Trascrizione dell`intervento del Sen. Stefano Ceccanti
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Trascrizione dell`intervento del Sen. Stefano Ceccanti
Stefano CECCANTI, Senatore, Ordinario di Diritto Pubblico comparato, Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Trascrizione corretta Ringrazio tutti, anche per la possibilità di poter intervenire prima, ringrazio in particolare il professor De Martin. Abbiamo in Aula il decreto sul sovraindebitamento, e quindi dobbiamo andare a votare prima possibile. Molti altri colleghi volevano venire però al momento sono bloccati. La road map la chiarirà, per quanto possibile (è più aggiornato) il presidente Vizzini, ancora non è molto chiara rispetto alla spartizione dei compiti tra Camera e Senato. Al momento noi incardinate da noi sia le proposte sul bicameralismo, sia quelle sulla legge elettorale. Immagino che ci sarà una divisione di compiti, ma dovrebbe essere fissato il tutto nelle prossime settimane. Ho consegnato dato un testo scritto, che fa fede per completezza. Vorrei fare un’esposizione orale più sintetica e più pregnante. La logica dello studioso e quella del politico non sempre convergono, perché lo studioso vorrebbe spiegare quelle che ritiene le soluzioni ottime. Io abbasserei il livello e mi accontenterei che gli studiosi spiegassero quali sono le cose dannose, dato che poi sull’idea di ottimo le posizioni sono sempre opinabili. I politici dovrebbero spiegare quelle che sono le soluzioni praticabili. Ovviamente anche qui non c’è un’oggettività di cosa sia praticabile, perché ognuno ha un angolo di osservazione particolare, parla più con colleghi tendenzialmente del suo gruppo che non con gli altri, parla più con i parlamentari della propria Camera che non con gli altri. Quindi non è così semplice fare un’esposizione di cosa si ritiene più realistico e migliore. Parto dal problema di cosa è dannoso, perché noi sappiamo evidentemente – questo lo ha spiegato bene Marco Filippeschi nella sua relazione - che il sistema attuale non si giustifica, tanto più dopo la riforma del Titolo V, cioè due Camere che siano il sostanza identiche non hanno senso. Già avevano poco senso prima, ma dopo la riforma del Titolo V non hanno proprio più senso. Però dobbiamo anche evitare di andare a cercare soluzioni che peggiorerebbero il quadro, perché ci sono soluzioni che non hanno molto senso, come quella attuale, ma che in qualche modo funzionano, e che vanno certo superate. Tuttavia ce ne sarebbero altre che funzionano peggio, perché non è detto che innovando si migliora sempre. Il problema è accentuato dal fatto che il tema della riforma della seconda Camera sta all’incrocio tra il tipo di stato e la forma di governo, quindi le esigenze per cui superare l’attuale assetto sono sia per la riforma del Titolo V, sia per una legislazione elettorale che poi modificheremo, spero, ma che ha come logica quella della legittimazione diretta dei governi, a cui dovremo aggiungere la scelta dei rappresentanti. Io ritengo che noi dovremo tenere fissa anche la legittimazione diretta dei governi; tanto più se conserviamo questa esigenza l’idea di due Camere che danno ambedue a fiducia è un problema perché, come già visto, non in questa legislatura ma in quelle precedenti, tenere appeso il governo ai risultati elettorali di due Camere diverse è un problema, perché i risultati potrebbero essere opposti, oppure potrebbero essere incongruenti. Un conto è se questo si verifica una volta ogni tanto, in tutti i sistemi è possibile che si verifichino risultati anomali, come è successo questa volta in Inghilterra, ma un conto è che strutturalmente noi teniamo appesa la scelta del governo a due Camere, e che sono elette con sistemi che, anche se noi li avviciniamo, restano sempre un po’ diversi e che sono comunque esposte anche alla voglia di un elettore che può votare su due schede in maniera diversa. Quindi, questo è il nodo: dico ciò perché l’ultima riforma che fu fatta, quella poi bocciata nel referendum del 2006, aveva un elemento positivo (su cui ritorno), cioè aveva individuato la scelta contestuale da parte degli elettori degli eletti al Senato simultaneamente alle elezioni regionali, ma si era andata ad impiccare sulle funzioni del Senato, che non stavano letteralmente in piedi, perché quel progetto bocciato nel referendum prevedeva una cosa che non si ha da nessuna parte, sia la prevalenza in alcune materie della Camera che non dava la fiducia (noi non riscontriamo nel diritto comparato dei casi in cui delle Camere che non danno la fiducia al governo prevalgono su quelle che danno la fiducia al Governo), sia dei poteri di veto paritari smodati rispetto alle seconde Camere. In genere, le seconde camere, al di là delle funzioni che svolgono, hanno un potere di veto paritario sulle materie costituzionali, su alcune limitate materie ordinamentali, e basta. E questo è evidente, perché il governo che è emanazione della prima Camera, e nelle grandi democrazie a sua volta anche emanazione degli elettori, non può essere paralizzato da una Camera che non ha il rapporto fiduciario, dato quando si vota è chiaro che chi vince una Camera esprime il governo. Ma il Governo non vuole solo dire occupare le postazioni fisiche dell'esecutivo, ma anche applicare un determinato programma politico. Se esso deve essere paralizzato da un’altra Camera il sistema diventa più irrazionale persino di quello che abbiamo oggi. Non mi sembrerebbe una soluzione particolarmente sensata. Quindi, partendo dalle funzioni, è chiaro che la seconda Camera, se la differenziamo, può avere solo funzioni di veto parziale su materie limitate. Qualcuno può obiettare: ma questa camera avrebbe una forma di deminutio. Però questo ragionamento, secondo me, non tiene conto del fatto che le prime Camere sono elette in genere con sistemi selettivi, che tendono a legittimare direttamente il governo. Quindi i margini di intervento dei parlamentari della Camera che esprime il governo, sono in realtà dei margini di norma limitati, si possono riespandere in casi eccezionali come l’attuale in cui il Governo che deriva dalle urne ha perso forza e deve cedere il passo, però in situazioni fisiologiche i parlamentari della prima Camera in larga parte rispecchiano le decisioni di programma prese dagli elettori, che hanno legittimato il governo attraverso il voto. Quindi non è che la Camera che ha un potere di veto minore, abbia di per sé una deminutio; per certi versi vale nei confronti della Camera che non ha il rapporto fiduciario il ragionamento sul rinvio presidenziale delle leggi. Il rinvio formalmente consente solo al Presidente di rinviare una legge, ma poi, se il Parlamento la riapprova, il Presidente la deve firmare anche in testo identico. Questo però non capita pressoché mai, perché? Il potere di persuasione del Presidente della Repubblica, che sta fuori dal rapporto fiduciario, è tale per cui, anche se dal punto di vista giuridico formale il Parlamento può riapprovare lo stesso testo, in realtà non lo fa perché tiene conto dei correttivi indicati, almeno parzialmente, dalla Presidenza della Repubblica col proprio potere autorevole di moral suasion. Quindi non è detto che il ruolo dei parlamentari di una Camera che non ha il rapporto fiduciario, e che quindi non ha lo stesso potere legislativo, sia politicamente inferiore a quello dei parlamentari che siano nella prima Camera che ha il rapporto fiduciario. Questo mi sentirei di dirlo con convinzione, pur colpendo stereotipi diffusi. Quindi, secondo me, il riparto di competenze che individua la bozza Violante, ovvero un tendenziale primato della Camera che esprime il governo rispetto all’altra, mi sembra inevitabile. In ogni caso questa è la regola in tutte le democrazie parlamentari, dove cioè c’è il rapporto fiduciario tra Parlamento e governo e prevale la Camera che dà la fiducia al governo nel voto sulle leggi, tranne le leggi costituzionali e determinati limiti ordinamentali. Se vogliamo superare il bicameralismo paritario, questa è l’unica soluzione razionale, se dobbiamo invece andare ad un sistema in cui la Camera che non ha il rapporto fiduciario può paralizzare il governo, allora teniamoci il sistema attuale altrimenti peggioriamo. Questa la lancerei come avvertenza seria, cioè non ripetiamo gli errori della riforma costituzionale abortita grazie alla bocciatura nel referendum. C’è l’altro nodo, quello della composizione: da dove vengono fuori i rappresentanti della seconda Camera? Ora, in Italia, se noi usciamo dallo schema dell’elezione popolare diretta dei senatori, dove andiamo concretamente? Perché in astratto ci sono dei modelli che potrebbero reggere, cioè sia un modello di un Senato dei consigli di tipo austriaco, in cui i consigli regionali eleggono la seconda camera, sia il modello Bundestag dei governi regionali. Sono modelli che di per sé tengono, ma essi hanno una caratteristica, che c’è un solo ente rappresentato, quindi si sa bene che cosa è quella Camera, perché essa ha un ente solo di riferimento. E' una scelta chiara, e quindi quelli che sono lì hanno una caratterizzazione politica, però soprattutto rappresentano un ente e la Camera ha quindi una logica peculiare. Se invece, e questo è anche il problema della soluzione della bozza Violante, noi andiamo a mettere una composizione mista, quella Camera è la somma di cose diverse, la somma di un ente e di di un altro. Già costruirla in fase di proposta è problematico. Perché? Perché, per come è concretamente strutturato il nostro meccanismo autonomistico anche dopo il Titolo V, non è immaginabile in Italia scegliere solo le giunte regionali, scegliere solo i consigli regionali, scegliere solo le espressioni dei consigli delle autonomie, scegliere solo una rappresentanza dei sindaci. Fatalmente rischieremmo di sommare varie cose, non necessariamente solo due, dato che poi, una volta che si comincia a dire che la composizione è mista (nel caso della bozza Violante ci si ferma a due), si può dire: ma allora perché non metterci anche un pezzo di rappresentanza di membri elettivi? Perché non inserire anche i presidenti di alcune regioni? Cioè, rischiamo una camera a mosaico, dove alla fine, siccome si rappresentano due, tre, quattro cose diverse, che cosa succede? Che ci si ricompone per partiti, perché poi alla fine i sindaci sono un tot, i presidenti di regione sono un tot, quelli eletti direttamente un altro. Alla fine, per rimettere insieme i cocci, cosa si fa? Si fanno i gruppi su base politica, ma se si procede così si ritorna alla logica della prima Camera senza il vantaggio dell’elezione diretta, per cui io, francamente, ritengo che da lì non se ne possa uscire. Se fosse possibile in astratto in un determinato paese scegliere una seconda Camera, rappresentativa solo di un ente, io direi che questa è la soluzione – in astratto – migliore. Siccome però oggi concretamente in Italia, come dimostra la mancata attuazione della norma transitoria del Titolo V sull’integrazione della Commissione bicamerale questioni regionali, che non si riuscì a fare perché non si riuscivano a soppesare i vari enti, anche ammesso che si riesca a costruire una composizione mista, poi dopo, essa finisce in una riarticolazione su base partitica. Quindi capisco tutti coloro che amano i Bundestag, capisco tutti coloro che vogliono fare queste ccomposizioni miste, ma secondo me questa è una strada, qui e oggi, che non ci fa arrivare o, se ci fa arrivare, ci crea una seconda Camera fotocopia della prima, ma senza l’elezione diretta, e quella si che sarebbe in qualche modo veramente dimidiata. Quindi penso che noi dobbiamo ragionare facendo un mix tra la scelta della proposta bocciata nel referendum del centro destra (l’elezione dei senatori da parte dei cittadini contestuale a ciascun consiglio regionale) col sistema di ripartizione tra le due Camere della bozza Violante. Oltre tutto questa proposta avrebbe anche un vantaggio, che in politica non è mai disprezzabile: di apparire una mediazione tra le proposte dei due principali schieramenti perché si prenderebbe il modo di elezione scelto da uno schieramento e le competenze suggerite dall’altro schieramento. E quindi questo, quando si fanno in genere dei compromessi parlamentari, non sarà magari apprezzato dagli studiosi come un esempio di coerenza integrale, però in genere consente a ciascuno di poter vedere nella mediazione finale un punto di equilibrio in cui riconoscersi, rivendicando anche la propria parte di verità. Nel testo scritto poi trovate la ricostruzione delle varie proposte, e quindi anche, risalendo ad esse, troverete degli argomenti che vi convinceranno di più che non questa mia rapida motivazione. Una proposta che si trova in un disegno di legge da me depositato all’inizio legislatura, il DDL 1086 Senato, insieme ad altri colleghi. C’è da segnalare infine un’altra ipotesi di tipo minimalistico, che era quella depositata dal governo Berlusconi poco prima di cessare le sue funzioni, che in sostanza tiene inalterato il sistema di elezione, il doppio rapporto fiduciario CameraSenato, e cerca di specializzare il bicameralismo trae le due Camere in modo procedurale. Però anche qui a me sembra un po’ incongruente dal punto di vista logico avere due Camere, tutte e due elette allo stesso modo, che hanno tutte e due il rapporto fiduciario, e poi specializzate, sia pure tendenzialmente, per materia. Eviterei un unicum nel diritto comparato, anche perché poi le composizioni delle Camere, le sensibilità possono essere tali per cui, si giustifica piuttosto male nella prassi una differenziazione aprioristica per materie. Già le differenziazioni per materie sono problematiche: lo abbiamo visto nel rapporto stato-regioni. Se poi le andiamo anche a incardinare dentro il bicameralismo creano problemi in più, perché, quando noi abbiamo una divisione per materie tra lo stato e le regioni, si finisce alla Corte, e la Corte in qualche modo cerca di cavarsela, però il problema di distinguere nettamente per titoli di materie tra le Camere, potrebbe poi portare i cittadini a chiedere l’invalidazione di leggi in via incidentale perché un testo avrebbe dovuto essere approvato da una camera anziché un’altra. Cioè, il problema di distinguere tra una Camera e l’altra è molto peggio nelle sue conseguenze della difficoltà di distinguere per materie tra stato e regioni. Direi quindi questo: se bisogna proprio fare cose minimaliste, allora tanto vale fare proprio due Camere uguali, identiche; visto che bisogna semplificare, riduciamo tutte e due a 315. Paradossalmente se uno volesse adottare la logica minimalista dovrebbe entrare in questa logica qua. Siccome per fortuna abbiamo davanti a noi ancora un anno e mezzo di legislatura, e giustamente mi sembra che il Paese si attenda cose non minimalistiche, di tutte le cose non minimalistiche astrattamente ipotizzabili, cerchiamo di fare delle cose che abbiano delle regolarità nel diritto comparato. La regolarità prima è che giuridicamente prevale la Camera che dà la fiducia al governo, anche se politicamente il potere di moral situation, fornito dalla seconda Camera, può essere rilevante, io penso, non rinunciando all’elezione diretta, ma rendendola contestuale ai consigli regionali, perché è quello che ci evita la confusione delle composizioni miste. Grazie.