2011 febbraio - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci

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2011 febbraio - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci
Buon risveglio lettori!
Dicembre se n’è andato, gennaio è già trascorso ed il quadrimestre si è concluso, nel
bene o nel male. Ciò che conta è che sia
terminato! Ventata di novità al da Vinci,
per noi che restiamo; è tuttavia d’obbligo
fare un augurio di buon divertimento a chi
ci lascia per il Palladio: c’è qualcosa infatti
che al da Vinci proprio “non s’ha da fare”…
ricreazioni qualche secondo (o minuto!!)
più lunghe, e decisamente più tranquille
visto il differente fuso d’orario che possiedono i Superlicei e i Moltopiuscarsistitutitecnici. Con meno calca al bar si avrà la
possibilità di mangiare qualcosa di differente dalla solita gamba di sedia, senza
contare che i toast di Alberto sono imbattibili!
Anche questa volta la redazione ha saputo
fare un lavoro davvero carino e il risultato
delle nostre 12 fatiche lo state tenendo fra
le vostre mani proprio adesso! E’ nata anche una nuova rubrica, per gli amanti della
cucina (e non per quellE a cui piace Alessandro Borghese) che merita un’occhiata e
che avrà decisamente un seguito nelle
prossime stampe.
Ora, sedetevi comodi e godetevi la lettura,
INDICE
Giusto momento
per riflettere
03 Lettera ad un bambino che vivrà cento
anni
03 Post Chernobyl
05 Correva l’anno...
06 Ahi lasso, or è stagion... in cui
libertà manca
Mondo giovani
07 Il meglio ed il peggio della scuola
08 Dopo il deludente Invictus, Clint non
sbaglia
09 Cronache di Cerere - Episodio 3
10 Vulcani e Pesce!
12 Bastardi si nasce
14 Mondo manga
Sotto la copertina
15 Il cimitero di Praga
16 Consigli per la lettura
Nerdzone
Il Direttore
18 La storia del Game Boy
Angolo cottura
19 Crostata ripiena di mandorle e
amaretti
Giochi
20 Sudoku
21 Che Davinciano sei?
Incontro
2
Lettera ad un bambino che vivrà cento anni
La frase del libro di Edoardo Boncinelli
‘Lettera ad un bambino che vivrà cento
anni’ che mi ha più colpito di più è stata:
”Non saremo eterni e, temo, neanche necessariamente felici, ma sempre alla ricerca di qualcosa“. Mi ha entusiasmato perché credo che rispecchi la visione che ho
cercato di rielaborare a riguardo della mia
esistenza : è inutile affidarsi alla scienza
per tentare di trovare una sorta di “Elisir di
lunga vita” che permetta al corpo di non
morire mai, è naturalmente impossibile;
tutto prima o poi tutto deve tornare al
punto di partenza, compreso l’essere umano. Forse la mia visione è troppo influenzata dalla mia fede, ma ritengo sia inutile
vivere per sempre solo per paura di morire, di sparire ed essere dimenticati. Ciò che
cerchiamo veramente durante la nostra
esistenza non lo sappiamo neppure noi
stessi; c’è chi dice che si tratti della verità,
chi della felicità più autentica, ma ognuno
cerca di dare un senso alla propria vita
guardando oltre il limite naturale che ci
viene imposto, quello della morte, proprio
perché non sappiamo che cosa si nasconda
dietro di essa e quindi la temiamo, ma allo
stesso tempo anche riponiamo le nostre
speranze in quel momento. Io, che credo
nella vita dopo la morte, guardo alla scienza con un solo desiderio: allungare la mia
vita non per allontanare il momento della
morte, ma per avere più tempo a disposizione per lasciare un buon ricordo di me in
tutte le persone che incontro e per riuscire
a preparare il bagaglio per affrontare il ben
più lungo viaggio che mi attende.
“Noi siamo come le foglie” diceva il poeta
greco Mimnermo : nella giovinezza , la primavera della vita, godiamo del fiore dei
nostri anni, non curandoci dei mali degli
anni che incombono. Poi, quando arriva la
vecchiaia, vorremo essere morti per non
vedere la nostra misera condizione. Forse
allora la morte è la porta per raggiungere
una condizione di “ vita” , se così si può
definire, migliore; perché quindi chiudere,
anche ammesso che fosse possibile, questa via per sempre?
Francesca Nascimben 3°N
Il 26 aprile 1986 un guasto ad una centrale
a Chernobyl, situata a circa 130 km da
Kiev, provocò la fuoriuscita di una nube
radioattiva che, spinta dalle correnti aeree,
si estese su buona parte dell’Europa centrosettentrionale. Nell’incidente morirono
moltissime persone e una vasta zona contaminata dovette essere evacuata. Malgrado i rassicuranti comunicati delle autorità
ufficiali sovietiche, che per ragioni di prestigio interno ed internazionale tendevano
a minimizzare la gravità dell’accaduto, è
stato appurato che un ingente numero di
cittadini furono costretti ad abbandonare
l’area e molti di essi subirono catastrofiche
conseguenze fisiche, a causa delle radiazioni emesse dalla centrale. Ciò rappresentò la più grande tragedia della storia del
nucleare e produsse l’effetto di accrescere
in tutto il mondo l’ostilità verso l’utilizzo
dell’energia atomica come fonte di produzione energetica. Ancora oggi la situazione
della centrale di Chernobyl, divenuta di
competenza dell’Ucraina, desta qualche
preoccupazione per l’impatto ambientale
e per le conseguenze sociali che si ripercuotono sulla comunità locale, come il costante aumento di tumori e malformazioni
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di vario genere. Oltre a questi aspetti negativi, non si può certamente trascurare
l’influenza dell’avvenimento sull’uomo,
portanto a considerare maggiormente la
natura, con il conseguente sviluppo del
cosiddetto ambientalismo, inteso come
forma di azione che si ripromette di trasformare radicalmente gli aspetti culturali
e comportamentali della società, soprattutto per quel che concerne i rapporti tra
l’uomo e l’ambiente, che va difeso
dall’eccesso di potere della scienza moderna e della tecnologia. Infatti, già pochi anni
dopo
Ch e rn o b yl,
il
p ro b le ma
dell’emergenza ambientale era diventato
una delle grandi questioni internazionali
che necessitava di essere affrontata a livello globale, tanto che nel 1992 a Rio de Janeiro si tenne una conferenza riguardante
tale tematica, che fu seguita da altre. Basti
ricordare ad esempio quella tenuta nel
1997 in Giappone, che portò alla formulazione del protocollo di Kyoto, o quella di
Copenaghen del 2009. Al di là dei risultati
formali ottenuti attraverso queste iniziati-
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ve, ritengo comunque degni di merito
l’impegno e la buona volontà dell’uomo di
fronte a situazioni critiche, che avrebbero
potuto forse essere evitate se solo egli avesse prestato maggiore attenzione al proprio lavoro e al rispetto della natura. Tuttavia è inutile formulare delle ipotesi su
cosa sarebbe potuto accadere se avessimo
agito in maniera differente, poiché non è
possibile tornare indietro nel tempo e perché non possiamo sapere con certezza se,
migliorando il nostro atteggiamento, avremmo realmente cambiato la situazione.
Alla fine possiamo solamente imparare dai
nostri sbagli e tentare di non commetterli
in futuro, per non danneggiare noi stessi e
ciò che ci circonda, tenendo sempre ben
presente la catastrofe di Chernobyl che
fungerà da monito. “ Errare humanum est,
perseverare diabolicum!”
Sara Zanatta 5° L
Correva l 'anno...
Correva l'anno 1527: Niccolò Machiavelli
pubblica quella che, senza alcun dubbio,
diventerà la sua opera più conosciuta e
discussa: “Il Principe”, elogio alla follia dei
regnanti e blasfemo trattato sugli aspetti
più oscuri dei metodi di governo.
Correva l'anno 2010: Raffaele Cantone
pubblica “I Gattopardi”, l'ennesimo libroinchiesta che denuncia le associazioni malavitose e i loro traffici illeciti che riescono
a radicarsi in qualunque ambiente della
società.
Correva l'anno 1968: gli operai delle fabbriche organizzano scioperi di massa, combattendo per i loro diritti e per riuscire a
lavorare in condizioni dignitose e giustamente retribuiti.
Correva l'anno 2011: gli operai della Fiat
protestano per le nuove condizioni di lavoro proposte dal contratto. Sono proibitive,
ai limiti dello schiavismo, ma non gli viene
lasciata altra scelta se non accettarle per
riuscire a portare a casa quelle poche centinaia di euro necessarie a sopravvivere.
Correva l'anno 1968: gli studenti scendono
nelle piazze e occupano le scuole per contestare l'incremento delle tasse universitarie.
Correva l'anno 2010: gli studenti organizzano cortei, occupano le scuole e si riuniscono in moti di protesta per cercare di
difendere il loro diritto ad un'istruzione
adeguata. La loro è una lotta per la sopravvivenza, non sono disposti ad arrendersi
all'idea di veder scomparire nel nulla i fondi destinati a sostenere le facoltà specialistiche universitarie e gli ambienti scolastici.
Correva l'anno 1963: la diga del Vajont,
costruita sul Monte Toc e sovrastante il
paese di Longarone, diviene famigerata
per il disastro che prenderà il suo nome. A
causa di una frana della montagna, il livello
di capienza della diga viene superato e
un'onda di 50 milioni di metri cubi d'acqua
si riversa sul paese, devastandolo.
Correva l'anno 2009:alle ore 3:32 la mattina del 6 aprile, la città dell'Aquila viene
distrutta dal terribile terremoto d'intensità
6,3 sulla scala Richter. Il bilancio è di 308
morti, più di 1600 feriti e quasi 50.000 sfollati.
Correva l'anno 1992: muore Giovanni Falcone. Muore uno dei più grandi magistrati
della storia. Muore un uomo che non ha
mai smesso di combattere la realtà mafiosa. La sua scomparsa segna profondamente gli animi di tutti, nessuno escluso. Non
vi sono più parole per descrivere la sua
figura. Muore un grande italiano.
Correva l'anno 2008: Giuseppe Ayala, collega ed amico di Falcone e Borsellino, pubblica il libro “Chi ha paura muore ogni giorno”, in cui racconta degli anni in cui ha
fronteggiato, fianco a fianco con i due magistrati, le società malavitose.
Correva l'anno 1948: le leggi che regolano
il sistema di segregazione razziale
dell'Apartheid prendono definitivamente
forma. Inizia un periodo buio per le persone di colore, un lungo lasso di tempo durante il quale non verrà risparmiata loro
alcuna forma di disprezzo da parte della
popolazione bianca. Questo diventerà una
delle pagine più oscure della storia della
civiltà.
Correva l'anno 2009: viene eletto il 44°
presidente degli Stati Uniti d'America: è
Barack Hussein Obama, il senatore dell'Illinois e primo presidente di colore.
Correva l'anno... Resta a noi il compito di
costruire un futuro migliore.
Maria Lavinia Piovesan 4° M
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Ahi lasso, or e’ stagion... in cui liberta’ manca
Correndo per la strada con la goffa Honda
Concerto del babbo mi è capitato spesso di
incrociare apparecchiature di rilevazione
elettroniche che proiettano su un apposito
pannello la velocità a cui si viaggia. Una
volta, vuoi per una ragione, vuoi per
un’altra, ero sopra il limite di 5 km/h. Beh,
direte voi, che ti importa se tanto gli autovelox sono mediamente tarati per multare
coloro che superano la velocità massima
con uno scarto di ben 10 km/h? Una bella
domanda che porta a far riflettere in maniera molto più profonda di quanto possa
apparire a prima vista…
E’ veramente giusto ragionare infatti come
l’automobilista, l’italiano o più genericamente l’individuo medio, guidato da una
massima che suona circa così: “tutto è possibile, anche l’illecito se nessuno ti scopre!”. Quando si prova ad andare più a
fondo, quando si cerca una ragione del gesto legislalmente sbagliato, escono fuori
come funghi quelle risposte trite e ritrite,
che sembrano quasi innate nell’uomo, o in
un’ottica più cibernetica, che sembrano
quasi in dotazione di base sul disco fisso C
[ervello]. Ma per una volta che vuoi che
succeda? Tanto non mi ha visto nessuno…
E poi lo fanno tutti! Già, è questo il problema: si minimizza, si cancella e non contenti
si giustifica il gesto, rendendolo una banale azione di routine. Di più. A volte qualcuno azzarda “Io non rispetto le regole perché voglio sentirmi libero”. Una vera offesa insomma nei confronti dei poveri John
Locke e Jean Jacques Rousseau, che probabilmente si staranno rivoltando nelle loro
sacre tombe. No. Una persona che va contro le leggi giuste, nate dal sacrificio di soldati, filosofi ma anche cittadini non si può
ritenere libero. Se è infatti d’uso dire “la
libertà di un individuo finisce dove comincia quella dell’altro” forse una ragione c’è.
Andare contro le regole, superare il limite
di velocità o più semplicemente non chiedere lo scontrino dopo un acquisto lede la
libertà altrui, danneggia lo stato e
l’economia della nostra nazione e quindi di
noi stessi. Masochismo non è sinonimo di
libertà. Qualcuno, è vero, potrebbe obiettare che essere liberi significa poter sce-
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gliere, ma spesso e volentieri si dimentica
che la conoscenza è necessaria per liberarci dallo stato di primitiva “schiavitù”. Chi
non rispetta le regole perché non ne è a
conoscenza quasi per proprietà transitiva
non può esser definito “uomo libero”. La
legge non ammette ignoranza. Diverso è
invece se chi “fa il furbo”, o almeno lo crede, è consapevole. In tal caso non c’è solo
la volontà di fare male a se stessi, ma di
decidere per gli altri, quasi la sua voce sia
quella di dittatori che tutto possono scegliere senza conseguenze. Mettersi alla
guida da ubriachi, brilli, ma anche passare
con il rosso o, tornando all’esempio scatenante, superare il limite di velocità può
portare a conseguenze ben peggiori di
quelle immaginate dal più pessimista dei
catastrofisti. Se esiste la libertà di decidere
secondo il proprio buon senso, la libertà di
decidere se rispettare qualcosa di giusto o
meno, questa viene immediatamente a
mancare nel momento esatto in cui la scelta comporta il ferire qualche innocente.
Essa crolla in un attimo così come un incendio distrugge un bosco secolare, di
piante seminate dai padri fondatori delle
nazioni che oggi conosciamo e illuministi e
liberali in genere. Non è questione di perbenismo, non è questione di moralismo.
Ciò che la legge non impedisce, la legge
permette. Solo così si possono garantire i
diritti e i doveri di tutti secondo Giustizia.
Ricordate questo ogni volta che infrangete
la legge, scaricando bellamente film da emule, ogni volta che sottraete un bicchiere
al bar perché “mio fratello li colleziona”.
Ricordate che non siete più uomini degni
di esser definiti liberi.
Enrico Biscaro 5° M
Gentili lettori,
Ritengo che questa breve premessa sia necessaria e dovuta: le parole che seguiranno non
sono state scritte dal sottoscritto. In quanto “giornalista” mi sono limitato a riportare in
questa sede la verità effettuale delle cose, così come l’ho udita pronunciare. Nulla, nemmeno una singola lettera, è stato cambiato e questo semplice elenco non si prefigge di supportare alcuna idea o ideologia politica. Questa non è nient’altro che la verità ed è stata pubblicata per far riflettere voi allo stesso modo in cui a fatto riflettere me, uno studente vostro
pari. La fonte di provenienza è “Vieni via con me”, ma ciò non intacca
l’imparzialità che articolo si prefigge di mantenere. Confido in una vostra piacevole e proficua lettura.
Elenco del peggio e
del meglio della scuola
1. La scuola peggiore è quella che si limita a individuare capacità e meriti evidenti. La scuola migliore è quella che scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero.
2. La scuola peggiore è quella che esclama: meno male, ne abbiamo bocciati sette, finalmente abbiamo una bella classetta. La scuola migliore è quella che dice: che bella classe,
non ne abbiamo perso nemmeno uno.
3. La scuola peggiore è quella che dice: qui si parla solo se interrogati. La scuola migliore è
quella che dice: qui si impara a fare domande.
4. La scuola peggiore è quella che dice: c’è chi è nato per zappare e c’è chi è nato per studiare. La scuola migliore è quella che dimostra: questo è un concetto veramente stupido.
5. La scuola peggiore è quella che preferisce il facile al difficile. La scuola migliore è quella
che alla noia del facile oppone la passione del difficile.
6. La scuola peggiore è quella che dice: ho insegnato matematica io? Sì. La sai la matematica tu? No. 3, vai a posto. La scuola migliore è quella che dice: mettiamoci comodi e vediamo dove abbiamo sbagliato
7. La scuola peggiore è quella che dice: tutto quello che impari deve quadrare con l’unica
vera religione, quella che ti insegno io. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara
solo a usare la testa.
8. La scuola peggiore rispedisce in strada chi doveva essere tolto dalla strada e dalle camorre. La scuola migliore va in strada a riprendersi chi le è stato tolto.
9. La scuola peggiore dice: ah com’era bello quando i professori erano rispettati, facevano
lezione in santa pace, promuovevano il figlio del dottore e bocciavano il figlio dell’operaio.
10. La scuola migliore se li ricorda bene, quei tempi, e lavora perché non tornino più.
La scuola peggiore è quella in cui essere assenti è meglio che essere presenti. La scuola migliore è quella in cui essere presenti è meglio che essere assenti.
Dario Zago 4° D
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Dopo il deludente Invictus
Clint non sbaglia
Marie è una bella giornalista francese che
è sopravvissuta allo tsunami, sotto il quale
per poco non annegava; ha intravisto
l’aldilà, da cui è stata strappata per ritornare alla vita, e necessita di comunicare la
sua esperienza al mondo scrivendo un libro. Il sensitivo George Lonegan ha smesso
da un pezzo di prestare voce ai defunti,
ora è un operaio come molti altri e cerca di
dimenticare il proprio potere, per lui causa
di dolore. Marcus ha una madre tossica e
alcolizzata e un gemello che muore sotto i
suoi occhi, lo cerca in ogni modo, consultando innumerevoli sensitivi e santoni. Le
loro vite si incroceranno.
“Hereafter” parla della morte, ma non
dell’aldilà, come il titolo potrebbe suggerire. L’astrazione (basta un’occhiata a Eastwood personaggio e Eastwood regista)
non è di sicuro il sommo interesse del regista dalle “due sole espressioni” – con cappello e senza cappello, anche se in “Gran
Torino” ne apprendiamo una terza, quella
digrignante e incazzata. Clint conosce le
potenzialità della macchina da presa e ma
anche i limiti e racconta la storia dei suoi
tre protagonisti con un gusto pregevole
per la sincerità di stampo pragmatico.
L’aldilà è solo un espediente narrativo per
meglio mettere a nudo l’inevitabile traguardo di ogni esistenza. Non è un volo
pindarico di filosofia metafisica, ma
un’indagine sulle conseguenze della morte. Hereafter non è sovrannaturale, ma
sub-naturale, uno scavo nelle profondità
dei rapporti tra vivi e morti. Perché in fin
dei conti scopriamo che non si sta parlando di morti, ma dei vivi che si relazionano
alla morte: George che vuole dimenticarla
e lasciarsi alle spalle quel suo donomaledizione, Marie che è scampata ad essa e vuole rivelare quanto ha visto e Marcus che la cerca per nostalgia e solitudine.
Tutti arriveranno alla conclusione che la
morte - subita, condivisa o vissuta - fa male e non dà spazio alla vita. La scena più
bella del film vuole dire proprio questo:
George ha rimorchiato la bella Melanie,
con estrema facilità per la ben poca resistenza trovata, in un corso serale di cucina
italiana; ma quando egli arriva a conoscere
i suoi segreti più dolorosi legati al padre
deceduto da un anno, lei improvvisamente
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entra in uno stato di shock e sparisce nel
nulla.
Lo sconcertante inizio (unica parte in cui
Eastwood, volontariamente, si dà al sensazionalismo) è l’avviso che il film che si sta
per vedere non è di certo edificante (come
lo fu, disgraziatamente, Invictus). Ma per
due ore la morte viene trattata senza peli
sulla lingua, non risparmiando violenza (lo
tsunami, appunto, più agghiacciante di un
qualsiasi massacro di Tarantino), né lacrime (la madre che perde il figlio, che per
fortuna non è l’Angelina Jolie di Changeling, troppo dannatamente bella e ben vestita per essere credibile).
Imperdonabile è la scena della metropolitana. Lo sceneggiatore Peter Morgan si
inventa una vicenda di cui il film avrebbe
potuto benissimo far a meno, e che troviamo ingiustificata, stornante e incoerente
con il modo di fare cinema di Eastwood
(“Non do risposte, pongo quesiti” ha affermato l’ottantenne regista). È davvero imbarazzante quando si insiste sul famigerato berretto di Marcus che, caduto in una
stazione della Tube londinese, gli salva la
vita facendogli perdere la metro che poco
dopo esplode per un attentato terroristico.
Viene poi a sapere dal medium George che
è stato il defunto fratellino di Marcus a
farglielo cascare dalla testa. Ma cosa significa? Una risposta plausibile è che un taglio
netto della scena in fase di montaggio non
sarebbe guastato.
A parte l’intoppo clamoroso di quella scena, il risultato non delude. La “pars destruens” di quasi due ore, nelle quali lo
spettatore trova ben poco conforto, finisce
laddove inizia la “pars construens”. Negli
ultimi minuti il film sa essere un invito a
incanalare la comune esperienza di morte
in un amalgama di vite. Tutti i personaggi,
prima rimasti soli o isolatisi da sé, si trovano l’un l’altro, per essere parte di un progetto unitario (il piccolo Marcus spinge il
renitente George a contattare e incontrare
Marie). Eros e Thanatos perciò si risolvono
in un gioco di ruoli, in cui voci diverse urlano il loro disagio, ognuna per conto proprio, per poi finalmente cantare
all’unisono un caloroso inno alla vita.
Riccardo Vanin 5° B
Devo dire una cosa: mi aspettavo di peggio
dal numero 15.
Quando ho ripreso i sensi e l'ho visto, non
ho avuto paura. Quello che ho provato era
una sensazione simile alla delusione. Me lo
immaginavo come un tizio grande e grosso, pieno di cicatrici e con un sorriso da
psicopatico, malvagio, tipico di un assassino dall'immotivata sete di sangue. Invece
era un uomo sulla sessantina, capelli tagliati a zero, occhi azzurri, vispi e allegri.
Era strano che un uomo del genere fosse
colpevole di più di diecimila omicidi.
“Mi dispiace essere stato così improvviso,
ma capite che una proprietà privata è una
proprietà privata”. Stava preparando il caffè su un rudimentale fornello, assemblato
probabilmente usando vecchi pezzi di ricambio. Mi guardai attorno e capii di trovarmi in una piccola baracca, con un letto,
un frigo malandato, un tavolino di plastica
e una seggiola. Alle pareti di legno erano
appesi scheletri di biciclette, ruote, una
tuta da ciclista azzurra e bianca. “Sì, mi
piace correre” disse lui, leggendomi nel
pensiero. “Aiuta la circolazione e fa bene
allo spirito. Dì un po', hai mai provato?”
“No. Cioè, mai sul serio. Correvo a piedi,
però” dissi, tentando di allacciare una conversazione con quell'uomo bizzarro.
“Buona cosa. Perché hai smesso?”
“Mi hanno chiuso dentro, e non ne ho più
avuto voglia. In prigione le ambizioni svaniscono, e non si vuol far più niente.”
“Hai fatto male, ma puoi sempre ricominciare. Caffè?”
“Va bene, grazie” risposi. Numero 15 mi
porse una tazzina. Era bollente, ma buono:
ci aveva messo molto zucchero. “Seguirò il
suo consiglio.” A quel punto mi ricordai di
Piemonte. “Dov'è Mimì?” chiesi. “E' di là, a
sistemare il propulsore. Mi ha raccontato
del vostro piano di evasione. E' un po'
campato in aria, ma possibile se trovate un
supporto su cui installare il motore”. “Vuol
dire che ci permette di utilizzarlo?” Sentii il
mio viso illuminarsi di speranza. Il vecchio
sorrise. “Certo, ma ad una condizione.”
“Quale?”
“Poiché qui a Cerere non ci sono piste ciclabili, ho intenzione di venire con voi.”
“COOSA? Tu vorresti portare con noi un
maniaco omicida? Tu sei pazzo, completamente pazzo!” sbraitò Baccante, quando le
feci la proposta. “Ascoltami, non è stata
colpa sua, non l'ha fatto apposta! Ora ti
spiego com'è successo”. Infatti, Numero
15 mi raccontò di essere stato un grandissimo appassionato di domino monolitico.
E' identico al domino, solo che i tasselli
sono di puro marmo, alti quattro metri e
larghi due. Per battere il record del percorso di domino monolitico più lungo dell'universo, Numero 15 ne aveva costruito uno
di ventimila tasselli. Così aveva assunto
altrettanti hulks (per chi non lo sapesse,
sono degli esseri umani in grado di sollevare automobili) e li aveva incaricati di posizionare tutti i monoliti contemporaneamente. Purtroppo, prima che gli hulks si
allontanassero in tutta sicurezza, Numero
15 era scivolato su una buccia di Kniulbanana e aveva urtato il primo tassello. Così
si erano sentiti ventimila “splat”, uno dopo
l'altro... Urgh, non fatemici pensare... E
così abbandonò il domino monolitico e si
buttò sul ciclismo.
“E tu credi a queste baggianate? Quello lì ti
ha preso in giro, ecco tutto!” “Bah, io gli
credo. Non ha la faccia di uno fuori di testa. E poi questa è l'unica occasione per
costruire un'astronave. Allora?” Baccante
sembrò vacillare dalla sua posizione. “Non
lo so... Devo pensarci. Intanto ho creato il
software del computer di bordo, ma abbiamo bisogno di un abitacolo, se non vogliamo caricarci il propulsore sulle spalle nelso accettassi l'offerta di Numero 15, sia
chiaro!” puntualizzò. “Dovremmo trovare
un'automobile, o qualcosa del genere...”
Improvvisamente Piemonte, che era uscito
a fare una passeggiata, irruppe nel mio
soggiorno, ansante. “Sta arrivando la PI!
Anf... Pant... E sembra sul piede di guerra!”
Io e Baccante ci guardammo con terrore.
Che cosa era venuta a fare la Polizia Intergalattica?
Gianluca Forcolin 5° G
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Vulcani E Pesce!
Eccomi a voi con un’altra delle mie avventure vacanziere!
Dovete sapere che mia madre si diverte ad
organizzare viaggi, è sempre alla ricerca di
mete poco conosciute e itinerari non turistici, ha la passione per le location particolari e poco frequentate; mi ha fatto dormire in strutture che neanche gli abitanti del
luogo conoscevano!!
Quando inizia a programmare le vacanze
prende in considerazione solo mulini a
vento, pousadas, fari, castelli, masserie o
case isolate e lontane dalla “civiltà” e possibilmente immerse in una natura incontaminata.
Con queste premesse tre anni fa decide di
portarmi in Sicilia, programmando un itinerario dedicato solo alle città di Ragusa,
Siracusa e Agrigento, il problema, però,
era trovare un luogo che corrispondesse
alle sue esigenze: silenzioso, isolato, possibilmente vista mare (magari direttamente
sulla spiaggia!), confortevole, ecc ecc.
(l’elenco è molto molto lungo!).
Dopo lunghe, lunghissime ricerche durate
da gennaio ad aprile finalmente viene folgorata! Ha trovato La Casa!
Immagino che tutti voi conosciate la fiction
“Montalbano”. Quella è la casa ideale per
mia mamma, bella e sul mare! Sarebbe
stata perfetta!
Riusciamo, attraverso internet, a sapere
che, quando non è un set televisivo, viene
affittata sia a camere, sia complessivamente, così decidiamo di affittarla interamente, visto che il nostro gruppo è formato da
cinque persone.
Arriva settembre e partiamo entusiasti e
curiosi di alloggiare in un set!
Partenza, volo e atterraggio all’aeroporto
di Catania… questa volta tutto corrisponde
alle previsioni: mare blu e trasparente,
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temperatura di 30°C, clima asciutto e paesaggi fantastici!
Dopo aver ritirato l’auto ci dirigiamo verso
Punta Secca, il paesino nel quale è stato
girato gran parte del telefilm e che si trova
nella zona centrale della Sicilia meridionale, sopra Ragusa.
Arriviamo in un piccolissimo centro con…
la casa di Montalbano e poco altro!
Nessuno di noi aveva, però, preso in considerazione l’ipotesi che la casa non corrispondesse a quella vista in televisione, infatti l’unico angolo che abbiamo riconosciuto è stata la famosa terrazza sulla
spiaggia. Vedendola in televisione mi sembrava perfino impossibile che una terrazza
potesse essere così… sul mare!, e invece la
realtà ha confermato ciò che avevo visto!
Era uno spettacolo mozzafiato!
Le camere e i bagni, al contrario, erano…
un po’ diverse… decisamente spartane e
trascurate.
Dopo un primo momento di sconcerto abbiamo deciso comunque di adattarci a delle stanze non proprio principesche, ma
compensate da un paesaggio incantevole!
Consoliamo gli occhi e il cuore sedendoci
in terrazza e perdendo lo sguardo sul mare
infinito!
Il viaggio è appena iniziato e le mete sono
molte! Partiamo alla volta dei siti archeologici di Agrigento, Siracusa e Ragusa.
Non posso soffermarmi nella descrizione
delle meraviglie che ho potuto ammirare
in queste città, ma voglio raccontarvi la
mia visita ad un luogo a dir poco magico!
Per arrivare abbiamo dovuto attraversare
chilometri di campagna disabitata lungo
una “strada” tra cespugli e... cespugli!
Alla fine giungiamo in una radura nella
quale dobbiamo lasciare l’auto per proseguire a piedi fino ad un luogo dall’aspetto
lunare: il suolo è pieno di piccoli crateri in
continua eruzione.
Questi sono denominati “i vulcanelli di Macalube”, un territorio sconosciuto ai più
tanto che, quando abbiamo chiesto indicazioni su come raggiungerlo alla giuda, che
ci aveva accompagnati ad Agrigento, ci è
stato risposto che eravamo le prime persone che le avessero chiesto informazioni su
quel sito.
La visita prevede un accompagnatore in
quanto il luogo va esplorato con attenzione e cautela perché l’eruzione dei vulcanelli è continua ed un’eventuale caduta
all’interno dei crateri sarebbe molto rischiosa.
Questi ci ha anche spiegato che ogni dieci
anni l’eruzione è di tale intensità che su
tutta quell’estensione la terra si gira completamente dando forma ad un nuovo paesaggio.
Avevo sempre pensato che i vulcani eruttassero lava, mai avrei potuto immaginare
che esistessero vulcani che eruttano fango,
di dimensioni così piccole, ma che, nello
stesso tempo, sono in continua attività e
hanno un’intensità tale da poter capovolgere ettari ed ettari di terreno.
Dopo giorni di visite ininterrotte decidiamo
di concederci una pausa dedicata al mare,
al riposo e alla buona cucina!
Il mare lo abbiamo sotto casa, per la cucina ci dicono che una pizzeria da asporto lì
vicino prepara anche la migliore frittura di
pesce della zona. Il titolare, gentilissimo, ci
programma la cena per la sera prima del
nostro rientro perché sapeva che la mattina i pescatori gli avrebbero portato il pescato della notte.
Dovete, però, sapere che la pizzeria era
sulla strada e, come potete immaginare,
senza posti a sedere. In effetti noi ci eravamo chiesti dove e come avremmo potuto
cenare… “nessun problema vi trovo io il
posto!”, questo è quello che ci ha risposto
il titolare!
Ma la vera sorpresa è arrivata quando la
sera siamo giunti alla pizzeria… tavoli e sedie erano stati preparati in strada!
Ci siamo guardati perplessi e nello stesso
tempo divertiti, avremmo fatto
un’esperienza sicuramente fuori dal comune!
Per fortuna la zona era poco trafficata, le
auto procedevano lentamente e facendo
attenzione a non travolgerci!!!
Il pesce era fantastico e l’ubicazione dei
tavoli certamente unica, insolita, ma anche
spassosa e indimenticabile!
Meno travagliato del viaggio in Portogallo,
ma non per questo meno originale e interessante, tanto da indurci a tornare in Sicilia l’anno dopo; ma di questo vi parlerò nel
prossimo articolo.
Ludovica Crosato 1° D
11
Mi chiamo Spillo, e sono un cane. Ho tre
zampe; di quella posteriore destra ho solo
la prima parte. Non percepisco alcun suono. Non emetto alcun suono, e questo non
per la mia sordità, ma per qualcosa che
sento bruciarmi in gola; non chiedetemi di
cosa si tratti, sono solo un cane. Ormai ho
vissuto la maggior parte della mia vita, e
sento che le mie forze mi abbandonano
sempre più. Sono piuttosto piccolo, vedendo gli altri cani che mi circondano. Già da
qualche tempo vivo in questo luogo, in cui
mi portarono quando mi liberarono dalla
lunga prigionia. Proprio così, fin da quando
ho ricordi ho vissuto lì, dove una catena mi
mordeva costantemente il collo, dove le
sole attenzioni concessemi erano dolorose, e dove ho guadagnato tutte le menomazioni che mi segnano. Poi però, come
ho detto, dopo tutti quegli anni di dolore e
di pianti inascoltati, qualcuno mi ha preso
e portato qui. Qui si sta bene. Sono in una
casa dove, separati da vari recinti, vivono
altri cani come me. Ogni giorno vengono
delle persone a farci compagnia. Oggi ci
sono una ragazza dai capelli lunghi e castani e un ragazzo dai capelli biondi e mossi; li
conosco entrambi, perché vengono qui
periodicamente. Lui sta entrando ora per
primo nel mio recinto; nonostante sia più
lento degli altri, anche io mi avvio per raggiungerlo. Mi piace un sacco farmi coccolare; dove ero prima non succedeva mai.
Finalmente arrivo ai suoi piedi, e lui si accuccia per riempirmi di baci e di carezze.
Tra le persone che vengono qui lui è
l’unico maschio. È molto dolce. Credo di
essergli simpatico, perché passa un sacco
di tempo con me. Chissà, forse oggi mi
porterà via con sé, così potremmo vivere
felici insieme per sempre. Lo spero tanto.
Ora lui si è alzato e ha cominciato a fare
tutte quelle strane faccende che fanno le
12
persone che vengono qui: sbatte le coperte su cui dormiamo e usa lunghi strumenti
che sembrano graffiare o accarezzare il
pavimento. Io intanto faccio un giro per il
recinto. Con me vivono una cagna obesa e
gialla, due palle di pelo scorbutiche (una è
senza denti, l’altra è cieca) e quattro mostriciattoli dispettosi. Nel recinto a fianco,
invece, c’è una cagna bianca a macchie
nere che crede di essere un maschio, e due
fratelli molto grandi e snelli, uno dei quali
fa perennemente l’occhiolino (sembra
quasi che, mancandogli un occhio, tenga
sempre la palpebra chiusa per la vergogna). Altri coinquilini non li vedo, né tantomeno li sento, ma certi comportamenti
dei cani del recinto confinante mi suggeriscono la loro presenza. Non è il mio caso,
ma alcuni abitanti della casa non si lasciano neppure avvicinare dalle persone, nonostante, credo, le conoscano da anni. Pare che abbiano troppa paura. In questo
momento vedo che il ragazzo tiene strette
tra le mani le estremità di due corde legate
attorno al collo di due cani; la strana compagnia ora esce dal cancello e si avvia,
chissà dove. Questa operazione verrà compiuta altre due volte, e, come ogni volta,
saranno sempre gli stessi i cani che lo accompagneranno. Lui non mi porta mai con
sé, ma non importa. Sento di volergli bene
lo stesso. A questo punto non mi resta che
aspettare. Ogni tanto scorgo anche la ragazza, che entra ed esce nei vari recinti e
nelle stanze poco illuminate e fredde in cui
viviamo. In certe occasioni si ferma e passa
un po’ di tempo con qualcuno di noi; anche io ottengo infine la sua attenzione, e,
coccolato da lei, passo qualche minuto
nell’estatica illusione che quella tanto cara
compagnia non si allontani da me. Poi però, all’improvviso, lei riprende le sue faccende, e da quel momento in poi rappre-
senta per me solo l’indaffarata immagine
di un sogno evaporato. Gli altri cani non mi
detestano, però, quando provo a dimostrar loro tutto l’affetto che possiedo, che
in questi anni ho represso e che ora mi
prega di lasciarlo sfogare, loro si infastidiscono della mia opprimente presenza e,
ringhiandomi, mi fanno capire che il mio
interesse nei loro confronti non è gradito.
Gli unici che sembrano apprezzare la mia
sensibilità sono gli umani che vengono qui;
pare che l’uomo abbia più bisogno
d’amore di noi animali. Ormai è tardi e il
mondo si fa buio. Il ragazzo e la ragazza
portano ad ognuno di noi l’unico nostro
pasto della giornata. L’ora in cui se ne andranno si avvicina. Io continuo a sperare;
forse proprio oggi mi porteranno via con
loro. Magari non passerò la notte qui; negli
ultimi tempi tra queste mura il buio e il
freddo sono diventati particolarmente impietosi. I ragazzi continuano con le loro
faccende. Si muovono con velocità, incalzati dalla notte che avanza. Infine le luci si
spengono. Dopo qualche secondo gli occhi
si abituano all’oscurità. Loro sono ancora
qui, ma si preparano ad andare. E, proprio
quando ormai ho abbandonato ogni speranza, lui entra nel mio recinto e si avvicina a me. Si accuccia e mi stringe tra le sue
braccia. Niente più buio, niente più freddo,
sono al settimo cielo. Sono questi minuti a
metà strada tra la solita realtà e
l’intramontabile sogno, che per me sono i
più preziosi. E ora, perché la stretta si fa
più debole? Perché si alza da terra? Non
vede che voglio con tutto me stesso andare con lui? Quando lo seguo fino alla porta
del recinto, non capisce che lo seguirei fino
in capo al mondo? Lui e lei si fanno sempre
più distanti nell’oscurità e presto ne sono
inghiottiti. Io resto lì, con il naso premuto
contro la rete del recinto, ancora un poco,
con gli occhi fissi nel vuoto. Poi mi volto e,
zoppicando, mi allontano. Se riesco a dormire è perché la speranza, da sempre, è
stata la mia più fida alleata. E lei ora suggerisce al mio orecchio insensibile: anche
tu, un giorno, avrai una famiglia.
Davide Pagnossin 5° M
13
Mondo Manga
Quando la noia ci assale non c’è niente di meglio
di un buon libro per passare qualche ora in compagnia dei nostri eroi preferiti, immergendoci
nel meraviglioso mondo della fantasia.
A volte però non abbiamo proprio la voglia e la
forza di leggere libri anche impegnativi, perciò
una possibile alternativa all’opzione videogiochi
possono essere fumetti e manga, più facili e leggeri di un libro. Probabilmente molti ritengono
che uno studente del Liceo Scientifico debba
dedicarsi a letture più importanti come “Guerra
e Pace” o “La coscienza di Zeno”, ma diciamola
tutta: anche noi a volte abbiamo bisogno di
“staccare” e ricordarci che ogni tanto un po’ di
frivolezza ci vuole!
I manga sono la giusta soluzione e lo dimostra il
sempre più grande successo che riscuotono tra i
ragazzi di ogni età.
La parola “manga” viene usata comunemente
per identificare le storie a fumetti giapponesi,
molto differenti rispetto ai classici fumetti cui
siamo abituati. Questi sono infatti strutturati in
maniera completamente diversa: il manga giapponese solitamente si legge al contrario rispetto
al fumetto occidentale, dall'ultima alla prima
pagina, e le vignette seguono un andamento da
destra verso sinistra. Molto particolare è pure lo
stile di disegno: i personaggi spesso sono rappresentati con un aspetto stilizzato e infantile (per
esempio, di solito hanno occhi molto grandi), e
che spesso manca totalmente di realismo. Ma è
proprio questo a renderli ancora più speciali e
appetibili: il manga si rivela come un’esperienza
nuova e completamente diversa dai soliti fumetti anche perché rivolgendosi ad un pubblico davvero ampissimo, tratta di argomenti di ogni tipo.
I generi principali sono: shoujo, shonen, seinen e
josei. Gli shoujo sono manga per ragazze di ogni
età e solitamente affrontano il tema dell’amore.
La storia è incentrata sulle avventure e disavventure di una giovane protagonista, che si deve
destreggiare tra i mille problemi di ogni giorno e
deve fare i conti con i primi problemi d’amore.
Molto spesso però le protagoniste sono costrette anche a cimentarsi in difficili lotte, utilizzando
i poteri magici che sono stati loro conferiti
(come dimenticarsi dell’eroina della nostra infanzia Sailor Moon!). Gli shoujo possono anche
affrontare tematiche più profonde, cui fanno
sfondo ambientazioni e situazioni a volte tragiche, in cui non mancano l’azione e il dramma
(come Lady Oscar). Per chi è interessato a questo genere, autrici interessanti sono Arina Tanemura , Hino Matsuri(Vampire Knight) , Masami
Tsuda(Le situazioni di lui e di lei), Yuu Watase e
Bisco Hatori. Un manga assolutamente da non
perdere è Ouran High School Host Club! di Bisco
Hatori. La storia racconta le avventure di Haruhi
Fujioka e dell’Host club, tra un continuo alter-
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narsi di scene romantiche e momenti assolutamente demenziali e molto divertenti. Haruhi, la
protagonista,entra a far parte di questo club per
ripagare il debito contratto dopo aver distrutto
un vaso d’immenso valore. A causa di un malinteso a scuola si crede che Haruhi sia un ragazzo
e da questo nasceranno un sacco di guai e anche
il suo amore per… ;)
Indirizzati ad un pubblico maschile, gli shonen si
focalizzano essenzialmente sull’azione. La storia
è incentrata sulle continue sfide e difficoltà che
il protagonista (di solito un ragazzo), deve affrontare per dare prova della propria abilità o
raggiungere un traguardo ambito. Il racconto, in
cui vi possono essere anche elementi magici e
fantastici, delinea gradualmente il percorso e le
sfide sostenuti dal protagonista, durante i quali
riuscirà ad acquisire le capacità necessarie per
raggiungere infine l’obiettivo (è impossibile dimenticare Dragonball o Ken il guerriero!).
Manga di questo genere particolarmente apprezzati sono One Piece, Bleach, Naruto, Gintama, Great Teacher Onizuka, Full Metal Alchemist, Full Metal Panic (consiglio vivamente
l’anime Full Metal Panic Fumoffu! perché fa morire dal ridere!). Sicuramente va ricordato Full
Metal Alchemist in cui si raccontano le vicende
dei fratelli alchimisti Edward ed Alphonse Elric,
alla ricerca della formula della pietra filosofale,
che oltre a realizzare i loro desideri svelerà il
mistero della loro famiglia.
I manga indirizzati ad un pubblico adulto (a partire dai 18 anni) e per lo più maschile, sono i seinen. Questi trattano di solito argomenti seri,più
complessi e maturi rispetto agli shonen, spesso
con risvolti psicologici e utilizzando immagini e
un linguaggio più duro e violento. Titoli famosi
sono Hellsing, Death Note, Wolf's Rain, Berserk
o anche Inuyasha (questi manga contengono
spesso scene crude, non adatte a chi non ha uno
stomaco forte!).
I josei, infine, sono una versione più matura degli shoujo, e sono indirizzati ad un pubblico adulto. La storia si incentra sempre sulla tematica
amorosa, affrontando però l’argomento in maniera più realistica e matura rispetto allo shoujo.
La trama si incentra sulle relazioni d’amore tra i
protagonisti, focalizzando l’attenzione in maniera particolare sui problemi reali che possono
insorgere nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto nella vita di coppia. Alcuni tra i titoli migliori
di questo genere sono Paradise Kiss, Nana e Ai
Girl.
Se siete interessati potete facilmente acquistare
questi manga in negozi specializzati (anche qui a
Treviso ce ne sono alcuni) o potete leggerli e
scaricarli da Internet in italiano o in inglese. Buona lettura!
Sara Areski 4° G
IL CIMITERO DI PRAGA
Uscito nelle librerie lo scorso 29 ottobre, il
Cimitero di Praga, sesto romanzo del semiologo medievalista filosofo italiano Umberto Eco, è, a mio avviso, un autentico
capolavoro
della
letteratura.
Il libro ricalca la struttura dei feuilleton, ossia quelle dei vecchi romanzi d'appendice. Infatti le parti scritte sono intervallate da splendide miniature dove a piè
pagina è riportata la citazione a cui si riferisce l'illustrazione.
Il romanzo presenta una trama molto complessa, ricca di colpi di scena, descrizioni
particolareggiate e numerosissimi riferimenti storici al Risorgimento italiano e
all'antisionismo. Il protagonista Simone
Simonini, unico tra tutti i personaggi del
libro ad essere frutto della fantasia dell'autore, si trova a partecipare in prima persona ad avvenimenti che hanno fatto la storia dell'Italia come l'impresa dei Mille narrata in modo magistrale al settimo capitolo. Ma procediamo con ordine. Il protagonista inizia ad annotare in un diario gli avvenimenti della sua vita a partire dalla sua
gioventù sperando di riuscire a fronteggiare una crisi di identità che gli era sopraggiunta in quel periodo a causa dell'abate
Dalla Piccola. Infatti Simonini aveva scoperto che l'abate, di cui gli sembra di non
conoscere nulla e che viveva in un appartamento comunicante con il suo, conosceva molti particolari della vita del protagonista. Inizia così una lunga analessi in cui si
vede il protagonista educato da un nonno
reazionario e profondamente antisionista
e da gesuiti chiamati appositamente per
educare il nipote. In questo periodo si appassiona molto agli scritti di Dumas.
Dopo essersi laureato in diritto e aver imparato l'arte di falsificare i documenti
presso lo studio del notaio Rebaudengo,
diventa una spia del regno sabaudo, grazie
a questa spiccata abilità; per conto dei servizi viene inviato al seguito della spedizio-
ne dei Mille nella quale conosce la figura di
Ippolito Nievo, e si impossessa dei registri
contabili da lui conservati. Volendo far
sparire questi documenti, Simonini affonda la nave a bordo dalla quale è lo stesso
Nievo che muore. Tornato a Torino, i servizi lo inviano a Parigi dove dovrà spiare i
lavori dell'impero francese. Durante questa missione inizia ad elaborare un falso
rivolto agli ebrei nel quale si racconta che
nel cimitero di Praga si è svolto un concilio
dei rabbini con lo scopo di escogitare un
piano per distruggere il cristanesimo e
conquistare il mondo.
E’ un romanzo la cui lettura è molto difficile da completare principalmente per tre
motivi: la lunghezza (più di 500 pagine), la
complessità degli argomenti e la scelta di
un lessico molto alto e di una sintassi complessa. Tuttavia il libro merita di essere
letto nella sua integrità in quanto ad una
trama molto avvincente sono associati eventi storici che normalmente possono
sembrare noiosi, ma che leggendo il testo
si possono apprendere con più facilità ed
interesse. Nonostante alcune parti piuttosto pesanti e noiose, è un libro geniale da
leggere e rileggere.
Alessandro Cocco 3° F
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ecco a voi alcune delizie per il palato di lettori di gusti differenti
Proposta horror
Con una prima edizione Bompiani di novembre 2010 “Dracula in love” di Karen Essex si
inserisce nel panorama della nuova letteratura horror-gotica concentrata sulla figura
del vampiro. L’autrice originaria di New Orleans riprende la storia narrata da Bram Stoker cambiandone il punto di vista: non più
una raccolta di lettere, ma un romanzothriller gotico e psicologico incentrato su
Mina Murray, la giovane donna che in
“Dracula” è sedotta dal famoso conte.
Apparentemente scontato, questo romanzo
si rivela invece una piacevole rivisitazione
della vicenda, arricchita da elementi nuovi,
che danno respiro in una produzione attuale
sul tema per la maggior parte scontata. Insomma, non la classica umana sensibile legata all’affascinante vampiro di turno (non si
disprezzano queste trame, ma è necessario
che ci sia qualcosa di diverso, non trovate?).
Chi ha letto il capolavoro di Stoker può apprezzare maggiormente i riferimenti al modello ed evitare di confondersi, ma non si
esclude che un lettore possa approcciarsi a
questo libro per poi dedicarsi alla visione
classica della storia.
Consigliato a coloro che sanno aspettarsi di
tutto ed ad un pubblico maturo, il testo è
assai coinvolgente e cattura anche i più accaniti fruitori del genere.
Proposta scientifica
Una prosa immediata, chiara, scientifica.
Contenuti puntuali, dettagliati, interessanti.
Ecco come si definisce in poche parole
“Lettera a un bambino che vivrà 100 anni,
Come la scienza ci renderà (quasi) immortali”. Edoardo Boncinelli, genetista e divulgatore che ha presentato il suo ultimo libro
l’undici dicembre scorso in una conferernza
nell’aula magna del nostro liceo, è riuscito,
con l’accuratezza propria di un uomo di
scienza, a condensare in duecento pagine
tutto ciò che un comune lettore si aspetterebbe sul tema della durata media della vita.
Non solo, la struttura del testo è rigorosamente razionale, la prosa scorrevole, gli
spunti di riflessione tanti. L’uomo e la sua
genialità hanno condotto in questo secolo
ad un allungamento della vita media tanto
che si può presumere che un bambino di
oggi raggiungerà, una volta cresciuto, la venerabile età di cento anni. Ciò innesca una
serie di conseguenze mediche ben approfondite da Boncinelli. Egli, considerando alla
base che “la natura vuole bene a tutti, sia a
16
chi attacca sia a chi si difende”chiarisce i rischi e le condizioni soffermandosi sulle mutazioni genetiche, le malattie come i tumori,
e i “combattimenti” esterni o interni che
l’uomo deve affrontare per vivere a lungo, o
meglio, per vivere bene a lungo. Si apprezza
senza dubbio la puntualità delle informazioni, alcune delle quali sconosciute ai più, e la
quasi totalità di assenza di moralità o giudizio che il tema generalmente porta con sè.
Non è da tutti affermare che il fumo è nocivo senza allegare i classici moniti antifumatori. La lettura si presenta piacevole e rilassante, instilla un senso ottimistico sulle prospettive di vita di noi giovani. Lo sguardo al
futuro è filtrato attraverso occhi da scienziato, occhi che contraddistinguono un uomo
che ama il suo lavoro e ha una profonda fiducia in esso e nel suo potere.
Consigliato veramente a tutti, senza limitazioni di alcun tipo.
Proposta sentimentale
Vista l’uscita nelle sale cinematografiche,
durante questo nuovo anno, del film “Il giorno in più” con un cast eccezionale (Fabio
Volo, Isabella Ragonese, Stefania Sandrelli e
Luciana Littizzetto) si propone la lettura del
romanzo omonimo da cui è tratto. Il quarto
libro di Fabio Volo è ambientato quasi completamente a New York, città in cui si svolge
la storia d’amore tra il protagonista Giacomo
e Michela, una donna da lui prima incontrata
silenziosamente sul tram in Italia e per la
quale poi si trasferisce nella metropoli. Lo
stile è tipico dell’autore, fresco ed esaltante,
la trama sentimentale è diluita in descrizioni
precise dei personaggi e dei luoghi, arricchita da una morale giovanile splendidamente
inserita nei vari dialoghi, resi frizzanti dal
lessico quotidiano umoristico. Come per gli
altri romanzi di Volo, si rimane colpiti dalla
capacità di delineare una vicenda lasciando
sempre un margine di immedesimazione al
lettore. Ci si può identificare con i sentimenti
o i pensieri di qualche personaggio: si segue
facilmente la crescita emotiva di Giacomo,
che da trentenne con una vita abitudinaria
passerà ad essere consapevole del valore del
tempo che la vita concede, perchè quel
“giorno in più” che ottiene è l’apice della sua
esistenza. Qui si cresce sempre grazie alla
consapevolezza di se stessi e all’esperienza
d’amore.
Consigliato a chiunque e in special modo a
chi è spesso confuso, a chi è innamorato della vita, a chi non ha capito che bisogna vivere, non sopravvivere.
Proposta storica
Mario Rigoni Stern “non è uno scrittore di
vocazione” secondo Elio Vittorini, eppure di
libri ne ha scritti decisamente tanti.
L’alpinista di Asiago nel suo “Il sergente nella
neve” riporta l’esperienza vissuta della ritirata dalla Russia nel ’42 e ’43. In questo libro,
come altri dell’autore, è fondamentale il rapporto con la temibile natura, descritta con
straordinaria poesia: il paesaggio è in un certo senso romantico, ossia è un “paesaggio
dell’anima”. La neve domina l’orizzonte russo e il freddo ghiaccia anche le emozioni e i
rapporti umani, alimentati solo dalla comune volontà di ritornare insieme vivi nelle
proprie case. La scrittura è limpida e spinta
dalla necessità di trasmettere momenti da
ricordare, non è cronachistica, ma integralmente realistica. Linguaggio incisivo e frasi
brevi: non c’è invenzione o sfruttamento
della retorica: è un libro apprezzato da chi
non ama tanti giri di parole. La trama agglutinata, come sottolinea Eraldo Affinati, è resa con l’antitesi tra il rumore della guerra e il
silenzio interiore dei soldati che devono conservare la loro umanità in un contesto di
trincee, battaglie, sporcizia. Questa testimonianza storica appartiene alla letteratura
novecentesca spiccando per la semplicità e
la naturalezza con cui il sergente Rigoni si
esprime.
Consigliato a coloro che vogliono leggere
non solo per diletto, ma anche “per non dimenticare”.
Proposta classica
È una delle autrici inglesi più amate nella
storia, ha scritto sei classici capolavori nella
sua breve vita e ha ispirato moltissimi film: è
Jane Austen. Tutti conoscono il suo celebre
“Orgoglio e Pregiudizio”, almeno per la recente interpretazione cinematografica, ma
spesso ignorano il resto della sua produzione. È un’autrice che presenta tratti di modernità, malgrado l’ambientazione delle opere sia relativa al periodo della sua vita,
ossia tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Le
trame presentano sempre un eroe e
un’eroina, appartenenti all’alta borghesia o
alla nobiltà, attorno a cui ruotano tutti gli
eventi che hanno sempre un finale felice.
Nel suo penultimo romanzo, ossia “Emma”,
si narra la storia di Emma Woodhouse, una
bella, intelligente e ricca ereditiera che si
diletta nel combinare matrimoni tra amici e
parenti, creando una serie di fraintendimenti ed equivoci che arricchiscono l’intreccio.
Grazie alla sua scrittura ironica l’autrice dimostra come la vita non possa essere del
tutto pianificata, come le donne si innamorino facilmente degli uomini, che invece aspettano, orgogliosi, l’attimo giusto per dichiararsi.
Consigliato vivamente ai ragazzi affinché
rammentino che il loro essere gentiluomini
non deve essere una scocciatura, ma una
regola di vita.
Giorgia Bincoletto 5°N
17
LA STORIA DEL
GAME BOY
Game Boy. Alcuni potranno non averlo mai
sentito, ma le giovani generazioni sicuramente
se lo ricorderanno, quel mattone con lo schermo verde-grigio che il nostro compagno delle
elementari portava a scuola. Ma a cosa serviva? Uno sguardo più attento ci fece notare
delle figure muoversi in quello schermo così
piccolo, sentivamo aria di novità e, ignari, non
sapevamo che da quel momento la storia dei
videogiochi avrebbe preso una piega decisamente interessante.
Arrivato in Europa nel 1990, il Game Boy era di
fatto la prima vera console portatile nata dalle
geniali menti della Nintendo, dopo i giochi elettronici a cristalli liquidi dei primi anni Ottanta : i “Game&Watch”.
Il tutto consisteva in un piccolo display LCD
dotato di diverse tonalità di verde e grigio, corredato da 4 pulsanti ( A, B, Select e Start ) e
relativa croce direzionale. Il suo successo venne favorito dalla praticità sia della console che
delle cartucce di gioco, tutte facili da trasportare, incarnando così il vero ideale di console
portatile. Era alimentato da quattro batterie
AA che garantivano una trentina abbondante
di ore di gioco. Il videogame che rese popolare
il Game Boy fu l’indimenticato Tetris che con i
suoi 33 milioni di unità vendute è il più popolare e diffuso.
A distanza di qualche anno, più precisamente
nel 1996, Nintendo rilascia il Game Boy
Pocket, una versione riveduta del predecessore dotata di alcune novità : le dimensioni ridotte, più vicine ai modelli che nel corso degli anni sarebbero usciti, e un indicatore led della
carica delle batterie, che da 4 erano passate a
2. Non vi era ancora traccia però della retroilluminazione, rendendo ancora difficoltoso il
giocare in stanze non sufficientemente illuminate; questa novità fu però introdotta nel Game Boy Light ( distribuito esclusivamente sul
suolo giapponese e in numero limitato ) che
altro non era che un’ennesima versione del
Pocket.
Gli anni Novanta furono caratterizzati da
un’esponenziale
evoluzione
dell’intrattenimento in ambito videoludico e
così, per non restare indietro, la grande N diede vita a un altro discendente del nostro amato mattone grigio : il Game Boy Color, classe
1998.
Color. Sì, finalmente erano arrivati i colori. Basta grigiume verdognolo, il Game Boy con questa nuova incarnazione era un’autentica esplosione di vivacità : nuovissime colorazioni esterne, edizioni speciali, come la famosa Pikachu
Edition, schermi traboccanti delle 32.768 tonalità che il Game Boy Color era in grado di offrire. Il design esteriore era preso di peso dalla
versione Pocket e presentava inoltre anche
una porta infrarossi che però non fu riproposta
nei modelli successivi. Cominciarono ad uscire
giochi esclusivamente per il Color, anche se la
console era retrocompatibile con quelli del
18
Game Boy, favorendo così gli acquisti anche da
parte dei possessori delle vecchie versioni.
La vera rivoluzione però avvenne nel non troppo lontano 2001. Si chiamava Game Boy Advance.
Non era una rivisitazione del Game Boy, era
qualcosa di totalmente nuovo, lanciato sempre più verso il nuovo millennio. Nintendo decise di cambiarne l’aspetto, discostandolo molto dai predecessori : forma vagamente rettangolare con lo schermo posto al centro e con i
pulsanti A e B situati nella parte opposta rispetto alla croce direzionale. La gamma dei
colori offerti dallo schermo era la stessa di
quella del Game Boy Color, dotato però di una
risoluzione ovviamente maggiore.
Non vennero migliorati i supporti di alimentazione (sempre le solite 2 batterie AA) e nemmeno fu introdotta la tanto attesa retroilluminazione. Le cartucce dei videogiochi compatibili esclusivamente con l’Advance subirono un
restyling dovuto alla diversa forma dello slot
della console, diventando così notevolmente
più piccole e trasportabili. La funzione di retrocompatibilità era anche questa volta presente,
grazie al processore Z80 al suo interno.
Da qui in poi però la faccenda si presenta come una minestra riscaldata poiché anche
l’Advance subì migliorie e riedizioni, due per la
precisione : il Game Boy Advance SP e il Game
Boy Micro. Il primo, uscito nel 2003, è decisamente il più interessante grazie alle novità
proposte. Una di queste novità si chiama batteria ricaricabile al litio. Niente più pile AA, ora
con una cavo è possibile ricaricare la console
consentendoci 15 ore circa d’autonomia.
L’altra manna dal cielo invece è la presenza
della retroilluminazione, era ora!!! La cosa più
curiosa è inoltre l’aspetto esteriore della console poiché si presenta come un ritorno alle
origini, abbandonando le forme dell’Advance,
con in più la possibilità di richiudersi su sé stessa, diventando così ancora più piccola e maneggevole.
Il nostro tuffo nella storia del Game Boy si conclude nel 2005, con l’ultima trasposizione
dell’Advance : il Game Boy Micro. Presentato e
indirizzato a un pubblico che “tiene alla propria immagine”, come riferito dalla Nintendo
nei primi comunicati stampa, il Micro riprende
le forme dell’Advance originale riducendo però notevolmente le dimensioni e aumentando
così la portabilità ( si avvicina a quella di una
carta di credito ). Non presenta novità rispetto
al predecessore SP, anzi, è sprovvisto della
retrocompatibilità dei giochi per Game Boy a
causa delle sue ridottissime dimensioni.
Le console portatili targate Nintendo però non
finiscono certamente qui anche perché nello
stesso anno il mondo ha accolto a braccia aperte il rivoluzionario Nintendo DS, ma questa
è un’altra storia…
Tommaso Campion 4°H
Crostata ripiena
di mandorle e amaretti
Avete presente Benedetta Parodi? Quella che su Italia Uno dopo il Tg conduce un programma di
cucina? Quella tizia in mise provocanti che ogni volta a fine puntata schiaffa il suo bel ditino in tutto
quello che cucina dicendo “Cotto…” e conclude ficcandosi in bocca il suddetto dito ed esclamando
come niente fosse “… e mangiato!”? Beh ragazzi, se anche voi, come il sottoscritto, credete che di
sicuro mentre cucina lo fa in continuazione e pensate che sia indecente che Mediaset lasci che quei
poveri piatti che prepara la Parodi siano invasi dalla sua saliva, allora state leggendo la rubrica giusta!
Ho deciso di lanciarmi nell’impresa di tenere una sezione dedicata alla cucina e nei prossimi numeri
cercherò di fare del mio meglio (ma soprattutto meglio della Benedetta!) per proporvi le ricette più
gustose che conosco, condendo il tutto con i migliori consigli per far riuscire ogni cosa!
Bene, direi che dopo questa introduzione possiamo cominciare a parlare di cose serie: oggi
ho deciso di darvi la ricetta di un dolce, ovviamente buonissimo, che si chiama Crostata Ripiena alle Mandorle e Amaretti. Ho voluto cominciare con un dessert, dato che la mia passione è la pasticceria, e in particolare con uno
che mi piace molto e che fa sempre la sua porca figura quando lo faccio, ma che nel complesso non è difficile da fare. Suvvia però, non
indugiamo, proseguiamo con la super segreta
lista di ingredienti che mia madre ha custodito
gelosamente per tanti anni:
PER L’IMPASTO
 300g di farina;
 150g di zucchero;
 100g di burro;
 1 uovo;
 1 bustina di lievito vanigliato;
 1 pizzico di sale.

PER IL RIPIENO
 300g di ricotta;
 100g di zucchero;
 1 uovo;
 50g di mandorle;
 1 confezione di amaretti (100/150g);
 1 pizzico di sale.
Ora che sapete tutto quello che vi serve cominciamo con il procedimento: cercherò di
essere il più chiaro possibile!
Innanzitutto mandate quelle sfaticate delle
vostre madri a fare la spesa, perché insomma… già noi frequentiamo il Da Vinci e dobbiamo studiare tre ore al giorno (almeno), quella
volta che vogliamo preparare un dolce dobbiamo pure perdere tempo a comprare tutti gli
ingredienti?? Ottimo, ora che avete tutto
l’occorrente, versate su un bel piano spazioso
farina, zucchero e lievito, mischiateli un po’
assieme e fate col vostro ditino (mi raccomando, Parodi docet) un bel buchetto nel mezzo in
modo tale da ottenere la classica “fontana”;
rompete l’uovo e versatecelo dentro, un pizzico di sale sopra e passiamo alla fase in cui ci si
sporca per davvero: prendete il burro e cominciate a ridurlo in piccoli pezzi con le mani. Mi
raccomando, non siate sbrigativi e dedicatevi
all’operazione con tanto amore e passione per
l’unto, perché è importante che il burro sia
ben spezzettato e leggermente sciolto grazie al
calore delle vostre mani (le mie sono sempre
bollenti e sono un po’ avvantaggiato da questo
punto di vista, ma per chi sa di avere mani cadavericamente gelide basta tirare fuori il burro
dal frigo una mezz’oretta prima di cominciare
e siamo a posto).
Adesso vi avviso che è necessario un po’ di
polso: bisogna amalgamare, amalgamare e
ancora amalgamare, finché non otterrete un
composto bello sodo e compatto; a questo
punto appiattitelo un poco, ricopritelo di pellicola e cacciatelo in frigorifero fino a quando
non avrete finito di preparare il ripieno. Ora è
il momento adatto per accendere il forno a
circa 180° (e dico circa perché ogni forno ha la
sua temperatura, per esempio il mio lo metterei a 150°), non ventilato mi raccomando.
Cominciamo ad occuparci del resto: prendete
una bella terrina e versateci l’uovo, lo zucchero e il solito pizzico di sale (sempre quando
usate le uova, e messo direttamente sopra
queste; non so perché, ma me lo diceva mia
nonna, e volete voi per caso mettervi contro
mia nonna?!). Dunque procedete mescolando
il tutto con lo sbattitore elettrico: più sbattete
il composto meglio è (il mio consiglio è di andare avanti finché non vi siete rotti le scatole,
ma anche pochi minuti sono più che sufficienti!) Ora aggiungete la ricotta e amalgamate
anche questa al tutto; a parte, triturate con il
frullatore elettrico mandorle e amaretti e uniteli al composto. Mescolatina finale e fin qua
tutto bene.
Munitevi ora di una tortiera rotonda con un
diametro di circa 25cm (anche più piccola va
19
bene, l’importante è che non sia più grande,
altrimenti sono cavoli amari), imburratela per
bene ed infarinatela altrettanto bene, quindi
tirate fuori dal frigo l’impasto che avevate
messo a raffreddare e con l’aiuto di una bilancia dividetelo in due parti, una leggermente
più grande dell’altra (siccome sono pignolo
come pochi, vi do addirittura le percentuali:
55% e 45%, con un’approssimazione fino alla
terza cifra decimale) ed usate quella più grande per ricoprire il fondo della tortiera. Distribuite bene l’impasto e state attenti a ricoprire
un po’ anche i bordi, perché deve contenere il
ripieno che prontamente versiamo sopra, a
questo punto.
Rimane solo un’ultima cosa prima di infornare,
cioè ricoprirla con la pasta che abbiamo tenuto
da parte. È un lavoro duro ma qualcuno deve
pur farlo (“Mammaaaaaaaa! Vieni a darmi una
mano!”)! Si può farlo in vari modi; il mio preferito è sbriciolare la pasta con le mani (in briciole piccine picciò) e spargere il tutto alla “vai
che vai bene” sopra il ripieno! Fidatevi, il risultato finale è ottimo! Oppure potete prendere
un pezzettino (e sottolineo -ino) alla volta, appiattirlo e ricoprire in modo certosino il tutto,
come una specie di mosaico; ma in fin dei conti potete fare come vi pare e piace che tanto
viene bene uguale.
Cacciate questa bellezza in forno per 45 minuti
circa (per controllare se è pronta bucatela con
uno stuzzicadenti, di quelli lunghi, e vedete se
estraendolo resta perfettamente pulito), fatela
raffreddare e prima di servirla, una bella spolveratina di zucchero a velo e il gioco è fatto!
Bon appétit e alla prossima!
P.S.:Mi vergogno a dirlo, ma voglio essere sincero con voi: per Natale ho regalato a mia
mamma il libro di ricette di Benedetta Parodi…
Sudoku
20
Giovanni Lorenzon 5°M
Ok, va bene, se stai leggendo questo giornalino è ovvio che tu sia del Da Vinci.
Ma ti sei mai chiesto a quale sottocategoria appartieni? Questo test ti aiuterà a scoprirlo!
E’ sabato pomeriggio e lunedì
c’è interrogazione di matematica.
Cosa fai?
Così come la
domenica,
non farò un
bel niente!
Qualche
rimorso?
Studio tutto il sabato e
la domenica e, visto
che ci sono, mi prendo
avanti con tutti i compiti della settimana!
Il sabato esco con gli
amici, la domenica
studio un po’!
Si
Dopo un rapido calcolo
delle probabilità, ti accorgi che potresti farla
franca. Studi lo stesso?
No
No
Se però prendi un
altro brutto voto,
ti becchi il debito.
Uhmmm..
Allora apri il libro?
Sì
No
Sì
Sì
Sì
No
Devil-Davinciano
Visto che nell’ultima
interrogazione hai preso solo 9, per vendicarti
vorresti fare il/la ribelle. Sicuro/a di voler
ancora studiare?
Ti viene in mente che
quel giorno c’è la festa
di compleanno del tuo
migliore amico.
Metti via i libri e ci vai?
No
Davincianus communis
Davinciano modello
Sei il fantasma diabolico che la
Cerchi di volta in volta il giusto
Studi 24 ore su 24 e sei sempre
nostra davinciana preside cerca
equilibrio tra studio e
preparatissimo/a. Speri che per la
costantemente di annientare ma divertimento in modo tale da non fine del liceo ti spuntino un altro
che perdura nei secoli. A fine
sacrificare mai la tua vita sociale. A paio di gambe e braccia in onore
anno i tuoi quaderni sono
volte prendi brutti voti ma poi li
del nostro carissimo Leo.
immacolati ma poco t’importa.
recuperi senza problemi.
Non dimenticarti, però, che là
Attento, però, che trovarsi a
Continua così e la tua vita ti
fuori c’è un mondo tutto da
studiare in estate non è certo la
sorriderà .
scoprire e che qualche volta
cosa più ganza che ci sia.
sarebbe il caso di visitare.
Andrea Fadel 5° M
21
DIRETTORE:
Enrico Biscaro 5 M
VICE-DIRETTRICE:
Giorgia Bincoletto 5 N
REDAZIONE:
Eleonora Porcellato 5 C
Gianluca Forcolin 5 G
Sara Zanatta 5 L
Dario Zago 4 D
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Sara Akreski 4 G
Tommaso Campion 4 H
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Alessandro Cocco 3 F
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Ludovica Crosato 1 D
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DISEGNATORI:
Giulia Dugar 5 E
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Chiara Amici 2 C
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Silvia Paoletti 1 C
Lisa Mignemi 1 H
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IMPAGINATRICE:
Silvia Menegon 5 E
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Riccardo Vanin 5 B
Andrea Fadel 5 M
Giovanni Lorenzon 5 M
Davide Pagnossin 5 M
Francesca Nascimben 3 N