“Glamour” de I Cani, istantanee di vita della generazione

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“Glamour” de I Cani, istantanee di vita della generazione
“Glamour” de I Cani, istantanee di vita della generazione 2.0
di ANTONELLA BELLIFEMINE
Il secondo album è sempre il più difficile, cantava Caparezza ed è vero, perché è la prova
decisiva per decretare una volta per tutte se tal dei tali è un bluff oppure è un grande
cantautore/musicista/compositore eccetera eccetera.
Al secondo disco, Niccolò Contessa, leader de I Cani, dimostra di avere delle cose da dire e lo
fa tirando fuori le giuste parole.
Il primo disco, “Il sorprendente album d’esordio de I cani”, uscito un paio di anni fa, è diventato
subito un caso da guerre internettiane: “è un genio, è un ruffiano, è solo la pallida copia di
questo o quello”. Ha giocato molto in queste guerre tra tifoserie anche il fatto che l’identità di
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Niccolò è rimasta sconosciuta, come il suo volto, per tanto tempo, scatenando ovviamente
curiosità e morbosità. Probabilmente i testi delle sue canzoni hanno favorito queste risse
mediatiche (ma nessuno lo ammetterà mai), è come se tanta parte della generazione degli anni
2000 si è sentita punta sul vivo.
Molti si saranno identificati in quell’atroce resoconto sui giovani di oggi che Niccolò ha narrato
nelle sue canzoni (vedi “I Pariolini Di Diciott’anni”) con spensierato e disinvolto cinismo, tra
hipster, quartieri romani alla moda, droghe e pornografia all’ordine del giorno, idee
paurosamente confuse su fascismi idolatrati e social network.
Oggi Niccolò, classe 1986, racconta ancora il mondo dei giovani ma lo fa con una introspezione
inedita, abbandonando la furbizia iniziale che l’ha reso un ottimo bersaglio, rendendolo famoso.
Oggi c’è la vita vera e i suoi frammenti, c’è cinismo e sarcasmo ma non si sghignazza come
nell’album precedente per l’impietosa rassegna delle diverse tipologie di giovani. Ci sono le
paure e i sogni, malinconie e nostalgie, e soprattutto c’è voglia di vita normale, lontano dal
vuoto di questo microcosmo giovanile perennemente in mostra e “glamour” che tutto inghiotte.
È il tempo della consapevolezza dei fallimenti ed è il tempo della disillusione e Niccolò sceglie
con cura le parole, senza sprecarle. Così nel primo singolo lanciato, “Non C’è Niente Di Twee”
c’è l’autoironia in una storia d’amore scaduta come uno yogurt, basata sul nulla, sull’indifferenza
perché “non c’è stato mai niente di Twee fra di noi ,io ero un po’ troppo comodo in quanto astro
nascente di quattro poveri stronzi e tu la reginetta di Tumblr, reginetta di quattro poveri stronzi”.
Fino alla conclusiva presa di coscienza: “e quanto disoneste possono essere le parole, per
infestare il mondo di sentimenti, per dire il falso, per non dire niente, per non dire quanto
disoneste sono le fotografie in cui siamo: bellissimi e perdenti” .
Ma l’amore può essere anche una richiesta di protezione dalle nostre fragilità, come in “Vera
Nabokov”, “ricorda che mi hai promesso di andare in giro con la pistola per difendermi e di
tagliarmi la carne da mangiare nel piatto come Vera Nabokov”.
“Storia di un artista” ripercorre il mito di Piero Manzoni in un gioco di contrapposizioni tra lo stile
di vita borghese della madre ed il nostro che ci permette oggi di commemorarlo cinicamente
solo per il gusto di un certo atteggiamento intellettualoide di gran moda: “ti festeggiamo ogni
anno con mostre borghesi, con le foto profilo, con le tesi di laurea. Perché a noi piacciono i
dischi, le foto, i registi, i marchingegni alla moda, le muse, gli artisti, Piero Ciampi, Bianciardi,
Notorius B.I.G, Pasolini e Jay-Z”.
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“San Lorenzo” è uno dei brani più interessanti che con asprezza e freddo calcolo ricorda la
notte delle stelle cadenti, “ogni 10 agosto noi lanciamo ogni sorta di richieste a dei meteoriti
ignari…tutto l’universo nasce e muore di continuo e se ne frega dei progetti e degli amori e dei
miei fallimenti quindi andare a chiedere favori
alle stelle cadenti non è tanto di cattivo gusto quanto arrogante”.
E ancora in “Storia di un impiegato”, omaggio a De André, canta con disincanto: “considerato
che non sono un artista, e con le velleità non ci si vive, mi ritrovai con un lavoro vero: uno di
quelli proprio senza glamour”.
La conclusiva “Lexotan” è l’amara verità che il successo non copre il vuoto e l’inquietudine, “ho
sempre avuto un sacco di sogni ambiziosi per poi realizzare di non stare meglio per niente”.
Non resta che aggrapparci a “la nostra la nostra stupida, improbabile felicità, la nostra niente
affatto fotogenica felicità,sciocca, ridicola, patetica, mediocre, inadeguata, inadeguata…
felicità!”.
Niccolò s’è inventato una nuova poetica, diversa da tutte le altre, fatta di squarci di verità in un
mare di apparenze e falsità. Questa volta si racconta in prima persona, non punta il dito ma
parla della sua gioventù col linguaggio dell’ipercomunicazione tecnologica. È un’estetica che ha
nel proprio lessico Whatsapp, Tumblr, foto di gatti pubblicate sui social network, immagini
carine che però di noi non dicono nulla di vero, lexotan e psicanalisi junghiana, i Long Island e
madri ansiose con figlie in prigione al computer dentro camera loro.
La sua scrittura ricorda quella del Bianconi dei Baustelle, del Raina degli Amor Fou o di Vasco
Brondi de Le luci della centrale elettrica.
Musicalmente è un disco che si fa ascoltare con piacere, anzi il suono quasi distrae dalle
parole. I ritornelli restano impressi e Niccolò canta ossessivamente alcune parole. I Synth si
mescolano ad un eletro punk e pop e vi sono due brani strumentali, “Roma Sud” e “Theme from
Koh Samui” entrambi con la partecipazione di Cris X, mentre in “Corso Trieste” I Cani si
avvalgono della collaborazione dei Gazebo Penguins.
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Produzione più curata e suoni più puliti grazie a Enrico Fontanelli degli Offlaga Disco Pax.
La diatriba su questo disco è già iniziata. In fondo è la rappresentazione di un’intera
generazione di “bellissimi e perdenti”.
4/4