(In)coerenza degli attivi ponderati per il rischio delle banche: un

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(In)coerenza degli attivi ponderati per il rischio delle banche: un
RIVISTA BANCARIA
www.rivistabancaria.it
MINERVA BANCARIA
ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO»
Marzo-Aprile 2015
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RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
COMITATO SCIENTIFICO (Editorial board)
PRESIDENTE (Editor):
GIORGIO DI GIORGIO,
Università LUISS Guido Carli, Roma
MEMBRI DEL COMITATO (Associate Editors):
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PAOLO ANGELINI. Banca d’Italia
PIERFRANCESCO ASSO, Università degli Studi di Palermo
EMILIA BONACCORSI DI PATTI, Banca d’Italia
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FRANCESCO CANNATA, Banca d’Italia
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MARIO COMANA, LUISS Guido Carli
GIANNI DE NICOLÒ, International Monetary Fund
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GIORGIO DI GIORGIO, LUISS Guido Carli
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GIOVANNI FERRI, Università LUMSA
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LUCA FIORITO, Università degli Studi di Palermo
FABIO FORTUNA, Università Niccolò Cusano
EUGENIO GAIOTTI, Banca d’Italia
GUR HUBERMAN, Columbia University
AMIN N. KHALAF, Ernst & Young
RAFFAELE LENER, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
NADIA LINCIANO, CONSOB
PINA MURÉ, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
FABIO PANETTA, Banca d’Italia
ALBERTO FRANCO POZZOLO, Università degli Studi del Molise
ZENO ROTONDI, Unicredit Group
ANDREA SIRONI, Università Bocconi
MARIO STELLA RICHTER, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
MARTI SUBRAHMANYAM, New York University
ALBERTO ZAZZARO, Università Politecnica delle Marche
Comitato Accettazione Saggi e Contributi:
GIORGIO DI GIORGIO (editor in chief) - Alberto Pozzolo (co-editor)
Mario Stella Richter (co-editor) - Domenico Curcio (assistant editor)
ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA
«FRANCESCO PARRILLO»
PRESIDENTE
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VICE PRESIDENTI
MARIO CATALDO - GIOVANNI PARRILLO
CONSIGLIO
TANCREDI BIANCHI, GIAN GIACOMO FAVERIO, ANTONIO FAZIO,
GIUSEPPE GUARINO, PAOLA LEONE, ANTONIO MARZANO, FRANCESCO MINOTTI,
PINA MURÈ, FULVIO MILANO, ERCOLE P. PELLICANO’,
CARLO SALVATORI, MARIO SARCINELLI, FRANCO VARETTO
In copertina: “Un banchiere e sua moglie” (1514) di Quentin Metsys (Lovanio, 1466 - Anversa, 1530), Museo del Louvre - Parigi.
RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
ANNO LXXI (NUOVA SERIE)
MARZO-APRILE 2015 N. 2
SOMMARIO
Editoriale
G. DI GIORGIO
Oltre il QE: area euro e Italia alla prova della ripresa ........ 3
Saggi
F. CANNATA,
S. CASELLINA
M. LIBERTUCCI
(In)coerenza degli attivi ponderati per il rischio
delle banche: un’analisi empirica
sui grandi players europei ..................................................... 7
M. MUSCETTOLA
L’intensità della domanda e dell’offerta:
di credito bancario come fattore rilevante
di classificazione delle imprese ........................................... 41
Contributi
S. SEGNALINI
I primi centodieci anni degli art funds: problemi
e prospettive ........................................................................ 75
Rubriche
Primi passi della vigilanza unica bancaria
(G. Cinquegrana, M. Di Stefano) ............................................................................... 103
Asset quality review: la trasparenza si è tradotta in un investimento
(da capitalizzare) di circa 56 miliardi di euro per il sistema
(M. Macellari, G. Costantino, M. Salemi) .................................................................. 129
Bankpedia:
Meccanismo di vigilanza unico - MVU
(G. Aversa) ........................................................................ 137
Recensioni
G. Amari, Parla Federico Caffè. Dialogo immaginario
sulla “società in cui viviamo” (L. Paliotta) .................................................................. 143
Presidente del Comitato Scientifico: Giorgio Di Giorgio
Direttore Responsabile: Giovanni Parrillo
Comitato di Redazione: Eloisa Campioni, Mario Cataldo, Giovanni Nicola De Vito, Vincenzo Formisano, Stefano
Marzioni, Biancamaria Raganelli, Giovanni Scanagatta, Giuseppe Zito
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(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL
RISCHIO DELLE BANCHE: UN’ANALISI EMPIRICA
SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
FRANCESCO CANNATA*
SIMONE CASELLINA*
MASSIMO LIBERTUCCI*
Sintesi
Il dibattito sull’affidabilità degli attivi bancari ponderati per il rischio (Risk-Weighted Assets, RWA) delle banche, intensificatosi dopo la crisi finanziaria,
rimane aperto. Da un lato, le autorità di vigilanza stanno introducendo misure
volte ad assicurare che le metriche prudenziali catturino in modo preciso i rischi
impliciti nei bilanci. Dall’altro gli intermediari e gli analisti di mercato, preoccupati da possibili disparità di trattamento tra banche e giurisdizioni, chiedono
a gran voce una maggiore comparabilità delle metriche prudenziali e una più
convinta armonizzazione delle prassi di vigilanza.
La risposta delle autorità di vigilanza è stata intensa e articolata. La profonda
revisione delle regole di calcolo degli RWA, alla base delle norme di Basilea 3, è
stata affiancata da analisi volte a identificare i fattori alla base delle divergenze
osservate degli RWA tra banche.
L’articolo si pone un duplice obiettivo. In primo luogo, fornire una visione
d’insieme della discussione in atto, dando conto delle analisi condotte fornendo
una rassegna delle metodologie proposte in varie sedi per esaminare la coerenza
degli RWA e individuare i drivers della loro dispersione. In secondo luogo, mostrare, sulla base di un esercizio empirico condotto su un campione dei maggiori
gruppi bancari europei, come la indubbia complessità degli attivi ponderati a
rischio richieda l’utilizzo di adeguati strumenti di analisi: il rischio, in caso contrario, è di alimentare la confusione.
*
Banca d’Italia, Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria. L’articolo riflette esclusivamente l’opinione degli
Autori e non impegna in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
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FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
Banks’ Risk-Weighted Assets (in)consistency: an Empirical Analysis of European
Large Players – Abstract
The policy debate on the overall reliability of banks’ Risk-Weighted Assets
(RWA) is still open. Supervisory authorities have shown concerns about the actual ability of prudential metrics to provide a comprehensive, reliable picture of
the risks implied in banks’ balance sheets. At the same time, a potential uneven
playing field for internationally active players has worried both banks and market
analysts. Market participants have repeatedly voiced for an increased comparability of prudential standards, along with a stronger harmonization of supervisory
practices.
The reaction of supervisory authorities has been prompt and intense. The deep
revision of the rules to compute RWA realized with the Basel 3 reform has been
reinforced by several analyses targeting the factors behind the divergence of RWA
among banks. The dispersion of RWA has eventually gained a seat at the international regulators’ table.
The aim of this article is twofold. First, to provide a high-level view of the
current international debate, reporting the different views proposed and the analyses conducted. A comprehensive survey of the various methodologies to examine
RWA consistency that have been proposed over the years complements this section.
Second, by leveraging on the results of an empirical study covering a sample of the
largest European banking groups, to demonstrate that the complexity of RWA must
be mirrored in the degree of sophistication of the analytical tools employed.
JEL Classification: G21, G28.
Keywords: Risk-Weighted Assets, Internal Model, Credit Risk, IRB, Basel 3
Parole chiave: Risk-Weighted Assets, modelli interni, rischio di credito, IRB, Basilea 3
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SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
1. Introduzione
Il rischio è connaturato all’attività bancaria; la sua valutazione rappresenta
un’attività cruciale per i diversi stakeholders (manager, azionisti, depositanti,
analisti di mercato, auditors, autorità di vigilanza). L’attenzione generale verso
la rischiosità delle banche, e dei loro attivi in particolare, è molto aumentata
negli anni recenti. La crisi finanziaria internazionale è maturata proprio all’interno dei sistemi bancari dei principali paesi; assicurare la loro solidità ha reso
necessario in molti casi il massiccio impiego di risorse pubbliche. Il legame,
già stretto, tra la performance delle banche e lo stato di salute delle economie
si è così ulteriormente rafforzato; in Europa, esso ha assunto una connotazione quasi perversa.
Nel corso degli anni, la regolamentazione bancaria ha progressivamente
incorporato gli sviluppi proposti sia in ambito accademico sia tra i practitioners nel campo del risk management, utilizzando le best practices esistenti per
disegnare norme che consentissero di catturare adeguatamente i rischi del
business bancario (Padoa-Schioppa (2011)). Gli attivi ponderati a rischio
(risk-weighted assets, RWA) – che costituiscono il denominatore del rapporto di solvibilità (solvency ratio) – rappresentano la metrica che le autorità di
vigilanza hanno individuato per misurare la rischiosità di un bilancio bancario, in linea con il principio di sensibilità al rischio, introdotto a livello
internazionale nel 1988 con gli Accordi di Basilea. Gli RWA sono divenuti
nel tempo un importante parametro di riferimento anche per banche e operatori di mercato, in virtù del loro crescente utilizzo in chiave gestionale.
Tuttavia, la loro coerenza è stata di recente messa in discussione, sia per
la loro presunta incapacità di riflettere la rischiosità effettiva dei portafogli bancari sia per il presunto eccesso di discrezionalità rimesso a banche e
supervisori, rispettivamente, nella misurazione dei rischi e nella convalida
delle scelte metodologiche degli intermediari.
I timori sull’incoerenza nella misurazione degli RWA bancari provengono
da più fonti. Da un lato, le autorità di vigilanza sono preoccupate che le metriche prudenziali possano non catturare in modo completo e preciso i rischi
impliciti nei bilanci bancari (Gustin, E., P. Van Roy, (2014))1. Anche a causa
delle operazioni di ottimizzazione degli RWA, il livello di capitalizzazione dei
sistemi bancari potrebbe risultare non adeguato ai rischi effettivamente sostenuti dagli intermediari (Haldane e Maduro (2012)). Gli effetti negativi delle
differenze nel calcolo degli RWA a livello internazionale sono state evidenziate
1
Vanno in questa direzione le modifiche alle regole di calcolo introdotte con Basilea 2.5 e Basilea 3 e quelle
ancora in cantiere, quale ad esempio la “fundamental review” del trading book.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
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FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
dagli stessi regolatori; ad essere posti in pericolo sono gli obiettivi di Basilea
3 (Turner, 2011) così come il level playing field internazionale (Bair (2011)).
L’opacità della misurazione degli RWA ha riacceso l’interesse per misure
che si basano sul valore nominale dell’attivo delle banche (Blum (2008); Duchin e Sosyura (2014)).
Accanto ai timori delle autorità di vigilanza, si sono levate le voci di banche
e analisti di mercato. La principale preoccupazione espressa dagli intermediari, specialmente quelli con rilevante operatività transnazionale, riguarda possibili disparità di trattamento tra intermediari operanti in giurisdizioni diverse,
laddove – a parità di condizioni – le divergenze tra gli RWA non siano giustificate da una effettiva diversità nei rischi degli attivi (Ledo (2011)). Parzialmente differente è l’ottica degli analisti di mercato, imperniata sul confronto
tra banche. I risultati delle analisi condotte in questo ambito supportano una
richiesta alle autorità per una maggiore comparabilità delle metriche prudenziali e una più convinta armonizzazione delle prassi di vigilanza. Il rischio,
spesso paventato in modo esplicito, è una drastica riduzione della credibilità
degli RWA e, conseguentemente, degli stessi supervisori.
La risposta delle autorità di vigilanza a tali timori è stata intensa e articolata. Da un lato, è stata realizzata una profonda revisione delle regole di calcolo
degli RWA nell’ambito della riforme di Basilea 2.5 e Basilea 3, al fine di catturare in modo più preciso i rischi impliciti nei diversi comparti dell’operatività
bancaria. Dall’altro, sono state avviate mirate analisi sui fattori alla base delle
divergenze osservate degli RWA tra singole banche. A partire dal 2012 il tema
della dispersione degli RWA è stato inserito a pieno titolo nell’agenda dei
regulators internazionali. Lavori sono stati condotti sia a livello europeo dalla
European Banking Authority (EBA) (EBA (2013a-b), sia su scala globale dal
Comitato di Basilea (BCBS) (BCBS (2013a-c). Tuttavia, il dibattito è ad oggi
ancora aperto.
L’articolo si pone un duplice obiettivo. In primo luogo, fornire una visione
d’insieme della discussione in atto, dando conto degli argomenti sul tavolo e
delle analisi condotte, fornendo inoltre un’ampia rassegna delle metodologie
proposte in varie sedi per esaminare la coerenza degli RWA e individuare i drivers della loro dispersione. In secondo luogo, mostrare, sulla base di un esercizio empirico, come la indubbia complessità degli attivi ponderati a rischio
richieda necessariamente l’utilizzo di adeguati strumenti di analisi: il rischio,
in caso contrario, è alimentare la confusione.
La nota è articolata come segue: il par. 2 fornisce un sintetico inquadramento sugli RWA e sulle relative modalità di calcolo nella regolamentazione
bancaria; il par. 3 offre una rassegna del dibattito in corso, facendo leva su
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SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
alcuni dei principali lavori pubblicati; il par. 4 si sofferma sulle attività di analisi sin qui condotte dalle autorità internazionali; il par. 5 discute le principali
metodologie per valutare la coerenza del calcolo degli RWA e analizzarne la
dispersione; il par. 6 discute i risultati di un esercizio quantitativo condotto su
un campione di 15 banche europee; il par. 7 conclude.
2. Gli RWA bancari: un inquadramento
Gli attivi ponderati per il rischio costituiscono il denominatore del solvency
ratio di vigilanza. Essi rappresentano – nella regolamentazione bancaria – la
grandezza di riferimento per valutare l’adeguatezza del patrimonio che ciascuna banca deve detenere a fronte dei rischi assunti. Introdotti nel 1988 con
il primo Accordo sul Capitale, con riferimento al rischio di credito, gli RWA
sono stati via via resi più completi (e complessi) dai successivi interventi normativi2.
Nonostante le numerose modifiche, l’intuizione alla base del concetto
di RWA è rimasta quella originaria: convertire il valore nominale di un’esposizione in un equivalente ponderato, in grado di riflettere la rischiosità
implicita di quell’attività; l’ammontare minimo di patrimonio che ciascuna banca deve detenere è una predeterminata percentuale di tale valore. In
questo modo la regolamentazione rafforza il legame tra requisiti minimi di
capitale e rischiosità, prevedendo anche una varietà di metodologie di calcolo, in coerenza con le caratteristiche dei singoli intermediari. Le modalità
di calcolo degli RWA si articolano lungo tre dimensioni (Cannata (2010)): i
rischi coperti, i metodi di calcolo e le categorie di esposizioni (i “portafogli”
regolamentari).
La gamma di rischi a fronte dei quali la normativa impone il rispetto di
specifici requisiti minimi di capitale si è andata estendendo nel corso del tempo; attualmente essa include il rischio di credito, di mercato, di controparte
2
Il primo emendamento all’Accordo risale al 1996; esso ha introdotto i requisiti minimi di capitale a fronte dei
rischi di mercato. Successivamente, le regole di Basilea 2 (2004), hanno profondamente rivisto le modalità di
calcolo del rischio di credito, prevedendo inoltre più metodi di calcolo, tra loro alternativi, per il calcolo dei
requisiti patrimoniali da parte delle banche. Le norme di Basilea 2.5 (introdotte a ridosso della crisi finanziaria
del 2008-09), hanno quindi inasprito gli assorbimenti di capitale associati a talune tipologie di esposizioni nel
comparto della finanza strutturata. Infine, le regole di Basilea 3 (2010) hanno modificato le modalità di calcolo
degli RWA a fronte del rischio di controparte e sulle esposizioni verso controparti centrali Si tratta di un’evoluzione complessa, peraltro non ancora terminata: i regolatori internazionali sono già al lavoro sulla revisione
fondamentale del trattamento prudenziale dei rischi di mercato e su possibili modifiche da apportare alle ponderazioni per il rischio di credito nel metodo standardizzato.
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FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
e operativo. Per i primi tre, il requisito corrispondente è funzione del valore
delle attività coinvolte e della loro rischiosità stimata.
Prescindendo dalla categoria di rischio considerato, la regolamentazione
offre alle banche una pluralità di metodologie di calcolo degli RWA. Tendenzialmente, queste prevedono un metodo semplificato, cui si affiancano uno o
più metodi interni, alternativi fra loro e caratterizzati da un crescente grado di
complessità, con incentivi che mirano a promuovere tecniche avanzate di risk
management da parte delle banche3.
Limitando la rassegna al regime per il rischio di credito, esso viene misurato non più sulla base della semplice natura delle stesse esposizioni (come in
Basilea 1), bensì su proxy del loro effettivo merito di credito: i giudizi assegnati
dalle agenzie di rating (metodo standardizzato) ovvero, con l’approvazione
dell’autorità di vigilanza, i rating elaborati dalle banche al proprio interno
(metodo dei rating interni o Internal Ratings-Based, IRB)4. Approcci analoghi
sono seguiti per le altre categorie di rischio5.
Per il solo rischio di credito, un terzo elemento essenziale per il calcolo degli RWA è rappresentato dalla presenza di differenti portafogli regolamentari.
Questi rappresentano gruppi di esposizioni omogenee per profilo di rischio,
sulla base della categoria della controparte, della dimensione o della forma
tecnica del rapporto creditizio. Il regolatore ha associato ai singoli portafogli
differenti regole di calcolo, considerati l’eterogeneità dell’attività creditizia di
una banca e i diversi profili di potenziale perdita associati ai diversi comparti
di attività6.
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Trova in tal modo applicazione il principio di proporzionalità: la parità competitiva non è più assicurata da un
unico schema normativo valido per tutti, ma deriva da regole differenziate tra singoli operatori; principi uniformi possono essere applicati solo a intermediari con caratteristiche simili e che operano negli stessi mercati. Le
banche possono così utilizzare le metodologie di calcolo adeguate alla loro operatività e al grado di sviluppo dei
loro sistemi di misurazione dei rischi.
Il metodo IRB prevede una versione “di base” e una “avanzata”: nella prima le banche devono disporre solo di
una stima della probabilità di insolvenza delle controparti, mentre gli altri parametri di rischio vengono stabiliti
dalle autorità; nella seconda, destinata alle banche che soddisfano criteri organizzativi più rigorosi, la definizione
di tutti i parametri di rischio è rimessa agli intermediari.
Per il rischio di controparte (inteso come il rischio che la controparte di una transazione avente a oggetto strumenti finanziari sia inadempiente prima del regolamento, e dunque da considerare come una particolare fattispecie del rischio di credito), sono previsti diversi metodi per la quantificazione del valore delle esposizioni:
il metodo del valore corrente, quello standardizzato e quello dei modelli interni di tipo EPE (Expected Positive
Exposure), quest’ultimo subordinato all’autorizzazione delle autorità di vigilanza. In materia di rischi di mercato
è prevista la scelta tra una metodologia standardizzata e una basata su modelli interni (di tipo VaR).
In via generale, la classificazione è comparabile nei metodi standardizzato e IRB. In entrambi i casi, ad esempio,
le esposizioni al dettaglio beneficiano di un trattamento prudenziale più favorevole di quello riservato ai prestiti
alle grandi imprese; analogamente, i crediti interbancari sono considerati – a parità di fattori – meno rischiosi di
quelli alle imprese non finanziarie. La definizione dei portafogli nel metodo IRB è tuttavia più granulare, nell’ipotesi che le banche di maggiore dimensione – che costituiscono il naturale target delle metodologie avanzate –
siano maggiormente in grado di identificare, misurare e gestire separatamente le diverse tipologie di esposizioni.
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
3. Rassegna dei principali contributi della letteratura
La crisi finanziaria e le successive risposte regolamentari hanno acceso il
dibattito sulla capacità delle metriche prudenziali di catturare i rischi bancari.
Il framework di Basilea 2 cerca di allineare requisiti di capitale e rischi che una
banca fronteggia. La maggiore risk sensitivity viene raggiunta principalmente
riconoscendo alle banche la possibilità di calcolare i requisiti di capitale con
modelli già utilizzati internamente per fini gestionali. L’utilizzo di modelli
interni mira inter alia a sopperire all’intrinseca opacità dell’attività bancaria: la
valutazione dei rischi da parte di un soggetto esterno è infatti particolarmente
complessa; Basilea 2 risolve questo problema delegando alle stesse banche tale
valutazione.
Tale approccio non è stato esente da critiche. Una delle tesi sostenute è che
la crescente complessità del calcolo richiesto alle banche e le numerose discrezionalità previste nell’impianto normativo e nelle scelte applicative (sia per gli
intermediari sia per le autorità) rendono troppo discrezionale e dunque poco
attendibile la misura di rischio alla base della normativa di Basilea. Acharya,
Schnabl e Suarez (2010) legano la possibilità di manipolare le misure di rischio regolamentare all’innovazione finanziaria; ad esempio, l’utilizzo da parte
delle banche di asset-backed securities concentra i rischi finanziari, ma al tempo
stesso riduce il valore degli attivi ponderati per il rischio. Beltratti e Paladino
(2013) legano le scelte di ottimizzazione degli RWA al costo dell’equity. Attraverso un’analisi empirica su un ampio campione di banche internazionali,
gli autori mostrano come banche con un costo del capitale più elevato e con
migliori prospettive di crescita praticano politiche più aggressive per ridurre
i risk weights.
A loro volta, questi fattori riducono la possibilità di confrontare gli RWA
tra istituzioni diverse, specie se appartenenti a giurisdizioni differenti, indebolendo così il ruolo informativo che gli RWA avevano assunto nel tempo agli
occhi del mercato. Le Leslè e Avramova (2012) suddividono le critiche mosse
dai diversi attori del mercato distinguendo i punti di vista di autorità di vigilanza da un lato, banche e analisti di mercato dall’altro.
Da parte delle autorità di vigilanza vi è innanzitutto una fisiologica preoccupazione che le metriche prudenziali possano non catturare in modo
completo e preciso i rischi impliciti nei bilanci bancari (Gustin e Van Roy
(2014))7. Come corollario, il livello di capitalizzazione dei sistemi bancari
potrebbe non essere adeguato ai rischi effettivamente sostenuti dagli interme7
Vanno in questa direzione le modifiche alle regole di calcolo introdotte con Basilea 2.5 e Basilea 3 e quelle
ancora in cantiere, quale ad esempio la fundamental review del trading book.
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FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
diari. Rileva inoltre in diversi casi lo scetticismo nei confronti delle operazioni di “ottimizzazione” degli RWA realizzate dalle banche, sebbene classificate
da queste ultime in vario modo (“data clearing”, “model changes”, “parameter
updates”,…). Le conseguenze negative delle differenze nel calcolo degli RWA
a livello internazionale sono state evidenziate dagli stessi regolatori; ad essere
posti in pericolo sono gli obiettivi di Basilea 3 (Turner (2011)) così come il
level playing field internazionale (Bair (2011)).
L’opacità della misurazione degli RWA ha riacceso l’interesse per misure
che si basano sul valore nominale dell’attivo delle banche (Blum (2008); Duchin e Sosyura (2014)). Hoenig (2013) sostiene che per le banche sistemiche
statunitensi i requisiti di leva finanziaria sono diminuiti sino al 2,8%, mentre
i requisiti in termini di attivi ponderati sono rimasti stabili, beneficiando di
risk weights più bassi. L’evidenza empirica su questo punto è scarsa: Das e Sy
(2012) hanno evidenziato come non esista alcuna relazione tra gli RWA e le
misure di mercato del rischio bancario durante il periodo della crisi del 20072008; questa evidenza è coerente con la possibilità che gli RWA non riflettano
adeguatemene i rischi sottostanti.
Le voci di banche e analisti di mercato si sono affiancate a quelle provenienti dalle autorità di vigilanza. La principale preoccupazione espressa dagli
intermediari, specialmente quelli con rilevante operatività transnazionale, riguarda possibili disparità di trattamento tra players operanti in giurisdizioni
diverse, laddove – a parità di condizioni – le divergenze tra gli RWA non siano
giustificate da una effettiva diversità nei rischi degli attivi. Ledo (2011) cita tra
gli argomenti più diffusi in questa direzione l’impatto derivante dall’applicazione di diversi principi contabili (in primo luogo, tra gli IAS/IFRS europei e
gli US GAAP) nonché di diverse prassi di vigilanza, in particolare di convalida
dei modelli interni.
Gli analisti di mercato adottano un’ottica parzialmente differente, basata
sul confronto tra banche. Benché quasi sempre limitate nel grado di dettaglio
dalla limitata disponibilità e qualità dei dati pubblici, le analisi condotte negli
ultimi anni (Mediobanca Securities (2012); Barclays Capital (2012 )) sono in
larga parte utilizzate a supporto di una richiesta alle autorità di una maggiore
comparabilità delle metriche prudenziali e di una più convinta armonizzazione delle prassi di vigilanza. Il rischio paventato in questi studi è una drastica
riduzione della credibilità degli RWA e, conseguentemente, delle valutazioni
che i supervisori conducono sulle banche.
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SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
3.1 Effetti desiderati ed effetti non desiderati
Dalla rassegna precedente emerge la necessità di maggiore coerenza nella
misurazione degli RWA. Numerose analisi sono state condotte negli ultimi
anni sul tema, con la finalità di identificare i drivers alla base delle divergenze
osservate tra le banche. Tuttavia, non tutti gli studi hanno evidenziato con
sufficiente chiarezza la distinzione tra i fattori che giustificano una divergenza
(in primis, la diversa rischiosità degli attivi) e quelli che invece riflettono aspetti
più controversi (ad esempio, regole e prassi non omogenee), sui quali occorrerebbe in effetti concentrare l’attenzione. In quest’ottica, mutuando la tassonomia proposta da Cannata et alii (2012), è possibile identificare due macro-famiglie di fattori: quella degli effetti “desiderati” e quella degli “indesiderati”.
Il primo fattore di diversità che può essere considerato desiderato nell’economia di una qualsivoglia regolamentazione sul capitale risk-based è ovviamente il profilo di rischio degli asset bancari, a sua volta guidato sia dal
contesto economico sia da fattori specifici (cd. idiosincratici). Keefe, Bruyetee
e Woods (2011) portano l’esempio delle ponderazioni di rischio sui mutui
delle banche nordiche, giustificate dal forte sistema di protezione sociale esistente in quei Paesi (a tutela delle eventuali perdite); analogamente, tassi di
perdita elevati riflettono, come nel caso delle banche italiane, tempi di recupero mediamente più lunghi rispetto ad altri paesi. Con riguardo invece ai
fattori di rischio specifici dei singoli debitori, è ancora più ampio il ventaglio
di potenziali driver alla base di diversità negli RWA: tra i principali, la solidità
finanziaria della controparte, la forma tecnica dell’esposizione e la presenza di
eventuali garanzie.
Un’altra determinante, potenzialmente assai significativa, nello spiegare le
differenze degli RWA tra banche è il modello di business, ossia il mix operativo/geografico/settoriale che caratterizza i bilanci dei singoli intermediari. L’esposizione ai singoli rischi, ai quali la regolamentazione associa diverse
ponderazioni di rischio, determina ceteris paribus un peso degli RWA sul totale attivo anche molto eterogeneo. Diverse analisi (BernsteinResearch (2011);
Citi (2011)) spiegano in questo modo il diverso assorbimento patrimoniale
degli attivi delle banche commerciali rispetto a quelli per le banche d’investimento, più coinvolte nella finanza strutturata e maggiormente esposte ai
rischi di mercato.
Vi sono, infine, le diverse pratiche di gestione del rischio adottate dagli
intermediari che, sulla scorta delle innumerevoli scelte metodologiche e operative che essi sono chiamati a fare, portano inevitabilmente a risultati diversi
sul piano dei requisiti patrimoniali. Come è ovvio, il crescente peso che il
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
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FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
risk management ha assunto negli ultimi venti anni nell’industria bancaria è
andato di pari passo con la regolamentazione di Basilea. Quest’ultima ha posto la (auto)valutazione dei rischi alla base del proprio paradigma, spingendo
le banche ad adottare sistemi di misurazione e gestione dei rischi via via più
sofisticati.
Controllare per gli effetti “desiderati” riconosce dunque che gli RWA di
banche diverse possano essere diversi. Tuttavia, è innegabile che anche altri
elementi possano contribuire a spiegare la variabilità degli RWA. Tali elementi
poco hanno a che vedere con il principio di risk-sensitivity della disciplina di
Basilea e dunque non paiono facilmente giustificabili.
Un primo aspetto è legato al tema delle pratiche di risk management delle
banche. In questo ambito, il confine tra margine di manovra fisiologico nello scegliere i dati o i parametri di rischio rispetto allo sfruttamento di veri e
propri spazi di arbitraggio è alquanto sottile. Haldane e Madouros (2012)
evidenziano come porre in essere quasi 200 milioni di calcoli per determinare
l’assorbimento patrimoniale a fini di vigilanza passa inevitabilmente per scelte
discrezionali e non sempre trasparenti.
Un secondo aspetto riguarda le regole contabili. Alcune analisi (BNP
(2011)) mostrano l’impatto quantitativo, in alcuni casi rilevante, che l’applicazione dell’uno o dell’altro regime contabile è suscettibile di avere sulla
stima dell’attivo di bilancio delle banche, con la conseguenza di rendere non
confrontabile anche una semplice metrica come quella del rapporto tra RWA
e attivo8.
Infine, anche le norme e le prassi prudenziali rendono in alcuni casi difficilmente comparabili gli RWA. Come sottolineato da alcune analisi (Argimón
e Ruiz-Valenzuela (2010)9) la disciplina di Basilea 2 vede infatti la presenza di
un numero particolarmente elevato di discrezionalità nazionali, volte a riflettere specificità dei mercati locali o particolarità nelle prassi bancarie10. Inoltre,
i criteri di convalida dei modelli interni da parte delle autorità di vigilanza
risultano ancora alquanto diversificati. Tali scelte impattano sulle regole di
calcolo degli RWA, minando in questo modo l’omogeneità tra le prassi internazionali e la comparabilità.
BNP (2011) mostra come la conversione del bilancio di un grande gruppo bancario europeo come Deutsche
Bank dai principi IAS/IFRS agli US GAAP determini una contrazione del totale attivo del 37 per cento e, per i
soli derivati, del 90 per cento (principalmente per effetto del diverso trattamento del netting).
9 Argimón e Ruiz-Valenzuela (2010) individuano oltre 150 discrezionalità nazionali nell’implementazione europea di Basilea 2.
10 Benché le discrezionalità nazionali appaiano giustificate, non è tuttavia un caso che nella disciplina europea di
recepimento degli standard di Basilea 3 (Capital Requirements Directive e Capital Requirements Regulation, CRD
4 e CRR), gran parte di tali discrezionalità sia stata eliminata; questa scelta rafforza il progetto di single rulebook,
ossia di norme direttamente ed egualmente applicabili alle banche di tutti paesi della UE.
8
16
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
4 . Le analisi delle autorità internazionali
A partire dal 2012 il tema della dispersione degli RWA è stato inserito
a pieno titolo nell’agenda dei lavori dei regulators internazionali, che hanno
avviato specifiche analisi in questa direzione; i risultati preliminari di tali approfondimenti sono stati resi noti nel corso del 2013. Il rischio di credito ha
attratto, specialmente in una prima fase, i maggiori sforzi analitici, considerato il peso che esso ricopre nei bilanci della maggior parte delle banche. I lavori sono stati condotti sia a livello europeo (dall’Autorità Bancaria Europea,
EBA) sia su scala globale (dal Comitato di Basilea, BCBS).
Il primo esercizio condotto sulle banche europee (EBA, 2013a) è riferito al
banking book di circa 90 intermediari e si fonda su due scelte metodologiche
di fondo. Innanzitutto, si utilizza come misura di dispersione degli RWA un
indicatore (global charge) che consente di ottenere il costo totale del rischio
imposto dalla regolamentazione a fronte delle esposizioni creditizie, pari alla
somma di requisiti minimi di capitale e svalutazioni; in questo modo si ottiene una visione più completa dei rischi associati alle varie tipologie di esposizioni. In secondo luogo, i drivers alla base delle divergenze tra RWA vengono
classificati in fattori che possono essere in qualche misura giustificati (A-type)
e quelli che invece richiedono un ulteriore supplemento di indagine (B-type),
non essendo a prima vista necessariamente giustificabili. I fattori ascrivibili
alla prima categoria riguardano principalmente la struttura di bilancio delle
banche e non dipendono quindi dai parametri di rischio: l’utilizzo simultaneo del metodo standardizzato e di quello IRB (partial use); il portfolio mix e
l’impatto delle esposizioni classificate in stato di default. I risultati mostrano
come la dispersione tra gli RWA delle banche del campione sia attribuibile per
circa la metà a fattori A-type.
Una seconda analisi condotta su scala europea (EBA, 2013b) ha invece
focalizzato l’attenzione sulle esposizioni verso governi, intermediari e grandi
imprese, genericamente definite come low-default portfolio. L’esercizio ha riguardato 35 banche di 13 paesi europei; il design dell’esercizio, improntato
al benchmarking, mirava a un confronto diretto dei parametri di rischio dei
modelli IRB, utilizzando un set di controparti comuni; inoltre, una specifica
raccolta dati ha permesso di effettuare anche un esercizio top-down analogo
al precedente. I risultati di quest’ultimo vedono una significativa variazione
iniziale negli RWA dei portafogli delle banche coinvolte (global charge media
53% con st. dev. 25%); in gran parte, essa è attribuibile a fattori A-type. La
componente di benchmarking ha mostrato come raramente una banca ottenga
RWA bassi per tutti i portafogli considerati. Le differenze riscontrate tra le
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
17
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
banche sono poi principalmente imputabili alle politiche di collateralization e
alle differenti maturity.
Le analisi condotte dal Comitato di Basilea ampliano ulteriormente il
campo di indagine; tali studi analizzano il banking book di alcune banche
attive a livello internazionale che utilizzano i modelli IRB per il rischio di credito (Comitato di Basilea, 2013). Oltre all’utilizzo di informazioni riservate
di vigilanza in luogo di quelle pubbliche11, uno degli aspetti principali dell’esercizio è rappresentato da analisi off-site svolte attraverso visite a 12 banche,
che hanno consentito di acquisire una più attenta comprensione dei fattori
sottostanti alle differenze osservate tra gli RWA.
Lo studio del Comitato utilizza due approcci. Il primo (c.d. analisi topdown) si concentra sulle differenze degli RWA a livello di paese, banca e portafoglio. I risultati suggeriscono che circa tre quarti della variazione negli RWA
sono guidati da differenze nella composizione degli attivi delle banche. Tuttavia, permane una componente residua (pratice-based), in parte attribuibile a
scelte effettuate a livello nazionale, perché permesse dallo stesso framework
di Basilea ovvero derivanti da implementazioni nazionali degli standards.
Tale componente include scelte che introducono floors di capitale ovvero permettono il partial use dell’approccio standardizzato. L’analisi top-down rivela
che tali scelte potrebbero determinare rispettivamente il 3% e il 5% della
dispersione totale.
Il documento del BCBS presenta inoltre risultati di un esercizio di benchmarking top- down denominato hypothetical portfolio benchmarking exercise
(HPE). Lo HPE ha esplicitamente investigato le differenze pratice-based negli
RWA su un portafoglio di esposizioni wholesale (sovereign, banche e grandi
imprese). I risultati dell’esercizio sono molteplici. Da un lato, molte delle banche partecipanti (22 di 32) vedrebbero RWA concentrati in una banda stretta
attorno al benchmark12; dall’altro, per alcune banche outlier la variazione può
essere molto più ampia. La variazione è minima per il portafoglio grandi imprese; è più elevata per quello sovereign. Infine, lo studio rileva un elevato livello di coerenza nella valutazione della rischiosità relativa dei prenditori (cioè,
l’ordine in cui le banche ordinano in maniera crescente la rischiosità degli
stessi); invece, lo studio riporta differenze nella valutazione nei livelli assoluti
dei parametri di rischio (PD e LGD) stimati dalle banche13.
11 L’esercizio utilizza sia i dati del Capital Monitoring Group del Comitato di Basilea, che coprono oltre 100 grandi
banche internazionali, sia dati forniti direttamente da 32 grandi gruppi bancari internazionali sui propri Low
Default Portfolios.
12 Tradotti in impatti di capitale, le 22 banche sarebbero in un intorno dell’1 per cento attorno a un ratio di capitale ipotetico del 10%.
13 Parallelamente all’analisi sul rischio di credito, la comunità dei regolatori ha portato avanti altre analisi in ma-
18
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
5 . Rassegna delle metodologie di analisi
Come discusso nei paragrafi precedenti, gli RWA bancari sono il risultato
di una serie molto articolata di calcoli: essi tengono conto sia della tipologia
di attivo sia delle diverse metodologie e infrastrutture tecnologiche che le
banche hanno a disposizione. Un’analisi rigorosa delle determinanti e della dinamica di tale aggregato richiede pertanto chiarezza concettuale sugli
obiettivi che si intende conseguire e sui vari strumenti di analisi a disposizione.
Le metodologie sulle quali si concentra l’attenzione possono essere ricondotte a quattro ‘famiglie’, ciascuna in grado di investigare a diversi livelli di
profondità e rispondere a specifiche domande di ricerca.
i) Analisi delle ponderazioni medie
Una prima strada è quella del confronto tra indicatori che misurano la ponderazione media degli attivi delle banche; questa è stata
ampiamente utilizzata nelle analisi passate in rassegna nelle pagine
precedenti (Cannata et al. (2012); Arroyo et al. (2012); Beltratti e
Paladino (2013); BernsteinResearch (2011); Citi (2011); BNP Paribas (2011b), EBA (2013a)). Vi sono due aspetti fondamentali da
considerare: la scelta dell’indicatore e l’interpretazione dei risultati
dell’analisi.
La metrica di gran lunga più utilizzata, specialmente dagli analisti, è la
RWA density, ovvero il rapporto tra RWA e attivo di bilancio: un valore elevato a livello di intermediario riflette un maggiore assorbimento
patrimoniale a fronte degli attivi. La popolarità di tale indicatore è
legata sia alla pronta disponibilità dei dati necessari per il calcolo sia
teria di rischi di mercato. In tale ambito il Comitato di Basilea ha pubblicato all’inizio del 2013 un report che
analizza i rischi del trading book di un campione di 15 grandi banche internazionali. L’esercizio ha adottato la
prospettiva del benchmarking, basato su RWA di un numero elevato di portafogli ipotetici di attività negoziabili,
applicando sia i propri modelli sia i moltiplicatori stabiliti dai supervisori. L’obiettivo è stato inferire quanta
parte dell’eterogeneità degli RWA tra le banche fosse dovuta a due fattori: le decisioni operate dei supervisors
nazionali, a livello di intera giurisdizione ovvero di singola banca (quali l’imposizione di moltiplicatori regolamentari superiori al minimo (pari a 3)) e le scelte sui modelli utilizzati (quali la lunghezza delle serie storiche
utilizzate per la calibrazione dei modelli). I principali risultati dell’esercizio mostrano un significativo tasso di
variazione nel calcolo del capitale regolamentare. La volatilità è alta se si considera la sola componente di modello (coefficiente di variazione del 23%) ma diventa ancora maggiore se si aggiunge l’effetto dovuto alle scelte del
supervisor di riferimento (coefficiente di variazione pari al 31%). I dati medi per l’Italia, riferiti a Unicredit e Intesa Sanpaolo, si collocano su un valore del capitale assorbito lievemente al di sopra della media campionaria con
riferimento alle scelte modellistiche e prossimo ai valori massimi quando si considerano i moltiplicatori effettivi.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
19
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
alla sua capacità di fornire una misura sintetica delle metriche prudenziali.
Confronti basati esclusivamente sulla RWA density possono tuttavia
risultare fuorvianti. Innanzitutto, gli RWA (numeratore) includono anche i rischi a fronte dei quali non esiste una controparte diretta
nell’attivo contabile della banca (questo è il caso dei rischi di mercato
e operativi); il rapporto è quindi direttamente confrontabile soltanto
per banche con analoga specializzazione nei diversi segmenti operativi.
Inoltre, il totale attivo sottostima il valore delle esposizioni, non includendo posizioni che pure generano RWA, quali quelle fuori bilancio. Se
nel rischio di credito vi è una relazione pressoché diretta tra esposizione
e assorbimento patrimoniale, ciò non è necessariamente vero per i rischi
di mercato e operativi. In quest’ultimo caso, ad esempio, il requisito
di capitale è funzione – almeno nelle metodologie standardizzate – del
margine di intermediazione della banca (gross income).
I limiti della RWA density aprono dunque la strada a possibili alternative. Nessuna di queste può essere considerata giusta o sbagliata in termini assoluti; ciò nonostante, è essenziale averne ben presente proprietà e
limiti, così da interpretarne correttamente i risultati. Le più diffuse nel
dibattito internazionale sono le seguenti:
RWAC / EAD
[RWAC + 12.5*(EL - PR) / EAD
(8%*RWAC + PR) / EAD
[1]
[2]
[3]
dove:
RWAC = Attivi ponderati a rischio a fronte del rischio di credito
EAD = Exposure-At-Default (esposizione al momento del default);
EL = Expected Loss (perdita attesa);
PR = Provisions (accantonamenti e rettifiche di valore).
L’aspetto che contraddistingue queste misure è il riferimento esclusivo
agli attivi ponderati riferiti al rischio di credito (RWAC); l’esclusione dei
rischi di mercato e operativo consente di confrontare gli RWA con una
quantità coerente, la EAD (Exposure-At-Default). A differenza dell’attivo contabile, l’EAD comprende il complesso delle esposizioni crediti20
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
zie, incluse quelle fuori bilancio; ciò consente dunque di superare i già
discussi limiti derivanti dall’utilizzo dell’attivo di bilancio. L’indicatore
[1] è il più semplice di questa famiglia, poiché rapporta gli RWA a
fronte del rischio di credito con l’EAD. Tuttavia, esso fornisce un’informazione parziale. I requisiti minimi di capitale non derivano infatti
esclusivamente dall’attivo ponderato, posto che la regolamentazione richiede alle banche che adottano i metodi IRB di confrontare le perdite
attese stimate da una banca con le svalutazioni o le rettifiche apportate
in bilancio. Eventuali differenze tra queste due quantità si riflettono, attraverso un maggiore o minore assorbimento patrimoniale, sui
requisiti minimi.
L’indicatore [2] rappresenta una variazione su tema dell’indicatore [1].
Rispetto a quest’ultimo, esso utilizza una misura più completa del costo
in termini di assorbimento di capitale: al numeratore, agli RWA a fronte del rischio di credito (RWAC) si aggiunge la differenza tra le perdite
attese e le rettifiche [12.5*(EL-PR)].
L’indicatore [3] adotta un punto di vista parzialmente differente, riconducibile al concetto di costo totale del rischio (global charge) imposto dalla regolamentazione a fronte delle esposizioni creditizie, pari alla
somma di requisiti minimi di capitale e svalutazioni. Per il totale delle
esposizioni creditizie, questa grandezza comprende non solo il requisito
di capitale minimo (pari all’8 per cento degli attivi ponderati relativi al
rischio di credito RWAC) ma anche le relative svalutazioni (PR) da apportare in bilancio.
Prescindendo dall’indicatore utilizzato, molti osservatori interpretano le
differenze osservate tra gli RWA di banche diverse a supporto della tesi
della scarsa credibilità dei modelli sottostanti. Questa interpretazione, il
cui appeal è notevole, può tuttavia essere considerata a seconda dei casi
semplicistica, errata o fraudolenta. In prima battuta, la regolamentazione
stessa determina differenze negli RWA. Come già discusso, l’idea alla base
di una regolamentazione risk-sensitive è che non tutte le esposizioni bancarie generano il medesimo rischio; dunque, la porzione di patrimonio
da accantonare a fronte delle possibili perdite è inevitabilmente diversa. A
ben guardare, anche la mancanza di differenza tra RWA potrebbe essere
indice dell’inadeguatezza dei modelli nel cogliere i rischi.
Il confronto tra le ponderazioni medie di banche diverse ha dunque un
senso solo se considera anche una seconda dimensione, rappresentata
dalla rischiosità effettiva degli attivi sottostanti. Confrontando ponderazioni medie e rischiosità possono determinarsi quattro scenari: le
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
21
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
ponderazioni medie possono essere simili o molto differenti in presenza
di livelli di rischio effettivo simili o meno (Fig. 1).
Fig. 1 - Ponderazioni medie e rischiosità
Nei casi (a) e (d) il confronto tra le ponderazioni medie riflette la differenza o meno dei rischi che le due banche hanno assunto. In particolare, il caso (d) è il portato diretto del principio di risk-sensitivity: una
delle due banche dovrà detenere maggiore capitale come conseguenza
della maggiore rischiosità dei suoi asset. Nei casi (b) e (c), l’assenza o
meno di diversità tra le ponderazioni medie non riflette il rischio sottostante. Si è dunque in presenza di “effetti indesiderati”, rappresentati
dai quadranti di colore grigio nella Fig. 1; nel caso (c) una delle due
banche detiene meno capitale dell’altra malgrado il livello di rischio sia
lo stesso e nel caso (b) le due banche detengono lo stesso ammontare di
capitale, nonostante una delle due fronteggi rischi maggiori. Affermare
sic et simpliciter che le differenze in termini di ponderazioni medie non
sono giustificate implica aver scartato a priori il caso (d) in favore del
caso (c). E’ evidente tuttavia che non si può discriminare tra i casi (c) e
(d) guardando solo agli RWA: per fornire una risposta esaustiva, occorre
distinguere tra le singole determinati delle differenze tra RWA, scendere
a un livello di maggior dettaglio (segnatamente sui parametri di rischio)
e confrontare le metriche prudenziali (ex ante) con misure di rischio ex
post. Questi tre aspetti sono trattati nei paragrafi seguenti (scomposizione dei fattori, benchmarking e backtesting).
ii) Scomposizione dei fattori
Una prima, naturale estensione del confronto tra ponderazioni medie
porta dunque a interrogarsi sul peso che i parametri di rischio e fattori “strutturali”, non dipendenti cioè dal profilo di rischio degli asset,
hanno nello spiegare la dispersione tra RWA. La scomposizione in
22
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
queste categorie di fattori consente di interpretare correttamente
i risultati a livello più aggregato, concentrando l’attenzione sui fattori
“non desiderati”.
Rimanendo nell’ambito del rischio di credito, i driver che maggiormente riflettono tale impostazione sono due: il business mix, ossia il
peso relativo dei vari portafogli di attività sul totale del bilancio di un
intermediario, e l’utilizzo combinato dei metodi Standardizzato e IRB.
Come discusso nel par. 2, la disciplina di Basilea prevede infatti la segmentazione dell’attivo in portafogli, trattati diversamente sul piano
prudenziale. La ponderazione media della banca è una misura sintetica
che, per costruzione, nasconde differenze all’interno di uno stesso intermediario e che può essere influenza da due fattori:
(i) il livello della ponderazione media di ciascuna classe di attività;
(ii) il peso relativo di ciascuna classe di attività sul totale (business
mix).
Due banche potrebbero avere ponderazione media complessiva molto
diversa tra loro, ma ponderazioni medie di ciascuna classe di attività
identiche. La differenza sarebbe allora spiegata esclusivamente dalla diversa quota relativa delle varie classi di attivo.
La possibilità per una singola banca di adottare diverse metodologie
di calcolo (effetto roll-out) può acuire questo effetto: a parità di condizioni, l’assorbimento patrimoniale nel metodo IRB tende ad essere
inferiore a quello previsto nel metodo standardizzato14. Dal confronto
tra gli RWA si può ricavare il contributo alle differenze nelle ponderazioni medie complessive derivante da due insiemi di fattori, rispettivamente non risk sensitive (tra cui il business mix e il roll-out) e risk
sensitive (inclusa la componente dipendente dalle procedure di stima
e dagli algoritmi di calcolo). La metodologia utilizzato da Cannata et
alii (2012) rientra in questa categoria. Essa si basa su un’analisi shift
and share per spiegare le differenze osservate tra banche in termini di
ponderazione media e consente di quantificare gli effetti della componente che non dipende dai parametri di rischio. La scomposizione di
un indicatore in varie componenti è alla base di questo tipo di analisi:
ciò rende non utilizzabile la RWA density, poiché la scomposizione
dell’attivo tra i vari rischi è, al contrario degli RWA, poco agevole.
14 A titolo di esempio, 100 euro di attivo calcolati con il metodo standardizzato possono generare 67,5 euro di
RWA perché la banca ha equamente distribuito l’attivo tra il portafoglio imprese (che riceve ponderazione del
100%) e mutui (con ponderazione pari al 35%), ovvero 48 euro se la banca impegna per l’80% l’attivo nel
portafoglio mutui.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
23
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
Differentemente, l’utilizzo degli indicatori sopra discussi rende possibile questa scomposizione.
Utilizzando ad esempio l’indicatore [1], è possibile scomporre la ponderazione media nella somma delle ponderazioni medie dei vari portafogli pesate per la rispettiva quota di esposizione, così da attribuire
a tutte le banche la stessa distribuzione della esposizione in termini di
portafogli e controllare per il diverso business mix.
dove RWAi ; EADi sono rispettivamente gli RWA e l’esposizione
dell’i-esimo portafoglio e RWi ; pi rispettivamente la ponderazione media e la quota dell’i-esimo portafoglio.
iii) Benchmarking
Il confronto tra misure di rischio di diverse banche può essere condotto su un piano di dettaglio ancora maggiore, almeno nell’ambito del
rischio di credito, spostando l’attenzione sui parametri di rischio15. Il
benchmarking può essere condotto in tre modi.
Il primo approccio (Hornika et al. (2005); Gustin, E., P. Van Roy,
(2014); Comitato di Basilea (2013a)) richiede di identificare un campione di controparti comuni a due (o più) banche, al fine di confrontare
le misure di rischio attribuite da queste ultime. Ad esempio, un’ampia
dispersione delle probabilità di default oppure una bassa correlazione
tra i rating possono essere interpretati come segnali di una eccessiva dispersione nelle valutazione assegnate; tale dispersione è potenzialmente
ingiustificata alla luce dell’utilizzo di un campione di prenditori identico per costruzione.
Il principale vantaggio di tale approccio consiste nella creazione di un
portafoglio omogeneo. Per contro, il suo principale limite è rappresentato dalla oggettiva difficoltà a individuare un benchmark. In presenza
di misure di rischio differenti, l’individuazione di quella considerata
“corretta” non è banale. La misura più rigorosa, ad esempio, potrebbe
derivare da errori metodologici oppure da un eccesso di prudenza. Per
15 La stessa CRD4 valorizza questo tipo di analisi. L’art. 78 della Direttiva richiede infatti che tutte le banche autorizzate all’utilizzo dei modelli interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali conducano con cadenza annuale
esercizi di benchmarking e che riportino i risultati di tali analisi alle rispettive autorità di vigilanza e all’EBA.
24
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
il rischio di credito, il benchmarking sconta inoltre un altro limite: le
misure di rischio non sono così esogene come possono esserlo per il
rischio di mercato. Una stessa controparte potrà comportarsi in modo
diverso al variare della banca affidante: è sufficiente, ad esempio, che
sul conto aperto presso una banca il cliente utilizzi tutto il fido a disposizione mentre su quello aperto presso un’altra rimanga sempre al di
sotto dell’utilizzo massimo perché i sistemi di rating delle due banche
producano valutazioni differenti. Infine, la necessità di individuare un
pool di clienti in comune potrebbe portare alla definizione di campioni
poco rappresentativi per singole banche (ad esempio, se il campione
rappresenta per una banca l’1% del portafoglio, un qualsivoglia esercizio di inferenza diviene a dir poco sfidante).
Il secondo approccio (FSA (2010); EBA (2013b)), basato sul confronto
delle misure di rischio calcolate da diverse banche su un portafoglio
ipotetico, consente di superare alcune di queste difficoltà16. Da un lato,
non è necessario identificare controparti in comune, quindi aumenta la
rappresentatività, dall’altro si riduce la distorsione dovuta alla possibile
endogenità del rischio. Per contro, non viene risolto il problema rappresentato dalla mancanza di un benchmark; inoltre, tale metodo potrebbe
risultare eccessivamente oneroso, considerata la necessità di definire le
controparti ipotetiche e poi di misurarne il rischio.
Infine, il terzo approccio (EBA (2014)) consiste nel suddividere il portafoglio di una banca lungo una serie di dimensioni (ad esempio per
un portafoglio mutui: il rapporto rata–reddito, il loan to value ratio,
l’anzianità del rapporto) e calcolare misure di rischio medio per ciascun cluster omogeneo di prenditori identificato attraverso esse. In tal
modo, si ottiene la piena rappresentatività del portafoglio mantenendo
l’esercizio non eccessivamente oneroso. Inoltre, il problema della endogenità del rischio dovrebbe risultare meno serio rispetto agli approcci precedenti.
iv) Backtesting
L’utilizzo delle metodologie precedenti non consente di dare risposta
alla domanda su quanto gli RWA di una data banca riflettano la rischio16 Ad esempio è possibile chiedere banche di attribuire un rating a un pool di controparti prescelte indipendentemente dal fatto che tali controparti siano effettivamente clienti delle banche. In questo caso le banche che
effettivamente affidano quelle controparti fornirebbero il rating interno, le altre lo calcolerebbero sulla base delle
informazioni pubbliche. In alternativa si possono fornire controparti fittizie fornendo tutti i dettagli necessari a
calcolare i rating.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
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FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
sità del suo attivo. Si tratta di una questione assai rilevante sia dal punto
di vista tecnico sia da quello di policy: non è un caso che la CRD4-CRR
richieda su tanti aspetti questo tipo di confronto. La quarta categoria di
metodologie per l’analisi degli RWA risponde a tale ultima domanda. Il
backtesting ((Blümke (2010); Russell et al. (2010)) abbandona l’ottica
di confronto tra banche, propria dei tre approcci descritti in precedenza. Diversamente, esso si concentra sul confronto tra le misure ex-ante
ed ex-post di rischio, con l’obiettivo di comprendere se le prime (come
ad esempio la probabilità di default attribuita a una data classe di rating) non si discostino in misura eccessiva dalle seconde (ad esempio, il
tasso di default). Il backtesting è – sotto certi aspetti – assimilabile ad un
esercizio di benchmarking in cui le misure ex ante sono poste a confronto con le misure ex post.
La letteratura empirica presenta diverse tecniche statistiche adatte a
questo tipo di analisi, ciascuna delle quali presenta tuttavia diversi limiti di cui occorre tenere conto (Comitato di Basilea (2005)). Rimanendo
sull’esempio del confronto tra PD e il tasso di default effettivo osservato
in un dato anno, rileva infatti che la PD è una media di lungo periodo:
per tale motivo, anche in presenza di un sistema di rating correttamente
calibrato, si può sempre osservare una differenza – anche significativa –
se l’analisi è limitata a un solo periodo. Un altro limite riguarda i portafogli con bassi livelli di rischiosità (low default portfolios), sui quali non
tutte le metodologie statistiche possono risultare appropriate. Infine, la
presenza di default correlation si scontra con una delle ipotesi tipiche di
molti test statistici, quale l’indipendenza tra gli eventi.
6 . Un esercizio quantitativo
I paragrafi precedenti hanno passato in rassegna metriche e metodologie
per l’analisi della dispersione degli RWA. Nelle pagine che seguono, viene presentata una applicazione diretta di una di esse; l’obiettivo è dimostrare come
l’utilizzo di metriche appropriate e metodologie rigorose riconduca i timori
legati all’incoerenza nella misurazione degli RWA entro limiti accettabili e –
in un certo senso – fisiologici.
La scelta del campione di banche da sottoporre ad analisi empirica è essenziale per coniugare rappresentatività e comparabilità dei risultati. Per raggiungere questi obiettivi, la prima selezione del campione ha ricompreso tutte le
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SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
banche europee rientranti nell’elenco pubblicato dal Financial Stability Board
(FSB (2012) delle banche a rilevanza sistemica globale (G-SIBs). Tre delle
banche del campione iniziale (BNP, ING e Standard Chartered) non
hanno dati sfruttabili; pertanto il campione finale che utilizzeremo per l’analisi contiene 15 banche europee. Questo campione17 consente una adeguata
copertura del mercato bancario europeo; sono presenti i principali gruppi con
sede nel Regno Unito (3), Francia (3), Germania (2), Italia (2), Spagna (2)
Svizzera (2) e Svezia (1). I dati sono stati estratti dai report pubblici di Pillar
III di ciascuna banca alla data di dicembre 2011.
Tav. 1 – Esercizio quantitativo: il campione
Nome
Sigla
Credit
%
%
EUR mld
%
%
Barclays
Barc
72%
18%
9%
467,210
25%
35%
Bbva
Bbva
86%
3%
11%
332,025
55%
43%
Bpce
Bpce
87%
4%
9%
411,632
29%
36%
Credit Agricole
Ca
83%
10%
7%
333,700
18%
32%
Commerzbank
Commz
80%
9%
11%
233,931
36%
34%
Credit Suisse
Cs
64%
17%
19%
198,576
23%
25%
Deutsche Bank
Db
69%
18%
13%
381,514
18%
29%
Hsbc
Hsbc
84%
6%
10%
934,771
47%
43%
Intesa-San Paolo
Isp
87%
5%
8%
319,813
51%
43%
Nordea
Nord
87%
4%
8%
185,200
26%
31%
Royal Bank of S.
Rbs
80%
13%
7%
607,136
29%
41%
Santander
Santa
81%
6%
13%
562,386
45%
41%
Societe Generale
SocGen
78%
9%
12%
349,275
30%
33%
Ubs
Ubs
54%
22%
24%
197,927
17%
21%
Unicredit
Ucg
82%
7%
11%
460,395
50%
42%
media
80%
10%
10%
398,366
36%
35%
min
54%
3%
7%
185,200
17%
21%
max
87%
22%
24%
934,771
55%
43%
dev. stand.
10%
6%
5%
195,850
13%
7%
%
Mrkt
Op&other
RWA total
RWA/ Assets
RWA_c/ EAD
Totale campione:
Fonte: stime interne su dati
SNL e Pillar III.
La Tav. 1 presenta alcune statistiche per le banche considerate. Come si
osserva, il rischio di credito contribuisce per circa l’80% agli RWA totali; la
17 Barclays, Bbva. Bpce, Credit Agricole, Commerzbank, Credit Suisse, Deutsche Bank, Hsbc, Intesa Sanpaolo,
Nordea, Royal Bank of Scotland., Santander, Societe Generale, Ubs e Unicredit. Il campione finale comprende
anche Intesa-Sanpaolo: pur non comparendo nell’elenco delle G-SIBs, tale gruppo è stato aggiunto nel campione per estendere la copertura del campione per Italia, inizialmente comprendente la sola Unicredit.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
27
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
parte rimanente è equamente distribuita tra i rischi di mercato e il rischio
operativo.
Come emerge dalla penultima colonna, il rapporto tra RWA e totale attivo
(RWA density) fa registrare un campo di variazione di circa 38 punti percentuali, oscillando tra valori di poco superiori al 15 per cento (UBS e Deutsche
Bank) a valori superiori al 50 per cento (BBVA, Intesa-Sanpaolo e UCG). La
sezione precedente ha evidenziato tutti i limiti che derivano dall’utilizzo della
RWA density per analizzare la dispersione degli RWA e che l’utilizzo di un
campione di banche omogeneo non fa venire meno. Tre aspetti in particolare
rendono necessario sostituire a questo indicatore una metrica differente:
- diversi business mix: valori bassi della RWA density si associano a quote
elevate di rischio di mercato (es. Ubs, Credit Agricole, Deutsche Bank e
Credit Suisse), che beneficia di ponderazioni più favorevoli18 rispetto al
rischio di credito. Al contrario, le due banche italiane (Unicredit e Intesa Sanpaolo) e Bbva rappresentano esempi opposti: valori elevati del
rapporto (superiori al 50 per cento, ampiamente al di sopra della media
del 36) corrispondono a quote limitate di rischio di mercato;
- peso dei rischi operativi: il peso di questi rischi (il cui ammontare varia
considerevolmente nel campione, registrando valori elevati per le due
banche elvetiche) determina un assorbimento di capitale, al quale non
corrisponde una specifica porzione di attivo bancario;
- esposizioni fuori bilancio: pur non incluse nell’attivo contabile, esse determinano assorbimenti di capitale. Si tratta della situazione speculare
rispetto a quella dei rischi operativi, presentata in precedenza.
L’utilizzo dell’indicatore [1] RWAC / EAD consente di superare i limiti legati all’adozione della RWA density. Il rapporto tra gli RWA a fronte del rischio
di credito(RWAC) e il totale delle esposizioni del banking book che generano
rischio di credito (EAD) consente infatti un confronto coerente (riferendosi al
solo rischio di credito del banking book), completo (incorporando la dimensione off-balance degli attivi bancari) e rappresentativo (essendo legato alla
componente decisamente più rilevante nel rischio bancario).
L’ultima colonna della Tav. 1 riporta i valori dell’indicatore RWAC / EAD
per le banche del campione. L’utilizzo di questo indicatore riduce la dispersione degli attivi ponderati: il suo campo di variazione è pari a 22 punti percentuali (rispetto ai 38 derivanti dall’utilizzo della RWA density); il range oscilla
dal 20,9 per cento di UBS al 43,4 di HSBC; la media è pari al 36,8 per cento.
18 Le modifiche regolamentari introdotte con le norme di Basilea 2.5 (recepite in Europa con la CRD3) hanno
parzialmente attenuato questa tendenza.
28
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
Idealmente, la dispersione del rapporto RWAC / EAD può essere attribuita
a due insiemi distinti di fattori. Da un lato, ci sono quegli aspetti, definiti intented, che sono determinati da aspetti strutturali e che provocano in maniera meccanica effetti sulla dispersione degli indicatori. Questa prima famiglia
di indicatori ricomprende la quota di esposizioni trattate con un approccio
standardizzato, così come ponderazione media e composizione dell’attivo.
Dall’altro, ci sono quei fattori, definibili unintended, che fanno riferimento al
complesso di scelte discrezionali in capo a una banca (quali i modelli utilizzati
per stimare i parametri di rischio) ovvero all’autorità di vigilanza (quali la richiesta di maggiore cautela nella stima ovvero l’imposizione di valori minimi
da raggiungere).
Obiettivo di questa sezione è quello di imputare la dispersione del rapporto RWAC / EAD a questi due insiemi. A tal fine, viene utilizzata la metodologia
già sperimentata in Cannata et alii (2012). Essa prevede due fasi. Nella prima,
ciascuna banca viene confrontata a un benchmark: questo indicatore è costruito in modo da rappresentare una “banca media”, rappresentativa dell’intero
campione e i cui vari parametri di rischio siano pari alla media delle altre
banche.
Successivamente, la dispersione dell’indicatore (RWAC/EAD) viene imputata a tre componenti intended:
i) “effetto Rollout”: quota di esposizioni trattate con approccio standardizzato per il rischio di credito (Standardized Approach, SA) sul totale delle
esposizioni del banking book, indipendentemente dal metodi di calcolo;
ii) “effetto SA”: ponderazione media dell’attivo calcolato con il metodo
standardizzato;
iii) “effetto IRB”: composizione per portafogli regolamentari delle esposizioni trattate con i modelli interni per il rischio di credito.
In tal modo, è possibile valutare quale sia il peso rivestito da questi tre driver
osservabili nel determinare il valore del rapporto RWAC/EAD. Mantenendo costanti i valori relativi a tali effetti riduce la dispersione nella ponderazione media.
La componente di dispersione residua è ascrivibile a drivers non immediatamente
osservabili, in primo luogo il valore dei parametri di rischio regolamentari19. La
Tavola 2 mostra il valore delle tre componenti per le banche del campione.
19 La metodologia consente di giungere a una valutazione ceteris paribus della ponderazione media dell’attivo a
rischio: controllando per i tre effetti, la componente residuale di differenza con il benchmark è quella che una
data banca avrebbe se possedesse – per le tre grandezze definite – valori pari a quelli del benchmark.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
29
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
Tav. 2 – Ponderazione media del banking book
RW_INIZ
S h_SA
RW_SA
RW_IRB
Ubs
20.9
15.8
26.7
19.8
Cs
25.4
4.7
34.0
25.0
Db
29.0
23.1
23.6
30.6
Nord
31.3
24.5
30.0
31.7
Ca
31.7
39.7
41.9
25.0
SocGen
33.1
18.6
76.9
23.1
Commz
33.8
30.0
31.3
34.9
Barc
35.0
16.8
73.3
27.2
Bpce
35.5
54.9
38.3
32.1
Santa
40.8
46.8
47.1
35.3
Rbs
40.9
19.6
63.7
35.4
Ucg
42.4
43.9
49.2
37.0
Isp
42.8
55.7
37.6
49.3
Bbva
43.1
52.3
46.1
39.8
Hsbc
43.4
27.6
62.2
36.3
Benchmark
36.8
32.7
46.6
32.0
La Tavola mostra per ciascuna banca il valore della ponderazione media del banking book (RW_INIZ) , la
quota di esposizioni trattate con l’approccio standardizzato per il rischio di credito (Sh_SA) sul totale delle
esposizioni del banking book e la ponderazione media delle esposizioni trattate con l’approccio standardizzato
(RW_SA) o con modelli interni (RW_IRB) .
I valori del benchmark sono pari alla media poderata dei valori individuali. Fonte: stime interne su dati di Pillar
III.
Il primo fattore che contribuisce a spiegare le differenze nella ponderazione
media è rappresentato dall’utilizzo, più o meno esteso, del metodo standardizzato (Share for Standardized Approach, Sh_SA). Le evidenze del campione
confermano come a una ponderazione media più elevata si associ una più elevata quota di RWA calcolati con tale metodologia (come nei casi di Bbva, Isp
e Ucg). Il valore più elevato delle ponderazioni assegnate a talune tipologie di
esposizioni rispetto al metodo IRB spiega tale effetto; la ponderazione media
del campione nello SA (pari a quella del benchmark) è infatti pari in media al
46.6 per cento, a fronte del 32 per cento nel metodo IRB20.
La dispersione delle ponderazioni medie nel metodo standardizzato (RW_
SA) è particolarmente elevata (dal 23 per cento di Db al 76,9 per cento di Soc20 La quota di roll-out è il portato sia di scelte aziendali sia di orientamenti delle autorità di vigilanza. Le banche
italiane si caratterizzano, in media, per un più limitato utilizzo dei metodi avanzati rispetto ai competitors
internazionali. Ciò potrebbe essere considerato come un indizio a favore di una maggior prudenza delle prassi
di vigilanza, non perché il metodo standardizzato sia ritenuto più affidabile di quello IRB ma come indicatore
del maggior impegno dedicato dall’Autorità di Vigilanza alla convalida dei modelli e di una attenta valutazione
costi-benefici per le singole banche.
30
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
Gen). Ciò deriva dalla diversità delle ponderazioni assegnate alle varie classi
di esposizioni di cui si compone il banking book delle banche del campione.
Infatti, a parità di valore dell’esposizione complessiva trattata con metodo
standardizzato, la ponderazione media varia notevolmente se le esposizioni
sono verso uno Stato sovrano europeo (e dunque ponderate allo 0 per cento)
ovvero verso un’impresa priva di rating (con ponderazione pari al 100 per
cento).
La composizione del portafoglio determina un effetto analogo per le esposizioni trattate con rating interni. Anche nel framework IRB, infatti, il trattamento prudenziale riservato ad alcune classi di esposizioni (ad esempio, i crediti verso le imprese) è più penalizzante rispetto ad altre (ad esempio, quelle
esposizioni al dettaglio). La ponderazione media delle esposizioni trattate con
modelli interni (RW_IRB) è tuttavia meno dispersa (con valori compresi tra il
19 e il 49 per cento); inferiore è anche il valore medio della ponderazione di
tali esposizioni all’interno del campione (32 per cento).
L’utilizzo della metodologia di Cannata et al. (2012) permette dunque di
attribuire una componente della dispersione nella ponderazione media (dal
20,9 per cento di UBS al 43,4 di HSBC) ai tre fattori descritti in precedenza,
imputando a ciascuna banca il valore medio campionario di per ciascuno di
questi tre fattori. Come si osserva nella Tav. 3, la differenza tra la ponderazione di ciascuna banca e il benchmark (RWINIZ) si riduce (RWUNINTEND), benché
non si annulli del tutto, se depurata dei tre fattori considerati. In sostanza,
l’apparente diversità iniziale tra le banche viene ridimensionata: i valori di
ponderazione media convergono verso il benchmark. Ad esempio, confrontando le banche italiane con Deutsche Bank, emerge come valori di ponderazione media inizialmente molto diversi (42 per cento per le italiane, 29 per
DB) si equivalgono dopo aver controllato per i tre effetti (raggiungendo valori
prossimi al 38 per cento).
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
31
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
Tav. 3 – Dispersione RWA/EAD: impatto degli fattori intended
RW_INIZ
RO eff
SA eff
PM eff
RW_UNINTEND
Ubs
20.9
-1.2
-6.5
-2.1
30.7
Cs
25.4
-2.5
-4.1
-1.8
33.9
Db
29.0
0.7
-7.5
-2.4
38.2
Nord
31.3
0.1
-5.4
1.1
35.5
Ca
31.7
1.2
-1.5
-0.9
32.9
SocGe n
33.1
-7.6
9.9
-1.4
32.1
Commz
33.8
0.1
-5.0
1.9
36.8
Barc
35.0
-7.3
8.7
-2.2
35.7
Benchmark
36.8
-
-
-
36.8
Bpce
35.5
1.4
-2.7
0.4
36.4
Santa
40.8
-3.7
0.2
-2.8
47.2
Rbs
40.9
1.7
5.6
0.7
33.0
Ucg
42.4
1.4
0.9
2.1
38.1
Isp
42.8
-2.7
-3.0
10.7
37.8
Bbva
43.1
-1.3
-0.2
-1.2
45.7
Hsbc
43.4
1.2
5.1
-3.2
40.3
La Tavola mostra per ciascuna banca il valore iniziale (RW_INIZ ) e finale (RW_UNINTEND) della ponderazione
media del banking book RWA_c/EAD .
Il passaggio dal valore iniziale a quello finale è dovuto ai tre effetti che quantificano rispettivamente il valore di ponderazione media del banking book dovuto a differenze rispetto alla media (Benchmark) della quota di esposizione
trattata con lo SA (RO_eff ), della ponderazione media assegnata alle esposizioni trattate con l’approccio standardizzato (SA_eff ) e del porfolio mix delle esposizioni trattate con modelli interni (PM_eff) .
Fonte: stime interne su dati di Pillar III.
Il contributo dei tre fattori non legati ai parametri di rischio è tuttavia molto diverso, anche tra le due banche italiane. UCG e Intesa Sanpaolo mostranono infatti valori dell’indicatore RWAC/EAD più elevati della media (42 per
i due gruppi italiani, contro il 36,8 per cento del campione). Tuttavia, UCG
non mostra un ruolo preponderante per uno specifico driver, mentre per Intesa Sanpaolo la maggiore ponderazione media è in larga parte ascrivibile al
porfolio mix dei modelli interni infatti,
A fine 2011 infatti i modelli IRB erano applicati soltanto al portafoglio
corporate, al quale le norme prudenziali assegnano un trattamento regolamentare più penalizzante rispetto ad altre classi di attività.
La Tav. 4 presenta una rappresentazione alternativa degli stessi fenomeni.
Essa presenta per ciascuna banca il valore iniziale della distanza del valore
dell’indicatore RWINIZ dal benchmark (∆RWINIZ ) e il valore ottenuto dopo
aver controllato per i tre effetti intended (∆RWUNINTEND).
32
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
Tav. 4 – Dispersione RWA/EAD rispetto al benchmark: impatto degli fattori
intended
ΔRW_INIZ
RO eff
SA eff
PM eff
ΔRW_UNINTEND
Ubs
-15.9
-1.2
-6.5
-2.1
-6.1
Cs
-11.4
-2.5
-4.1
-1.8
-2.9
Db
-7.8
0.7
-7.5
-2.4
1.4
Nord
-5.5
0.1
-5.4
1.1
-1.3
Ca
-5.1
1.2
-1.5
-0.9
-3.8
SocGe n
-3.7
-7.6
9.9
-1.4
-4.6
Commz
-2.9
0.1
-5.0
1.9
0.0
Barc
-1.8
-7.3
8.7
-2.2
-1.0
Benchmark
0.0
-
-
-
0.0
Bpce
-1.2
1.4
-2.7
0.4
-0.3
Santa
4.1
-3.7
0.2
-2.8
10.4
Rbs
4.2
1.7
5.6
0.7
-3.8
Ucg
5.6
1.4
0.9
2.1
1.3
Isp
6.0
-2.7
-3.0
10.7
1.0
Bbva
6.4
-1.3
-0.2
-1.2
9.0
Hsbc
6.7
1.2
5.1
-3.2
3.6
La Tavola mostra per ciascuna banca la differenza iniziale (∆RW_INIZ) e la differenza finale (∆RW_UNINTEND)
della ponderazione media del banking book rispetto al benchmark.
Il passaggio dal valore iniziale a quello finale è dovuto ai tre effetti che quantificano rispettivamente il valore di ponderazione media del banking book dovuto a differenze rispetto alla media (Benchmark) della quota di esposizione
trattata con lo SA (RO_eff) , della ponderazione media assegnata alle esposizioni trattate con l’approccio standardizzato (SA_eff) e del porfolio mix delle esposizioni trattate con modelli interni (PM_eff) .
Fonte: stime interne su dati di Pillar III.
Il raffronto tra la dispersione dei due valori consente di cogliere al meglio il
ruolo dei tre fattori strutturali sulla dispersione della ponderazione media: depurando questi effetti, la dispersione iniziale tende a convergere verso il valore
medio; differenze iniziali anche notevoli vengono ridimensionate; il campo di
variazione totale dell’indicatore diviene inferiore ai 10 punti percentuali, un
valore inferiore ai 22 punti percentuali della dispersione iniziale e molto più
basso di quello della RWA density (38 per cento). La Fig. 2 descrive graficamente questo fenomeno.
RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
33
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
Figura 2 – Dispersione EAD/RWA dal benchmark: impatto dei tre effetti osservabili
Il grafico illustra le differenze dei RWA pima (barre scure) e dopo (barre chiare) il contollo per i tre effetti osservabili. Le differenze sono espresse rispetto al benchmark , posto pari all’asse verticale.
Fonte: elaborazione degli autori su dati di Pillar III.
In sintesi, controllare per gli effetti che non dipendono dai parametri di
rischio riduce, ma non annulla, le differenze nella ponderazione media. La
componente residua è ascrivibile a drivers non immediatamente osservabili, in
primo luogo il valore dei parametri di rischio regolamentari. Anche approcci
diversi, più o meno rigorosi da parte delle autorità di vigilanza nella convalida
dei modelli rappresentano una possibile spiegazione. Tuttavia, ciò non può
trovare conferma in un esercizio di questo tipo, soprattutto perché i dati a
disposizione non lo consentono. L’estensione dell’analisi di benchmarking a
un livello di maggiore dettaglio (es. sui parametri di rischio) e, soprattutto,
lo svolgimento di esercizi di backtesting sono senz’altro in grado di fornire
elementi utili in questa direzione.
7 . Conclusioni
La misurazione degli attivi bancari costituisce da sempre un passaggio fondamentale nel processo di valutazione della performance di un intermediario
bancario, in virtù della sua tipica struttura di bilancio e delle tipologie di
rischio a cui esso è esposto. L’attenzione generale a tale tema è tuttavia aumen34
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
tata negli anni più recenti, alla luce dell’accresciuta consapevolezza della rilevanza delle banche nel sistema economico dei principali paesi. In particolare,
l’attitudine di analisti di mercato, investitori e autorità di controllo è guidata
principalmente da una richiesta di chiarezza: un livello adeguato di trasparenza sul reale livello di rischio che caratterizza i bilanci delle banche è una
condizione imprescindibile per qualsivoglia stakeholder dell’azienda bancaria.
I timori che le banche possano alterare le metriche prudenziali, indebolendone l’affidabilità, si sono altresì acuiti alla luce delle nuove regole prudenziali
di Basilea 3. Nel disegnare il nuovo accordo sul capitale, i regolatori hanno
infatti posto grande enfasi sul rafforzamento – quantitativo e qualitativo –
delle risorse patrimoniali che le banche devono detenere a fronte dei rischi;
appare chiaro il timore che questa azione di inasprimento possa essere compensata da un allentamento nelle pratiche di misurazione dei rischi. Le stesse
prassi di supervisione non sono (né sono state nel recente passato) estranee
a tale fenomeno. In molti casi, le autorità di vigilanza non hanno dedicato
la necessaria attenzione al vaglio dei modelli interni che le banche utilizzano
per la gestione dei rischi e sulla base dei quali erano pure calcolati i requisiti
minimi di capitale. Le pratiche di vigilanza sono così diventate una vera e
propria leva strategica, benché impropria, per generare condizioni di mercato
più favorevoli alle banche operanti nella propria giurisdizione e determinare
quindi chiari vantaggi competitivi.
L’azione delle autorità in risposta a tale fenomeno è stata articolata e incisiva. La riforma di Basilea 3 ne costituisce la componente più significativa;
in Europa, in particolare, la nuova disciplina prudenziale coincide con l’ambizioso sforzo di disegnare un single rulebook per tutte le banche dell’Unione,
così da assicurare regole realmente omogenee a parità di attività e/o di rischio.
Tuttavia, il dibattito che riguarda gli RWA rimane tutt’altro che sopito. Una
parte stessa dei regolatori sembra aver perso fiducia in un aspetto – quello
della risk sensitivity – che rappresenta probabilmente la più rilevante tra le
decisioni assunte negli ultimi anni; l’atteggiamento sempre più tiepido nei
confronti di misure risk based sono motivati dal timore che nelle pieghe create
dalla complessità possano annidarsi rischi non rilevati (su tutti, Haldane e
Madouros (2012)). Gli analisti di mercato, dal canto loro, utilizzano il tema
dell’eccessiva variabilità degli RWA per argomentare la loro scarsa affidabilità
e la loro troppo limitata correlazione con i rischi sottostanti.
In questo contesto, il presente articolo si pone un duplice obiettivo: fornire
una visione d’insieme della discussione in atto e mostrare come l’utilizzo di
metriche e metodologie di analisi più accurate di quelle solitamente adottate
possa contribuire a fare chiarezza sulle effettive ragioni alla base della disperRIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015
35
FRANCESCO CANNATA, SIMONE CASELLINA, MASSIMO LIBERTUCCI
sione degli RWA. L’idea di fondo è che vi sono fattori che possono spiegare
una parte affatto trascurabile di tale dispersione, quale ad esempio l’allocazione dell’attivo nei diversi comparti di attività.
I risultati dell’analisi empirica proposta, che analizza 15 grandi gruppi
europei, confermano tale intuizione. Depurando da effetti strutturali, legati
all’utilizzo di differenti approcci per il calcolo del rischio di credito e del business mix di una banca, la dispersione iniziale degli attivi legati al solo rischio
di credito tende a convergere verso il valore medio del campione; differenze
iniziali anche notevoli vengono ridimensionate; il campo di variazione totale
dell’indicatore diviene inferiore ai 10 punti percentuali, un valore inferiore
ai 22 punti percentuali della dispersione iniziale e molto più basso di quello
della RWA density (38 per cento). Questo messaggio è coerente con i risultati
proposti dalle principali analisi condotte dalle autorità internazionali (EBA
(2012)).
I timori relativi alla complessità e all’arbitrarietà delle metriche prudenziali
devono indurre regolatori e analisti di mercato a un attento e continuo monitoraggio, utilizzando e sviluppando tutti gli strumenti analitici a disposizione
per verificare la bontà della valutazione degli attivi bancari (BCBS (2014)).
Due elementi devono essere tuttavia sempre tenuti a mente: da un lato, un
sistema di regole risk-sensitive inevitabilmente produce una certa dispersione,
che può risultare anche molto elevata, nella valutazione degli attivi; dall’altro,
la misurazione dei rischi, basata su tecniche quantitative più o meno sofisticate, introduce – altrettanto inevitabilmente – errori ed approssimazioni.
Non è un caso se gli RWA vengano tradotti in requisiti minimi di capitale.
Tale riferimento al termine minimi non deve essere interpretato solo in termini quantitativi. L’errore sta nel ritenere che il calcolo degli RWA esaurisca
i compiti degli intermediari e delle autorità in quanto a gestione del rischio:
gli RWA devono invece essere visti come parte degli strumenti a disposizione.
Ciò non vuol dire che non si possa lavorare per migliorare il framework
attuale. Un miglioramento nella disclosure delle informazioni messe a disposizione dalle banche ma anche dalle autorità di Vigilanza (EBA (2013)) è
sicuramente una strada da percorrere. Anche i regolatori possono fornire un
contributo attraverso un maggior impegno sul fronte della semplificazione
(BCBS (2013c)) (Cannata e Casellina (2013)). Pur consapevoli del rischio di
apparire come “difensori d’ufficio” di un impianto di vigilanza non esente da
critiche, continuiamo a ritenere che il valore informativo che una vigilanza
risk-based – sintetizzata negli RWA – è in grado di offrire sia di gran lunga
superiore al costo che, sia per le banche sia per i supervisori, essa produce.
36
SAGGI
(IN)COERENZA DEGLI ATTIVI PONDERATI PER IL RISCHIO DELLE BANCHE:
UN’ANALISI EMPIRICA SUI GRANDI PLAYERS EUROPEI
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Finito di stampare nel mese di aprile 2015 presso Press Up, Roma