Commento di F. Mosconi per "il Borgo di Parma" Cirdolo culturale

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Commento di F. Mosconi per "il Borgo di Parma" Cirdolo culturale
Parma che funziona: la manifattura di qualità che guarda al mondo
Scritto da Franco Mosconi
Giovedì 09 Aprile 2015 14:32 -
C’è una Parma che funziona: è, prima di ogni altra cosa, la Parma delle imprese industriali
esposte pienamente alla concorrenza internazionale. Questo risultato non è un accidente della
storia, bensì il frutto di lungimiranti strategie aziendali, portate avanti con coerenza, coraggio e
visione.
Di tutto ciò abbiamo discusso lo scorso 19 marzo all’Università di Parma nel corso della “Lettura
Jean Monnet 2015” – organizzata dalla mia Cattedra, intitolata a uno dei padri fondatori
dell’Europa unita – sotto il titolo: “Per una manifattura di qualità. Investimenti in conoscenza,
strategie d’impresa, politica industriale” ( www.cattedramonnetmosconi.it , www.unipr.it ).
E’ stata una Lettura a più voci, com’è ormai tradizione per questa iniziativa. Aperta dal
Magnifico Rettore, Loris Borghi, e conclusa dalla Vice Presidente di Confindustria, Antonella
Mansi, ha visto intrecciarsi una conversazione fra Luca Barilla, Andrea Chiesi e Andrea
Pontremoli. Essi rappresentavano in quella sede tre eccellenze della manifattura parmense, che
sono diverse tra loro per anno di fondazione, settore di appartenenza e dimensione aziendale.
D’altro canto, però, tutt’e tre condividono un assetto proprietario centrato sulla famiglia, e lo
stesso può dirsi per l’azienda di Antonella Mansi (Nuova Solmine, in provincia di Grosseto). Ma
le somiglianze – possiamo domandarci ora, dopo averli ascoltati – finiscono qui, a quello che in
letteratura è noto come “capitalismo familiare”, o si spingono più in là?
E’ a questa domanda che cercheremo di dare una risposta nel breve spazio di quest’articolo.
Lo sguardo al lungo periodo
“Servono 11 anni per arrivare al mercato con un nuovo farmaco”, ha detto Andrea Chiesi, forte
della sua esperienza come Direttore R&D Portfolio Management presso la Chiesi; ha poi
proseguito citando i dati – altissimi – sulla probabilità di non farcela, a dispetto degli ingenti
investimenti richiesti, e a concluso ricordando a tutti il dato-chiave della loro impresa: un
investimento in ricerca e sviluppo (R&S) che annualmente si attesta al 18% del fatturato, l’unica
strategia possibile per ricercare e coltivare nicchie sul mercato globale, dove i concorrenti sono
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Scritto da Franco Mosconi
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spesso 30-40 volte più grandi. In un’industria come quella farmaceutica, un’ottica di gestione
aziendale improntata al lungo periodo è, dunque, un imperativo categorico, che ritroviamo
anche nelle altre due testimonianze. Il riferimento va a Luca Barilla quando ha affermato che,
nella loro impresa, “il profitto non è il capital gain”, con tutto ciò che ne consegue in termini di
“continui investimenti nel
core business”. Non
facciamo – ha concluso il Vice presidente della Barilla – “prodotti a buon mercato, ma prodotti
con un buon rapporto qualità/prezzo”. E il riferimento va altresì ad Andrea Pontremoli,
Amministratore delegato della Dallara, quando ha illustrato la politica di distribuzione degli utili
che, con l’Ing. Gianpaolo Dallara, perseguono: utili che vengono “reinvestiti nell’impresa, anche
con una percentuale ai dipendenti”. Oggi – ha proseguito Pontremoli – “la Dallara Automobili sta
poi aprendo un nuovo laboratorio di R&S per lo studio dei compositi in fibra di carbonio”.
La centralità del “capitale umano”
Dagli investimenti in R&S, tecnologia e qualità dei prodotti – che abbisognano di un orizzonte
temporale di lungo periodo - a quelli in “capitale umano” il passo è assai breve. E’ un altro tema
che ritroviamo in tutt’e tre le testimonianze, e che più di ogni altra cosa è capace di dare ai
nostri studenti qualche ragionevole speranza. Certo, in classe – già durante una Laurea
triennale e, poi, con maggior profondità nel corso di una Magistrale - apprendono il passaggio
dalle Teorie della crescita esogena (anni ’50) alle più moderne Teorie della crescita endogena,
ove il ruolo cruciale è quello giocato dagli “investimenti in conoscenza” (più che da quelli in
capitale fisico, com’era nella vecchia teoria). Ancora: apprendono le fondamentali teorie di
Joseph A. Schumpeter sull’innovazione e il cambiamento tecnologico. Ma anche dopo qualche
anno di studi universitari resta in loro un senso, come dire?, di incompiutezza e fors’anche di
astrattezza. Ciò che hanno appreso ascoltando le esperienze di Barilla, Chiesi e Dallara credo
possa contribuire a dar loro qualche certezza in più, nel senso che imprese di questa natura
sono continuamente alla ricerca di giovani “talenti”, da selezionare con metodo meritocratico,
perché sanno – operando su una scala davvero globale – che la competizione si gioca, oggi più
di ieri, sulla base delle competenze della forza lavoro. E proprio sulla formazione del capitale
umano si è soffermato il Rettore del nostro Ateneo, prof. Loris Borghi, che ha voluto ricordare il
grande sforzo che l’Università di Parma sta oggi compiendo per adeguarsi – sia sul piano della
didattica che della ricerca - al mondo nuovo che c’è intorno a noi: “L’innovazione è oggi la
parola chiave per svolgere qualsiasi attività”.
L’attenzione verso il territorio
A ben vedere, vi è un terzo elemento che accomuna le tre eccellenze della manifattura
parmense qui presentate: l’attenzione verso il loro territorio di origine, la città e la provincia di
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Parma. Già, il territorio, altro grande assente negli anni del dominio del “pensiero unico”, il
cosiddetto Washington Consensus. In quei venti e più anni (dagli anni ’90 sino al grande crac
del 2008 e anche oltre), la manifattura aveva ceduto il passo alla (turbo)finanza, mentre una
sana e prudenziale ottica di gestione di medio-lungo aveva lasciato spazio alla ricerca dei
profitti di breve termine … Sappiamo com’è andata a finire, purtroppo. In questo paradigma, il
territorio appariva come un qualcosa di superfluo, sostituito da una speculazione (sui derivati,
sugli immobili, sulle materie prime, etc.) che passa attraverso la “rete”.
Oggi, per fortuna, il Rinascimento Manifatturiero che tutto l’Occidente sta sperimentando ridà
centralità al territorio: qui le imprese nascono e crescono; qui esse instaurano fra loro relazioni
che sono, a un tempo, di cooperazione e di competizione; qui le imprese contribuiscono a
formare delle vere e proprie “comunità” di persone. Lo fanno, in primis, portando all’interno
dell’impresa capitale umano qualificato, come si è discusso al punto precedente. Ma lo fanno in
misura crescente investendo anche al di là del perimetro aziendale con iniziative di impronta
“comunitaria”. Basti pensare, per restare ai nostri tre casi aziendali, al Barilla Center for Food &
Nutrition, alla Fondazione Chiesi, all’impegno della Dallara per lo sviluppo dell’Istruzione e
Formazione Tecnica Superiore nella Valceno. L’essere, tutt’e tre, imprese fortemente
internazionalizzate (ossia, alta è la percentuale di export sul fatturato e cospicui sono gli
IDE-Investimenti Diretti Esteri realizzati sui principali mercati mondiali) non impedisce loro di
prendersi cura del territorio. Anzi, è proprio vero il contrario.
Il modello verso cui guardare resta con tutta probabilità, a oltre mezzo secolo di distanza, quello
di Adriano Olivetti e di Ivrea. Modello, forse, irripetibile nelle nuove circostanze di quest’inizio
del XXI^ secolo, ma che spicca nella storia nel capitalismo italiano come una continua fonte di
ispirazione. Di più: le parole che, alla “vocazione dell’imprenditore”, Papa Francesco ha
dedicato nella sua Esortazione Apostolica “Evangeli gaudium” (2013) aiutano a guardare avanti.
Scrive il Santo Padre: “La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che ci si
lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente
il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere accessibili per tutti i beni di questo
mondo” (§203, cap. IV).
Ma le imprese non possono fare tutto da sole
Abbiamo passato in rassegna, senza alcuna pretesa di completezza, quelli che – secondo il mio
pensiero e alla luce della “Lettura Jean Monnet” del marzo scorso – sono i tre elementi che
caratterizzano l’operare di aziende leader come Barilla, Chiesi, Dallara e che le stesse
condividono con tantissime altre imprese - piccole, medie e grandi – della manifattura.
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Scritto da Franco Mosconi
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La domanda, giunti a questo punto, diviene: ma possono le imprese far tutto da sole?
Alla domanda, volutamente retorica, vi è un’unica risposta possibile: no, non possono. E in
questa direzione si muovono tutti i più grandi paesi del mondo, a cominciare da Stati Uniti e
Germania (non c’è sempre e solo bisogno di scomodare la Cina o, magari, la Corea del Sud per
trovare esempi di politiche attive per l’industria manifatturiera, basta guardare ai due paesi
dell’Occidente che più ammiriamo!).
Ebbene, parallelamente al rinascimento manifatturiero si sta riscoprendo il ruolo di
un’intelligente Politica industriale: ne ha parlato – concludendo i lavori – Antonella Mansi, Vice
Presidente di Confindustria. L’espressione utilizzata dalla Presidente Mansi è stata volutamente
forte: “Ricostruzione”. Il nostro, infatti, è un Paese che dall’inizio della crisi ha perso moltissimi
punti percentuali (una ventina circa) di produzione industriale e centinaia di migliaia di posti di
lavoro: c’è bisogno - ha argomentato – “di un Paese intero che faccia il tifo per la sua
manifattura, che resta la seconda d’Europa dopo la Germania e che, nonostante tutto, non
parte da zero e vanta eccellenze importanti; in Emilia-Romagna come altrove”.
Questo è il passaggio da compiere, il tornante ancora da superare. Difatti, sulla declinazione
concreta di una nuova Politica industriale verso gli investimenti in conoscenza (R&S, capitale
umano, ICT), da un lato, e il sostegno all’internazionalizzazione, dall’altro, esiste un consenso
sufficientemente ampio. Quello che ancora manca nel Paese – l’argomentazione di Antonella
Mansi è del tutto condivisibile – è la consapevolezza piena che la nostra prosperità futura
continuerà a dipendere dall’industria manifatturiera e dalla sua necessaria evoluzione verso
produzioni a più elevato valore aggiunto.
Industrie come quelle alimentare, automobilistica, chimica e farmaceutica sono – se rivolte
verso una sempre maggiore qualità di prodotti e processi - tutt’altro che superate: questo è il
messaggio di (ragionevole) speranza che, qui a Parma, ci viene dall’intenso incontro svoltosi in
via Kennedy in un bel pomeriggio – già “primaverile” (anche se era solo il 19) – del marzo
scorso.
Franco Mosconi
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Scritto da Franco Mosconi
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Professore di Economia industriale all’Università di Parma, ove è titolare della Cattedra Jean
Monnet. Fra le ultime pubblicazioni, si ricordano: “La metamorfosi del Modello emiliano”
(Bologna, Il Mulino, 2012); “Origine e sviluppo della nuova Politica industriale. Una prospettiva
europea” (Parma, Monte Università Parma Editore, 2013).
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