1 La vita di Paolo di Tarso

Transcript

1 La vita di Paolo di Tarso
SACRA SCRITTURA III – LE LETTERE PAOLINE E ALTRE “LETTERE” DEL NT
1 La vita di Paolo di Tarso
Introduzione
I principali avvenimenti della vita di Paolo di Tarso sono noti grazie alle sue lettere
e al libro degli Atti degli Apostoli. Queste fonti però si limitano a indicare in modo
piuttosto frammentario l’ordine con cui si sono svolti gli avvenimenti e l’intervallo
temporale che li separano l’uno dall’altro (cronologia relativa). I dati che permettono
di inserire i principali momenti della vita dell’apostolo Paolo nel più ampio tessuto
della storia contemporanea (cronologia assoluta) sono invece estremamente scarsi e
problematici. Malgrado ciò è necessario delineare, anche se in modo largamente ipotetico, una cronologia sia relativa che assoluta della vita di Paolo: solo così sarà possibile cogliere più da vicino lo stretto rapporto che lega le lettere alle tappe principali
della sua attività missionaria.
TESTIMONIANZE PRIMARIE E SECONDARIE – Le lettere furono scritte dallo stesso Paolo e così, si classificano come «testimonianza primaria» in termini storici; gli Atti
degli Apostoli, per la stessa ragione, si classificano come «testimonianza secondaria»,
in quanto furono scritti su Paolo da qualcun altro (Luca, secondo la tradizione). Per
questo motivo, molti studiosi1 hanno sostenuto che una cronologia metodologicamente valida deve procedere lavorando sulla testimonianza delle lettere2.
Non abbiamo una testimonianza indipendente per la data di nascita di Paolo, e solo
la tradizione per la data della sua morte. Per il NT la sua vita comincia con la conversione e finisce con la prigionia a Roma3.
1
Soprattutto Knox, Jewett, Lüdemann.
Sfortunatamente, gli Atti degli apostoli non fanno alcuna menzione sulla produzione letteraria di Paolo, e quindi
apportano solo un aiuto indiretto per la datazione delle lettere. D’altra parte il confronto dei dati lucani con le informazioni di prima mano dell’apostolo, là dove s’intersecano, non dimostra che siano sempre interamente compatibili. I racconti di viaggio, infatti, fanno parte dei mezzi letterari privilegiati attraverso i quali Luca dà espressione alla sua concezione della storia e alla sua teologia. Ne consegue che se le lettere costituiscono una documentazione sicura per stabilire
la storia dell’apostolato e della cronologia paolina – i destinatari delle lettere sono essenzialmente i contemporanei degli
avvenimenti riferiti, e possono perciò verificare i dati forniti dall’apostolo – i racconti degli Atti possono essere utilizzati come fonti storiche solo con una certa prudenza.
3
Un’antica tradizione ecclesiale associa il martirio di Pietro e Paolo con la persecuzione di Nerone, all’epoca del
grande incendio del 64 d.C. Clemente Romano (1Clemente 5,2-7), scrivendo intorno al 95 d.C., dice «È a causa della
gelosia e dell’invidia che sono state perseguitate le colonne più nobili e più giuste e che hanno combattuto fino alla
morte. Consideriamo i valorosi apostoli. Pietro, che in seguito a una gelosia ingiusta ha sopportato tante sofferenze –
non solo una o due! – e che così, dopo aver reso testimonianza, se n’è andato al soggiorno di gloria che gli era dovuto.
2
CRONOLOGIA SECONDO LE LETTERE – Quali informazioni delle lettere sono utilizzabili per ricostruire la cronologia della missione paolina e la successione delle lettere
dell’apostolo? Se ne contano sette.
1) Il racconto autobiografico di Gal 1,11-2,21: esso fornisce un calendario continuo
che inizia con la vocazione di Paolo e termina con l’assemblea di Gerusalemme e
l’incidente di Antiochia.
2) Il resoconto delle tappe successive (Filippi, Tessalonica, Atene) che hanno preceduto il primo arrivo dell’apostolo a Corinto (dato da 1Ts 2,2; 3,1-6).
3) L’intenzione di Paolo di rimanere a Efeso fino a Pentecoste (in 1Cor 16,8).
4) I piani di viaggio da Efeso a Corinto passando per la Macedonia (1Cor 16,5ss);
questi piani sostituiscono probabilmente quelli di 2Cor 1,15s, modificati per le ragioni indicate in 2Cor 1,17-2,11.
5) I racconti di viaggio in 2Cor 2,12s e 2Cor 7,5ss (Paolo a Troade e in Macedonia
a Filippi sul cammino verso Corinto).
6) Gli annunci della visita a Corinto (2Cor 9,4; 10,2; 12,14; 13,1.10).
7) I piani di viaggio a Gerusalemme, a Roma e in Spagna (Rm 15,14-32).
CRONOLOGIA SECONDO GLI ATTI DEGLI APOSTOLI – A differenza delle lettere, gli
Atti ci offrono un racconto continuo dell’attività apostolica. I conteggi della storia lucana diventano del resto particolarmente precisi per tutto il periodo che inizia con il
lungo soggiorno a Efeso e termina con i due anni che seguono l’arrivo dell’apostolo a
Roma. Questo periodo copre gli ultimi dieci anni conosciuti dell’apostolato paolino:
lo stesso soggiorno a Efeso (At 19,1-40), il viaggio attraverso la Macedonia alla volta
di Corinto (At 20,1-3a), poi la partenza per Gerusalemme attraverso la Macedonia
(At 20,3b-16), il commiato dagli anziani di Efeso a Mileto (At 20,17-38), l’arrivo e
l’arresto a Gerusalemme (At 21,1-23,10), i due anni a Cesarea Marittima (At 23,1126,32), infine l’imbarco per Roma e l’arrivo in Italia (At 27,1-28,31).
In seguito alla gelosia e alla discordia, Paolo ha mostrato il prezzo riservato alla costanza. Incatenato sette volte, esiliato, lapidato, diventato un araldo in Oriente e in Occidente, ha ricevuto la reputazione eclatante che meritava la sua fede.
Dopo aver insegnato la giustizia al mondo intero e raggiunto i confini dell’Occidente, rese testimonianza davanti ai governanti; fu così che lasciò il mondo e se ne andò al soggiorno della santità – illustre modello di costanza!»; sembra che
questo significhi che Paolo riuscì nel suo progetto di andare in Spagna (Rm 15,28) prima della sua morte. Tutto quello
che possiamo dire, è che la testimonianza in nostro possesso concorda con una morte dell’Apostolo a Roma negli anni
fra il 60 e il 70.
2
CRONOLOGIA ASSOLUTA – Le informazioni che le lettere di Paolo4 e gli Atti degli
apostoli ci forniscono permettono di costruire la scala mobile di una cronologia relativa, ma non contengono elementi necessari per fissare questa scala in un calendario
generale della storia5. Diventa possibile stabilire una cronologia assoluta in virtù delle
intersezioni tra il racconto di At 18,12-176 e un’iscrizione scoperta a Delfi nel 19057.
Se è vero che Paolo è comparso davanti a Gallione all’inizio del suo soggiorno a Corinto (At 18,18), e se è vero che è rimasto un anno e sei mesi a Corinto (At 18,11), allora Paolo probabilmente si è trovato a Corinto tra la fine del 49 e l’estate del 51, oppure tra la fine del 50 e la primavera del 52. Partendo da questo punto fisso – pur
tenendo conto delle incertezze legate alle intersezioni dei soggiorni di Paolo e di Gallione a Corinto e ai conteggi di Gal 1,18.21 e 2,1 – si può convertire la cronologia relativa dedotta dalle lettere di Paolo e dagli Atti in una cronologia assoluta.
4
Usando solo le lettere, possiamo costruire un quadro sorprendentemente ampio del ministero di Paolo, ma le testimonianze non bastano a dare una cronologia completa. I tentativi di raggiungere una maggiore precisione su questa base tendono a contare sullo sviluppo teologico o stilistico, sul quale non è facile trovare un accordo generale, o a dare ai
dettagli maggiore importanza di quanta possano averne.
5
Una cronologia relativa può essere trasformata in assoluta, solo se in essa compaiono almeno alcuni eventi conosciuti per altra via, ai quali è possibile attribuire una data precisa. Di fatto gli Atti e le lettere paoline accennano ad alcuni avvenimenti che in teoria dovrebbero essere noti e quindi facilmente databili. Purtroppo però alcuni di essi non sono
verificabili sulla base di fonti sicure: è questo il caso della carestia in occasione della quale Paolo e Barnaba portarono a
Gerusalemme le collette fatte ad Antiochia (At 11,27-30) e del proconsolato di Sergio Paolo a Cipro (At 13,7). Altri invece sono noti, ma la loro datazione risulta in gran parte problematica. Tra questi: la fuga di Paolo da Damasco mentre
l’etnarca del re Areta montava la guardia della città per catturarlo (At 9,23-25; 2Cor 11,32-33); l’editto di Claudio che
allontanava da Roma tutti i Giudei, tra cui Aquila e Priscilla che Paolo incontrò a Corinto (At 18,2); i procuratori romani Antonio Felice (At 23,24) e Porcio Festo (At 24,1-7) davanti ai quali Paolo fu condotto prigioniero a Cesarea.
6
Il testo di At 18,12-17 racconta della comparizione di Paolo davanti a Gallione, fratello del filosofo Seneca e, a suo
tempo, proconsole romano della provincia dell’Acaia.
7
L’iscrizione permette di datare il proconsolato di Gallione. Infatti, il documento riportando la data della XXVI acclamazione in onore di una vittoria imperiale, vale a dire tra il gennaio 52 e il 1° agosto dello stesso anno e siccome
l’incarico proconsolare durava un anno e iniziava ai primi di luglio terminando alla fine di giugno dell’anno successivo,
se ne può dedurre che Gallione occupò la sede di Corinto dal 1° luglio 51 e il 30 giugno 52.
3
Tabella della cronologia paolina8
Cronologia relativa:
lettere di Paolo
Cronologia relativa:
Atti degli Apostoli
Cronologia assoluta
Tra il 5 e il 10 d.C. Paolo
nasce da famiglia ebrea a
Tarso di Cilicia sotto
l’Impero di Augusto. Fu
chiamato Saul
Tra il 25 e il 30 d.C. Paolo
visse a Gerusalemme e
studiò la Torah alla scuola
di rabbi Gamaliele
Gal 1,13ss: conversione
At
9,1-19:
conversione
Damasco
(// At 22,6-11; 26,12-18)
a = circa 34/35
Gal 1,17: in Arabia e a Damasco
At 9,19b-25: predicazione a Da- = circa 35/37
masco
Gal 1,18s: dopo tre anni, viaggio At 9,26-31: a Gerusalemme (I)
a Gerusalemme, dove rimane 15 At 11,30: a Gerusalemme (II)
giorni
Gal 1,21: in Siria e in Cilicia
At 13,1-14,28: I viaggio (partenza = circa 40
da Antiochia di Siria verso Cipro,
Perge, Antiochia di Pisidia, la regione della Licaonia e ritorno ad
Antiochia di Siria)
Gal 2,1-10: dopo 14 anni, secon- At 15,1-21: a Gerusalemme (III)
do viaggio a Gerusalemme
«assemblea degli apostoli»
Gal 2,11-21: incidente di Antiochia
1Ts 2,2: Filippi e Tessalonica
= circa 48/49
At 15,35-18,22: II viaggio (parten- = circa 49-52
za da Antiochia di Siria verso la
catena del Tauro, le regioni della
Galazia, della Frigia, Troade, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto,
e ritorno via mare per Efeso, Cesarea Marittima, poi Gerusalemme e infine ad Antiochia di Siria)
1Ts 3,1: Atene
1Ts 3,2-6: Corinto (1Ts [51])
At 18,11: un anno e sei mesi a
Corinto
At 18,12: Gallione proconsole
d’Acaia
L’iscrizione di Gallione a
Delfi: tra 25 gennaio e 1
agosto del 52
Gallione a Corinto: 1/7/511/8/52
8
VOUGA F., «Cronologia paolina», in D. MARGUERAT, ed., Introduzione al Nuovo Testamento. Storia – redazione –
teologia, Torino 2004, 150.
4
Paolo a Corinto: tra la fine
del 49 – estate 51 e fine 50
– primavera 52
At 18,20ss: a Gerusalemme (IV)
1Cor 16,8: a Efeso fino a Pentecoste
(1Cor [55/57] + Gal [57] + Fil
[55/57]?)
At 18,23-21,26: III viaggio (par- = dal 51/52 al 54/55
tenza da Antiochia di Siria verso
Tarso, la regione della Galazia,
della Frigia, Efeso, la regione della Macedonia, Corinto e ritorno
via mare per Mileto e Tiro)
At 19,8.10: due anni e tre mesi a
Efeso
2Cor 2,12s: Paolo a Troade
2Cor 7,5ss: Paolo in Macedonia
(2Cor [56/58])
2Cor 9,4; 10,2; 12,14; 13,1.10:
viaggio a Corinto
1Cor 16,6: inverno a Corinto (Rm At 20,3: tre mesi in Grecia (a Co- = circa 55/56 oppure 56/57
[57/58])
rinto)
Rm 15,25ss: piano di viaggio a At 20,1-21,26: a Gerusalemme
Gerusalemme
(V)
At 21,27-23,22: arresto a Gerusalemme
At 23,22-26,32: due anni a Cesarea Marittima
Rm 15,24.28: piani di viaggio per At 27,1-28,31: IV viaggio (parten- = circa 60/61
la Spagna (Fm [61/63] a Roma?)
za da Cesarea M. per Sidone, Mira, Creta, Malta [tre mesi], Siracusa [tre mesi], Pozzuoli [sette
giorni] e Roma [due anni])
Tra il 64 e il 70 martirio a
Roma
5
2 Il kh,rugma dell’apostolo Paolo
2.1
L’annuncio cristiano come decisione per la vita: 2Cor 2,14-3,6
«14Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per
mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero!
15
Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli
che si perdono; 16per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la
vita. E chi è mai all’altezza di questi compiti? 17Noi non siamo infatti come quei molti che
mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, davanti a Dio, noi
parliamo in Cristo.
1
Cominciamo forse di nuovo a raccomandare noi stessi? O forse abbiamo bisogno, come
altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? 2La nostra lettera siete voi,
lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. 3È noto infatti che voi
siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del
Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. 4Questa è la
fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. 5Non però che da noi stessi siamo
capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio,
6
che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito;
perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita».
2.2
Predicazione, kerygma
Nella Seconda Lettera ai Corinzi Paolo afferma che il protagonista nel ministero
della predicazione del Vangelo è Dio. Senza Dio chi mai sarebbe all’altezza di questi
compiti? Dio ha dato ad alcuni la capacità di mettersi a servizio dell’annuncio del
Vangelo. Quest’annuncio ha un’importanza fondamentale: «Cristo, infatti, non mi ha
mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo; e non in sapienza di parola, perché
non venga resa vana la croce di Cristo» (1Cor 1,17).
Qual era il contenuto di questo Vangelo?
Diciamo subito, con le parole di Paolo, che il Vangelo è la «potenza di Dio per la
salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16).
2.2.1 La terminologia
Prima di approfondire il contenuto del Vangelo predicato, indaghiamo sulla terminologia usata nel Nuovo Testamento, in particolare nelle lettere di Paolo, con riferimento ad esso.
I due verbi principali che indicano l’azione del proclamare e dell’annunciare sono
khru,ssw (kēryssō) ed euvaggeli,zwmai (eyanghelizōmai) ognuno dei quali ricorre più di
20 volte. Generalmente khru,ssw pone in evidenza l’attività, l’azione del predicare; il
6
sostantivo della stessa radice è kh,rugma (kēryghma) e significa «annuncio, predicazione, proclamazione». Invece euvaggeli,zwmai dice la qualità del messaggio, il suo
contenuto; il sostantivo della stessa radice è euvagge,lion (eyanghelion) e significa
«buona notizia, vangelo».
Tuttavia, i due termini vengono in pratica a coincidere in alcuni passi:
- «a colui che ha il potere di confermarvi secondo il vangelo [to. euvagge,lion] e l’annuncio
[to. kh,rugma] di Gesù Cristo» Rm 16,25;
- «Vi salii (a Gerusalemme) in seguito ad una rivelazione, ed esposi a loro (agli apostoli) il
vangelo [to. euvagge,lion] che proclamo [khru,ssw] ai pagani, ma in privato ai notabili, per
evitare il rischio di correre o di aver corso invano» Gal 2,2;
- «ora, siete stati riconciliati nel suo (di Gesù) corpo mortale mediante la (sua) morte, per
presentarvi santi, integri e irreprensibili davanti a lui, se perseverate saldamente fondati
sulla fede e irremovibili nella speranza del vangelo [tou/ euvaggeli,ou] che avete udito, il
quale è predicato [tou/ khrucqe,ntoj (kērychthentos)] a ogni creatura che è sotto il cielo e
del quale io, Paolo, sono divenuto ministro» Col 1,22-23;
- «Voi ricordate, infatti, o fratelli, le nostre fatiche e i nostri stenti: lavorando giorno e notte
per non essere di peso a nessuno di voi, vi predicammo [evkhru,xamen (ekēryxamen)] il vangelo [to. euvagge,lion] di Dio» 1Ts 2,9.
Paolo però usa anche altri termini in contesti in cui, in qualche modo, essi diventano sinonimi di khru,ssw e euvaggeli,zwmai.
Li troviamo nei seguenti passi:
- «rendere noto, far conoscere gnwri,zw (ghnōrizō) [il mistero del vangelo]» Ef 6,19;
- «[Gesù Cristo] fu presentato proegra,fh (proeghraphē) [crocifisso]» Gal 3,1;
- «[il mio nome (di Dio)] sia proclamato diaggelh/| (dianghelē) [in tutta la terra]» Rm 9,17;
- «[la vostra fede] è proclamata katagge,lletai (katanghelletai) [in tutto il mondo]» Rm
1,8;
- «abbiamo testimoniato evmarturh,samen (emartyrēsamen) [di Dio che risuscitò il Messia]»
1Cor 15,15;
- «[tu, dunque] che insegni dida,skwn (didaskōn) [agli altri]» Rm 2,21;
- «[Signore, chi credette al nostro] annunzio-notizia th/| avkoh/|?(tē akoē)» Rm 10,16-17;
- «[Così] la testimonianza to. martu,rion (martyrion) [di Cristo fu stabilita in voi]» 1Cor
1,6;
- «[La] parola o` lo,goj (loghos) [di Cristo abiti in voi]» Col 3,16.
È interessante costatare che l’antico kh/rux (kēryx) greco, o messaggero, doveva essere una persona integra e aveva il dovere di annunciare al popolo esattamente quello
che il re desiderava comunicare. Aggiungere o togliere qualcosa a questo messaggio
era considerato un tradimento.
7
2.2.2 I «caratteri» della predicazione
La predicazione primitiva ha un carattere «testimoniale», cioè si basa sui testimoni
oculari dei fatti della vita di Gesù di Nazaret e riceve da loro la testimonianza autentica su Cristo.
Anche per Paolo predicare equivale a:
- rendere testimonianza:
1Cor 15,12.14-15 «12Ora, se si predica che Cristo fu risuscitato dai morti, come possono
dire alcuni tra voi che non c’è risurrezione dai morti? [...] 14Ma se Cristo non fu risuscitato,
allora è vana la nostra predicazione e vana è anche la vostra fede. 15E ci troveremmo anche
ad essere falsi testimoni di Dio, perché abbiamo testimoniato evmarturh,samen (emartyrēsamen) di Dio che ha risuscitato il Messia, il quale allora non risuscitò, se fosse vero che i
morti non vengono risorti»;
- con fedeltà:
1Cor 4,1-2 «1Ogni uomo ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di
Dio. 2Ora, qui si cerca negli amministratori che ognuno sia trovato fedele pisto,j (pistos)»;
- con franchezza:
1Ts 2,2 «ma, dopo aver prima sofferto ed essere stati insultati, come sapete, a Filippi parlammo francamente (con coraggio) evparrhsiasa,meqa (eparrēsiametha) in Dio nostro per
dire a voi il vangelo di Dio in mezzo a molti ostacoli»;
- con limpidità cristallina:
2Cor 2,17 «Infatti, noi non siamo come i molti che trafficano la parola di Dio, ma con limpidezza eivlikrinei,aj (eilikrineias), come mossi da Dio, davanti a Dio parliamo in Cristo».
La predicazione primitiva ha un carattere «tradizionale», cioè quella parola predicata dagli apostoli e dai testimoni era ricevuta e trasmessa in una comunità conservatrice, volta a ricevere con esattezza, a conservare e a trasmettere fedelmente il messaggio.
Paolo ci ha ricordato che un dovere fondamentale dei dispensatori della parola è
«che siano trovati fedeli» (1Cor 4,1-2).
Inoltre, riguardo a due punti fondamentali della tradizione evangelica, cioè eucaristia e risurrezione, egli scrive:
- 1Cor 11,23-26 «23Io ricevetti pare,labon (parelabon) dal Signore quello che vi trasmisi
pare,dwka (paredōka): che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane 24e,
reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria
8
di me”. 25Allo stesso modo, dopo avere cenato, prese anche il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria
di me”. 26Quindi tutte le volte che voi mangiate questo pane e bevete a questo calice, annunziate la morte del Signore, finché egli venga».
- 1Cor 15,1-8.11 «1Vi richiamo poi, o fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che avete
ricevuto, nel quale perseverate, 2e dal quale ricevete la salvezza, se lo ritenete nei termini
con cui ve l’ho annunziato; altrimenti avreste creduto invano. 3Vi trasmisi pare,dwka, dunque, anzitutto quello che ricevetti pare,labon, che Cristo morì per i nostri peccati secondo le
Scritture, 4e che fu sepolto, e fu risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; 5e che apparve a Cefa, e poi ai Dodici. 6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta,
la maggior parte dei quali vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Poi apparve a Giacomo,
e quindi a tutti gli apostoli. 8Infine apparve anche a me, ultimo di tutti, come un aborto.
[…] 11Sia dunque io sia loro così predichiamo khru,ssomen e così avete creduto».
Un esegeta anglosassone, tra i più autorevoli in campo neotestamentario, Charles
Harold Dodd, ha affermato che: «La Chiesa primitiva era una comunità ben definita e
saldamente organizzata. Essa aveva un senso acuto del proprio dovere di promulgare
la fede e della propria responsabilità riguardo alla verità di ciò che essa annunciava.
Una delle parole più comuni dell’Antico Testamento è la parola “testimonio”. La comunità cristiana, operando per mezzo dei suoi agenti accreditati, apostoli, evangelisti,
dottori, ha sempre ritenuto proprio punto di onore il dire la verità come un testimonio
al tribunale. Questa è l’atmosfera i cui la tradizione orale ha preso forma».
2.3
Il contenuto della predicazione cristiana antica
2.3.1 La comunicazione orale del messaggio cristiano
Nelle sue lettere Paolo dà per assodato che i cristiani cui si rivolge conoscano i
principali fatti della vita di Gesù o almeno alcuni suoi detti 9. Egli si sofferma sommariamente sui fatti, per sviluppare in modo più ampio le conseguenze che essi hanno
avuto e che hanno sulla vita dei credenti.
L’apostolo esprime tutto ciò che riguarda l’istruzione dei fedeli con un vocabolario
tipico della comunicazione orale del messaggio. Egli usa frequentemente i verbi:
«predicare» (19 volte), «annunciare» (5 volte), «evangelizzare» (23 volte), «parlare»
(76 volte), «testimoniare» (19 volte), «catechizzare» (4 volte), «insegnare» (17 volte),
9
Questo si evince dagli accenni che l’apostolo fa in alcuni passi come: Rm 1,3s.; 8,34; Gal 3,1; 1Cor 11,23s.;15,1s.;
1Ts 5,1-6.
9
«trasmettere» (19 volte), e da parte dei fedeli «ascoltare» (42 volte), «obbedire» (13
volte), «ricevere» (12 volte).
2.3.2 Il kerygma di Paolo
Che cosa annunciava Paolo? Come possiamo ricostruire i contenuti della predicazione o annuncio del missionario Paolo di Tarso? Della sua predicazione orale che
cosa rimane? È possibile risalire al contenuto della predicazione dell’apostolo?
Gli scritti del Nuovo Testamento, e in particolare le lettere di san Paolo, sono le
fonti più antiche e dunque le migliori che ci permettono di trovare la risposta ai nostri
quesiti. Esse hanno conservato alcuni formulari tradizionali, kerygmatici o catechetici, anteriori all’apostolo, nel senso che lui li ha ricevuti da una realtà orale precedente. Questi si possono richiamare direttamente al kerygma apostolico, ossia alla prima
proclamazione del messaggio cristiano ai non cristiani. Così il contenuto della predicazione nella Chiesa nascente può essere determinato attraverso l’analisi attenta di
queste formule fisse rintracciabili negli scritti neotestamentari10.
Paolo nel suo insegnamento è sostanzialmente fedele alla predicazione degli apostoli. Nelle sue lettere troviamo alcuni frammenti del kerygma apostolico. Tra di essi
sono importanti soprattutto i seguenti:
- 1Cor 15,1-5 «1Vi richiamo poi, o fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che avete ricevuto, nel quale perseverate, 2e dal quale ricevete la salvezza, se lo ritenete (ti,ni lo,gw|)
nella parola-formula con cui ve l’ho annunziato; altrimenti avreste creduto invano. 3Vi ho
dunque trasmesso, anzitutto, quello che ho ricevuto, che Cristo morì per i nostri peccati
secondo le Scritture, 4e che fu sepolto, e fu risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; 5e che apparve a Cefa, e poi ai Dodici».
Si tratta di una tradizione ricevuta da Paolo e trasmessa alla comunità di Corinto
sulla morte, sepoltura, risurrezione e sulle apparizioni di Gesù.
Vi sono buoni motivi per ritenere che questo testo fosse una formula antica della
predicazione:
1. in primo luogo perché è Paolo stesso a presentarlo come una tradizione identica
per tutti (1Cor 15,11);
10
Il Nuovo Testamento enuncia spesso in modo generico il contenuto della predicazione di Cristo o degli apostoli: il
Regno di Dio (Mc 1,15), Cristo crocifisso (1Cor 1,23), Gesù il Cristo (At 9,22). Di qui appare già una certa unità in
questa predicazione, e il fatto che essa ha come centro la persona di Gesù.
10
2. lo,goj (15,2) può significare anche «formula fissa» e indicare quindi che ciò che
si dirà in seguito ai versetti 3-5 è una formula che si tramandava a memoria nella catechesi;
3. «ho trasmesso – ho ricevuto» (15,3) sono termini rabbinici caratteristici di una
tradizione orale;
4. il procedere letterario è ritmico, con divisioni che facilitano l’apprendimento
mnemonico e sono proprie dello stile orale;
5. «secondo le Scritture» e «i Dodici» (15,3.4.5) non sono termini tipici degli scritti paolini, perciò Paolo li usa riportandoli fedelmente da una tradizione precedente.
Quando ricevette questa formula Paolo? Con tutta probabilità dopo la sua conversione, o in occasione della sua visita a Gerusalemme, cioè al più tardi negli anni 3437, non più di 5-8 anni dopo la morte di Gesù.
- Rm 10,8-9 «8… La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore. E questa è la parola della fede che noi proclamiamo: 9se tu professerai con la tua bocca “Signore Gesù!”, e
crederai nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato».
Questa è una confessione di fede probabilmente in uso nella comunità primordiale,
con la quale il cristiano professava che il centro della sua fede (che aveva ricevuto
dalla predicazione) era riconoscere Gesù come «Signore», proclamandone la «risurrezione dai morti». Passione, morte e risurrezione appaiono così come i dati basilari
del kerygma, secondo quanto si è visto anche in 1Cor 15,3-5.
- Rm 1,1-4 «1Paolo, schiavo di Gesù Cristo, chiamato apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio - 2vangelo che egli aveva preannunciato per mezzo dei suoi profeti negli scritti
sacri - 3riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai
morti: Gesù Cristo Signore nostro».
San Paolo si presenta a una comunità, quella di Roma che non conosce personalmente, offrendole una sintesi della sua predicazione e così testimoniare la sua ortodossia. Il vangelo che egli annuncia è quello predetto già dai profeti, che riguarda Gesù Cristo, nato dal seme di Davide, morto, risorto e glorificato. Nella formula si
trovano delle espressioni che non sono propriamente paoline; è possibile che anche
qui ci sia la traccia di un modello di annuncio della fede in uso tra le comunità.
- 1Ts 1,9-10 «9…vi siete convertiti a Dio dagli idoli, per servire il Dio vivo e vero, 10e per
aspettare dai cieli il suo Figlio, che egli risuscitò dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira
che viene».
11
Anche l’attesa del ritorno del Signore risorto come liberatore dal destino di morte
fa parte di un patrimonio comune che Paolo comunica fedelmente.
Sommando questi dati possiamo ricavare gli elementi fissi del kerygma in uso al
tempo di Paolo:
- le profezie si sono adempiute e s’inizia una nuova era;
- Gesù è nato dalla stirpe di Davide;
- è morto, secondo le Scritture, per liberarci dai peccati;
- è stato sepolto;
- fu risorto il terzo giorno, secondo le Scritture ed è apparso ad alcuni testimoni, di
cui si ricordano i nomi;
- per la risurrezione è stato costituito Figlio di Dio in potenza, Signore dei vivi e
dei morti.
2.3.3 Frammenti kerygmatici negli «Atti degli Apostoli»
Gli Atti degli Apostoli presentano, in genere, indizi che li fanno ritenere composti
sulla base di tradizioni e di fonti più antiche. Occorre citare alcune formule petrine
degli Atti che in maniera pregnante fissano l’itinerario di Gesù dal battesimo di Giovanni fino all’ultima Pasqua.
I discorsi di Pietro nei primi capitoli sono caratterizzati da un’atmosfera particolare
– sono fatti a Gerusalemme nel tempio – atmosfera che mai più si è verificata in seguito nella storia della Chiesa, da una serie di elementi cristologici e teologici arcaici,
legati cioè col primo sorgere del pensiero cristiano e scomparsi in seguito, e da un
peculiare substrato aramaico in alcune espressioni. Tali fatti, insieme con l’onestà
storica di Luca, alimentano l’ipotesi che i discorsi della prima parte degli Atti11 siano
costruiti sulla base di fonti e tradizioni più antiche.
Oltre a questi testi anche il discorso tenuto da Paolo ad Antiochia di Pisidia (At
13,16-43) e le parole pronunciate ad Atene, davanti all’Areopago (At 17,22-31) offrono un’importante documentazione sul kerygma.
È quindi possibile, esaminando i temi principali su cui convergono costantemente
questi discorsi, raccogliere gli elementi comuni nei quali possiamo dire che si rifletta
11
At 2,14-40; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-43.
12
la predicazione primitiva. Essi sono: - è iniziata l’era dell’adempimento delle profezie;
- Gesù è della stirpe di Davide;
- egli viene dopo la predicazione di Giovanni il battista;
- ha fatto prodigi e miracoli, e si è mostrato profeta;
- ha sofferto sotto Ponzio Pilato; gli fu preferito un omicida;
- è risorto ed è apparso a dei testimoni;
- è stato esaltato;
- appello finale alla penitenza.
2.3.4 Il fondo comune della predicazione
Mettendo insieme i dati emersi dall’analisi dei frammenti kerygmatici paolini e
quelli degli Atti degli Apostoli, possiamo avere un quadro pressoché completo del
contenuto della predicazione più antica. Con questo materiale traiamo alcune conclusioni:
- il kerygma si basava su uno schema che iniziava con le profezie messianiche, annunciava che esse avevano il loro compimento nella vita di Gesù, il quale nacque dalla stirpe di Davide, fu preannunciato da Giovanni il battista, operò in Galilea come
taumaturgo, esorcista e profeta, si trasferì infine a Gerusalemme e là fu condannato
sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, fu risorto il terzo giorno ed esaltato come Signore e Giudice venturo: di qui la necessità della conversione.
- tali elementi costituiscono naturalmente solo uno schema. È necessario supporre
che i singoli punti venissero ampliati e spiegati nella predicazione. Il kerygma con i
suoi sviluppi appare così il «Sitz im Leben», ossia “l’ambiente vitale” opportuno in
cui le tradizioni sulla vita di Gesù potevano venire raccolte e ordinate per le necessità
della predicazione.
- la predicazione primitiva è senza dubbio la situazione vitale in cui si è formato il
materiale della tradizione scritta.
13
2.4
Il Vangelo annunciato da Paolo
Il messaggio di Paolo si concentra dunque sulla persona di Gesù Cristo (Gal 1,16),
e in particolare su «Cristo crocifisso» (1Cor 1,23) e «risuscitato dai morti» (1Cor
15,12; At 13,30-37; 17,31). Il contenuto del suo messaggio e definito come: «la parola della fede» (Rm 10,8), «Gesù Cristo Signore» (2Cor 4,5), «il vangelo» (Gal 2,2;
Col 1,23) o «il vangelo di Dio» (1Ts 2,8.9; 2Cor 11,7), «la fede» (Gal 1,23), «le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8). Negli Atti degli Apostoli si dice che Paolo
ha predicato «il regno» (At 20,25) o «il regno di Dio» (At 28,31). Questo vangelo è
l’unico vangelo autentico; chi predica «un altro vangelo» è maledetto (Gal 1,6-8;
2Cor 11,4.13-15). Paolo ritiene che il vangelo gli sia stato affidato da Dio (Tt 1,3),
perciò egli evita parole di adulazione e d’inganno e parla apertamente di sé come di
«colui che Dio ha trovato degno di affidargli il vangelo» (1Ts 2,4-5).
Col termine «vangelo» si devono intendere almeno tre realtà strettamente legate: a)
l’amore gratuito di Dio, b) l’evento di Gesù Cristo che lo ha manifestato, c) la predicazione che lo annuncia. È questo che l’apostolo Paolo chiama “suo” vangelo e del
quale si sente debitore verso tutti rispondendo così al dovere che egli ha verso Dio.
L’apostolato di Paolo è indissolubilmente legato al suo vangelo. Come descrive dettagliatamente in Gal 1,11-16 e in 2Cor 4,1-6 Paolo ha ricevuto il vangelo al momento
della sua chiamata mediante la rivelazione di Gesù Cristo. Il vangelo è una potenza di
rivelazione che impegna l’apostolo nella buona e nella cattiva sorte alla stessa maniera dei profeti dell’AT impegnati dalla parola di Dio a loro affidata (Ger 20,9).
«All’umanità del suo tempo, percorsa da una crisi drammatica, ma anche da sinceri
fremiti di rinnovamento, Paolo lancia una sfida provocante: chi, se non Gesù di Nazaret, può indicare sia ai giudei che ai gentili una vera ed efficace via di salvezza? […]
l’umanità peccatrice può diventare giusta solo accogliendo mediante la fede il dono
della giustificazione che Dio le ha fatto in Cristo»12.
Il vangelo non è una scienza o una dottrina dalla quale si può anche prescindere; è
invece una «potenza», e precisamente una potenza che Dio esercita per salvare coloro
che lo accolgono con fede13. “Potenza di Dio che salva” vuole significare che il van-
12
Alessandro Sacchi.
Il concetto di fede ha origine nella sfera dell’alleanza tra JHWH e il suo popolo (Gn 15,6; Es 24,1-11; Is 45,8;
51,6-8; Ger 23,5-6) ed esprime, non diversamente dall’«amore» o dal «timore», l’atteggiamento con cui l’uomo aderisce a Dio ed accetta la salvezza che gli viene offerta. Per Paolo dunque la fede non è un atto dell’intelletto che accetta
13
14
gelo non è un semplice perdono che dimentica la colpa, né semplicemente amore che
ama gratuitamente, ma è una forza che crea, rinnova e trasforma l’uomo.
L’apostolo proclama un vangelo che non si riduce a informare sull’iniziativa della
grazia di Dio e sull’evento della morte e risurrezione di Gesù di Nazaret. È, anzitutto,
parola di Dio e di Cristo. Paolo predica? Sono il Padre celeste e Gesù risorto che,
mediante lui, interpellano gli ascoltatori provocandoli ad una scelta nuova di vita.
Il vangelo è dunque la potenza “salvifica” di Dio, è Dio stesso in persona che si rivela in Gesù Cristo crocifisso e in lui manifesta, in virtù dello Spirito, il suo regno.
2.5
Il coraggio di viaggiare per il Vangelo
Nella Chiesa delle origini certamente nessuno ha obbedito al comando divino di
andare in tutto il mondo ad annunciare il vangelo come Paolo di Tarso, dopo che nel
tempio di Gerusalemme gli era stato detto in una visione dal Signore risorto: «Va’,
perché io ti manderò lontano, tra i pagani» (At 22,21). Verso la fine del terzo viaggio
missionario l’apostolo può scrivere ai cristiani di Roma di aver già evangelizzato
l’Oriente, «da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria» (Rm 15,19), e di aver in programma di passare per la capitale dell’Impero e poi di recarsi in Spagna (Rm
15,24.28). Per conquistare il bacino del Mediterraneo a Cristo, dal quale egli stesso
era stato conquistato, Paolo non esitò a compiere, per terra e per mare, numerosi
viaggi che si calcola abbiano superato i quindicimila chilometri.
Benché più lunghi e faticosi di quelli via mare, i viaggi sulle strade avvenivano con
maggiore frequenza, perché non erano troppo condizionati dalle stagioni né si svolgevano sotto l’incubo delle tempeste fatali. I Romani avevano aperto, costruito e restaurato più di ottantamila chilometri di ampie strade. Tra quelle percorse da Paolo
richiamiamo: la Via Augusta, sistemata al tempo dell’imperatore Augusto, che collegava Attaglia, Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe; l’antichissima Via
Maris che univa l’Egitto, Cesarea Marittima, Tolemaide (Acco), Tiro, Sidone, Antiochia di Siria e Damasco; la Via Egnatia, costruita verso il 130 a.C., che raccordava
Filippi, Anfiboli, Apollonia e Tessalonica; la regina delle strade romane, la Via Apcome vera una certa dottrina (Gal 5,6; 1Cor 13,2-3; 1Ts 1,3s; Gc 2,14-17), ma l’adesione piena e totale a una persona,
lasciandosi coinvolgere da essa, dai suoi pensieri e dai suoi progetti.
L’insistenza di Paolo sulla necessità della fede non toglie nulla alla gratuità dell’azione di Dio, ma la assicura e la
salvaguarda, mostrando che la salvezza di Dio è proprio «grazia», nient’altro che libero dono (Rm 3,20-31; Gal 2,15-21;
3,2.5.11s; Fil 3,9).
15
pia, iniziata da Appio Claudio Cieco nel 312 a.C., che congiungeva Foro di Appio,
Tre Taverne e Roma.
Quando non si andava a piedi o a dorso di mulo o di cavallo, si usavano carri privi
di molleggio, tutt’altro che comodi. Ancor meno conforto assicuravano in genere le
locande, veri e propri caravan serragli dove si prendeva un boccone oppure ci si riparava la notte su brande e letti regolarmente infestati da insetti.
I viaggi di Paolo furono incredibilmente penosi. Ai cristiani di Corinto egli scrive
che il suo ministero itinerante è segnato da fame e sete, da nudità e mancanza di fissa
dimora, da insulti, persecuzioni e calunnie. L’apostolo si vede relegato in coda a tutti
gli uomini, dà il pietoso spettacolo di un condannato alle bestie alla stregua di un gladiatore, si sente disprezzato come spazzatura e feccia della società (1Cor 4,9-13).
In un secondo tempo dinanzi alla stessa comunità greca dell’istmo enumera le angosce del suo ministero, che va svolgendosi fra tribolazioni e necessità, percosse e
prigioni, tumulti e fatiche, veglie e digiuni. Inoltre riconosce di passare per impostore, sconosciuto, moribondo, afflitto, povero e privo di tutto (2Cor 6,4-10). Polemizzando con gli oppositori, si sofferma a presentare, seppure a malincuore, le sue credenziali di apostolo: è apostolo autentico perché perseguitato:
- 2Cor 11,21-28 «Ma in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi
anch’io. Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono discendenti di Abramo?
Anch’io! Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro. Molto di
più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie; infinitamente di più nelle percosse; spesso in
pericolo di morte. Dai Giudei ricevetti per cinque volte i quaranta colpi meno uno; tre volte
sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte naufragai, ho trascorso un giorno e una notte nell’abisso del mare. Viaggi innumerevoli, tra pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dalla mia gente, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio,
spesso nelle veglie, nella fame e nella sete, spesso nei digiuni, nel freddo e nella nudità.
Senza contare le cose restanti, la mia preoccupazione quotidiana, la cura per tutte le Chiese».
In quel tempo, dunque, la predicazione non era un compito facile.
Paolo non l’aveva scelta. Invece, fin dalla nascita Paolo era stato scelto per predicare il vangelo (Gal 1,15-16; Rm 1,1). Al tempo opportuno Dio, con la sua grazia, lo
aveva chiamato e gli aveva rivelato il proprio Figlio, Gesù Cristo, per farlo conoscere
fino agli estremi confini della terra.
16
Paolo si riteneva servo del vangelo (Col 1,23). Nonostante le innumerevoli difficoltà egli diceva d’essere «costretto a predicare» e confessava: «Guai a me se non
annunzio il vangelo» (1Cor 9,16; At 20,24). Era desideroso di annunciarlo ovunque,
soprattutto nei luoghi dove esso non era ancora giunto (Rm 1,5; 15,20; 2Cor 10,16)
perché, dopo aver incontrato il Signore, per lui il vivere era Cristo e il morire un guadagno.
2.6
Paolo ministro del Nuovo Testamento
Paolo ha compreso la novità di Cristo come messaggio di rottura, come una parola
“potente” che impone una decisione, una scelta fondamentale. Il non scegliere è già
porsi fuori dalla logica della vita; così era nata la religione in Israele: «Io ti ho posto
davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita» (Dt
30,19). Il vangelo di Gesù è questa scure posta alle radici di ogni esistenza: «beati
voi, guai a voi». La sua stessa croce è pietra d’inciampo, è forza o pazzia. Tuttavia la
potenza non è dell’annunciatore, ma della Parola. La forza del messaggero è nella sua
coerenza, nel suo trafficare la parola, nel non farne fonte di guadagno, di onore, di
potere; nel pascere il gregge non per vile interesse ma con gioia (1Pt 5,2).
L’evangelizzazione è “solo il non poter tacere”: «guai a me se non predicassi il vangelo» (1Cor 9,16). Ma non può tacere solo chi «ha trovato Gesù Cristo nostro Signore».
Paolo si era presentato ai Corinzi con paura e trepidazione (1Cor 2,3), basando il
suo annuncio, non su di un linguaggio raffinato, sul bel parlare, sulla logica stringente, ma sulla potenza dello Spirito (1Cor 2,4).
È questo Spirito che genera la vita.
17
3 Le lettere di Paolo
L’epistolario del NT comprende una raccolta di tredici lettere che rivendicano esplicitamente la paternità dell’apostolo Paolo. Esse sono generalmente raggruppate in
«lettere maggiori» (Rm, 1-2Cor, Gal, 1-2Ts); «lettere della prigionia» (Ef, Fil, Col,
Fm), così chiamate perché l’apostolo si presenta come prigioniero; «lettere pastorali»
(1-2Tm, Tt), le quali derivano il loro nome dal fatto che in esse l’apostolo affida a
ciascuno dei due destinatari la cura di una determinata regione. All’epistolario paolino appartengono lettere sicuramente autentiche (Rm, 1-2Cor, Gal, Fil, 1Ts, Fm) e altre la cui autenticità non è sicura o è negata da un certo numero di studiosi (Ef, Col,
2Ts, 1-2Tm, Tt), queste ultime sono anche chiamate «deuteropaoline».
3.1 Dalla missione alle lettere
Nelle lettere Paolo rivela il suo talento di teologo e di scrittore, ma soprattutto rivela il suo vero carisma: la missione. Dopo aver fondato nel mondo ellenistico, numerose e fiorenti comunità cristiane, egli volle seguirne la crescita attraverso una vigile e
costante guida pastorale. Paolo incominciò a scrivere per mantenere i contatti con le
comunità, per aiutarle a risolvere i loro problemi e per rendere più efficace la loro testimonianza nel mondo. Le lettere di Paolo sono nate dalla missione e in vista della
missione.
La lettera più antica dell’epistolario paolino è quasi certamente quella che
l’apostolo inviò alla comunità cristiana di Tessalonica, poco tempo dopo la sua fondazione (1Ts 3,1-2.6), quando era impegnato nell’evangelizzazione di Corinto (At
18,5). Le altre lettere sicuramente paoline videro la luce durante il “periodo efesino”
dell’apostolo (At 19,1-20,3). Le informazioni in esse contenute mostrano che Paolo si
teneva in stretto contatto con le comunità da lui fondate in Anatolia e in Grecia, contribuendo in modo decisivo alla loro maturazione nella fede. Inoltre ebbe contatti con
comunità che non erano di sua fondazione: è questo il caso della lettera indirizzata a
Filemone, un cristiano che probabilmente era il responsabile della comunità di Colossi. Infine, da Corinto, prima di mettersi in viaggio verso Gerusalemme, Paolo scrisse
18
alla comunità di Roma. Le circostanze in cui queste lettere furono composte sono
dunque conosciute ma restano incerti numerosi dettagli di tempo e di luogo 14.
Nelle lettere deuteropaoline il rapporto diretto tra Paolo e le sue comunità viene
ormai a mancare. Esse sono composte in circostanze estranee al corso della sua vita,
quale risulta dalle lettere precedenti e dagli Atti degli Apostoli. Manca in esse un aggancio diretto e immediato con la situazione e i problemi di coloro ai quali sono indirizzate, sembrano rivolte a un uditorio più ampio, con lo scopo di inculcare alcune idee e di correggere alcuni errori. In esse si rispecchia un periodo storico successivo
nel quale la Chiesa sente la necessità di preservare le autentiche tradizioni apostoliche
e di difenderle nei confronti di chi divulga false dottrine.
Gli scritti di Paolo non hanno nulla in comune con gli scritti di un teologo che elabora a tavolino le sue dottrine. Al contrario, le dottrine furono concepite in funzione
della situazione concreta in cui l’apostolo si trovava, cioè per la crescita e la maturazione di giovani comunità, con tutti i loro problemi e difficoltà: esse dunque devono
essere lette e comprese nell’ambiente specifico in cui hanno visto la luce.
3.2 La forma delle lettere paoline15
Nel mondo antico le lettere erano composte seguendo uno schema con un formulario abbastanza rigido: esse iniziavano con un «prescritto» o apertura 16, veniva poi il
14
Durante la sua attività missionaria Paolo si trovò spesso nella necessità di difendersi nei confronti di altri cristiani
che mettevano in discussione non solo le sue idee, ma anche l’autenticità del suo apostolato. Le posizioni degli avversari possono essere colte solo indirettamente, da allusioni e spunti polemici contenuti nelle lettere stesse. Questo metodo è
chiamato mirror reading, o «analisi speculare», poiché si suppone che gli avversari sostenessero quanto l’apostolo contestava e negassero quanto egli si sforzava di inculcare. Questa “lettura tra le righe” offre notevoli vantaggi ma rischia
di far dire ai testi ciò che l’autore non intendeva.
15
La parola greca evpistolh, epistolē (significa «epistola» o «lettera») si riferiva originariamente a una comunicazione
orale inviata tramite un messaggero. Il termine lettera, nel mondo antico, poteva designare un ampio spettro di documenti: testi commerciali, governativi e legali, relazioni politiche e militari, oltre a tutte le altre forme di corrispondenza,
soprattutto di carattere personale. Paolo adattò i modelli della lettera greco-romana a usi cristiani. Le sue lettere sono
costruite in maniera simile alle ellenistiche. Tuttavia l’apostolo, che in fatto di letteratura si sentiva totalmente libero,
non si vincolò a modelli fissi, e spesso combinò insieme usanze ellenistiche non giudaiche con usanze ellenistiche giudaiche.
Rispetto alla classificazione di A. Deissmann che distinse le «lettere» (intese come spontanee, quotidiane e occasionali) dalle «epistole» (intese come meccaniche, artistiche e letterarie), quelle di Paolo sono lettere un po’ più che «private». Egli scrive con l’autocoscienza dell’apostolo, nella veste di rappresentante di Cristo risorto (Gal 1,1.15.16; 5,2),
impegnato in un’attività d’istruzione, consiglio, incoraggiamento e rimprovero. La maggior parte delle lettere di Paolo
sono indirizzate a comunità di credenti e sono destinate a una lettura pubblica all’interno delle assemblee.
16
Nel prescritto s’indicava il nome del mittente al nominativo (superscriptio) seguito da quello del destinatario al
dativo (adscriptio) e da un saluto augurale (salutatio) solitamente cai,rein chairein «salve» all’infinito (At 15,23; Gc
1,1), ed eventualmente un breve esordio o ringraziamento dettato dalle circostanze.
19
«corpo della lettera»17 e terminavano con un «postscritto» o chiusura18. Nel mondo
giudaico il formulario subiva qualche leggera variazione19.
Paolo fa proprio questo formulario, adattandolo però al suo scopo specifico. Nel
prescritto, ai nomi del mittente e dei destinatari aggiunge le loro qualifiche teologiche
e religiose20. Nel saluto iniziale unisce al termine «pace» eivrh,nh tipico dello stile orientale, la formula greca, trasformata in un augurio di «grazia» ca,rij: ne deriva così
un’espressione «grazia e pace» che ricorda la benedizione che i sacerdoti pronunziavano su Israele (Nm 6,25-26). Tra il saluto e il corpo della lettera introduce un ringraziamento a Dio per la vita cristiana della comunità cui è inviata 21. Al termine delle
lettere Paolo ha il «postscritto», nel quale al saluto fa seguito una benedizione di carattere liturgico, che può essere più o meno estesa e a volte assume un andamento trinitario22.
Paolo si adegua senza difficoltà alle usanze dell’epoca. È possibile che abbia scritto personalmente la breve lettera a Filemone (Fm 19). Di solito però si serve di uno
«scrivano»23 che si presenta come chi ha scritto la lettera e unisce i suoi saluti a quelli
dell’apostolo24. Paolo inoltre a volte segnala che il saluto finale è di sua mano, lasciando supporre che il resto della lettera sia opera di uno scrivano25.
Paolo ha fatto proprio il genere epistolare del suo tempo, arricchendolo però di notevoli contributi, suggeriti in parte dalla sua fede e dalla sua esperienza cristiana, in
parte dal suo talento letterario e dalle sue qualità personali.
17
Nel corpo della lettera si affrontava l’argomento che ne aveva occasionata la stesura.
Il postscritto conteneva gli auguri e i saluti espressi normalmente con le forme verbali all’imperativo e;rrwso errōso, e;rrwsqe errōsthe «sta(te) bene» (At 15,29).
19
Nel prescritto il saluto augurale era sostituito dal termine shalôm, eivrh,nh eirēnē «pace», che era spesso seguito da
una formula di benedizione a carattere religioso.
20
Paolo si presenta come «chiamato apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio» e si rivolge «alla chiesa di Dio che
è in Corinto, a coloro che sono santificati in Gesù Cristo, ai chiamati santi» (1Cor 1,1-2).
21
Questo ringraziamento che in certi casi prende l’andamento di una benedizione (2Cor) in altri di una dura ammonizione (Gal), evidenzia gli stretti legami di questa forma paolina con l’AT, il giudaismo e in particolare gli inni di
Qumran.
22
«La grazia del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore sia con tutti voi in Cristo Gesù» (1Cor 16, 23-24); «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2Cor 13,13).
23
Lo scrivano compilava lo scritto sotto dettatura del mittente o riceveva il messaggio con il compito di formularlo
nel modo più opportuno assumendo così il ruolo di segretario. Non è possibile stabilire con esattezza se Paolo dettava le
sue lettere parola per parola, o se ne affidava la stesura a un segretario.
24
Nella lettera ai Romani si trova la postilla di un certo Terzo (Rm 16,22).
25
1Cor 16,21; Gal 6,11.
18
20
3.3 La lingua e lo stile
La lingua usata dall’apostolo è il greco della koiné, cioè quella forma di greco che
era diventata «comune» in tutto l’impero romano. Essa si differenzia dal greco classico in molte particolarità grammaticali e stilistiche e risente l’influsso di altre lingue,
quali il latino e soprattutto l’aramaico e l’ebraico (semitismi). Diversamente da altri
autori del NT che, pur scrivendo in greco, dimostrano di pensare in ebraico o in aramaico, Paolo elabora i suoi concetti e le sue riflessioni direttamente in greco, che dimostra di possedere come lingua materna.
Lo stile di Paolo è molto personale e spontaneo. Nelle sue lettere abbondano le metafore (Rm 11,16-24), le similitudini (1Cor 12,12-27) e le immagini (1Cor 9,24-27;
2Cor 11,2). È tipica dello stile di Paolo la capacità di adottare una grande varietà di
forme letterarie. Nelle sue lettere s’incontrano formule liturgiche tradizionali (amēn,
maranathá, abbá), invocazioni (Rm 15,32), preghiere (Rm 15,13), dossologie (Rm
16,25-27), inni (Fil 2,6-11; 1Cor 13; Rm 11,33-36) e confessioni di fede (1Cor 15,35; Rm 1,3-4). Numerosi sono i brani autobiografici: Paolo parla di se stesso per mettere in luce i suoi rapporti con i destinatari (1Ts 3,1-5), per difendersi dalle accuse
che gli sono rivolte (2Cor 1,12-2,11) o per polemizzare con gli avversari (Gal 1,112,14). Altre forme letterarie usate di frequente sono la parenesi, cioè l’esortazione
(Rm 12; 13,1-7) e i cataloghi di vizi e di virtù (Gal 5,19-23).
Spesso Paolo fonda le sue tesi sull’AT, che cita solitamente nella versione greca
della LXX e interpreta secondo i metodi dei rabbini del suo tempo (Gal 3,6-14); egli
però fa anche ricorso al metodo della diatriba, comunemente usato dai filosofi popolari, che consiste nell’introdurre un interlocutore fittizio con cui si dialoga e si discute
(Rm 3,1-8). L’apostolo usa inserire nelle sue lettere brani appartenenti alla tradizione
orale (Fil 2,6-11; Rm 1,3-4), adattandoli ai suoi discorsi. Nel corpo delle lettere Paolo
esprime il suo pensiero sulla vita cristiana, dove dottrina e prassi si mescolano in modo inestricabile. Gli studi recenti sulla letteratura paolina fissano l’attenzione sugli elementi formali e stilistici con i quali l’autore indica le articolazioni del suo scritto26. I
risultati di questi studi confermano che Paolo ha adottato la lingua e i procedimenti
letterari del suo tempo allo scopo di farsi comprendere da coloro che nelle assemblee
26
Alcuni studiosi hanno esaminato i testi del NT alla luce delle regole tipiche della retorica classica «rhetorical criticism», altri invece hanno esaminato a fondo la composizione del testo per individuarvi possibili influssi di carattere retorico «retorica letteraria».
21
cristiane avrebbero ascoltato la lettura dei suoi scritti e convincerli ad aderire con la
mente e l’azione al vangelo. Nelle lettere deuteropaoline lo stile dei testi cambia: esse
appaiono come scritti anonimi e dottrinali, composti in modo più accurato e grammaticalmente corretto, ma senza l’energia del Paolo storico e la sua partecipazione agli
argomenti trattati.
3.4 Paolo e la sua «scuola»
L’autenticità delle lettere tradizionalmente attribuite all’apostolo Paolo è stata messa in discussione dal XIX secolo. Da allora possiamo dire che alcune lettere27 hanno
rivelato uno stile, un lessico e una sintassi diversi dalle altre28. Il loro genere letterario
si avvicina maggiormente a quello dell’«epistola» dove il rapporto tra il mittente e i
destinatari diventa più generico. Nel corpo di queste lettere fanno la loro comparsa
dei nuovi temi29, mentre altri sono ripresi e sviluppati in modo diverso30. Il contesto
storico non è più quello in cui è vissuto e ha operato Paolo e qui la figura
dell’apostolo e il suo ruolo sono fortemente idealizzati.
Secondo questi rilievi l’opinione degli studiosi converge nel dichiarare che le lettere Pastorali non sono state composte da Paolo, mentre si discute ancora il caso della
Seconda lettera ai cristiani di Tessalonica e delle lettere inviate alle chiese dell’Asia
(Efeso e Colossi). Quest’orientamento è stato rafforzato dagli studi sulla pseudo epigrafia, i quali hanno dimostrato che un tale fenomeno era assai diffuso
nell’antichità31. La composizione delle lettere paoline non autentiche32 non fu opera
d’individui isolati, ma s’iscrive nel vasto movimento di pensiero e di vita che viene
comunemente chiamato «scuola paolina». Esso prende inizio da tutte quelle persone
che circondavano l’apostolo ed erano legate a lui da profondi vincoli di fede e di collaborazione: nei loro confronti egli si attribuiva il ruolo di padre e di madre (1Ts 2,78.11; 1Cor 4,15; Gal 4,19) e proponeva se stesso come modello da imitare (1Cor
4,6.9-10; 1Ts 4,1-2; Gal 1,6-9). All’interno della scuola paolina si giunse ben presto a
27
Sono le lettere agli Efesini, ai Colossesi, la Seconda ai Tessalonicesi, le due a Timoteo e quella a Tito.
Sono le lettere ai Romani, le due ai Corinzi, ai Galati, ai Filippesi, la prima ai Tessalonicesi e a Filemone.
29
Per esempio: Cristo capo ella Chiesa e del cosmo in Col ed Ef e i ministeri ecclesiali nelle lettere Pastorali.
30
Per esempio: in 1Ts la parusia è imminente, mentre in 2Ts si allontana nel tempo.
31
Nel mondo biblico-giudaico il nome dell’autore di un’opera è spesso fittizio, mentre in quello greco è nota
l’attribuzione a personaggi famosi come Orfeo, Omero, Pitagora e Platone di scritti composti dopo la loro morte.
32
Attenzione a non confondere l’autenticità con l’ispirazione. Le lettere non autentiche fanno parte del Canone cristiano e sono riconosciute dalla Chiesa come ispirate, cioè «Parola di Dio».
28
22
un’idealizzazione della persona di Paolo, ma soprattutto si sentì la necessità di preservare il suo messaggio dall’oblio, eliminando i malintesi e cercando in esso una risposta ai nuovi problemi delle comunità. A tale scopo furono raccolti insieme alle lettere autentiche altri scritti con il nome dell’apostolo che furono divulgati e sotto la
sua autorità. In questi ultimi si rendeva comprensibile il messaggio di Paolo in vista
di situazioni nuove e difficili.
3.5 La trasmissione testuale
I testi originali delle lettere paoline andarono ben presto perduti. Tuttavia le copie
manoscritte rimaste sono talmente numerose (circa 5000) da permettere una ricostruzione degli originali molto probabile. Il manoscritto più antico è il papiro î46 (collezione Chester Beatty) che risale al 200 circa; un’altra decina di papiri, conservati in
modo frammentario, risalgono al III sec.; nel IV sec. hanno visto la luce i primi codici unciali (maiuscoli) completi, il Sinaitico (¥) e il Vaticano (B).
Gli studiosi di critica testuale hanno confrontato tra loro tutti i manoscritti disponibili, classificandoli in base alla loro origine e mettendone in luce il valore, le varianti
e gli errori di trascrizione. In seguito a questo lavoro sono state compilate le edizioni
critiche33, le quali contengono un testo ricostruito in modo scientifico, che riflette
molto da vicino quello che doveva essere letto nel II sec.
33
NESTLE E. – ALAND K., Novum Testamentum Graece et Latine, Stuttgart 199427; CORSANI B. – BUZZETTI C., ed.,
Nuovo Testamento Greco-Italiano. Testo greco XXVII edizione dell’opera di Eberhard e Ervin Nestle a cura di Barbara
e Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, Bruce M. Metzger, Società Biblica Britannica & Forestiera,
Roma 1996.
23