The Artist - Parrocchia Santa Maria Segreta

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The Artist - Parrocchia Santa Maria Segreta
INTERVISTA A MICHEL AZANAVICIUS
Come è nata l'idea di realizzare un film come "The Artist"?
Ho sempre avuto un grande desiderio di realizzare un film muto. La
più grande difficoltà è stata reperire i fondi perché c'era un iniziale
scetticismo. Nel muto è lo spettatore a creare i dialoghi con la sua
fantasia. Ce lo insegna Fritz Lang. Meno il regista interviene, più c'è
spazio per il pubblico.
Come è stato lavorare con gli attori?
Se escludiamo poche scene, gli attori recitano con grande naturalezza,
pur interpretando personaggi degli anni '20. Nei film di Keaton e
Chaplin l'attore è quasi un clown, mentre in altri (Murnau, Hitchkock)
si recita in modo più naturale seguendo i codici degli anni '20. Ed è
questo il genere a cui ci siamo ispirati. Inoltre un grande aiuto è venuto
dalla musica, che ci ha sempre accompagnato durante le riprese.
Qual è il fascino del bianco e nero?
Orson Welles diceva che il bianco e nero è il miglior amico degli
attori. Nasconde ogni imperfezione e contribuisce, insieme al muto, a
divinizzare l'attore. E poi, anche in questo caso, lo spettatore è lasciato
libero di immaginare i suoi colori. In "The Artist" ho utilizzato un forte
contrasto tra bianco e nero nelle situazioni più positive, per passare al
grigio e allo sfumato nei momenti più difficili.
Chaplin non voleva passare al sonoro, convinto che avrebbe
guadagnato molto meno di quanto avrebbe perso. E' la verità?
Il muto di Chaplin era talmente perfetto che Charlot non poteva né
doveva parlare, Chaplin è passato al sonoro, Charlot no. Forse il
sonoro sarebbe dovuto arrivare 10 anni dopo, così ci siamo persi film e
innovazioni che sarebbero stati bellissimi.
Oltre ai due protagonisti, spicca anche un attore a quattro zampe
nel film. Perché questa scelta ?
Ho voluto il cane perché è carino, simpatico, divertente. Poi è
diventata la star del film, perché ha aiutato il protagonista a cambiare.
George è una persona egocentrica, egoista e a lungo andare potrebbe
stancare. L'affetto istintivo del cane nei confronti del suo padrone
convince invece il pubblico a fidarsi di Geroge. E' diventato, quindi,
uno dei personaggi chiave del film ma in modo spontaneo, è stata
davvero una fortuna.
THE ARTIST
TITOLO ORIGINALE
The artist
REGIA
M. Hazanavicius
INTERPRETI
Jean Dujardin
Bérénice Bejo
John Goodman
James Cromwell
Penelope Ann Miller
SCENEGGIATURA
M. Hazanavicius
FOTOGRAFIA
Guillaume Schiffman
MONTAGGIO
Anne-Sophie Bion
Filmografia
MUSICHE
Ludovic Bource

Gli infedeli (2012)

The artist (2011)
DURATA
100’

OSS 117, lost in Rio

OSS 117, Le Caire nid d'espions
ORIGINE
Francia
cui vita si incrocia con quella di un'aspirante attrice, Peppy
MICHEL HAZANAVICUS
Nato a Parigi il 29 marzo 1967,
Michel Hazanavicius, comincia la
sua carriera nel piccolo schermo.
Nel 1999 realizza il suo primo
lungometraggio a soggetto, Mes
amis con Yvan Attal, Karin Viard e
Miller, ma anche con il drastico arrivo del sonoro. Fra musiche e
didascalie, si ritrova ad avere in mano un Oscar non solo per il
miglior film, ma anche per la regia, nomination per il montaggio
e la sceneggiatura scritta a quattro mani con Anne-Sophie Bion.
Guadagnandosi le stesse nominations anche per i BAFTA, gli
European Film Award, i Golden Globe e i Goya.
I TEMI
suo fratello Serge Hazanavicius.
Ma il successo vero e proprio
arriva con la parodia francese di
James Bond OSS 117 - Le Caire,
nid d'espions (2006) per il quale
viene nominato ai César per la
migliore sceneggiatura e che avrà così successo da avere un
Hollywood 1927. George Valentin è un notissimo attore del cinema
muto. I suoi film avventurosi e romantici attraggono le platee. Un
giorno, all'uscita da una prima, una giovane aspirante attrice lo
avvicina e si fa fotografare sulla prima pagina di Variety abbracciata a
lui. Di lì a poco se la troverà sul set di un film come ballerina. È
l'inizio di una carriera tutta in ascesa con il nome di Peppy Miller.
Carriera che sarà oggetto di una ulteriore svolta quando il sonoro
prenderà il sopravvento e George Valentin verrà rapidamente
dimenticato.
seguito OSS 117 - Rio ne répond plus (2009), che porterà a
2.500 milioni di euro di incasso.
È il 2011 l'anno in cui concepisce un film muto moderno che si
ispira al cinema degli Anni Venti: The Artist. Chiama nel cast
Jean Dujardin (star dei film di OSS 117), sua moglie Bérénice
Bejo, John Goodman, James Cromwell e Penelope Ann Miller e
dirige un film ambientato nella Hollywood del lontano 1927,
quando George Valentin era un noto attore del cinema muto, la
Girato con la tecnica del più puro cinema muto nell’epoca del 3D, The
Artist propone una doppia riflessione di stampo classico sulla relazione
fra cinema e vita.
La paura del cambiamento esercitata attraverso la sottovalutazione
delle novità, la capacità di cogliere le opportunità nel cambiamento,
ma anche la necessità di saper guardare al passato non solo con moti
nostalgici ma anche con fiducia; il progresso è utile, necessario e fonte
di miglioramento ma attenzione a non farsi soggiogare dal fascino del
nuovo, l’equazione nuovo=migliore non è necessariamente vera.
E The Artist è anche un film sui sogni. Gli incubi del protagonista, che
in una sequenza magistrale di gusto surrealista sogna un mondo pieno
di suoni tranne quello della sua voce, e il sogno del cinema, esperienza
onirica per gli spettatori, sogno ad occhi aperti per coloro che vogliono
farlo. Sogno che alle volte si trasforma in incubo, ci dice a fugace
apparizione di un invecchiatissimo Malcolm McDowell (protagonista,
a suo tempo, di Arancia Meccanica di Kubrick) nel ruolo di un anziano
signore che fa la fila per ottenere una comparsata in un film.
sonora di Ludovic Bource che rielabora suggestioni musicali di epoche
diverse amalgamandole alla tipica necessità del muto d’essere
accompagnato e sostenuto in tutte le variazioni, gli stacchi, i contrasti e
le virate di ciascuna sequenza o inquadratura. Una delle chiavi di
questa composizione insieme colta e popolare sta nella prova
eccezionale dei protagonisti, Jean Dujardin, miglior attore a Cannes, e
Bérénice Bejo ragazza charleston toccata dalla grazia di una foto su
“Variety”, proprietaria di occhioni eloquenti ben più delle parole. Tra
gli altri caratteristi, tutti da godere, un ruolo essenziale spetta al fedele
compagno nella buona e nella cattiva sorte di Dujardin, il Jack Russell
che tra i suoi multiformi compiti ha anche quello d’evocare dalla
cineteca le gag dei detective Nick & Nora e del loro cagnolino Asta.
Al capolavoro non servono parole
Una scommessa vinta
di Valerio Caprara Il mattino
Può un film in bianco e nero e (quasi) interamente muto, proiettato in
formato quadrato nonché lievemente accelerato (22 fotogrammi al
secondo invece dei consueti 24) rompere il tacito patto tra il critico e lo
spettatore? Certamente sì, nel caso di “The Artist” del francese
Hazanavicius: rinunciando al dovere professionale di mediare tra i
diversi gusti dei diversi pubblici, il primo dichiarerà al secondo di non
accettare controversie perché si tratta di un capolavoro. E’ importante
premettere che non stiamo parlando di una chicca riservata ai soliti
pochi: se ci si ritrova entusiasti all’uscita dalla sala il merito va alla sua
anima, al suo slancio romantico, al suo amore smisurato nei confronti
del cinema, per così dire, allo stato puro. Riprendere lo stile, il ritmo e
soprattutto la sensibilità degli anni Venti e Trenta senza inondare di
nostalgia canaglia l’incolpevole fruitore è stata e resta, insomma,
un’impresa da registi mentalmente e tecnicamente superiori.
Per raccontare la classica parabola del divo che a poco a poco imbocca
il viale del tramonto mentre, parallelamente, la giovane attrice un
tempo allieva e innamorata scala le vette della fama, Hazanavicius
nutre in filigrana le immagini, le espressioni, i gesti e persino le battute
delle didascalie con la carica più intensa e il feeling più naturale.
L’unica giuntura drammaturgica palese diventa, in effetti, la colonna
di Paolo Mereghetti Corriere della sera
Un film in bianco e nero e completamente muto: la scommessa non
poteva essere più rischiosa eppure Michel Hazanavicius l'ha vinta a
mani basse, raccogliendo finora l'applauso più caloroso e entusiasta
della stampa. La storia di 'The Artist' è di quelle che rassicurano il
pubblico (ascesa e caduta di un divo del muto ma con riscatto e lieto
fine incluso), a ricordarci che il cinema che regala sogni e non incubi
ha ancora i suoi fan, pure tra i paladini della 'politique des auteurs'.
Girato come un vero film muto, con il formato quadrato e le didascalie
per spiegare i dialoghi, fotografato in un raffinato bianco e nero
d'epoca, il film gioca con l'immaginario di Hollywood dove tutti i
produttori sono grassi e fumano sigari giganteschi e racconta il
momento cruciale del passaggio dal muto al sonoro: il vecchio divo
(Jean Dujardin) non vi si adegua mentre la giovane comparsa sì
(Bérénice Bejo), condannando all'oblio il primo e al successo la
seconda. Ma il piacere del film non è tanto nel seguire la storia quanto
nel modo in cui il regista gioca con gli ostacoli che gli derivano dal
girare un film senza parole e che trovano nel sogno del protagonista
(ogni cosa fa rumore ma lui non riesce a emettere un suono) il suo
momento più esilarante e indovinato.
Colpo di genio con tecnica antica
Di Curzio Maltese Repubblica
Il concorso di Cannes ha regalato ieri un altro tocco di genio, The
Artist del francese Michel Hazanavicius. Un magnifico paradosso. In
pieno trionfo del 3D, esaltato dai Pirati di Disney, il film più
sbalorditivo visto finora è un film muto, in bianco e nero, ambientato
negli anni Venti. Detto così, può sembrare una di quelle opere
destinate a far cadere in deliquio i cinefili, mentre gli altri spettatori si
abbandonano invece ad atti di vandalismo. E invece è un film
divertentissimo, ironico, intorno a una bella storia d'amore. George
Valentin è un divo del muto che cade in disgrazia con l'invenzione del
sonoro. Verrà salvato dall'amore di Peppy Miller, ex fan diventata
nuova star di Hollywood. Alcune scene sono da cineteca, in molti
sensi. Divina quella dell’incubo del divo del muto, che è naturalmente
un sogno dove si sentono voci e rumori. Omaggi assortiti alla magica
Hollywood dei 20, da Douglas Fairbanks a Gloria Swanson, da
Lubitsch a Murnau. Un gioco meraviglioso, folle, raffinato eppure
popolare, con passaggi comici irresistibili, nello spirito delle
commedie di Billy Wilder. Attori bravissimi a reggere il gioco
difficile, dai protagonisti ai comprimari, del livello di John Goodman e
James Cromwell, più un cammeo di Malcom McDowell. Ma la
rivelazione è il miglior amico del protagonista, un bastardino che
meriterebbe un premio. La scommessa di riprendere nelle sale i soldi
della costosa produzione è difficile, ma sarebbe bello se Hazanavicius
vi riuscisse.
Una irresistibile rievocazione
di Fabrizio Ferzetti Il messaggero
"Ci sono film fatti con tanta minuziosa passione che non sembrano
frutto del lavoro di un autore e nemmeno dei suoi collaboratori, ma di
tutti coloro che diedero forma, in origine, al mondo rievocato; e forse
di tutti gli spettatori che hanno tenuto in vita quel mondo esistito solo
al cinema per pochi decenni ma ancora vivo nella nostra memoria,
dunque in certo modo più vero del vero. È il caso dell'irresistibile 'The
Artist' di Michel Hazanavicius, osannato dalla migliore platea che
potesse augurarsi un lavoro simile. Una tribù cosmopolita di cinefili
pronti a andare in estasi per ogni dettaglio di questo film muto fatto
proprio come ai tempi del muto, dalle luci ai costumi, dai titoli di testa
al gioco delle inquadrature, dalla magistrale colonna sonora al
linguaggio del corpo e ai mille prestiti e citazioni con cui Hazanavicius
e i suoi portentosi protagonisti, Jean Dujardin e la franco-argentina
Bérénice Béjo, danno vita a personaggi e intreccio."
Il muto ai tempi del 3D
di Giancarlo Zappoli MyMovies
Hollywood 1927. George Valentin è un notissimo attore del cinema
muto. I suoi film avventurosi e romantici attraggono le platee. Un
giorno, all'uscita da una prima, una giovane aspirante attrice lo
avvicina e si fa fotografare sulla prima pagina di Variety abbracciata a
lui. Di lì a poco se la troverà sul set di un film come ballerina. È
l'inizio di una carriera tutta in ascesa con il nome di Peppy Miller.
Carriera che sarà oggetto di una ulteriore svolta quando il sonoro
prenderà il sopravvento e George Valentin verrà rapidamente
dimenticato.
Anno Domini 2011, era del 3D che invade con qualche perla e tante
scorie gli schermi di tutto il mondo. Michel Hazanavicius porta sullo
schermo, un film non sul cinema muto ma addirittura un film 'muto'.
Cioé un film con musica e cartelli su cui scrivere le battute dei
personaggi. Si potrebbe subito pensare a un'operazione da filologi
cinefili da far circuitare nei cinema d'essai. Non è così. La filologia c'è
ed è così accurata da far perdonare l'errore veniale dei titoli di testa
scritti con una grafica e su uno sfondo che all'epoa erano appannaggio
dei film noir. Hazanavicius conosce in profondità il cinema degli Anni
Venti ma questa sua competenza non lo ha raggelato in una
riesumazione cinetecaria. Si ride, ci si diverte, magari qualcuno si
commuove anche in un film che utilizza tutte le strategie del cinema
che fu per raccontare una storia in cui la scommessa più ardua (ma
vincente) è quella di dimostrare che fondamentalmente le esigenze di
un pubblico distante anni luce da quei tempi sono in sostanza le stesse.
Al grande schermo si chiede di raccontare una storia in cui degli attori
all'altezza si trovino davanti una sceneggiatura e un sistema di riprese
che consentano loro di 'giocare' con i ruoli che gli sono stati affidati.
Se poi il film può essere letto linguisticamente anche a un livello più
alto (come accade in questa occasione in particolare con l'uso della
colonna sonora di musica e rumori) il risultato può dirsi completo. Per
una volta poi si può anche parlare con soddisfazione di un attore 'cane'.
Vedere per credere.