IL BOSCO SULL`AUTOSTRADA. A casa di Marcovaldo quella sera

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IL BOSCO SULL`AUTOSTRADA. A casa di Marcovaldo quella sera
IL BOSCO SULL'AUTOSTRADA.
A casa di Marcovaldo quella sera erano finiti gli ultimi stecchi, e la
famiglia, tutta incappottata, guardava nella stufa impallidire le braci e
dalle loro bocche le nuvolette salire ad ogni respiro. Non dicevano più
niente; le nuvolette parlavano per loro: la moglie le cacciava lunghe
lunghe come sospiri, i figlioli le soffiavano assorti come bolle di sapone e
Marcovaldo le sbuffava verso l'alto a scatti come lampi di genio che subito
svaniscono. Alla fine Marcovaldo si decise: "Vado per legna…"
Andare per legna in città: una parola! Marcovaldo si diresse subito verso
un pezzetto di giardino pubblico che c'era tra due vie. Tutto era deserto.
Marcovaldo studiava le nude piante a una a una pensando alla famiglia che
lo aspettava battendo i denti…
Il piccolo Michelino, battendo i denti, leggeva un libro di fiabe, preso in
prestito alla bibliotechina della scuola. Il libro parlava di un bambino
figlio di un taglialegna che usciva con l'accetta per far legna nel bosco.
"Ecco dove bisogna andare - disse Michelino - nel bosco! Lì sì che c'è la
legna!" Nato e cresciuto in città non aveva mai visto un bosco neanche di
lontano. Detto fatto, combinò con i fratelli: uno prese un'accetta, uno un
gancio, uno una corda, salutarono la mamma e andarono in cerca di un
bosco. Camminavano per la città illuminata dai lampioni e non vedevano
che case: di boschi, neanche l'ombra. Incontravano qualche raro passante
ma non osavano chiedergli dov'era un bosco. Così giunsero dove finivano
le case della città e la strada diventava un'autostrada. Ai lati dell'autostrada
i bambini videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi copriva la
vista della pianura. Avevano i tonchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome
piatte e estese, dalle più strane forme e dai più strani colori; quando
un'auto passava le illuminava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di
faccia, di formaggio, di mano, di rasoio, di bottiglia, di mucca, di
pneumatico, costellate da un fogliame di lettere dell'alfabeto. Così
abbatterono un alberello a forma di primula gialla, lo fecero in pezzi e lo
portarono a casa.
Marcovaldo tornava col suo magro carico di rami umidi e trovò la stufa
accesa.
"Dove l'avete presa?" esclamò indicando i resti del cartellone pubblicitario
che, essendo di legno compensato, era bruciato molto in fretta.
"Nel bosco!" fecero i bambini.
"E che bosco?"
"Quello dell'autostrada. Ce n'è pieno!"
Visto che era così semplice e che c'era di nuovo bisogno di legna, tanto
valeva seguire l'esempio dei bambini. Marcovaldo tornò ad uscire con la
sega e andò sull'autostrada.
L'agente Astolfo della polizia stradale era un po' corto di vista e la notte,
correndo in moto, avrebbe avuto bisogno degli occhiali; ma non lo diceva,
per paura d'averne un danno nella sua carriera.
Quella sera viene denunciato il fatto che, sull'autostrada, un branco di
monelli stava buttando giù i cartelloni pubblicitari. L'agente Astolfo parte
in ispezione. Ai lati della strada la selva di strane figure ammonitrici e
gesticolanti accompagna Astolfo, che le scruta ad una ad una, strabuzzando gli occhi miopi. Ecco che, al lume del fanale della moto, sorprende un
monellaccio arrampicato su un cartello. Astolfo frena: "Ehi! Che fai lì, tu?
Salta giù subito!" Quello non si muove e gli fa la lingua: Astolfo si
avvicina e vede che è la réclame di un formaggino, con un bamboccione
che si lecca le labbra. "Già, già" fa e riparte di gran carriera.
Dopo un po', nell'ombra di un gran cartellone, il fanale illumina
Marcovaldo arrampicato in cima che con la sua sega cerca di tagliarsene
un pezzo. Abbagliato dalla luce, Marcovaldo si fa piccolo, piccolo e resta
lì immobile, aggrappato ad un orecchio del testone, con la sega che è già
arrivata a mezza fronte. Astolfo studia bene e dice: "Ah, sì: compresse
Stappa! Un cartellone efficace! Ben trovato! Quell'omino lassù con quella
sega significa l'emicrania che taglia in due la testa. L'ho capito subito." E
se ne riparte soddisfatto.
da: "Marcovaldo" di Italo Calvino
UNA FIABA.
C'era un buon vecchio, cui erano morti i figli e non sapeva come campare,
lui e sua moglie, anch'essa vecchia e malandata. Andava tutti i giorni a far
legna nel bosco, e vendeva la fascina per comprare il pane, se no non
mangiava.
Un giorno, mentre andava pel bosco lamentandosi, gli si fece incontro un
signore dalla lunga barba, e gli disse: "So tutte le tue pene, e voglio aiutarti. Ecco una borsa con cento ducati." Il vecchio prese la borsa e svenne.
Quando si riebbe, quel signore era scomparso. Il vecchio tornò a casa e
nascose i cento ducati sotto un mucchio di letame, senza dir niente alla
moglie. "Se li do a lei, finiscono presto..." e continuò ad andar nel bosco
l'indomani come prima.
La sera dopo, trovò la tavola ben imbandita.
"Come hai fatto a comprare tutta questa roba?" chiese, già in allarme.
"Ho venduto il letame" disse la moglie.
"Sciagurata! C'erano cento ducati nascosti"
L'indomani, il vecchio andava per il bosco sospirando più di prima. E incontrò di nuovo quel signore dalla lunga barba. "So della tua sfortuna.disse il signore - Pazienza: ecco qui altri cento ducati." Stavolta il vecchio
li nascose sotto un mucchio di cenere. La moglie il giorno dopo vendette
la cenere e imbandì la tavola. Il vecchio quando tornò e seppe, non mangiò
neanche un boccone: andò a letto strappandosi i capelli.
Al bosco, l'indomani, stava piangendo, quando tornò quel signore. "Stavolta non ti darò più del danaro. Tieni queste ventiquattro rane, vendile, e
col ricavato comprati un pesce, il più grosso che riuscirai ad avere." Il vecchio vendette le ranocchie e comprò un pesce. La notte s'accorse che luccicava: mandava una gran luce che si spandeva tutt'intorno. A tenerlo in
mano, era come tenere una lanterna. La sera lo appese fuor della finestra
perché stesse al fresco. Era una notte buia, di burrasca. I pescatori che
erano al largo non trovavano la via del ritorno, tra le onde. Videro la luce a
quella finestra, remarono dirigendosi verso la luce e si salvarono. Diedero
al vecchio metà della loro pesca e fecero con lui il patto che se avesse appeso quel pesce alla finestra ogni notte, avrebbero sempre diviso con lui la
pesca della notte. E così fecero, e quel buon vecchio non conobbe più la
miseria.
di Italo Calvino
IL CORVO E LA VOLPE
C'era una volta un corvo che aveva trovato un bel pezzo di formaggio.
Tenendolo ben stretto nel becco, volò in alto su un pioppo e si preparò a
mangiarselo in pace. Là vicino c'era anche una volpe, che subito notò il bel
pezzo di formaggio in bocca al corvo. Allora si avvicinò all'albero, proprio
sotto all'uccello, e disse:
"Come sei bello, corvo, stamattina! Le tue penne brillano al sole con mille
riflessi colorati. Il tuo corpo è snello ed elegante: nessun altro uccello è
come te. Credo proprio che tu sia il re degli uccelli. Però non conosco la
tua voce: chissà se è bella come le tue penne?"
Il corvo era rimasto ad ascoltare tutto il discorso della volpe, prima stupito
e poi sempre più contento, tanto che si era dimenticato di mangiare il suo
formaggio e anche di averlo nel becco.
"Certo che la mia voce è bella come le mie penne!" pensò subito e volle
anche dimostrarlo: con grande energia gonfiò il petto e gracchiò forte. Dal
suo becco spalancato piombò giù il pezzo di formaggio e la volpe, che
stava tutta attenta col muso in aria, lo acchiappò abilmente al volo. La
volpe non parlò più, ma corse via allegra con la sua preda, mentre il corvo,
lassù, rimaneva ancora a bocca aperta.
dalle favole di Fedro
UNO SCHERZO INVERNALE.
In una certa sera d'inverno, un bottegaio si preparava a chiudere per la
notte. Mentre stava fuori, nella neve, assicurando i battenti della finestra,
si accorse che una specie di mascalzone, rimasto dentro, acchiappava di
soppiatto un pezzo di burro fresco e se lo nascondeva nel cappello. Vedere
la birbonata e pensare la vendetta fu tutt'uno per il bottegaio:
"Ehi, Seth - esclamò, richiudendosi dietro l'uscio nel rientrare; e batté la
mano sulla spalla del ladro, scotendo la neve dagli stivali. Seth si era
rimesso il cappello col burro dentro e aveva già la mano sull'uscio, ansioso
di svignarsela - sedete un momento, mio caro: con questo freddaccio, un
goccetto di roba già calda è quel che ci vuole."
Seth esitava: desiderava battersela, a causa del burro, ma la tentazione del
goccetto caldo indeboliva seriamente la sua risoluzione. Il dubbio fu presto
risolto dal bottegaio derubato: spinto Seth per le spalle, lo piantò a sedere
presso la stufa, dietro una barricata di scatole e barili; sicché, mentre l'altro
gli stava davanti, non c'era modo di uscire; e appunto di contro a lui il
bottegaio si mise a sedere tranquillamente.
"Assaggeremo - disse il padrone della bottega - un sorso di vino bollente."
E, aperto lo sportello della stufa, vi ficcò dentro tutta la legna che vi
poteva entrare.
"Altrimenti - aggiunse - in una notte come questa c'è da gelare!"
Seth sentiva già più greve sulla testa la pressione del burro e i capelli già
mezzo appiccicati e scattò su, dicendo che doveva andare via.
"Ma non prima d'aver bevuto. - disse l'altro - Sentite, Seth, vi voglio
raccontare una storiella."
E Seth fu ricacciato a sedere dall'astuto tormentatore.
"Fa così caldo qui!" gemette il misero ladro, tentando d'alzarsi.
"Ma sedete, non abbiate tanta fretta!" rispose il bottegaio, spingendolo
nuovamente sulla sedia.
"Ho da governar le vacche e spaccar legna; debbo andare!" insisté il
perseguitato briccone.
"Non si scappa a questo modo! Sedete e lasciate in pace le vacche. State
tranquillo! Siete nervoso, stasera." disse il bottegaio con un perfido
sogghigno.
Subito dopo vennero fuori due bicchieroni fumanti di vino.
"Vi farò un brindisi, Seth, e ve lo sentirete andar giù liscio come burro. disse il bottegaio con tale semplicità che il povero Seth non si credette
sospettato - Questo, Seth, va giù come un pollastro di Natale, di quelli
bene arrostiti; e, badate, cucinato né con strutto, né con burro comune.
Via, via, prendete il vostro burro, Seth; il vostro vino, volevo dire."
Il povero Seth fumava da un lato e si liquefaceva dall'altro; e la sua bocca
era completamente sigillata, come se fosse muto. Il burro colava a rivoli di
sotto il cappello e il suo fazzoletto da collo era già unto e bisunto.
Chiacchierando, come se niente fosse, il maligno bottegaio continuava a
metter legna nella stufa, mentre il povero Seth stava ritto con le spalle
appoggiate al banco e le ginocchia vicino alla rossa fornace che ardeva
davanti.
"Nottata diaccia! - osservò il padrone - Ma, Seth, voi sudate! O che avete
caldo? Perché non vi levate il cappello? Date qui, via!"
"No! - esclamò il povero Seth alla fine - No, debbo andare: lasciatemi
uscire! Non sto bene! Lasciatemi andare!"
Una cateratta untuosa colava lungo il viso e il collo del disgraziato e gli
inondava i panni, gocciolando lungo la persona fin dentro gli stivali. Era
letteralmente in un bagno… di burro.
"Buona sera, allora - disse il bottegaio - giacché volete scappare ad ogni
costo!"
E, mentre l'altro si precipitava fuori, soggiunse:
"Seth, lo scherzo che vi ho fatto val bene un pezzo di burro: così che non
parleremo più di quello che avete nel cappello!"
di Mark Twain
IL CONTADINO E IL DIAVOLO
C'era una volta un contadino accorto e scaltro e dei suoi tiri molto ci sarebbe da
raccontare, ma la storia più bella è come una volta abbia incalappiato il diavolo
e l'abbia menato per il naso.
Un giorno il contadino aveva seminato il suo campo e si preparava a tornar a
casa, che già si era fatto buio. Vide in mezzo al campo un mucchio di carboni
ardenti e, quando vi si accostò tutto meravigliato, ecco, proprio in cima alla
brace, sedeva un diavoletto nero.
"Sei certo seduto sopra un tesoro?" disse il contadino.
"Sicuro! - rispose il diavolo - E c'è più argento e oro di quanto tu abbia mai
visto in vita tua."
"Il tesoro è nel mio campo e mi appartiene!" disse il contadino.
"E' tuo, - rispose il diavolo - se per due anni mi dai la metà di quel che produce
il tuo campo; denaro ne ho fin troppo, ma mi fan gola i frutti della terra."
Il contadino accettò il contratto.
"Perché non ci sian liti al momento di spartire, - disse - sarà tuo quello che c'è
sopra la terra e mio quel che c'è sotto."
Il diavolo acconsentì, ma l'astuto contadino aveva seminato delle rape. Quando
venne il tempo del raccolto, comparve il diavolo e voleva prendersi la sua
parte; ma trovò soltanto delle foglie gialle e avvizzite, mentre il contadino,
tutto contento, cavava di sotterra le sue rape.
"Questa volta ci hai guadagnato tu, - disse il diavolo - ma la prossima volta non
andrà così: tuo è quel che cresce sopra la terra, e mio quel che è sotto."
"Benissimo!" rispose il contadino.
Ma quando venne il momento della semina, non seminò più rape, ma frumento.
La messe maturò, il contadino andò nel campo e falciò le spighe piene. Quando
arrivò il diavolo, trovò soltanto le stoppie, e sprofondò furioso in un burrone.
"Così si ingannano le volpi!" disse il contadino; e andò a prendersi il tesoro.
dalle "Fiabe" di W.K. Grimm
L'ALBERO CHE NON CONOSCEVA L'AUTUNNO
C'era una volta un alberello nuovo. Era nato in una serra, poi era stato messo in
un prato verde e per tutta la primavera e l'estate si era trovato benissimo. Un
mattino, però, successe una cosa strana: le rondini partirono dicendo che
sarebbero tornate l'anno dopo.
"Ma perché se ne vanno?" domandò l'albero incuriosito.
"E' perché non sopportano il freddo. - spiegò uno scoiattolo - Sai com'è: adesso
arrivano l'autunno, la pioggia, il vento e alla fine ci sarà l'inverno e gelo
dappertutto."
"E come faremo noi che non sappiamo volare?"
"Oh, io me ne starò al calduccio a casa mia, e tu cadrai in letargo."
"Che cosa vuol dire?"
"Credo che sia come dormire." disse lo scoiattolo e se ne andò.
"Chiederò spiegazione ai gatti. - pensò l'albero - Di sicuro lo sanno, non fanno
che dormire."
Passava giusto un gatto e l'alberello l'interrogò:
"Ehi, tu, quando dormi vai in letargo? E come fai?"
"Io giro tre volte su me stesso, mi acciambello e chiudo gli occhi. E' molto
facile."
L'alberello tentò di girare, di acciambellarsi, di chiudere gli occhi, ma non ci
riuscì.
"Ci sarà un altro sistema. - pensò - Lo chiederò al ghiro che abita sotto la
terra."
"Beh - disse il ghiro tra uno sbadiglio e l'altro - prima devi mangiare tantissimo
e diventare grasso, poi ne riparleremo."
L'albero tentò di mangiare il più possibile ma non aumentava di un etto.
Intanto le giornate si facevano più corte, cadeva una pioggia insistente e in
certe ore della giornata la nebbia avvolgeva i rami.
"Morirò di freddo" pensò l'albero, e mentre lo pensava capì quello che doveva
fare: chiuse i piccoli tubi entro i quali passa la linfa e si addormentò. Le foglie
caddero a terra a una a una e l'albero non se ne accorse nemmeno.
di P. de Nolhac
IL VECCHIO E IL MARE
Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del
Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei
primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo
quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori
del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente "salao", che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li
aveva ubbiditi andando in un'altra barca che prese tre bei pesci nella prima
settimana.
Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca
vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la
gaffa e la fiocina e la vela serrata all'albero. La vela era rattoppata con
sacchi di farina e quand'era serrata pareva la bandiera di una sconfitta
perenne. I1 vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde sulla nuca.
Sulle guance aveva le chiazze del cancro alla pelle, provocato dai riflessi
del sole sul mare tropicale. Le chiazze scendevano lungo i due lati del viso
e le mani avevano cicatrici profonde che gli erano venute trattenendo con
le lenze i pesci pesanti. Ma nessuna di queste cicatrici era fresca. Erano
tutte antiche come erosioni di un deserto senza pesci. Tutto in lui era
vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri ed indomiti.
"Santiago - gli disse il ragazzo mentre risalivano la riva dal punto sul
quale era stata sistemata la barca - potrei ritornare con te. Abbiamo
guadagnato un po' di quattrini".
Il vecchio aveva insegnato a pescare al ragazzo e il ragazzo gli voleva
bene.
"No - disse il vecchio - sei su una barca che ha fortuna. Resta con loro".
"Ma ricordati quella volta che sei rimasto ottantasette giorni senza
prendere pesci e poi ne abbiamo presi di enormi tutti i giorni per tre
settimane di seguito."
"Ricordo - disse il vecchio - lo so che non è perché dubitavi di me che mi
hai lasciato."
"E' stato il papà, che mi ha costretto a lasciarti. Sono un ragazzo e devo
ubbidire".
"Lo so. - disse il vecchio - E' assolutamente normale."
"Lui non ha molta fiducia."
"No. - disse il vecchio - Ma noi sì, vero?"
"Sì.- disse il ragazzo - Posso offrirti una birra alla Terrazza? E poi
portiamo la roba a casa."
"Perché no? - disse il vecchio - Tra pescatori."
Sedettero sulla terrazza e parecchi pescatori canzonarono il vecchio e lui
non si offese. Altri, pescatori più vecchi, lo guardarono e si sentirono tristi.
Ma non lo mostrarono e parlarono con garbo della corrente e a che
profondità avevano gettato le lenze e del bel tempo stazionario e di ciò che
avevano visto.
da: "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway
Bulka
Io avevo un cane. Si chiamava Bulka. Era tutto nero: solo le estremità
delle zampe davanti erano bianche. Lo avevo preso da cucciolo e avevo
pensato da me ad allevarlo.
Quando partii per il Caucaso non volevo portarmelo dietro: mi allontanai
da lui alla chetichella e diedi ordine che lo chiudessero a chiave.
Arrivato alla prima stazione di tappa, stavo già per salire su un'altra
carrozza, quando a un tratto mi accorsi che, lungo la strada maestra,
rotolava una cosa nera e rilucente. Era Bulka col suo collare di metallo.
Correva a perdifiato verso la stazione. Mi si slanciò addosso, mi leccò la
mano, poi si stese lungo nell'ombra della carrozza. Aveva un affanno
talmente precipitoso, che il respiro gli restava in tronco.
Come seppi poi, quando s'era accorto che io ero partito, aveva sfondato la
finestra ed era saltato all'aperto; e senz'altro, seguendo la mia traccia, s'era
lanciato al galoppo per la strada maestra, e così di galoppo aveva percorso
tutto d'un fiato venti chilometri nel colmo del caldo.
Leone Tolstoi
I testi che seguono sono formati da un'unica frase. migliora ogni testo riscrivendolo
diviso in frasi più brevi.
1. Vado da Mariolina per restituirle il vocabolario che mi ha prestato per
tradurre il brano di inglese assegnatoci ieri dall'insegnante.
2. Il ristorante all'angolo è stato chiuso perché era diventato carissimo e
negli ultimi tempi non ci andava più nessuno.
3. Avendo sbagliato solo una risposta e avendo risposto esattamente a tutte
le domande più difficili, ho ottenuto un buon punteggio nel
questionario di storia e così sono sicuro che per un bel po' non sarò più
interrogato.
4. Il re, pensando di approfittare della situazione, si schierò dalla parte dei
ribelli, tentando così di rafforzare il suo potere e di estenderlo a tutto il
paese, anche alle regioni meridionali, che fino a quel momento erano
state al di fuori della sua influenza.
5. L'allenamento fisico, condotto con regolarità, aiuta a sviluppare le
masse muscolari e a migliorare la circolazione del sangue e fa sì che il
lavoro muscolare diventi più potente e resistente e che la fatica tardi
sempre di più a comparire.
da: "Le parole, la lingua e il testo" di Marcello Sensini
Nella mia casa paterna, quand'ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli
rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia o lasciavamo cadere un coltello, la
voce di mio padre tuonava: "Non fate malagrazie!" Ogni atto o gesto
nostro che stimava inappropriato, veniva definito da lui una «negrigura».
"Non fate negrigure" ci gridava in continuazione.
Passavamo sempre le nostre vacanze in montagna. Prendevamo una casa
in affitto. Di solito eran case lontane dall'abitato, e mio padre e i miei
fratelli andavano ogni giorno, con lo zaino, a far la spesa in paese.
Drogo si presentò sull'attenti, mostrò i documenti personali, cominciò a
spiegare di non aver fatto alcuna domanda per essere assegnato alla
Fortezza (era deciso, se appena possibile, a farsi trasferire), ma il Matti lo
interruppe.
"Mi dica. - chiese a Drogo - Lei vorrebbe tornarsene immediatamente o
non le fa niente aspettare qualche mese? Per noi, le ripeto, è indifferente…
dal punto di vista formale, si capisce" aggiunse perché la frase non
suonasse scortese.
"Già che devo tornare - fece Giovanni gradevolmente stupito dalla
mancanza di difficoltà - già che devo tornare, mi sembra sia meglio
addirittura."
"D'accordo, d'accordo. - lo tranquillizzò il maggiore - Ma ora le spiego: se
lei volesse partir subito, allora il meglio sarebbe che si desse ammalato.
Lei va all'infermeria in osservazione per un paio di giorni e il medico le fa
un certificato. Ci sono molti del resto che a quest'altezza non resistono…"
"E' proprio necessario darsi ammalato" chiese Drogo che non amava
quelle finzioni.
"Necessario no, ma semplifica tutto. Se no lei dovrebbe fare una domanda
di trasferimento scritta, bisogna mandare questa domanda al Comando
supremo, bisogna che il Comando supremo risponda, ci vogliono almeno
due settimane. Soprattutto bisogna che se ne occupi il signor colonnello,
ed è questo che preferirei evitare. Queste cose in fondo gli dispiacciono,
lui si addolora, è la parola, si addolora, come se si facesse torto alla sua
Fortezza. Ecco, se fossi in lei, se proprio devo essere sincero, preferirei
evitare…"
da: "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati
4G-02
Quando l'uomo entrò, la donna gli disse che non c'era più il gatto. Allora
l'uomo domandò:
"Ma ieri sera c'era o non c'era?"
La donna stette un momento a pensare poi rispose che le sembrava di non
averlo visto neanche la sera prima.
"Chissà dov'è finito" disse l'uomo.
"Non è la prima volta che scompare - precisò la donna - ma di solito sta
lontano solo poche ore."
L'uomo osservò che si trattava di un gatto un po' pazzo, come tutti i gatti
neri, e si mise a sedere in attesa della cena.
Dopo qualche minuto, mentre alla televisione il solito meteorologo
annunciava che l'indomani sarebbe nevicato, si sentì un miagolio alla
porta.
L'uomo esclamò:
"Ecco il gatto che torna!"
Sorridendo di gioia la donna aprì la porta e, con grande sorpresa, si trovò
davanti non solo il loro gatto ma anche una gatta tutta bianca e tre micini
neri con il muso e le zampine bianche.
"Si, è tornato, ma con tutta la famiglia…"
Il gatto, intanto, aveva cominciato a strofinarsi prima contro le gambe
della donna e poi contro quelle dell'uomo, come se volesse dire loro che li
ringrazia va dell'ospitalità che senz'altro gli avrebbero concesso.
da: "Racconti televisivi" di Freddy U. Ronchi