comunitario suscettibile di mettere in discussione i correnti schemi di protezione delle produzioni di
qualità nostrane. E nell’allargarsi della protesta contro la presunta deriva di una politica sovranazionale tesa ad
offuscare i valori della territorialità e della specificità, Coldiretti è andata denunciando che sulla possibilità di
produrre pomodoro San Marzano fuori dall’ambito geografico previsto dal Disciplinare fosse in atto un furto di
identità al made in Italy, cui era stato sferrato l’ennesimo schiaffo da parte dell’Unione Europea, bollinando come
strampalate le dichiarazioni rese in seno al Parlamento di Strasburgo. Nel contempo, i Sindaci di alcuni tra i
Comuni dell’area di produzione hanno sottoscritto una petizione e avviato una mobilitazione popolare per
salvare a loro dire il marchio dop legato al S. Marzano dalla grave minaccia delle nuove scelte europee.
Ciò stante, non può sottacersi che si sia dato vita ad una polemica a dir poco surreale.
Il Commissario UE all’Agricoltura si è espresso in conformità al complesso normativo comunitario
vigente.
Non esiste, infatti, alcuna disposizione regolamentare europea che impedisca la coltivazione di una
varietà vegetale in determinate aree dell’Unione appannaggio solo di alcuni territori intra-comunitari. Di fatto, un
provvedimento che contempli tale divieto si porrebbe in contrasto con un principio fondante dell’ordinamento
comunitario quale quello della libera circolazione delle merci. Sul punto, giova peraltro richiamare quanto
previsto dalla Direttiva del Consiglio Europeo n. 2002/55/CE del 13 giugno 2002, vale a dire proprio quella
relativa alla ‘commercializzazione delle sementi di ortaggi ’, il cui Considerando n. 12 precisa che <<le sementi delle
varietà registrate nel catalogo comune non devono essere soggette, all’interno della Comunità, ad alcuna restrizione di
commercializzazione per ciò che riguarda la varietà>>. Vieppiù che la nota sentenza C-59/11 del 12 luglio 2012,
con cui la Terza Sezione della Corte di Giustizia Europea si è espressa in merito alla controversia tra
l'associazione ‘Kokopelli’ e la ditta sementiera ‘Graines Baumaux SAS’ confermando l'obbligo d'iscrizione
ufficiale di una varietà orticola prima della sua commercializzazione, ha tra l’altro sancito che <<la Direttiva
2002/55/CE mira a instaurare un mercato interno delle sementi di ortaggi assicurandone la libera circolazione
nell’Unione>> (punto 47).
Ad ogni buon conto, oltre a richiamare il divieto comunitario - di cui agli articoli 34 e 35 del TFUE - di
restrizioni quantitative tra gli Stati membri all’importazione ed esportazione delle merci, va pure evidenziato che i
marchi di tutela giuridica DOP e IGP non prevedono in alcun modo la registrazione di una cultivar.
Precipuo rilievo assume, al riguardo, il Regolamento UE n. 1151/2012 concernente ‘i regimi di qualità dei
prodotti agricoli e alimentari’. Dal Considerando n. 17 si ricava che tali certificazioni comunitarie, in
conformità al corrispondente disciplinare, designano e proteggono il legame intrinseco fra le caratteristiche del
prodotto o dell’alimento e la sua origine geografica. Sicchè, alla denominazione di origine protetta è sottoposta
non la varietà di pomodoro in sè, che può essere liberamente coltivata anche fuori dal territorio delimitato, bensì,
nel caso di specie, la sua provenienza dall’area dell’Agro Sarnese Nocerino. Pertanto, è ammissibile un S.
Marzano di origine belghe, la cui indicazione soltanto come varietà orticola non evochi beni o territori italiani.
Tuttavia, per potersi fregiare della Dop, il pomodoro deve essere interamente prodotto in uno dei 41 comuni
dell’areale campano. E’, questo, un aspetto fondamentale da evidenziare anche alla luce del fatto che in Italia il
maggior numero di Dop e Igp si registra proprio nel settore ortofrutticolo, davanti ai formaggi, agli oli di oliva e
ai prodotti a base di carne. E non si tralasci, peraltro, che il vigente sistema di tutela delle indicazioni geografiche,
così come delineato dal Regolamento n. 1151/2012, allinea gli obiettivi propri della politica agricola comune a
quello di garantire nell’UE una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale (lett. c) comma 1 art. 1
“Obiettivi”).
Altresì, il comma 3 dell’art. 13, titolato “Protezione”, attribuisce ai singoli Stati membri - e non agli Organismi
sovranazionali, dunque - la competenza in merito alle misure amministrative e giudiziarie volte a prevenire o far
cessare l’uso illecito delle Dop e delle Igp prodotte o commercializzate sul proprio territorio, designando le
autorità incaricate dell’adozione obiettiva e imparziale di tali provvedimenti (per l’Italia, il Dipartimento
dell’ICQRF del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali). La norma de qua ha introdotto la c.d.
“protezione ex officio”, esperibile dunque anche in assenza di denuncia di parte e per la quale ciascun Paese UE
è tenuto a contrastare, in regime di assistenza reciproca, le pratiche fraudolente che si siano consumate nei propri
confini in danno dei segni comunitari di qualità relativi a prodotti propri e/o di altri Stati membri.
Alla fine, quindi, le contestazioni mosse all’indirizzo di Hogan si sono sostanziate in una passionale fuga dalla
norma.
In concomitanza della polemica, Coldiretti ha proposto l’estensione della denominazione d’origine protetta al
pomodoro fresco, ipotesi per la quale si sta tutt’oggi battendo e alla base della formale proposta di Ordine del
Giorno che, lo scorso mese di febbraio, la Federazione Provinciale di Salerno ha rivolto a tutti i Primi Cittadini
dell’area geografica di produzione, tanto che diversi Consigli Comunali, dichiarando di seguire le indicazioni
provenienti dal mondo della produzione agricola, hanno poi deliberato, fra l’altro, di impegnare la Giunta
Regionale della Campania, il MiPAAF e i Parlamentari Europei italiani ai fini della modifica del Disciplinare.
Ebbene, sia chiaro sin da subito: è come se per il vino, la cui filiera rivela non poche attinenze con
quella in argomento, si proponesse l’allargamento della tutela all’uva da tavola.
Il pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino Dop è il primo prodotto vegetale trasformato a
vantare l’appellazione di origine, a seguito del riconoscimento comunitario occorso nel 1996 con il
Regolamento UE n. 1236/96, secondo il quale il prodotto che viene esitato sul mercato del consumo deve
riguardare esclusivamente il pomodoro prodotto da aziende agricole e trasformato da aziende industriali che
ricadono entrambi nelle aree territoriali di tre province: l’agro sarnese-nocerino, in provincia di Salerno,
l’acerrano-nolano e il pompeiano-stabiese, in provincia di Napoli, nonchè il montorese, in provincia di Avellino
(in totale 41 comuni - alcuni solo parzialmente - e un’area di potenziale coltivazione che supera i 16.000 ettari).
A ragione, il S. Marzano viene definito come uno dei prodotti di più antica tradizione dell’agroalimentare italiano
e l’espressione di massima fama nel mondo dell’intero comparto del pomodoro da industria. Ora, mentre
quello fresco, stanti le pregevoli caratteristiche organolettiche, è pur sempre un bene alimentare, ritengo che il S.
Marzano trasformato in pelato sia identificabile come un bene storico-culturale del nostro Paese: in particolare,
guardando alla straordinaria interazione antropico-ambientale che nell’area individuata dal Disciplinare pervade il
suo intero ciclo produttivo e la storia che ne trasuda, il pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino è a
tutti gli effetti riconoscibile come patrimonio culturale immateriale italiano. E la certificazione comunitaria è
intervenuta a racchiudere proprio quel complesso di dinamiche valoriali che solo il pomodoro trasformato riesce
a testimoniare - in vero ben al di sopra delle combinazioni di fattori umani ed ecoterritoriali che connotano la
generalità delle Dop e Igp - e che rappresenta l’autentica leva competitiva e il motivo di differenziazione verticale
del prodotto. La c.d. ‘promessa di qualità’ non è assolutamente legata al consumo fresco, ma alla singolare
capacità del S. Marzano di ripetere la natura nel barattolo. Si pensi alla spiccata facilità di distacco della
buccia a completa maturazione, alla peculiare tempra che ne fa l’unico pomodoro che non si frantuma durante il
ciclo di lavorazione e resta intatto nella scatola, all’eccezionalità delle condizioni pedo-climatiche del
comprensorio sarnese-nocerino, alla tecnica colturale - che rispecchia una tradizione secolare - incentrata
sull’allevamento in verticale delle piante (legate a fili di ferro zincato paralleli al terreno fissati su pali di legno) che
evita alle bacche qualsiasi contatto con terreno e acqua di irrigazione, alla raccolta realizzata esclusivamente a
mano, in maniera scalare e in più riprese, alla laboriosità degli operatori agricoli: sono, queste, le caratteristiche
che elevano il pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino da ecotipo a idealtipo agroalimentare.
Ciò detto, non si può assolutamente non evidenziare il critico sfasamento che, come peraltro ha avuto
modo di puntualizzare in piena querelle lo stesso Ministro delle politiche agricole, esiste tra il novero delle varietà
di pomodoro S. Marzano che risultano iscritte nell’elenco del Registro nazionale di riferimento e quelle ammesse
dal Disciplinare di produzione (e, pertanto, dal corrispondente Regolamento UE). Quest’ultimo prevede che la
Dop sia riservata al pomodoro pelato ottenuto da piante delle varietà ‘S. Marzano 2’ e ‘Kiros’ (ex Selezione Cirio
3) o da linee ottenute dal miglioramento genetico delle predette varietà. La “S. Marzano 2” è stata registrata per
la prima volta con D.M. del 22 giugno 1991 e quale responsabile della selezione conservatrice risulta la “S.A.I.S.
Società Agricola Italiana Sementi” con sede a Cesena. Particolare da rilevare è che in corrispondenza di tale
varietà sono ammessi due sinonimi relativi alla denominazione principale, ossia ‘S. Marzano Vesuvio 2’ e ‘S.
Marzano lampadina 2’. La “Kiros”, invece, è stata per la prima volta iscritta nel Registro nazionale con D.M. del
1° febbraio 2000 e quale responsabile della relativa selezione conservatrice risulta la società consortile “Arca
2010” con sede legale a Teverola (Ce) - ma l’iscrizione indica come sede quella operativa in Acerra (Na) -, la
quale è titolare della proprietà della cultivar e fu fondata da un gruppo di ricercatori della Eureco, la società in cui
confluì l’ex Centro Ricerche della Cirio una volta acquistato dalla Pomigliano Ambiente SpA.
Tuttavia, nel Registro nazionale delle varietà ortive sono state ammesse anche la varietà “S. Marzano 3” (in
corrispondenza della quale risultano pure i sinonimi ‘S. Marzano Vesuvio 3’ e ‘S. Marzano lampadina 3’), nonché
quelle “S. Marzano gigante 2” (in corrispondenza della quale risultano i sinonimi ‘Gran Merito 2’, ‘S. Marzano
large fruit 2’, “S. Marzano lungo 2”, “S. Marzano degli ortolani 2” e “Scatolone 2”) e “S. Marzano gigante 3”
(in corrispondenza della quale risultano i sinonimi ‘Gran Merito 3’, ‘S. Marzano large fruit 3’, “S. Marzano lungo
3”, “S. Marzano degli ortolani 3” e “Scatolone 3”). Tutte e tre le varietà in questione sono state registrate con
D.M. del 22 giugno 1991, come nel caso, quindi, della “S. Marzano 2”. A ciò si aggiunga pure che con un
Decreto del lontano 20 giugno 1977 fu iscritta per la prima volta la varietà “Marzano P 4”, tutt’oggi presente,
nota anche col sinonimo di “S. Marzano nano”. Tanto della “Marzano P 4” quanto della “S. Marzano gigante 2”
risulta quale responsabile della selezione conservatrice la “Blumen srl” con sede in Piacenza, mentre per la “S.
Marzano 3” è la “ISI Sementi SpA” di Fidenza (PR) e per la “S. Marzano gigante 3” risulta il “Consorzio Sativa
Società Coop. Agricola” di Cesena.
Pertanto, per quanto sia giusto asserire che risultano regolarmente iscritte 4 varietà di pomodoro che contengono
nel nome il riferimento al S. Marzano - come han fatto i pochi che non si sono lasciati suggestionare dalle
esemplificative teorie sulla Dop estesa al fresco -, un serio approfondimento del caso conduce a recepire che,
oltre a queste, il Registro nazionale ne ammette altre 11, per un totale di 15 denominazioni varietali recanti il
riferimento al S. Marzano, senza contare che sono 5 le varietà che contengono nel nome il più ampio
riferimento al Marzano. E’, questo, un dato fondamentale e da valutarsi sempre con priorità, unitamente alla
circostanza che il S. Marzano non è, come noto, rappresentato da una linea pura omozigote e che la cultivar
originaria è stata praticamente estinta dall’incalzare delle gravi fitopatie succedutesi dalla metà degli anni ’80. Non
si trascuri, poi, che gli ultimi decenni hanno visto l’introduzione di tantissime nuove cultivar e molti ibridi morfofisiologicamente simili, quando non addirittura identici, alla tipologia S. Marzano, tanto che i marcatori
morfologici oggi a disposizione non consentono di distinguere tra biotipi fenotipicamente simili. Sicchè, nel
volgere doverosamente uno sguardo d’insieme a tutti i fattori sin qui considerati, si rivela arduo definire in modo
compiuto le caratteristiche di quello autentico e chiunque oggi parli di vero S. Marzano non fa che richiamare
una approssimazione scientifica o una presunzione da marketing.
Vieppiù che non si è mai formalmente fatto cenno, ad oggi, a quello che definisco come il ‘nodo vivai’,
identificando con esso una criticità che peraltro rimanda ad un serio vuoto normativo. Ebbene, in rispondenza a
quanto previsto dalla vigente legislazione comunitaria, la denominazione di origine protetta è accordata al pelato
S. Marzano in relazione al quale ogni singola fase di produzione, trasformazione ed elaborazione sia avvenuta
nell’area geografica delimitata dai 41 Comuni campani individuati dal Disciplinare. Sul punto, ratio e voluntas
legis sono chiare e speculari: la Dop S. Marzano è un tributo alla storia, alle condizioni ambientali e alla comunità
del territorio Sarnese-Nocerino, che profila il pomodoro ivi nato e lavorato come un’eccellenza. Eppure, il
Legislatore non ha tenuto conto che non sempre la coltivazione inizia dal seme, atteso che ormai - e si
tratta di un dato generale del settore - gli agricoltori acquistano o comunque prendono in consegna le piantine
direttamente dai vivai specializzati per poi trapiantarle nei terreni destinati alle loro cure. Ebbene, la
regolamentazione europea e la normativa derivata non prevedono il divieto di mettere a dimora nei suoli
ameni dell’area sottoposta alla Dop le piantine provenienti da vivai che insistono all’infuori del
territorio delimitato. In pratica, nel Disciplinare non vi è alcun riferimento dal quale risulti impedito l’utilizzo
nella produzione agricola del S. Marzano di giovani piantine provenienti da aree geografiche diverse dal SarneseNocerino. Né tantomeno è dato rilevare alcun cenno al riguardo nel Piano dei controlli della filiera predisposto
dall’Organismo di verifica autorizzato e a cui si attengono le società per la certificazione della qualità, fatta salva
la scrupolosa attività di accertamento all’uopo esperita. Quella della tracciabilità dell’itinerario seguito dal
pomodoro nell’apparato agroalimentare dal seme alla scatola è questione oltremodo cogente. E anche di
questo aspetto, pertanto, occorre tener conto se tra gli obiettivi reali, perseguiti a ogni livello, vi è quello di
informare correttamente il consumatore su origine e provenienza del prodotto.
Merita inoltre particolare attenzione quanto sancito dall’art. 24 dello Statuto del Consorzio di tutela
del pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop, dedicato al Consiglio di Amministrazione
dell’Organismo de quo. Tale disposizione, nel prevedere che questo sia disposto da 6 a 9 membri, ne disciplina
pure il sistema di elezione, statuendo che <<il 66% è da scegliersi nell’ambito delle imprese di lavorazione della
filiera ortofrutticola e cereali trasformati; il restante 34% sarà scelto nell’ambito degli agricoltori>>. Ciò, in
conformità a quanto fissato dal D.M. del 12 aprile 2000 concernente i criteri di rappresentanza negli organi
sociali dei consorzi di tutela delle Dop e delle Igp. Di qui, è ragionevole presumere che, nell’ipotesi in cui fosse
decretato l’allargamento della tutela al prodotto fresco, le regole di ingaggio all’interno del CdA sarebbero
giocoforza destinate a mutare. Sul punto, vien quindi da interrogarsi se tale circostanza non rappresenti, per
taluni, la causa anziché la conseguenza della campagna degli ultimi mesi.
Altresì, a fronte della mobilitazione condotta dalla più grande Organizzazione agricola ai fini della
modifica del Disciplinare di produzione del S. Marzano, seguita a ruota da tanti Amministratori in seno all’areale,
alcuni dei quali hanno avuto almeno il modo di venire a conoscenza che il proprio Comune ricade nel territorio
d’origine protetta, è d’uopo segnalare il rischio di una sovrapposizione dei ruoli, con il conseguente
svuotamento fattuale delle prerogative normative del Consorzio di tutela. E’ il Decreto del 4 dicembre
2003 a firma del Direttore Generale per la qualità dei prodotti agroalimentari e la tutela del consumatore in seno
al MIPAAF ad aver riconosciuto il Consorzio ‘S. Marzano’ per la valorizzazione e la tutela della Dop e ad
esercitare le funzioni (definite testualmente “non surrogabili”) indicate all’art. 14 comma 15 della Legge 21
dicembre 1999 n. 526 (di adempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE). Ebbene, giova
evidenziare che tale normativa ha attribuito in via esclusiva ai Consorzi di tutela la titolarità delle attività
concernenti le proposte di disciplina di produzione, quelle di miglioramento qualitativo della stessa, anche in
termini di sicurezza alimentare, nonché, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, le azioni di
salvaguardia delle Dop e delle Igp da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle
denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge, esplicando siffatta attività ad ogni livello e
nei confronti di chiunque, in ogni fase della produzione, della trasformazione e del commercio.
Infine, non può tralasciarsi che la filiera della Dop S. Marzano si rivela connotata da una forte
asimmetria informativa dovuta al modo di porsi di taluni produttori sul mercato. Non pochi, infatti,
commercializzano e/o promuovono il proprio pomodoro rivendicandone il titolo di vero S. Marzano. Si sono
letteralmente stratificate le azioni di branding volte a differenziare il dato prodotto comunicandone al
consumatore il presunto carattere dell’autenticità. Ora, se da un lato resta fermo ogni approfondimento sin qui
svolto, dall’altro non è ammissibile neppure l’ipotesi che si tratti di una certificazione volontaria agroalimentare.
Questa identifica un atto formale con il quale un ente o organismo di certificazione attesta la conformità del
prodotto allo standard identificato da un documento tecnico di riferimento, che può specificare sia le
caratteristiche finali che la modalità di produzione e commercializzazione, stante che i caratteri del prodotto da
comunicare al consumatore - e quindi certificare - devono essere verificabili e/o misurabili. Di fatto, non è quel
che ricorre nel caso di specie. Nel contempo, viene purtroppo minata la credibilità dell’intero sistema di
certificazione volto ad assicurare ai consumatori il rispetto delle caratteristiche qualitative peculiari del S.
Marzano Dop e del suo processo di produzione, così come definite nel disciplinare tecnico.
4 agosto 2016
Luigi Cerciello Renna