Abbazia di Casamari

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Abbazia di Casamari
ABBAZIA DI CASAMARI
L’abbazia di Casamari, nel cuore della Ciociaria, ad oriente di Veroli, si presenta al visitatore nella
sua austera bellezza, ricca di storia quasi millenaria. Il territorio, nel quale sorge, fu abitato sin dal
secolo IX a.C. dai Volsci e dagli Ernici e, nel secolo IV, dai Sanniti, che lo cedettero
successivamente ai Romani.
Il nome “Casamari” rivela origini remote: qualcuno ritiene che esso celi radici tosco-umbre, altri lo
fanno derivare da “Casa Marii”, con esplicito riferimento al generale romano, Caio Mario, che,
forse, qui nacque e dove, certamente, visse la sua famiglia. Anche se è impossibile, oggi, stabilire
con esattezza il sito, in questo luogo, infatti, sorgeva l’antica Cereatae Marianae, piccolo villaggio
dedicato alla dea Cerere e attraversato dalla via Maria, della quale è ancora evidente un tratto ben
conservato.
I numerosi reperti archeologici, le arcate dell’acquedotto del periodo repubblicano di Roma, il
ponte romano sul torrente Amaseno, punto di transito anche in età medioevale e distrutto alla fine
dell’ultima guerra dai soldati tedeschi in ritirata, testimoniano la costante presenza dell’uomo
dall’età preistorica alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
Cenni Storici
Epoca romana
L'Abbazia di Casamari, ubicata nell'omonima contrada del territorio di Veroli, in provincia di
Frosinone, è un importante centro storico, culturale e spirituale del Lazio. È possibile ammirare
questo secolare monumento, percorrendo la via Mària, strada provinciale che collega Frosinone a
Sora.
Probabilmente tra i nomi "Casamari" e "Via Mària" si è già notata una certa assonanza: ciò è
dovuto alla loro comune etimologia, che si riconduce al nome di Caio Mario ( II-I sec. a.C.), insigne
personaggio della storia di Roma, sette volte console e avversario di Silla nella guerra civile dell'88
a C. La fama che assunse questo personaggio nel mondo romano fece sì che il luogo dove nacque
e visse i primi anni della sua vita fosse connotato dal suo nome: infatti Casamari (Casa Marii)
significa etimologicamente "casa di Mario".
Precedentemente, le fonti storiche indicavano questo luogo con il nome di "Cereatae": Plutarco,
nelle Vite, riporta che "[Mario] trascorreva il tempo nel villaggio di Cereate, nel territorio di
Arpino..."; Strabone, geografo greco, nomina il villaggio di Cereate nella descrizione del territorio
adiacente al fiume Liri; infine Frontino, storico latino del I secolo d.C., riferisce che "...la famiglia di
Caio Mario risiedeva nel municipio di Cereate..."
In base a queste testimonianze e a numerosi ritrovamenti archeologici, possiamo affermare con
certezza che l'abbazia di Casamari sorge nell'antico municipio romano.
Durante i secoli di decadenza dell'impero, Cereate subì la progressiva crisi economica, conseguente
alla decadenza della civiltà di Roma e alle invasioni barbariche.
Le testimonianze riguardo a Cereate riaffiorano a partire dal secolo XI, da documenti che attestano
la presenza di una comunità di monaci benedettini nel luogo chiamato Casamari.
Medioevo
La fondazione del monastero è descritta nella "Cronaca del Cartario", documento del XIII secolo,
che presenta tuttavia qualche punto poco chiaro. Il Chartarium Casamariense, redatto sul finire del
'400 dal monaco di Casamari Gian Giacomo de Uvis, per incarico dell'abate commendatario
Giuliano della Rovere, è il punto di riferimento fondamentale per la ricostruzione storica dei
primordi del monastero di Casamari. Nonostante alcuni dubbi che ancora riguardano la datazione
delle origini dell'abbazia, questo documento ci fornisce preziose informazioni.
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Secondo il Cartario, nell'anno 1005 alcuni ecclesiastici di Veroli, decisi a riunirsi in un cenobio,
scelsero Casamari e riutilizzarono, come era in uso allora, materiale prelevato dai ruderi di un
tempio di Marte lì ubicato, per costruire una chiesa in onore dei Santi Giovanni e Paolo. Quattro di
essi, sacerdoti, si recarono nel vicino monastero di Sora e ricevettero l'abito religioso dall'abate, il
venerabile Giovanni: erano Benedetto, Giovanni, Orso e Azo.
La maggiore parte degli storici che si sono occupati dell'argomento (il De Persiis, il Longoria, il
Giraud e molti altri) contestano la data del 1005 e, primo fra tutti il Baronio, stabiliscono la data
della erezione dell'abbazia al 1036.
L'abbazia acquistò in seguito, grande importanza grazie a numerose donazioni. Ma subì
successivamente, una grave crisi a carattere sia economico, che religioso: a carattere economico
per il venir meno dell'economia curtense con l'avvento dell'economia commerciale (che ebbe come
conseguenza un prolungato stato di ingovernabilità con frequenti dimissioni di abati); a carattere
religioso per il generale disorientamento successivo alla riforma gregoriana.
Nell'arco di tempo tra il 1140 ed il 1152 ai monaci "neri", benedettini (così chiamati dal colore della
loro tonaca), si sostituirono i monaci "bianchi", cistercensi.
La Cronaca del Cartario riporta: "... nel 1143 i monaci neri erano diventati tanto indisciplinati,
disonesti e dimentichi della salvezza della loro anima, che Eugenio III [...] trovò il monastero di
Casamari dai sopraddetti monaci neri ridotto all'indisciplina, dilapidato nelle sostanze e fatiscente
nei fabbricati e cominciò allora a prenderne cura e vi introdusse i monaci dell'ordine cistercense
nell'anno 1152 [...]".
I monaci cistercensi trovarono subito consenso per la austerità per il rigore e per la semplicità della
loro vita.
Tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII fu iniziata la costruzione del nuovo monastero. Nel 1203,
fu benedetta da Innocenzo III la prima pietra della chiesa, costruita secondo i canoni dello stile
gotico-cistercense: ancora oggi il chiostro, la sala del capitolo, il refettorio, il dormitorio e tutti gli
altri elementi che compongono l'abbazia destano la viva ammirazione del visitatore.
A cominciare dal XII secolo l'abbazia di Casamari non solo acquistò possedimenti nelle zone
limitrofe, ma intraprese anche nuove fondazioni monastiche, soprattutto nel meridione d'Italia. A
questo momento di prosperità seguì dalla metà del 400 un periodo di decadenza così come
avvenne per altre abbazie. Causa di questo fenomeno fu la "Commenda", estesa a Casamari da
Martino V ne1 1430, a favore del cardinale Prospero Colonna, suo nipote.
Epoca moderna
Nel 1569, don Nicola Boucherat I, abate di Citeaux, visitò 34 monasteri del meridione, tutti sotto
commenda; dopo questo viaggio stilò una relazione che si concludeva con queste parole: "Bisogna
tener presente che tutti i suddetti monasteri non dispongono neanche dei libri e della suppellettile
necessari per la celebrazione dell'ufficio divino".
Nel 1623, la comunità ridotta a soli otto religiosi, fu annessa con altre otto abbazie alla
Congregazione Cistercense Romana, sorta ad opera di papa Gregorio XV. Il pontefice con questo
atto cercava di dare nuovo stimolo ad alcune abbazie del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio.
Ma la situazione all'interno dell'abbazia non migliorò.
Solo nel 1717 questo centro religioso conobbe una buona rinascita grazie all'opera di Clemente XI ,
in precedenza abate commendatario di Casamari.
Questi rimosse dall'abbazia i cistercensi della Provincia Romana e introdusse una colonia di monaci
cistercensi riformati, detti anche Trappisti, provenienti da Buonsollazzo, in Toscana.
Epoca contemporanea
Il 13 maggio del 1799 soldati francesi di ritorno da Napoli si fermarono a Casamari e, dopo aver
ucciso alcuni religiosi, la depredarono. Dal 1811 al 1814 l'abbazia fu soggetta ai soprusi del regime
napoleonico, ateo e materialista.
Il pontefice Pio IX, cercò di riportare in auge l'abbazia. Purtroppo, però durante la lotta che vide
opposti i soldati borbonici a quelli Piemontesi; questi ultimi incendiarono grande parte dell'edificio.
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Nel 1874 l'abbazia fu dichiarata monumento nazionale: da allora cominciò a riacquistare una
posizione di prestigio e una certa floridezza economica. Raggiunse l'apice della sua rinascita ne1
1929, quando la congregazione di Casamari fu aggregata alle altre dell'Ordine Cistercense. Nel
dicembre di quell'anno, infatti, Casamari fu eletta canonicamente congregazione monastica e
riaggregata giuridicamente all'ordine, come le altre congregazioni. Se nel 1929 contava appena 50
monaci, distribuiti in 5 monasteri (Casamari, San Domenico di Sora, Valvisciolo, Santa Maria di
Cotrino a Brindisi e Santa Maria della Consolazione a Lecce ), attualmente la congregazione di
Casamari conta circa 200 monaci in 18 monasteri. Nel corso degli anni, difatti, sono stati aggregati
all'abbazia di Casamari i monasteri di San Domenico di Sora, di Valvisciolo, di Chiaravalle della
Colomba, di S. Maria di Piona, di S. Maria Assunta in Asmara, della Certosa di Trisulti, di S. Maria di
Chiaravalle in Brasile, di S. Maria di Mendita in Etiopia, della certosa di Firenze, di Nostra Signora di
Fatima negli Stati Uniti, della Certosa di Pavia. La casa madre di tutta la Congregazione è l'abbazia
di Casamari.
Le fondazioni in Eritrea e in Etiopia sono state erette per incarico del pontefice Pio XI che, nel
1930, ha dato mandato alla comunità di Casamari della diffusione del monachesimo cattolico in
queste nazioni: sono sorti, pertanto, sei monasteri e delle stazioni missionarie, con quasi 100
monaci.
L'abbazia di Casamari è divenuta in questi anni sede di varie attività che ancora oggi vedono
impegnati i monaci che, oltre alla partecipazione assidua alla preghiera, curano anche
l'insegnamento presso il collegio San Bernardo, interno all'abbazia, la farmacia, la liquoreria, il
restauro dei libri, la gestione della biblioteca e del museo archeologico..
Vita monastica - lo spirito di Casamari
La spiritualità della comunità monastica di Casamari e delle altre comunità della Congregazione è
vissuta, nel solco della tradizione cistercense, con forte accentuazione comunitaria, realizzata in
comunione di ideali, di vita e di beni all'interno della clausura dei monasteri, sotto la responsabilità
dell'abate.
In un'atmosfera ovattata di silenzio e di raccoglimento la giornata è articolata, in modo armonico,
in tre momenti complementari e convergenti in modo da assicurare ai monaci un reale nutrimento
alle acque che zampillano per la vita eterna ed un sano equilibrio psico-fisico: l'opus Dei, la lectio
divina, il labor manuum.
Con la professione dei voti solenni di ubbidienza, di povertà e di castità il monaco si impegna, in
una risonanza personale, ad incarnare in se la figura tipica della sposa in seno alla sua comunità
che diviene, seppure ancora pellegrina e penitente, la famiglia di Dio, esemplificazione e
testimonianza dell'avvento del regno. Il monaco è colui che veramente cerca Dio, che entra nel
monastero alla scuola del servizio del Signore come alla scuola dell'amore, dove, nell'esercizio delle
virtù e della fede, il cuore si dilata e la via dei divini precetti viene percorsa nell'indicibile soavità
dell'amore.
La vita di preghiera si snoda attorno alla messa conventuale, perno e momento vivificante della
giornata, celebrata con una liturgia particolarmente solenne, accompagnata dal canto gregoriano.
Altri momenti forti della preghiera comunitaria sono la celebrazione delle Lodi e dei Vespri,
all'aurora e al tramonto, simbolicamente vissuti come l'inizio e la fine della vita. Nella tradizione
antica, ha rivestito sempre un'importanza e un significato pregnante la prolungata e impegnativa
ufficiatura notturna, la preghiera delle vigilie (della veglia) considerata come il tempo della ricerca
ansiosa e dell'attesa fiduciosa. La famiglia monastica chiude la preghiera comunitaria, alla fine
della giornata, con il canto della Salve Regina che san Bernardo, secondo la tradizione cistercense,
ha raccolto dalla bocca stessa degli angeli e, con sicurezza filiale, si abbandona tra le braccia della
madre del cielo, durante le ore del grande silenzio.
La ricerca di Dio è sostenuta dal confronto continuo, personale e vitale, con la parola di Dio, la
lectio divina: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". San
Benedetto prescrive questo nutrimento dello spirito non soltanto durante i pasti nel refettorio, ma
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anche prima del riposo notturno, inserendola in qualche modo nella Compieta. Egli prevede inoltre
altri momenti della giornata dedicati alla lettura personale, soprattutto nel tempo di Quaresima.
I monaci benedettini, con il lavoro di trascrizione, hanno reso alla civiltà cristiana un grande
servizio, trasmettendo soprattutto con il cuore la parola di Dio: nello scriptorium il monaco infatti si
accingeva alla trascrizione dei testi sacri con la stessa devozione con cui un monaco russo si
accinge a dipingere un'icona sacra. La lectio divina comporta non una lettura informativa, leggera
e superficiale, ma un'assimilazione progressiva per giungere alla compunzione, alla sapienza del
cuore. Nel capitolo XLIII della Regola, san Benedetto fissa ad orari ben definiti, in una fluida
interazione tra lectio divina e labor manuum, il tempo della giornata in cui i monaci non sono
impegnati nella preghiera corale comunitaria: "L'ozio è nemico dell'anima; e quindi i fratelli devono
in alcune determinate ore occuparsi del lavoro manuale, e in altre ore, anch'esse ben fissate, nello
studio delle cose divine". Ne risulta, nel ritmo della vita quotidiana, una compenetrazione, un fluire
e rifluire tra opus Dei, lectio divina e labor manuum, ben armonizzati tra loro e finalizzati tutti alla
ricerca di Dio.
Con accenti di paterna sollecitudine e comprensione, il santo patriarca richiama la nobiltà e la
santità del lavoro manuale, in una cultura in cui esso veniva disprezzato come opera riservata agli
schiavi. Lo spirito di servizio, nel disimpegno degli incarichi comunitari, viene considerato come una
fluidificazione palpabile della carità da cui emana il buon odore di Cristo. La carità si riversa con
fede misericordiosa, ante omnia et super omnia, sui fratelli infermi, immagini del Cristo sofferente,
con comprensione ed indulgenza sugli anziani e sui fanciulli, membra deboli della famiglia
monastica, con spirito di dedizione e di devozione, come alla persona di Cristo stesso, sugli ospiti,
sui pellegrini, sui poveri che bussano alla porta del monastero.
Il lavoro ubbidisce non alle regole dell'affermazione personale e del massimo profitto, ma al
disegno di elevazione spirituale del monaco e all'esigenza di testimonianza di carità cristiana.
Con pochi ma incisivi periodi, san Benedetto scolpisce i suoi propri profondi convincimenti, fissando
le regole morali che tengono lontano dai monasteri ogni sospetto di frode e la sete di cupidigia.
Oltre il disimpegno degli uffici comunitari e il lavoro, in casi straordinari, nei campi, san Benedetto
prevede anche il lavoro creativo degli artifices (gli artigiani, gli artisti), nelle officine del monastero.
Con grande intuizione egli instaura nella casa di Dio anche il culto del "bello" oltre che del "buono",
facendo del monastero un cenacolo di pietà cristiana e un centro di promozione umana.
Il clima di un'abbazia benedettina è regolato da alcuni principi fondamentali, che formano le
coordinate spirituali perché essa sia la casa di Dio:
"In tutto sia glorificato Dio", "Nella casa di Dio nessuno si turbi e rattristi", "Tutte le membra
saranno in pace", "La casa di Dio sia amministrata da saggi e saggiamente".
Le attività dell'abbazia
L'abbazia di Casamari è divenuta nel tempo sede di varie attività che vedono impegnati i monaci
oltre che nella preghiera, anche nell'insegnamento presso l'Istituto San Bernardo, fondato nel 1898
internamente all'abbazia; inoltre gestiscono la farmacia, la liquoreria, il restauro dei libri, la
biblioteca e il museo archeologico.
La farmacia interna è composta di un erbarium botanicum o hortus botanicus e di un armarium
pigmentariorum la cui data di fondazione è incerta, ma si ipotizza il 1760.
La liquoreria interna è stata ideata fra il Settecento e l'Ottocento; un tempo i monaci fabbricavano
anche le bottiglie.
La tipografia interna è stata inaugurata nel 1954 e stampa anche testi scolastici. La biblioteca
conta 50.000 volumi.
Il museo e la pinacoteca sono situati nella parte opposta alla chiesa partendo dal chiostro. Le sale
duecentesche ospitano vari reperti tra cui spicca il resto di una zanna di elephas o Mammuthus
meridionalis (sorta di elefante o mammuth nano presente nella nostra penisola in epoca glaciale),
oltre ad alcuni reperti di epoca romana.
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Informazioni
Abbazia di Casamari
Via Maria, 25. 03029 Veroli (Fr)
Tel. 0775.282371 - 282800; E-mail: [email protected]
Sante Messe
Giorni festivi: 7.00, 8.30, 10.00, 11.00, 12.00, 17.00
Giorni feriali: 7.30
Preghiere dei monaci
Giorni feriali: ufficio delle letture e lodi: 5.15, ora terza: 7.15, ora
sesta: 12.45, ora nona: 16.00, vespro: 18.45, compieta 21.00
Giorni festivi: ufficio delle letture: 5.15, lodi: 8.00, ora sesta: 12.45,
vespro: 16.00, compieta 21.00
Visite
9.00 - 12.00 / 15.00 - 18.00
Per gruppi è consigliabile prenotare; l'ingresso è gratuito.
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