Le armi di Benvenuto Cellini - Circolo Culturale Armigeri del Piave

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Le armi di Benvenuto Cellini - Circolo Culturale Armigeri del Piave
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Le armi di
Benvenuto Cellini
PAOLO PINTI
Storia di una ricerca oplologica, di strane occasioni,
di cose curiose
“S
EMPRE MI SONO DILETTATO DI TENER BELLE ARMI”: questa
frase, contenuta nella sua celeberrima opera LA VITA, esprime
davvero con efficacia il rapporto che lega BENVENUTO CELLINI alle armi.
Il Cellini amava certamente le belle armi e ne faceva uso con inquietante
frequenza, a volte per difendersi, a volte per vendicarsi.
Poiché è certo che ne realizzò alcune, da sempre ogni qual volta ci si trovi
di fronte ad un’arma particolarmente ricca di decorazioni l’attribuzione al Cellini è d’obbligo.
Durante il “ventennio” si scatenò una sorta di gara generale fra studiosi,
letterati, scienziati ed affini (e non sempre di livello infimo) per cercare di attribuire tutte le invenzioni di questo mondo agli Italiani. Dalla ruota al fuoco, dal
motore a scoppio ai fiammiferi, tutto era stato scoperto o inventato da un italiano in epoche remote, con prove così schiaccianti, che quelle utilizzate al processo Pacciani sembrano in confronto pietre miliari nel cammino della giustizia. (1)
Fra breve citerò un’edizione della Vita del Cellini risalente al 1931: ebbene in tale testo è illustrato uno “scudo lavorato a sbalzo, attribuito a Benvenuto
Cellini” conservato all’Armeria Reale di Torino. In realtà si tratta di una targa
da parata di Enrico II di Francia, realizzata da maestranze francesi su disegno di
Etienne Delaune, risalente al 1556-1559 (foto 1).
L’epoca, casualmente, corrisponde, ma quel che davvero imponeva l’attribuzione al Cellini di ogni opera particolarmente decorata era la voglia di italianizzazione così diffusa e così penetrante in quel periodo che ancor oggi ne permangono visibili tracce in molti testi pur validi sull’arte.
Due occasioni, tra loro lontane geograficamente e nel tempo, hanno sollecitato in me un’attenzione particolare per Cellini, armaiolo e oplologo.
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La prima occasione: lo stupendo Palazzo Farnese a Piacenza ospita, oltre a
notevoli raccolte d’arte - pinacoteca, antiquarium con il famosissimo “fegato di
Piacenza”, carrozze antiche, cimeli risorgimentali, ecc. - un’importante ARMERIA, ricca di oltre 400 pezzi. In prevalenza armi bianche difensive, con armature di Pompeo della Cesa, e offensive, con una ricca serie di armi venete degli
inizi del sec. XVII, un centinaio di armi in asta di vario tipo e altri pezzi di indubbio valore.
Tra tante interessantissime armi spicca per le sue particolarità morfologiche e per la sua storia, uno YATAGAN attribuito, guarda caso, al Cellini (vedi
foto 2 e 3 ).
Foto 1: Lo SCUDO conservato all’Armeria Reale di Torino, illustrato in un’edizione
del 1931 della Vita di Benvenuto Cellini e attribuito, caso strano, al Cellini stesso.
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Ha una lama incisa all’acquaforte, realizzata da Meurice Froment nel 1850
(datata), con riportato un motto tratto dalla Bibbia (Giobbe, versetto 1, cap.
XIX): Ultor Iniquitatum Gladius.
Il fornimento è di fattura squisita, in agata e argento, con figura femminile
alata, sovrastante un piccolo putto che impugna un tridente e colpisce un drago.
L'armeria di Palazzo Farnese di Piacenza è costituita in gran parte dalla
raccolta del Conte Antonio Parma che nel 1849 la donò all’Istituto d’Arte F.
Gazzola. Nel marzo 1852 il Duca Carlo III ordinò il trasferimento delle armi
(pur se antiche, erano sempre armi) a Parma giacché a Piacenza vigeva lo stato
d’assedio.
Non poche furono le proteste da parte degli amministratori dell’Istituto
Gazzola, forti dell’autorizzazione rilasciata dal Comandante della Piazza di Piacenza di conservare in loco le armi, ma non ci fu nulla da fare.
Solo dopo la morte del Duca (assassinato a Parma da un sellaio, tal Carra,
il 26/3/1854 mentre rientrava a palazzo) la duchessa reggente, Luisa Maria di
Borbone-Berry, si impegnò a restituire tale raccolta, una volta che fosse cessato
lo stato d’assedio ed effettivamente nel mese di dicembre 1855 ordinò tale trasferimento e aggiunse un suo omaggio personale: lo yatagan di Benvenuto
Cellini.
Certo la lama non voleva costituire un falso, essendo datata e firmata, dal
suo artefice, Francois-Désiré‚ Froment-Meurice.
Riporto un passo che parla di tale artista, tratto da un libro sugli argenti
antichi: “Per i suoi contemporanei Francois-Désiré Froment-Meurice è un
nuovo Cellini. Lo si festeggia, lo si vezzeggia, lo si celebra in prosa e in poesia.
Per Théophile Gautier è il primo in assoluto, Victor Hugo gli dedica una breve
ode. Eugène Sue lo chiama “mio caro Benvenuto”. Balzac gli commissiona il
famoso bastone con le scimmie”.
Tale testo ricorda anche che la Duchessa di Berry era estremamente interessata all’arte orafa, tanto da influenzare opere e stile della produzione della
sua epoca.
Il “nuovo Cellini” realizzò quindi una lama stranamente ispirata a quelle
degli yatagan, quasi sicuramente su ordinazione espressa della Duchessa, che la
volle assemblare con un manico di coppa (o qualcosa del genere) che magari
all’epoca era attribuito al Cellini (quello autentico).
Difficile (ma non impossibile, se si potesse/volesse studiare l’eventuale
archivio della duchessa) stabilire l’esatta fonte di tale attribuzione. Forse il fatto
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che il Froment fosse considerato all’epoca un Cellini ha contribuito all’equivoco.
Comunque ho sottoposto le foto del fornimento in questione a studiosi di
primo piano dell'arte italiana del sec. XVI e la risposta è stata unanime: si tratta
probabilmente di un manico di coppa o qualcosa del genere, d’epoca barocca,
certo successiva alla morte del Cellini (quello fiorentino).
Quindi l’autore del Perseo non ha modellato quest’arma, ma questo nulla
toglie alla sua bellezza e al notevole interesse per la sua storia.
Foto 2: Lo Yatagan conservato all’Armeria di Palazzo Farnese a Piacenza e per
tradizione ritenuto opera del Cellini.
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In verità, studiando appunto quest’arma, mi ripromettevo di approfondire
le mie (scarse) conoscenze sull’opera del Cellini sotto il profilo oplologico, anche per trovare eventuali riscontri alla produzione di Yatagan che giustificassero la fabbricazione nel secolo scorso di un'arma del genere.
La seconda occasione: in una libreria antiquaria di Napoli, a fianco di una
rara copia del catalogo del Museo Filangieri, ho trovato l’anno scorso un esemplare un po’ “allentato” della Vita di Benvenuto Cellini a cura di Gaetano Guasti, edizione Barbera di Firenze del 1925 (vedi foto 4).
La vicinanza nella scaffalatura è casuale, ma ai miei occhi è un segno del
destino: Cellini oplologo vuol mostrarsi a tutti i costi e io accetto l’invito, acquisto i due libri e leggo avidamente la Vita dell’orafo fiorentino.
Nessun riferimento allo Yatagan, naturalmente, (però quell’accenno a PUGNALETTI TURCHESCHI del quale dirò fra breve!) ma davvero tanti spunti
per ogni studioso di armi antiche.
Il lessico è riferibile alla metà del sec. XVI giacché la Vita racconta un
periodo che va dal 1500 al 1562, ed è stata scritta dal 1558 al 1562.
È di grande importanza, perché ci consente di conoscere molte definizioni
di armi dell’epoca, magari non sovrastate e confuse ancora da successivi mutamenti.
È un testo da leggere con attenzione. A volte la stessa arma, addirittura
nello stesso contesto, è chiamata in modi differenti, forse proprio perché all’epoca i termini erano equivalenti, ma certo la cosa crea non poche perplessità
per chi intende codificare un lessico normativo avvalendosi di quello storico.
L’arma da sparo lunga è chiamata ARCHIBUSO in ben 13 occasioni,
mentre per due volte si specifica ARCHIBUSO A RUOTA. Quindi si parla di
ARCHIBUSIERE a ARCHIBUSATA, confermando la riferibilità di tale arma
a quella d’impiego militare.
Per la caccia si parla di STIOPPO, ISTIOPPO e SCOPPIETTO
(menzionato 11 volte). Il termine STIOPPO è squisitamente toscano ed è ovviamente l’equipollente di SCHIOPPO.
Il termine FUCILE è usato per indicare il meccanismo d’accensione dell’archibuso, “..abbassai il FUCILE in sul mio archibuso”.
La sua maestria, vera o finta, comunque forse esagerata, come artigliere è
descritta a lungo con impiego di vari termini: CANNONE, MEZZO CANNONE, MEZZA COLUBRINA, FALCONETTO, GERIFALCO, SACRO. Non
senza menzionare una MICCIA DA FAR FUOCO.
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Le armi bianche rivestono un ruolo maggiore.
Il termine SPADA è impiegato innumerevoli volte, ma sono molti i tipi
specifici menzionati: SPADETTA, SPADONE A DUE MANI, STORTA,
STORTETTA, DAGA, GRAN DAGA, DAGHETTA, ISPADA, ISTORTA.
Quasi sicuramente ISPADA, ISTORTA, così come ISTIOPPO, stanno ad
indicare le normali SPADE, STORTE e STIOPPI.
Per le armi corte: PUGNALE, PUGNALETTO, PUGNALOTTO, PUGNALETTO TURCHESCO, PUGNAL PISTOLESE.
Foto 3: Particolare dello Yatagan di Piacenza. Pur se non riferibile certo al Cellini, tale arma è di grande interesse sotto il profilo storico e artistico.
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Di PUGNALETTI TURCHESCHI il Cellini parla a lungo: “In questo tempo (1524-1527) mi capitò certi piccoli PUGNALETTI TURCHESCHI, ed era di
ferro il manico siccome la lama del pugnale; ancora la guaina era di ferro similmente. Queste ditte cose erano intagliate per virtù di ferri molti bellissimi
fogliami alla turchesca, e pulitissimamente commessi d’oro: la qual cosa m’incitò grandemente a desiderio di provarmi ancora ad affaticarmi in quella professione tanta diversa dall’altre; e veduto ch’ella benissimo mi riusciva, ne feci
PARECCHIE OPERE”.
Difficile capire se tali pugnali turcheschi fossero di foggia davvero turca
(yatagan) o più genericamente orientale, magari con il taglio nella parte convessa.
Il Cellini realizzò comunque pugnali di stile turco (inteso forse come
“orientale”) e quindi esiste una concreta possibilità che da qualche parte sopravviva almeno uno YATAGAN DI CELLINI autentico al 100%.
Se una ricerca nel settore dell’arte dovesse/potesse portare ad una conclusione certa e definitiva, mi sarei dedicato forse ad altro passatempo: il bello è
proprio che ogni approfondimento permette di cancellare false certezze, suscitando contemporaneamente nuovi spunti per ulteriori ricerche su possibilità
sempre ventilate e sempre da verificare.
Non mancano i riferimenti alle armi in asta: ARME IN ASTA sono genericamente definite in tre occasioni diverse, ma altrove specifica i vari tipi, quali
un GIANNETTONE (acquistato a Ferrara), ISPIEDE, LANCIA, PARTIGIANA, PARTIGIANONE, PICCA, SPUNTONE, ZAGAGLIA e ZAGAGLIETTA.
Da notare che nel commento della Vita curato da G. Edoardo Mottini per
la Mondadori (ed. 1931), ZAGAGLIETTA indicherebbe un “bastone ferrato”.
Si parla di BALESTRATA (colpo tirato con una balestra), di CERBOTTANA, di FROMBOLE, di NOCE DI BALESTRE.
Sono citate alcune parti d’arma, quali il POMO di spada, il FODERO, la
GUAINA, il PUNTALE.
Non sarà inutile rilevare che per PUNTALE il Cellini intende proprio la
protezione metallica del fodero del pugnale, così come è attualmente accettato
nel moderno lessico di catalogazione. Ma in tutti i musei archeologici italiani
si definisce PUNTALE il CALZUOLO delle armi in asta.
Per le armi difensive abbiamo la CAMICIA DI MAGLIA, la MAGLIA, il
GIACO e il GIACO DI MAGLIA.
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Vari altri termini si riferiscono alle armi e al loro impiego: IMBROCCATE, PALLA, PALLOTTOLA, PASSATOI, PASSATOIACCI, SOFFIONI, A
MEZZA SPADA, STOCCATA.
Per PASSATOI si devono forse intendere dei proiettili di metallo, simili a
piccole verghe (il Biringuccio quando parla dei PASSAVOLANTI menziona
l'uso di utilizzare come proiettili delle verghette di metallo tagliate a pezzetti).
Nel già ricordato testo del 1931 (ho ritenuto difatti doveroso continuare a
documentarmi in merito!) il commentatore spiega che i PASSATOI e i PASSATOIACCI erano “proiettili di legno, di poca efficienza”.
Foto 4: La copertina della Vita di Benvenuto Cellini trovata in una libreria antiquaria a Napoli.
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SOFFIONI erano delle canne di carta contenenti polvere pirica, usate per
fuochi d’artificio. Il Cellini usa probabilmente tale termine per indicare delle
artiglierie in senso metaforico.
A MEZZA SPADA, infine, è solo un modo di dire, per indicare che si è
venuti subito alla conclusione di un ragionamento.
Nessun riferimento quindi al tipo di arma MEZZA SPADA (che per il
Boccia è una spada con il filo da un solo lato, mentre per il De Vita è una spada
normale ma più corta).
Foto 5: Disegni per elmi a sbalzo eseguiti da Benvenuto Cellini (Galleria degli Uffizi)
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Il Conte Antonio Parma, Luisa di Berry, Maurice Freument (o Froment),
Benvenuto Cellini, e poi Napoli, Piacenza, Firenze...: personaggi e luoghi che
hanno un denominatore comune abbastanza inconsueto, qual’è quello delle armi.
L'emozione di impugnare uno Yatagan “di Cellini” appartenuto a Luisa di
Berry, l’ansia di una ricerca, il fascino di librerie antiquarie con il gusto della
“scoperta”.
L’invito è di andare a visitare l’Armeria di Palazzo Farnese a Piacenza e
di leggere (o rileggere) la Vita di Benvenuto Cellini, per conoscere meglio i
protagonisti di questa storia.
Ed è una piccola storia quella che brevemente, sapendo di farlo tra amici,
ho voluto raccontare.
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Queste considerazioni sono state scritte molti mesi prima del processo d’appello: ora sembrano profetiche, ma in realtà sono solo dettate dal buon senso e
da venti anni di attività forense.