RENT TO QUBE - Studio Ridolfi

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RENT TO QUBE - Studio Ridolfi
infografica SignDesign
Foto di Antonio Cama - SignDesign
Progetto Filippo Bombace/Photo Luigi Filetici
ranzie e più sacrifici. Ma tant’è: il mattone continua ad essere una
sicurezza, un “capitale” esso stesso; per questo, in Italia, l’80% delle famiglie detiene la proprietà delle mura tra le quali dorme. Ed è
bene continuare così, è bene che la casa diventi nostra, magari con
calma, senza fare passi troppo azzardati. Oggi una soluzione c’è e
si chiama “Rent to Buy”. Si stipula un vero e proprio contrato di
vendita ma si entra… in affitto. Inquilini ad orologeria, però. Funziona così: si versa una somma iniziale e poi, ogni mese, si paga un canone concordato. Dopo massimo 36 mesi (la legge non consente
una durata superiore nel tempo), si potrà perfezionare l’acquisto e
tutte le mensilità versate verranno “scalate”dal prezzo dell’immobile. Unica regola da cui non si scappa: le rate mensili non potranno
essere inferiori ai mille euro; una cifra che, attualmente, non è certo proibitiva per un affitto; e che affitto: stiamo parlando di Qube;
stiamo parlando di appartamenti “superdotati”, dalla domotica alle
finiture, dai materiali di pregio alla collaborazione delle azienda più
blasonate in fatto di interior design. Non a caso il progetto è firmato dall’architetto Filippo Bombace, nome notissimo tra gli “addetti
ai lavori”, le cui intuizioni hanno spesso trovato posto nelle riviste
internazionali di architettura e design. Possiamo cominciare ad abitare online, entrando in Qube con il mouse: http://www.
studioridolfi.com/real-estate-2/qube/. Ora i pixel, tra
poco la realtà. Rent to Buy, rent to Qube: la casa;
quella nostra. l
Rent to Qube
Dove abiti non importa. Importa “come”. Abitare e muoversi, abitare e trovare, abitare e ritrovarsi.
Per tutto questo non basta l’indirizzo, il codice postale, il piano, il nome evidente sulla targhetta del
citofono. Quel che conta è sapere dove siamo quando siamo dentro; come viviamo la luce, le forme, le idee. Idee che il più possibile devono essere le nostre. Idee che diventano pareti, pavimenti,
angoli, dettagli, geometrie. Il cemento viene dopo, molto dopo.
Il cemento c’è, certo che c’è. Ma non basta, perché la casa la abitiamo con le passioni, i desideri, i
sogni, la memoria. E deve essere su misura, “obbediente” ma anche imprevedibile, dentro e fuori.
Una casa così possiamo trovarla; e abitarla. Una casa così (non una ma tante) è nella “flotta” di
Studio Ridolfi Immobiliare, azienda che lavora da cinquant’anni nel settore dell’edilizia e della
compravendita immobiliare. Le case, le ville, le idee “made in Ridolfi” sono un po’ ovunque nel
Belpaese, dalla Sardegna al litorale romano (Fregene soprattutto) e – ovviamente – nella Capitale.
Ultimo arrivato è il complesso Qube, in località S. Lucia, una manciata di minuti dal centro città.
Le forme, i dettagli, le intuizioni architettoniche sono ben lontani dal “già visto”. Siamo in Italia,
siamo a Roma, ma potremmo essere a Miami. Siamo a casa e siamo nel mondo; in città ma anche
in campagna. Le unità abitative di Qube sono tutte su due livelli pur prevedendo ben sei diverse
combinazioni: tre piano terra + primo piano e altrettante primo piano + sottotetto abitabile. Sei
opzioni che possono diventare molte di più. Perché la casa (l’abbiamo già detto?) è nostra. E deve
essere “full optional”: box auto, riscaldamento autonomo, condizionamento, porta blindata, videocitofono, Tv sat, controllo da remoto di riscaldamento, avvolgibili, luci, allarme…
Facile a dirsi: nostra, ovvero acquistata. Il compromesso, il rogito, il capitale da versare. Il matone,
lo sappiamo, ha il suo prezzo. E le banche, oggi, sono anche un po’ più diffidenti, chiedono più ga-
Foto di Antonio Cama - SignDesign
Studio Ridolfi Immobiliare, da anni, lo sa: sa che abitare significa sognare,
scoprire, vivere. Vivere lo spazio e personalizzarlo. La casa è nostra. Per esempio
Qube, con le forme, i colori, il carattere mai prevedibili. La casa è nostra anche
cominciando con l’affitto: è il “Rent to Buy”. è la casa che non c’era.
Foto di Antonio Cama - SignDesign
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Andrea Ridolfi