L`asino di Buridano e l`indifferenza

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L`asino di Buridano e l`indifferenza
L’asino di Buridano e l’indifferenza
Agrippa disse a Paolo: In breve tempo mi persuaderesti a divenire cristiano. Allora
Paolo disse: Desidererei dinanzi a Dio che in breve tempo o in lungo tempo non solo tu
ma anche tutti quelli che oggi mi odono divenissero tali quale sono io, a eccezione di
questi legami (Atti, 26,28 s.).
Tutte le condotte umane rientrano in tre categorie comportamentali generali: approccio,
evitamento, e immobilità.
L’approccio definisce un comportamento di “avvicinamento” verso l’altro o verso una
data situazione, quale può essere un incontro piacevole o uno scontro aggressivo.
L’evitamento indica invece la “fuga”, l’allontanamento da qualcuno o da qualcosa che
si vuole appunto evitare. L’immobilità esprime una “indecisione comportamentale”, un
conflitto decisionale-motorio tra approccio ed evitamento, oppure tra due opzioni
ugualmente avversative (evitamento-evitamento) o attrattive (approccio-approccio).
Rispetto all’invito del Signore non si può dare una risposta diversa da quelle sopra
citate. Se si sceglie l’approccio, ci si può avvicinare a Lui con fiducia e speranza, come
fa l’etiope che si converte per l’insegnamento di Filippo, come fa Cornelio che accoglie
Cristo grazie alla predicazione di Pietro, come fa il carceriere di Filippi, che lava le
piaghe a Paolo e Sila, e in piena notte viene battezzato in Cristo con i suoi (Atti 8,26
ss.; 10,1 ss.; 16,24 ss.). I Bereani vogliono approfondire la proposta di Cristo e sono
lodati per questo (Atti 17,11). Ma ci si può anche avvicinare a Cristo con disprezzo e
avversione, come fanno i farisei invidiosi (Mt 27,18 ss.).
Se si opta per l’evitamento, si sceglie di evitare Gesù Cristo, magari accampando mille
scuse, come fanno gli invitati alle nozze della parabola, come fanno i samaritani di un
certo villaggio (Mt 22,2 ss.; Lc 9,51 ss.), o addirittura ignorandolo, come fanno gli
epicurei ateniesi (Atti 17,30).
Il caso della immobilità o “indecisione comportamentale” è anch’esso interessante e
attuale. Oggi, almeno nel mondo occidentale, l’apparente libertà consente di poter
aderire ad ogni confessione religiosa, senza generare clamore, tra la tolleranza e/o
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l’indifferenza generale. Ben diversamente accadeva qualche decennio fa, quando era
scontato essere tradizionalmente cattolici, e faceva scandalo appartenere a una
comunità di discepoli di Cristo, però non cattolici.
Nella situazione attuale ci si convince di essere tolleranti rispetto ai diversi modi di
credere in Dio. Tuttavia, questa forma evoluta di tolleranza assomiglia in effetti molto
più all’indifferenza che non a un atteggiamento privo di pregiudizi. La tolleranza è,
infatti, la capacità autentica di convivere con gli altri, di accorgersi degli altri e non una
manifestazione di disinteresse assoluto verso altre realtà, viste con presunta umana
tolleranza.
Solo nell’ambito cristiano, sono fioriti molti tipi di chiese, molti di modi di rapportarsi a
Cristo e molti modi di elevare il culto al Signore. Lo slogan ecumenico sembra essere,
necessariamente, uniti nella diversità. Lo scopo allora non è più quello di confrontarsiscontrarsi per far emergere la verità della “speranza unica e della fede unica” in Cristo
(Ef 4,1-16), ma quello di preservare il quieto vivere. In quest’ultimo caso la tolleranza
non riguarda il rispetto dell’altrui diversità, ma esprime un evidente compromesso di
coesistenza tipicamente umano.
In effetti, se tale unità nella diversità fosse accettabile, si dovrebbe ritenere che Dio sia
affetto da una psicopatologia nota come “personalità multipla”, che richiede culti,
pratiche, dottrine e comportamenti tanto diversi tra loro – mentre, al contrario, Dio è
“uno solo” e Cristo Gesù non cambia, è “lo stesso ieri, oggi e in eterno” (1 Cor 8,6; Eb
13,8).
Di fronte allo stress dovuto alla sconfinata possibilità di esercitare una scelta,
l’individuo avverte primariamente l’esigenza di “difendere la propria stabilità psichica”.
La strategia più comune per evitare questo tipo di stress e la consequenziale
destabilizzazione psichica, è di non scegliere. Perciò, le persone (la maggioranza) che
adottano questa strategia, emulano il comportamento dell’asino di Buridano.1 Nel noto
racconto allegorico, l’asino si trova equidistante tra due secchi di fieno. Indeciso verso
quale parte andare, resta immobile per troppo tempo, e finisce per morire di fame!2 Per
evitare la dolorosa scelta, l’asino perde la vita.
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J. Buridan, filosofo francese (1295-1300 circa – 1361).
Sul pensiero e le opere di J. Buridan: K.R. Popper, Il pensiero essenziale, Roma, 1998, 265;
Enciclopedia Treccani alla voce Giovanni Buridano; G. W. Leibniz, Monadologia e Saggi di Teodicea,
Lanciano, 1930, 121-124; C. Rozon, Petites ignorances de la conversation, Paris, 1856; Voltaire, La
Pucelle d'Orléans in Œuvres complètes de Voltaire, Paris, 1784.
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Proviamo a traslare il raccontino nella realtà spirituale attuale, immaginando di porre al
centro di un cerchio una persona, la quale si trova in una posizione perfettamente
equidistante da qualsiasi altro punto della circonferenza. Facciamo idealmente
corrispondere ad ogni punto della circonferenza una data confessione religiosa. Eccoci
in una situazione analoga a quella del famoso asino, e in questa specifica situazione
spesso le persone non scelgono.
Ciò accade quando si è motivati prevalentemente a difendere l’integrità dell’Io, ma non
abbastanza incentivati ad esaminare la bontà della proposta del Signore. I samaritani
di Sichar e gli abitanti di Berea, invece, compresero l’importanza della verità
meravigliosa di Cristo e della vita piena in Dio che Gesù offre, e per questo ne accolsero
la Parola (Gv 4,42; Atti 17,11).
Purtroppo, invece, per non essere destabilizzati nelle nostre convinzioni abituali,
talvolta decidiamo di accettare acriticamente l’appartenenza alla religione tradizionale.
Se poi non vogliamo esercitare nessuna scelta consapevole, consideriamo fra loro
equivalenti tutte le altre opzioni, compresa quella, unica e salvifica di Cristo.
Crederemo, autogiustificandoci, di aver esercitato tolleranza verso ogni espressione
religiosa ma, evitando di ricercare attivamente la verità di Cristo, rischieremo molto
seriamente di morire di fame spirituale, facendo tristemente la fine l’asino di Buridano.
Dice Gesù: “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per
amor mio, la troverà”; e ancora: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà
fame, e chi crede in me non avrà mai sete”3 (Mt 16,25; Gv 6,35).
© Riproduzione riservata
Maurizio Santopietro – 07 2016
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È stato dimostrato che con la frase sul “pane della vita” Gesù non si riferisce all’eucaristia, ma alla fede
che il discepolo/la discepola hanno in lui. Tale fede fiduciosa, ben radicata nella Parola di Cristo, nutre la
persona credente nel senso che la sfama e la disseta spiritualmente in modo completo (Cfr. F. Salvoni, Il
pane di vita, Roma, 196; Idem, Eucaristia in discussione, Genova, 1969 – www.bbsr.it).
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