Il rimborso chilometrico delle trasferte del lavoratore Paghe

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Il rimborso chilometrico delle trasferte del lavoratore Paghe
Massimo Mutti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Paghe
Costi a confronto
Il rimborso chilometrico
delle trasferte del lavoratore
Emiliana Maria Dal Bon
Trasferta
Mezzo utilizzato
per il trasporto
- Consulente del lavoro
In tutti i casi in cui il lavoratore non svolge la propria prestazione nella sede di lavoro
dichiarata e definita contrattualmente si può parlare di trasferta, e ciò anche quando lo
spostamento avvenga per una sola giornata. La scriminante fondamentale è, appunto,
quella della sede di lavoro che deve essere presa in considerazione per stabilire se il
lavoratore si sia spostato, non rilevando, invece, il luogo di residenza o domicilio dello
stesso. Ciò significa che non può essere considerato trasferta, e pertanto rimborsato, lo
spostamento che il lavoratore che non viva nello stesso comune in cui ha sede l’azienda
deve effettuare ogni giorno per recarsi a lavorare.
Quando il lavoratore deve spostarsi dalla sede abituale di lavoro ha bisogno di utilizzare un
mezzo di trasporto, che può essere un veicolo privato come l’auto, oppure pubblico come il
treno. A seconda di quale mezzo utilizzi per recarsi in trasferta, e di come sia stato regolato
tale utilizzo, diverse sono ovviamente le conseguenze economiche, sia per il lavoratore
stesso che per il datore di lavoro. Sotto questo profilo occorre tener ben presente che la
normativa di riferimento, il Tuir (D.P.R. n. 917/1986) all’art. 51, c. 3, ultimo periodo, afferma
che «le indennità o rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale,
tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore,
concorrono a formare il reddito». Ciò significa che il problema di come gestire l’imponibilità
delle somme e dei rimborsi spese legati alle trasferte si pone solamente qualora il lavoratore
sia inviato al di fuori del territorio del comune ove si trova la sua sede di lavoro. Su quest’ultimo punto è solo il caso di accennare e precisare che ci si riferisce alla sede cui il lavoratore è
assegnato che potrebbe benissimo essere diversa dalla sede legale dell’azienda stessa, nel
caso in cui, ad esempio, ci siano più sedi o stabilimenti anche in comuni o regioni differenti.
Il lavoratore in trasferta, previo accordo con il datore di lavoro, potrebbe utilizzare:
i mezzi pubblici;
un’autovettura concessagli dal datore di lavoro ad uso promiscuo;
un’autovettura aziendale;
la propria autovettura.
Utilizzo dei mezzi pubblici
Nel caso in cui, per recarsi in trasferta, il lavoratore utilizzi i mezzi pubblici, i costi da lui
sostenuti per l’acquisto dei necessari biglietti saranno rimborsati a piè di lista, a seguito di
presentazione di apposito giustificativo. Trattandosi di rimborso di spese sostenute dal
lavoratore per conto dell’impresa, la corrispondente somma è esente sia sotto il profilo
fiscale che previdenziale.
Autovettura aziendale concessa ad uso promiscuo
Valore convenzionale
L’ipotesi della concessione dell’autovettura ad uso promiscuo è una delle più praticate per
quei lavoratori che per svolgere la propria prestazione vengono spesso inviati in trasferta. Il
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datore di lavoro provvede a fornire al lavoratore un’autovettura che il lavoratore potrà
utilizzare sia per fini aziendali che per fini personali. Procedendo in questo modo al lavoratore viene concesso un fringe benefit che dovrà essere inserito in busta paga in base ad un
valore convenzionale sul quale il datore di lavoro calcolerà contributi e imposte. Il valore
convenzionale delle autovetture concesse ad uso promiscuo ai dipendenti è definito sulla
base delle tabelle Aci che tengono in considerazione i vari modelli, e definiscono un valore
basandosi su di una percorrenza annua di 15.000 chilometri.
Autovettura concessa per uso esclusivamente aziendale
Altra scelta che il datore di lavoro può operare è quella di acquistare una o più autovetture (a
seconda delle esigenze) e tenerle in azienda a disposizione di quei lavoratori che devono
recarsi in trasferta. In questo modo, con l’utilizzo di un’auto aziendale, il lavoratore dovrà
recarsi presso la sede di lavoro, prendere l’auto aziendale e con quella recarsi dal cliente o
in generale sul luogo della trasferta. Cosı̀ facendo il lavoratore non vedrà nulla relativo
all’uso dell’auto aziendale in busta paga, a meno che non sostenga dei costi (benzina o
autostrada) per l’utilizzo della stessa. In quest’ultimo caso, le somme sostenute dal lavoratore verranno rimborsate analiticamente, senza che il corrispettivo sia soggetto a contribuzione o sia fiscalmente imponibile.
Uso della propria autovettura
Riconoscimento
di una indennità
L’ultima ipotesi, che è anche quella che analizzeremo più nel dettaglio, è quella dell’utilizzo
da parte del lavoratore di un’autovettura di cui dispone personalmente. Non è, infatti,
necessario che l’auto che il lavoratore utilizza per recarsi in trasferta sia di sua proprietà,
ben potendo anche essere, ad esempio, a noleggio, in leasing, in comodato gratuito o di
proprietà di un famigliare. Ciò che rileva è che il lavoratore ne abbia la piena disponibilità.
In questo caso la gestione della trasferta sotto il profilo degli spostamenti avviene mediante
il riconoscimento di un’indennità calcolata sulla base del rimborso chilometrico.
Rimborso chilometrico
Indennizzo
per i costi
Il rimborso chilometrico viene considerato come un rimborso spese a piè di lista poiché non
si tratta di remunerazione, bensı̀ di un indennizzo per costi sostenuti dal dipendente per
conto dell’impresa. Proprio per questo, come ogni altro rimborso spese, è prevista la
restituzione della somma utilizzata dal lavoratore al fine di evitare che lo svolgimento della
prestazione lavorativa, ed in particolare la trasferta che già di per sé può concretizzarsi in un
disagio per il lavoratore, determini un danno economico a suo carico.
Come ogni altra somma corrisposta a titolo di rimborso spese, anche l’indennità o rimborso
chilometrico è esente da imposizione fiscale e contributiva, e non concorre alla determinazione della retribuzione utile ai fini del Tfr, né determina la maturazione di alcun onere
differito.
Imponibilità del rimborso per la trasferta dal luogo di abitazione
Prima di entrare nel dettaglio delle modalità di determinazione dell’indennità chilometrica da
riconoscere al lavoratore, pare opportuno soffermarsi su di una problematica che ha interessato anche l’Agenzia delle entrate (ris. 30 ottobre 2015, n. 92/E).
All’Agenzia è stato chiesto se dovesse esservi un differente trattamento, sotto il profilo
dell’imponibilità, per l’indennità chilometrica corrisposta al lavoratore per il tragitto sede di
lavoro - località di missione, rispetto a quella corrisposta per il tragitto domicilio - località di
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Regime fiscale
Precisazioni
dell’Agenzia
missione. La questione si pone poiché la trasferta, come accennato sopra, è identificata
come lo spostamento dal luogo di lavoro valutato rispetto alla normale sede di svolgimento
dell’attività lavorativa, e non rispetto al domicilio del dipendente. Nel caso, però, di utilizzo
dell’autovettura personale è piuttosto probabile che il dipendente parta direttamente dal
proprio domicilio per recarsi in missione.
Questo significa che il lavoratore ha diritto al rimborso chilometrico calcolato sull’intera
percorrenza del tragitto domicilio - località di missione, anche se la trasferta ufficialmente
partirebbe dalla sede di lavoro?
L’articolo 51, c. 5, Tuir, definisce il regime fiscale da applicare alle somme corrisposte al
dipendente nell’ipotesi in cui sia incaricato di svolgere l’attività lavorativa al di fuori della
normale sede di lavoro, distinguendo a seconda che le prestazioni lavorative siano o meno
svolte nel territorio del comune ove è ubicata la sede di lavoro. La regola di legge prevede
che, mentre le «indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio
comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto, comprovate da documenti provenienti dal
vettore, concorrono a formare il reddito», per le trasferte fuori del territorio comunale sono
previsti tre distinti sistemi di tassazione in ragione del tipo di rimborso (analitico, forfetario o
misto) scelto. Non è, pertanto, possibile ipotizzare nuovi e diversi sistemi di calcolo degli
importi che non concorrono a formare il reddito.
Sulla base di questo percorso argomentativo l’Agenzia delle entrate ha precisato che:
laddove la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza o
domicilio, la località di missione risulti inferiore rispetto a quella calcolata dalla sede di
servizio, il rimborso chilometrico è da considerarsi totalmente non imponibile ai sensi
dell’art. 51, c. 5, secondo periodo, del Tuir;
nell’ipotesi in cui la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria
residenza o domicilio, la località di missione risulti maggiore rispetto a quella calcolata
dalla sede di servizio, il rimborso chilometrico corrispondente alla maggiore distanza
percorsa è da considerarsi reddito imponibile ai sensi dell’art. 51, c. 1, del Tuir. In questo
caso, pertanto, il lavoratore avrà in busta paga due distinte voci di rimborso chilometrico,
una imponibile (domicilio - sede di lavoro) e l’altra totalmente esente (sede di lavoro luogo di missione).
Tariffe su cui calcolare i rimborsi
Modalità di calcolo
del rimborso
Dottrina
e giurisprudenza
Per calcolare il rimborso chilometrico da corrispondere al lavoratore che per andare in
trasferta abbia utilizzato la propria autovettura, il datore di lavoro deve servirsi di tariffe
chilometriche da rapportare al numero di chilometri percorsi.
Tali tariffe possono essere concordate tra datore di lavoro e lavoratore in sede di contrattazione individuale, o anche in sede di contrattazione collettiva (aziendale, territoriale finanche
nazionale). Nella maggior parte dei casi, però, il datore di lavoro si affida alle tariffe stabilite
dall’Aci, che tengono in considerazione l’esatto tipo di modello di autovettura utilizzato.
Anche dottrina e giurisprudenza hanno sempre privilegiato questo secondo metodo di
determinazione delle tariffe, poiché non solo permette di determinare con maggior precisione (come, peraltro richiesto dall’Agenzia delle entrate) i costi effettivi dell’utilizzo della
specifica autovettura, ma anche perché le tabelle Aci forniscono uno standard di determinazione che mette al riparo dall’uso dei rimborsi chilometrici per fini elusivi.
Se, infatti, è certamente ipotizzabile il riconoscimento, a livello di contrattazione specifica
(individuale o collettiva) di un’indennità chilometrica superiore a quella prevista dalle citate
tabelle, risulta altresı̀ evidente che la determinazione della stessa potrebbe comportare
occasioni di elusione/evasione fiscale e contributiva. In pratica il rischio sarebbe che l’eventuale indennità chilometrica riconosciuta al dipendente in trasferta per l’utilizzo del
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Criticità
proprio autoveicolo costituisca, invece, effettivamente un’integrazione della retribuzione
che in quanto tale dovrebbe essere considerata imponibile.
Dal punto di vista operativo:
se l’indennità chilometrica convenzionalmente applicata tra le parti è superiore a quella
prevista dalle tabelle Aci, il fisco potrebbe ricondurre la differenza a reddito da lavoro
dipendente e ciò comporterebbe:
– lo scaturire di oneri previdenziali e fiscali in capo al datore di lavoro e al dipendente
anche per i periodi di erogazione del rimborso pregressi;
– la maturazione degli oneri differiti (mensilità aggiuntive, Tfr, e oneri differiti in genere)
sulla differenza emersa;
se l’indennità chilometrica convenzionale è, invece, inferiore all’indennità stabilita sulla
base delle tabelle Aci, il rischio è quello di un eventuale contenzioso in cui il dipendente
potrebbe avanzare la pretesa di un credito verso il datore di lavoro per la differenza,
adducendo a parametro oggettivo di rimborso spese quello riconosciuto dalle suddette
tariffe Aci per il tipo di auto effettivamente utilizzata dallo stesso.
In un contenzioso del genere, comunque, il lavoratore dovrebbe dimostrare se e in che
misura la tariffa aziendale sia insufficiente a rifonderlo delle spese d’utilizzo e d’usura della
propria autovettura. Inoltre, si ricordi, che non esiste nessun obbligo contrattuale o di legge
circa l’applicazione di questa o di quell’altra tariffa, pur essendovi un prevalente orientamento che predilige l’applicazione delle tariffe Aci.
Modalità di calcolo del rimborso
Valore convenzionale
Spese di gestione
Le tariffe contenute nelle tabelle Aci vengono predisposte entro il 31 dicembre di ogni anno
e, dopo essere state pubblicate in Gazzetta Ufficiale, sono valide per l’anno successivo
(quelle valide per il 2016 sono state pubblicate nella G.U. n. 291/2015, S.O. n. 66).
Entrando nello specifico delle tabelle Aci, esse individuano in base a marca, modello e
serie, il costo chilometrico (sulla base di una percorrenza convenzionale annua di 15.000
chilometri) e il valore convenzionale del fringe benefit.
Le tabelle sono suddivise in: autoveicoli benzina in produzione; autoveicoli benzina fuori
produzione; autoveicoli gasolio in produzione; autoveicoli gasolio fuori produzione; autoveicoli benzina-gpl/benzina-metano/metano esclusivo in produzione; autoveicoli benzinagpl/benzina-metano/metano esclusivo fuori produzione; autoveicoli ibridi-elettrici in produzione; autoveicoli ibridi-elettrici fuori produzione; motoveicoli.
Relativamente al costo chilometrico, le tabelle prevedono due diversi gruppi di spese di
gestione:
costi annui non proporzionali alla percorrenza - ossia, tutti i costi che in ogni caso
l’automobilista deve sostenere, indipendentemente dal grado di utilizzazione del veicolo
(ad esempio, quota di interessi sul capitale d’acquisto, tassa automobilistica, assicurazione Rca);
costi annui proporzionali alla percorrenza - ossia i costi che direttamente o indirettamente sono connessi al grado di utilizzazione del veicolo, quali carburante, usura dei
pneumatici ed in generale manutenzione e riparazione dell’auto.
Considerando i due gruppi di spese di gestione il datore di lavoro può optare per due
diverse modalità di calcolo del rimborso.
Riconoscimento dei soli costi proporzionali
Consultando la tabella, il datore di lavoro ricerca l’auto specifica utilizzata dal dipendente in
base a marca, modello e serie. Grazie a questi indicatori si individua il costo chilometrico del
rimborso che dovrà essere moltiplicato per le distanze effettivamente percorse.
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Riconoscimento dei costi proporzionali e di una parte dei costi non proporzionali
di competenza delle trasferte
Nel caso in cui il datore di lavoro decida di rimborsare anche i costi non proporzionali, non
può comunque farlo per intero, poiché in tal modo si accollerebbe in toto le spese dell’auto
senza tenere in considerazione l’uso privato che il lavoratore ne fa. Pertanto, in questo caso,
si dovrebbe stabilire una procedura che permetta di:
rilevare i chilometri percorsi per le trasferte di lavoro, dalla data della prima trasferta
effettuata;
rilevare i chilometri totali (compresi quelli percorsi nei momenti di uso privato dell’auto)
dalla data della prima trasferta effettuata;
ripartire i costi non proporzionali tra uso privato e uso di lavoro.
Base chilometrica annuale
Nel calcolo dell’indennità per rimborso chilometrico è sicuramente sbagliato prendere a
riferimento una base chilometrica annuale fissa. Infatti, è fondamentale rapportare il rimborso ai chilometri effettivamente percorsi da dipendente, poiché solo la quota di rimborso
rapportata a questi è da considerare esente. Tutto ciò che dovesse eccedere i chilometri
effettivamente percorsi potrebbe, come visto sopra, essere ricondotto a retribuzione e
pertanto determinare lo scaturire degli oneri previdenziali e fiscali, nonché la maturazione
degli oneri differiti sulla differenza emersa.
Tariffa chilometrica generica per più tipologie di veicoli
Anche il rimborso corrisposto in base ad un calcolo di tariffa che non tiene in considerazione
l’automezzo effettivamente utilizzato dal dipendente è errato. In questo senso, non parrebbe ammesso neppure che il datore di lavoro si costituisca una tabella comprensiva di un
numero limitato di categorie nelle quali far rientrare diverse autovetture e alle quali associare un costo chilometrico predeterminato per ciascun gruppo.
Costo per il datore di lavoro
Auto ad uso promiscuo
Auto aziendale
Indennità
chilometriche
Vediamo ora come incide sui costi che deve sostenere il datore di lavoro la scelta di
consentire al lavoratore di utilizzare la propria autovettura per recarsi in trasferta, rispetto
alle altre scelte ipotizzabili.
Nel caso in cui opti per concedere al lavoratore un fringe benefit, e quindi gli procuri un’auto
che lo stesso potrà utilizzare ad uso promiscuo, se il benefit è concesso per la maggior
parte del periodo d’imposta, il datore di lavoro potrà dedurre al 70% (art. 164, c. 1, lett. bbis, Tuir) il costo sostenuto per l’acquisto del veicolo, senza limiti al costo di acquisizione.
Nel caso in cui, invece, opti per l’acquisto di un auto aziendale, il datore di lavoro potrà
dedurre al 20% l’ammontare del costo di acquisto (art. 164, c. 1, lett. b, Tuir), fatto salvo il
limite di acquisizione di E 18.075,99.
Quando, invece, si opti per il riconoscimento delle indennità chilometriche la deducibilità è
totale ma limitata, ex art. 95, c. 3, Tuir, al costo di percorrenza relativo ad autoveicoli a
benzina di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, ossia di potenza non superiore a 20
cavalli fiscali se con motore diesel, e l’eventuale eccedenza è indeducibile. La norma,
inoltre richiede come condizioni per la deducibilità che:
le trasferte siano effettuate dai dipendenti fuori dal comune della sede di lavoro;
la società abbia autorizzato il dipendente ad avvalersi del mezzo proprio.
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Costi a confronto
Esempio 1
Si consideri il caso di un impiegato III livello, assunto a tempo indeterminato il 1º gennaio
2016, Ccnl Commercio (azienda che occupa meno di 5 dipendenti con sede legale a Milano),
che utilizza la propria autovettura marca Alfa Romeo, modello Mito 1.4 8v s&s, serie 78 CV
(benzina verde), per recarsi in trasferta per lavoro. I chilometri percorsi per coprire la distanza
sede di lavoro-luogo della missione nel mese di febbraio 2016 sono stati pari a 767.
Busta paga
Esempio 2
Si consideri il caso ipotizzato nell’esempio 1. I chilometri complessivi percorsi nel mese di
febbraio 2016 sono stati pari a 767, di cui però 63 riguardano la maggior distanza percorsa per
recarsi sul luogo di missione partendo dal domicilio anziché dalla sede di lavoro.
Busta paga
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