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Il baffo – scrive Etgar Keret, uno scrittore israeliano che pubblica alcuni dei suoi lavori sul
sito in lingua ebraica «Bamah Hadashah» (Nuovo livello), ma anche, in traduzione inglese, sul
«New York Times Magazine» – è una creatura pelosa e misteriosa di gran lunga più enigmatica
del suo fratello più antico, la barba, la quale chiaramente connota afflizione (lutto, il sentimento
di chi cerca una risposta religiosa alla vita, o si scopre abbandonato su un’isola deserta). Le
associazioni suggerite dai baffi vanno semmai lungo la linea del detective Shaft, dell’attore di
ascendenza cherokee Burt Reynolds, dei protagonisti di film porno tedeschi, di Omar Sharif e
Bashar al-Assad (abbreviando: gli anni Settanta e gli Arabi)».
Non è solo questo, naturalmente: i documenti fotografici, le cronache giornalistiche e molti
testi letterari suggeriscono altre connotazioni oltre a quelle elencate da Keret, e la
contrapposizione che lui traccia fra barba e baffi spesso si presenta invece come combinazione:
ne fanno testimonianza molti ritratti di talibani e degli stessi vertici di Al Quaeda, Osama BinLaden e Al Zawahiri in testa.
Nella mente degli italiani i baffi sono spesso collegati con l’immagine dei poliziotti — più di
rado con quella dei carabinieri, dei finanzieri e delle guardie di frontiera. In un recente romanzo,
tanto per fare un esempio, Dal rumore bianco di Mariano Bàino, un poliziotto che partecipa a un
agguato notturno a un gruppo di camorristi nella campagna napoletana è rappresentato con la
macchina fotografica a tracolla e con «due occhiate così, grigie quasi come i baffoni pencolanti
verso il basso, appesi, inconclusi per via della nottata da sveglio».
Nel mondo della politica incombe, ovviamente, l’immagine di Stalin, affettuosamente (o
minacciosamente) chiamato «baffone», mentre il suo lontano discendente, Massimo D’Alema,
non si sa quanto ancora intimamente stalinista nonostante le tante abiure e le divergenti scelte di
gusto e di look, è stato spesso appellato «baffino». (D’Alema è stato, peraltro, prima della
rottura, a lungo amico dell’ampiamente baffuto e più decisamente proletario Fabio Mussi). A
proposito di politici con o senza baffi, si racconta un aneddoto curioso. È capitato alcuni anni fa
che un esponente della cosiddetta società civile, già socialista craxiano, debitamente baffuto,
abbia avviato le trattative con Silvio Berlusconi per presentarsi candidato alla carica di sindaco in
un’importante città italiana. Le trattative furono avviate felicemente e Berlusconi accolse con
condiscendenza la richiesta del candidato di mantenersi indipendente, formulare un suo
programma e chiedere l’appoggio di quella che allora sì chiamava Forza italia. La candidatura
venne ufficializzata e presentata sui giornali. Dopo una settimana Berlusconi chiamò il candidato
per dirgli: «Tutto bene, ti appoggeremo con convinzione, ma devi tagliarti i baffi». Berlusconi a
quanto pare poteva accettare che fossero baffuti Gheddafi, Erdogan e altri suoi amici, soprattutto
stranieri (anche se, sotto sotto, poteva preferire come amico straniero un Putin privo di baffi e
protagonista di grandi affari nel campo dell’energia). Egli tuttavia non tollerava che attorno a lui,
nel suo partito, e davanti alle televisioni comparissero persone con i baffi, che potessero evocare
con la loro immagine i mafiosi, i politici di sinistra, gli uomini della legge.
Sembra che quel candidato, eroicamente, abbia risposto: «Ah, questo mai, i baffi no» e si sia
giocato la candidatura.