10 September 2012 - Circolo Che Guevara

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10 September 2012 - Circolo Che Guevara
Il "Che Guevara"
controlacrisi.org
di 10 settembre 2012 - 10 September 2012
miogiornale.com
Alcoa, le forze dell'ordine caricano i dimostranti
10/09/2012
Roma. Le forze dell'ordine hanno iniziato una carica contro le dimostrazioni dei lavoratori dell'Alcoa. Roma.
Le forze dell'ordine hanno iniziato una carica di alleggerimento contro i lavoratori per respingere quelli che
cercavano di entrare nel ministero dall'ingresso di via Veneto. Il nervosismo degli operai è aumentato dopo
aver appreso che il ministro Corrado Passera non è al tavolo. C'è stato anche un lancio di bottiglie di plastica.
GLI OPERAI DI ALCOA CACCIANO FASSINA
10/09/2012
L'esponente del Pd Stefano Fassina è stato pesantemente contestato dagli operai dell'Alcoa che
stanno manifestando davanti alla sede del ministero dello Sviluppo economico. Il responsabile economico
del Partito democratico era arrivato da pochissimo presso via Molise quando è stato raggiunto dagli operai
che hanno impedito a Fassina di essere intervistato da uno dei cronisti presenti alla manifestazione. Sono
dovute intervenire le forze dell'ordine per placare i manifestanti e scortare l'esponente del Pd che è stato fatto
allontanare. «È dura - ha detto Fassina alla stampa dopo la constestazione - mentre parlavo un gruppetto di
lavoratori è stato piuttosto aggressivo, altri mi hanno scortato fuori dalle transenne».
ALCOA: FERRERO (PRC), O SI TROVA IMPRENDITORE O LO STATO RILEVI AZIENDA
10/09/2012
«O si trova un imprenditore disposto a rilevare l'azienda oppure la deve rilevare lo Stato perchè non è possibile
che la gente del Sulcis non sappia di che vivere». Questo quanto afferma Paolo Ferrero,segretario del Prc,
presente alla manifestazione dei lavoratori dell'Alcoa davanti al ministero dello Sviluppo economico.
Domani alle 10.30 Ferrero, Di Pietro, Vendola, Rinaldini depositeranno quesiti
referendari per ripristinare l'Articolo 18
10/09/2012
Ripristinare l'art.18 dello Statuto dei Lavoratori, abrogato dalla riforma Fornero, e i diritti minimi e universali
previsti dal contratto nazionale di lavoro, cancellati dal governo Berlusconi con l'art.8 del decreto legge n.138
del 2011. Sono i due quesiti che domani, alle 10.30, un comitato allargato, formato da una delegazione
dell'Italia dei valori, insieme con alcuni rappresentanti delle forze sociali, politiche e giuristi depositerà in
Cassazione. Oltre al presidente dell'Idv, Antonio Di Pietro, infatti, saranno presenti, tra gli altri, il leader di Sel,
Nichi Vendola, il segretario nazionale di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, il presidente dei Verdi, Angelo
Bonelli, il segretario nazionale del Pdci, Oliviero Diliberto, i giuristi Pier Giovanni Alleva e Umberto Romagnoli,
Gianni Rinaldini (Fiom), Francesca Re David (Fiom-Cgil) e Gian Paolo Patta (Cgil). La raccolta delle firme, che
partirà ad ottobre, andrà di pari passo con quella dei due referendum Idv contro la Casta per abolire la diaria
dei parlamentari e abrogare il finanziamento pubblico ai partiti.
Come ti vendo il cibo: le strategie di supermercati e fastfood per farci comprare
di più
10/09/2012 (informarexresistere.fr)
Il cibo, oltre che sostentare, deve sempre più anche essere capace di ostentare. Si esibisce nella sua bellezza.
Come funziona il posizionamento e la rappresentazione sugli scaffali? Perché il reparto ortofrutta è sempre
all’ingresso dei supermercati? Perché il packaging è sempre più ruvido e i colori verde e ocra vanno per
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la maggiore? Cos’è il green washing? Giuseppe Segreto, ricercatore di Semiotica all’Università di Siena,
specializzato in semiotica del cibo ci spiega il ruolo della vista e del marketing nella scelta di cosa mangiamo.
Quali sensi sono coinvolti nella comunicazione del cibo?
Bisognerebbe piuttosto chiedersi quali sono i sensi a non risultare coinvolti. Il gusto e l’olfatto sono quasi come
un unico senso, in quanto bocca e cavità nasali sono uniti. L’olfatto è molto importante perché ci mette in
guardia e ci permette di giudicare l’alimento. Basta pensare alla cucina di strada, dove fumi e odori sono come
un’insegna luminosa. Ma anche il tatto assume un ruolo fondamentale: pensiamo a quanto è importante la
consistenza del budino o della carne. Per la vista, invece, sono importanti colore e luminosità. Un esempio su
tutti è il vino.
E l’udito?
Anche l’udito ha la sua importanza. Ed è legato proustianamente ai ricordi personali. Il rumore dell’olio che
frigge in padella, ad esempio, può ricordare determinati alimenti e permettere di pregustarli anche solo con il
senso dell’udito. Il suono è un modo con cui il cibo si dà e comunica.
La vista, però, sembra il senso principale per la comunicazione del cibo.
Il cibo, oltre che sostentare, deve anche essere capace di ostentare. Il cibo si esibisce nella sua bellezza.
Pensiamo alle offerte votive ai santi: in alcune zone della Sicilia, come Agrigento, le statue dei santi vengono
portate in processione e la struttura su cui poggia la statua è ornata di gioielli ma anche di cibo, come frutta
e pane dalle forme ricercate che si avvicinano appunto a quelle dei gioielli. Nella stessa Sicilia, si fa la frutta
di Martorana: la pasta di mandorla viene lavorata in forme di vario tipo, dagli ortaggi alle rose alle conchiglie.
Sono manipolazioni visive del cibo che ci fanno pensare alla famosa cena di Trimalcione del Satyricon di
Petronio, in cui il cibo si travestiva: come i piccioni che nascondevano le salsicce al loro interno. Il cibo diventa
così sorpresa ironica.
Dalla tavola di Trimalcione al supermercato dei nostri giorni. Come funziona il posizionamento e la
rappresentazione del cibo nei reparti e sugli scaffali?
Il supermercato oggi non è solo uno spazio commerciale di vendita. Ma è soprattutto uno spazio di
comunicazione e di senso. Nei supermercati percorriamo veri e propri percorsi di senso per acquisire
informazioni sui prodotti e vivere esperienze anche emotive. Il cibo gioca un ruolo comunicativo e propone
l’adesione a determinati ambiti valoriali. Un’importanza decisiva ce l’ha anche il materiale di cui sono fatti
gli scaffali del supermercato. Negli ultimi anni c’è una tendenza a usare il legno per trasmettere naturalità
e valori di salubrità che fanno parte dell’universo di riferimento del cibo contemporaneo. Un modo per
facilitare il processo di acquisto è certamente la creazione di forme di contiguità tra i cibi: accanto allo
yogurt non troveremo mai i detersivi, ma la pasta fresca dove ci sono anche i sughi sì. C’è una sintassi e
un grammatica precisa nell’organizzazione dei reparti. Ci sono specifici accordi commerciali tra le marche
e la grande distribuzione per il posizionamento sugli scaffali. I prodotti che si vogliono vendere di più sono
sui ripiani degli scaffali ad altezza d’occhio, nella fascia mediana, di modo che siano a portata di mano. Ma
pensiamo anche ai prodotti che vengono messi tra un corridoio e l’altro, che sono preziosissimi, perché sono
quelli che tutti vedono. Ed è lì che spesso si mettono le offerte. Niente è casuale nell’organizzazione spaziale
del supermercato. Ci sono studi etnografici appositi per studiare i percorsi da far compiere al consumatore.
Che poi sono principalmente percorsi di senso.
E in questi percorsi il via è dato quasi sempre dal reparto ortofrutticolo, che si amplia sempre di più, diventando
anche sempre più elegante. Perché frutta e verdura stanno accrescendo la loro importanza nella costruzione
del significato della spesa alimentare?
Viviamo in un’epoca in cui si afferma il valore dello stare in forma. È per questo che è aumentato il consumo di
frutta e verdura. Negli anni Cinquanta-Sessanta la pinguedine era un sintomo di ascesa sociale, di ricchezza.
Oggi, il discorso scientifico e l’immaginario collettivo hanno portato a un’etica e un’estetica del corpo sano. Ed
è per questo che siamo attenti a comprare i prodotti con le fibre, gli antiossidanti ecc. È cambiato il rapporto
con il cibo. Ci sono campagne di comunicazione che incitano a seguire diete equilibrate, contro l’insorgenza di
malattie cardiovascolari. Lo stare in forma è un valore. Il modello di corpo desiderabile è quello con i muscoli
scolpiti che troviamo sulle copertine dei giornali.
Questi nuovi valori legati al cibo come vengono tradotti nel packaging dei prodotti alimentari?
Il packaging ora deve trasmettere naturalità, freschezza, bontà dei cibi. E infatti assistiamo a un processo di
smaterializzazione delle confezioni, che diventano sempre più trasparenti, in modo da mostrarci il prodotto
all’interno. Si punta alla sparizione della confezione stessa. Perché si vuole trasmettere un’idea di naturale,
che significa assenza di manipolazione del cibo. Le confezioni oggi sono verdi, giallo ocra. Devono avere la
ruvidezza al tatto. Tutti segnali che vogliono trasmettere i valori del buon cibo naturale di una volta, senza le
manipolazioni moderne.
Com’è cambiata invece l’organizzazione dei ristoranti? Come si comunica il cibo in questi posti e come veniamo
invogliati a sceglierne uno anziché un altro?
Ogni elemento in un ristorante contribuisce alla costruzione del significato. La proposta di una tipologia
culinaria è un sapiente dosaggio di questi segni, dal colore delle tovaglie al disegno del menù, dalla musica
all’insegna luminosa. Prima le tovaglie di carta e la luce al neon dei locali in cui veniva servito solo vino della
casa erano cose che ci rassicuravano, posti dove andare con gli amici perché era come stare a casa. Oggi c’è
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una diversa tendenza. La ristorazione è sempre più ricercata e di qualità. La trattoria tipica è contrapposta alla
cucina di qualità. Un esempio sono i repertori lessicali dei menù: la tortina di merluzzo in crosta di mandorle
con fantasia di zafferano è diversa dalle pappardelle al ragù di cinghiale. La cucina in questo modo diventa
una vera e propria arta. Una messa in scena che ha anche a che fare con il teatro e con gli stessi codici della
rappresentazione mediatica.
E anche la figura del cuoco non è più la stessa.
Il cuoco ha cambiato ruolo sociale. Non è più l’omone con la pancia pronunciata, i baffoni, tutto sudato che
usciva di tanto in tanto dalla cucina per fumare una sigaretta. Oggi è un protagonista assoluto, giovane e bello,
disponibile a scambiare due chiacchiere con iul cliente, con il quale ha un rapporto sempre più ravvicinato.
In questo cambiamento hanno avuto un ruolo fondamentale i programmi di cucina che spopolano in televisione
e che hanno un grande successo di pubblico.
La questione gastronomica è uscita dalle riviste di settore anche un po’ snob ed è entrata nella vulgata pop. È
un discorso sociale di massa. L’abbuffata di parole si traduce nell’abbuffata di cibo, che viene mostrato a ogni
ora sul piccolo schermo. E questo altro non è che la rappresentazione della bulimia consumistica dell’epoca in
cui viviamo. È una sorta di diritto al piacere, che ci ha portato alla riscoperta del tipico. C’è un bisogno sempre
più di cibo buono, pulito e giusto, come il titolo del libro di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.
È possibile distinguere l’enorme mole di programmi di cucina per tipologia?
Non esiste ancora una classificazione per tipologia, ma è certamente qualcosa di cui noi studiosi di semiotica
dovremo occuparci. Al momento possiamo distinguere: una tv di servizio, che è quella che prevede la presenza
di un nutrizionista che approva o meno le proposte culinarie dello chef (come Linea Blu); i programmi
informativi, quelli cioè in cui ti faccio vedere come si fa una bella pasta e ceci; quelli che hanno adottato la
grammatica tradizionale del mondo dello spettacolo e che quindi sono diventati reality o talent show; i format
internazionali, come Nigella Lawson, conduttrice di numerosi programmi televisivi culinari in Gran Bretagna
che strizza l’occhio all’uomo al di là dello schermo, o Anthony Bourdain, che gira il mondo facendoci pregustare
i cibi attraverso l’immagine di lui che gusta i cibi.
È chiaro che c’è anche una distinzione per target.
Certo, come ogni prodotto comunicativo. Noi semiotici parliamo di testo e di costruzione del lettore nel testo,
al quale si può aderire o no. I due estremi sono la nonna o la zia che all’ora di pranzo seguono La prova del
cuoco di Antonella Clerici e i programmi del Gambero Rosso. In mezzo c’è il fenomeno Benedetta Parodi, che è
un fenomeno crossmediale, dalla tv ai libri. E pensare che lei non è neanche una cuoca: era una giornalista di
Italia 1 a cui hanno affidato una rubrica di cucina. E ora è diventata una star.
È cambiata la percezione del cibo, la costruzione della comunicazione nei ristoranti e il cibo è stato sdoganato
in tv. Sarà cambiata anche la pubblicità degli alimenti…
A Carosello, negli anni Cinquanta, la pubblicità della Robiolina Invernizzi parlava della capacità del prodotto di
consolare lo stomaco. Serviva ad alleviare la fame tua e della tua famiglia. Perché quel testo era costruito in
un periodo di carenze alimentari. Oggi, invece, siamo nel regno del light. Ma che deve essere anche gustoso e
magari nutriente. Ma sono temi, figure e valori che appartengono a universi semantici diversi se non opposti.
Pensiamo alla pubblicità del cioccolato che non fa venire i brufoli con la ragazza che dice: “Mi vuoi tutta ciccia
e brufoli?”.
La compresenza di valori diversi sembra una strategia che appartiene anche alle campagne pubblicitarie dei
fast food come Mc Donald’s, che puntano sempre più al localismo del cibo, all’aspetto della qualità?
Esatto. Proprio qualche giorno fa Mc Donald’s ha lanciato il panino vegetariano. Ma aveva già lanciato il Mc
Italy, puntando sulla italianità dei prodotti che compongono il panino. Tutto ciò allo scopo di rispondere al
bisogno di bio, green, slow. È quello che viene chiamato “green washing”, cioè ripulire l’immagine con una
spruzzata di verde. Un’altra operazione è stata quella che ha coinvolto un grande della cucina di qualità
come Gualtiero Marchesi, con il panino da fast food preparato dallo chef. Ma sono operazioni che non possono
funzionare: nessun appassionato di alta cucina farà la fila per entrare a mangiare un panino in un fast food.
D’altra parte nessun adolescente punta a mangiare un panino con mousse di cipolle e melanzane. Tenere
insieme valori opposti, il fast e lo slow, è un compito quasi impossibile.
Slow food e fast food continueranno a essere concetti opposti, quindi.
Certo, sono due mondi diversi. L’uno nasce in opposzione all’altro. E appartengono a universi valoriali opposti.
Il fast food è il portato della cultura americana, si può mangiare mentre si fa altro. Negli appartamenti di New
York non viene più contemplato lo spazio per la cucina. Dall’altyra parte c’è l’univesro di Slow Food, che difende
proprio quei valori che invece rischiano di svanire con il fast food. Da una parte c’è un trentenne newyorkese
senza cucina, dall’altra il trentenne italiano che ci tiene a un certo modo di mangiare. In questo stesso universo
la vera novità è Eataly.
Quali sono le principali caratteristiche dell’operazione Eataly?
È un nuovo modo di vendere il cibo. La sede di New York è più visitata del Moma. Riesce a coniugare la qualità
del cibo con un modo diverso di consumarlo. Anche se un certo tipo di formaggio non si consuma come un
Big Mac. Mc Donald’s si basa sul principio del taylorismo: le patatine sono tutte uguali. L’ambito valoriale slow,
invece, a cui appartiene anche Eataly, prevede di prodotti mai uguali tra loro. La novità di Eataly è che ha
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portato nella grande distribuzione prodotti che altrimenti resterebbero di nicchia. Ha saputo portare il made in
Italy nel mondo, non parlando di moda ma di cibo.
A proposito di presentazione del made in Italy, come viene rappresentato invece il cibo nelle fiere del settore
alimentazione?
Nelle fiere c’è sempre una giornata rivolta agli operatori del settore e altre aperte al consumatore. In questo
secondo caso, la comunicazione rientra in quello che viene definito marketing esperienziale: si assaggiano
anche cento formaggi, si ascolta una certa musica, si seguono alcuni dibattiti su quei cibi. E c’è anche un
coinvolgimento cognitivo, perché viene detto da dove viene quel formaggio, cosa mangiano le mucche ecc. È
un coinvolgimento corporeo-sensoriale a 360 gradi.
E invece un alimento prezioso come il vino, come viene comunicato al consumatore?
Resta un universo riservato agli specialisti, con una dimensione molto intellettualistica e un linguaggio molto
rigoroso, termini specifici, descrizioni sinestetiche. Alzi la mano chi sa com’è un “profumo cupo” o un “vino
vellutato”. È un discorso confinato ai media di settore. L’uomo della strada, posto di fronte allo scaffale –
ovviamente di legno – che fa? Può guardare due cose: il prezzo della bottiglia, e quindi sa che una bottiglia
che costa trenta euro conterrà del vino più buono di una da cinque, e l’etichetta, che ha dei codici molto forti
sia verbali sia visivi. Sulle etichette c’è un racconto che rimanda al territorio, ma anche codici visivi del lusso,
come le scritte dorate. Perché è previsto che il vino costituisca anche un dono da portare a qualcuno.
L'AGENDA AMARA DI HOLLANDE
10/09/2012
Doveva rappresentare la speranza, ma stasera in TV Hollande ha fatto capire ai francesi che la realtà sarà dura
e diversa dalle belle parole spese in campagna elettorale. Hollande si legge nelle agenzie ha cercato di pesare
le parole, sembrando a volte affannato nel suo discorso. Ha detto che 'non lascerà ai suoi figli e successori
il peso del debito della Francia'. Bersagliato dalla stampa ed in picchiata nei sondaggi il presidente socialista
francese ha tirato fuori l'agenda per affrontare la crisi in diretta TV per reagire allo stallo dei primi 100 giorni.
Ha così illustrato a grandi linee un programma biennale di sacrifici 'senza precedenti', annunciando in 25 minuti
di diretta tv 30 miliardi da trovare con tagli e tasse. Lo spot del pagherete caro paghereti tutti sembra essere
riuscito, e come sempre succede farà arrabbiare tutti. Hollande è stato duro con il ricco, Bernard Arnault che
in questi giorni ha polemizzato con il presidente confermando la tassa del 75% ( per due anni) per 'Paperoni',
calciatori o artisti. Io devo fissare la rotta e il ritmo' ha detto ancora. E di fronte a 'una disoccupazione elevata,
a una competitivita' degradata, la sua missione e' 'risanare il paese
con un'agenda che durerà due anni'. In questo periodo il presidente dovrà 'mettere in pratica una politica
per l'occupazione, per la competitivita' e per risanare i conti pubblici'. Siamo tornati insomma al rigore e alla
crescita, niente di nuovo sotto il sole se non il fatto che a i ricchi pagheranno più dei poveri . Le temute
'lacrime e sangue' annunciate in questi giorni da piu' parti sono quindi arrivate e Hollande non l'ha nascosto.
'Si tratta di imposte dolorose, di un sacrificio senza precedenti per la Francia' ha detto. I primi 30 miliardi
saranno da trovare nel solo 2013, 10 dalle imposte sulle famiglie ( pagheranno - soprattutto ma non solo - le
piu' facoltose'), 10 dalle imprese e altri 10 dai tagli al settore pubblico ( si partirà dai ministeri salvaguardando
poliziotti e insegnanti). In una economia che va verso la stagnazione - il PIL in Francia è cresciuto solo
dello 0,8% - la politica di Hollande sembra perpetrare gli stessi errori dei liberisti europei che hanno portato
l'Europa nella spirale recessione - austerità - recessione. Le tasse per rimettere il debito senza nessuna
politica redistributiva per le classi popolari finiranno infatti per aumentare le file dei disoccupati e deprimere
ancora di più l'economia. Ed è proprio su questo punto, sul terreno del lavoro che Hollande è andato più
volte in difficolta' nello spiegare come fara' a portare a termine la sua 'agenda', in particolare illustrando
la politica industriale. Mentre ne parla infatti escono dalle labbra di Hollande delle parole che in campagna
elettorale erano impronunciabili e che sono tutte un programma, 'maggior flessibilita'' e al tempo stesso
maggior 'protezione dei lavoratori'. Un ossimoro che in Italia come nel veccho continente ha aperto la strada
alla precarietà ed all'abbattimento dei diritti e salari dei lavoratori. Ora la sinistra di Mèlenchon da un lato e la
destra dall'altro giocheranno la partita dell'opposizione. Vedremo come andrà a finire
Ferrero (prc): Se vince Bersani non perdono i banchieri. Serve vittoria della
Sinistra
09/09/2012
Vedo che Bersani si agita molto rivendicando la possibilità di fare il Presidente del Consiglio al posto di Monti.
Il problema è che le misure che Bersani ha votato – come il Fiscal Compact – hanno già tracciato la strada dei
prossimi governi. Come dice Scalfari la pietanza è già cucinata, si tratta solo di aggiungere il prezzemolo. Se
poi l’Italia chiederà l’intervento della BCE e del Fondo Monetario internazionale la frittata è fatta. Il punto è che
l’accettazione di Bersani di tutti i dictat europei e di tutte le manovre di Monti fa si che se vince Bersani – o
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Berlusconi o Casini – i banchieri continueranno a comandare, perché hanno già costruito la strada su cui deve
muoversi il governo. L’unica possibilità per scalzare il dominio dei banchieri è data dalla vittoria della sinistra
di alternativa che metterà in discussione il fiscal compact e non lo applicherà.
Dal Colle per il Monti-bis
09/09/2012 di Micaela Bongi (il manifesto)
Riforma elettorale, alle urne entro aprile. Il capo dello stato stila timing e programma: «Rispettare gli impegni
presi in Europa, gli schieramenti che vanno al voto convergano su questo terreno, vigilerò»
Il diretto interessato continua a svicolare, prima ribadisce, attraverso i suoi collaboratori di non volersi
occupare della questione e che non desidera essere «tirato per la giacchetta». Poi ripete in prima persona che
«il mio orizzonte finisce ad aprile 2013, nessun dubbio». Ma il Forum Ambrosetti di Cernobbio si conferma
sempre più come l’appuntamento per il lancio del Monti-dopo-Monti.
Dopo il sondaggio tra gli imprenditori, all’80% pro Monti-bis, è direttamente il presidente della repubblica
Giorgio Napolitano, artefice del governo dei «tecnici», a dettare tempi e modi in cui si dovrà arrivare, se non a
una nuova investitura per il presidente del consiglio in carica (del resto lui stesso potrebbe davvero non
desiderare il ritorno a palazzo Chigi nel 2013), a un governo che non si discosti di una virgola dalla famosa
agenda del professore. Il messaggio pronunciato in collegamento video con Cernobbio dal capo dello stato non
potrebbe essere più chiaro, perché l’inquilino del Quirinale avverte che lui stesso vigilerà perché la ricetta del
governo Monti sia applicata anche nei prossimi anni.
Il «nuovo governo», premette Napolitano tessendo le lodi dei «tecnici», è riuscito a «tener fede agli impegni
concordati in sede di Unione Europea e a dare significativi contributi al comune obbiettivo del superamento
della crisi dell’Eurozona», realizzando «in tempi straordinariamente serrati un densissimo programma di
provvedimenti volti al risanamento della finanza pubblica e all’avvio delle necessarie riforme strutturali». E in
questo modo ha anche « riguadagnato credibilità nelle relazioni internazionali e sui mercati». Ma il lavoro non è
finito. Forse ispirato dal discorso di Barack Obama alla convention democratica di Charlotte, il capo dello stato
continua: «Non ci facciamo illusioni sulla sufficienza dei risultati ottenuti: molto resta da fare». Sottinteso,
servirebbe un secondo mandato. Perché auspici in questo senso – o meglio, «interrogativi» sugli scenari politici
del dopo voto – arriverebbero anche da quanti, «fuori dall’Italia, hanno apprezzato e riconosciuto lo sforzo di
cambiamento prodottosi attraverso un’originale formazione di governo, indipendente da pregiudiziali e
contrapposizioni politiche e connotata da elevate competenze tecniche».
Il capo dello stato arriva al dunque. Le elezioni – chiarisce ad uso e consumo di quanti potrebbero sperare che si
torni alle urne dopo la fine del settennato – si dovranno tenere «entro e non oltre l’aprile del 2013». L’ipotesi
più accreditata e che si svolgano in marzo: in questo modo sarà ancora l’attuale inquilino del Quirinale, il cui
mandato scade il 15 maggio, a conferire l’incarico al nuovo presidente del consiglio. La legislatura in corso,
continua Napolitano, dovrà proseguire in modo costruttivo non solo per «portare avanti la concreta attuazione
degli indirizzi e dei provvedimenti definiti dal governo e approvati dal parlamento», ma anche, insiste il capo
dello stato, per arrivare all’approvazione di una nuova legge elettorale che favorisca una «migliore
rappresentatività e governabilità». Anche se potrebbe essere proprio la legge elettorale il grimaldello per aprire
la strada a un nuovo governo di larghe intese, in assenza di uno schieramento vincitore.
Se in tutta Europa «le più o meno vicine competizioni elettorali presentano incognite ed esiti incerti»,
Napolitano si assume comunque l’incarico di gestire il passaggio al nuovo governo evitando che ci si discosti
dal dettato della troika: «Mi adopererò perché in Italia venga esplicitamente e largamente condiviso l’impegno
a dare seguito e sviluppo a scelte di fondo concertate in sede europea».
Insomma, il programma è già scritto, i partiti (e il segretario del Pd Pierluigi Bersani che punta a palazzo Chigi)
possono mettersi l’anima in pace perché «i diversi schieramenti politici che si contenderanno il consenso degli
elettori possono ben riconoscere la necessità vitale di un loro impegno convergente su quel terreno». Se anche
adesso i diversi schieramenti non sono tutti pronti a riconoscere che in sostanza anche dopo il rito delle urne
dovranno collaborare per mettere in pratica la ricetta europea, prima o poi ci arriveranno: «Cercherò di
sollecitare una tale manifestazione di libera e limpida consapevolezza politica – mette in guardia Napolitano,
che evidentemente intende ricorrere alla maieutica – considerandolo mio dovere, fino al termine del mandato
presidenziale».
Voto a perdere
09/09/2012 di Norma Rangeri (il manifesto)
La grande confusione che sembra avvolgere il mondo della politica italiana è solo apparente perché, in realtà,
ci sono due, decisivi, punti fermi: da ieri abbiamo la data delle elezioni e il programma di governo.
Mentre i partiti si muovono sulle sabbie mobili di schieramenti ridotti in pezzi dall’avvento dello spariglio, c’è
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chi lavora per ricondurli all’ordine nuovo di domani. Intervenendo in videoconferenza all’appuntamento
settembrino degli industriali, il capo dello stato, elogiando l’operato di Monti, si è augurato che l’agenda del
professore diventi la bussola, la stella polare che dovrà orientare chi vincerà le elezioni («da tenersi entro e
non oltre aprile 2013»). Essendo dunque, più o meno, tutto già deciso, è tuttavia sempre meno chiaro come il
capo dello stato intenda «rinnovare la nostra fiducia nel metodo democratico», come pure ci sollecita a fare,
se il rito elettorale dovrà servire a legittimare un Monti-bis, con o senza il professore a palazzo Chigi.
Il Pd può dividersi al massimo tra giovani e vecchi, Berlusconi indugiare sui mille pezzi della sua creatura
politica e i grillini accapigliarsi sulla non-democrazia del loro non-partito, ma se il pensiero unico diventa anche
il governo necessario, è lecito qualche dubbio sul «sereno svolgimento della competizione elettorale», come
pure si augura il Presidente della Repubblica.
Per dare vita alle istituzioni morenti, per rianimare un dibattito pubblico, per uscire dalla cappa del montismo
e recuperare il senso di una battaglia di sinistra, innanzitutto sul lavoro e sull’ambiente, bisogna archiviare
la durissima cura subita dalla parte più debole della società. Occorre radicalità nell’analisi e capacità di
individuare gli spazi possibili del cambiamento, come già indicato dal voto popolare dei referendum passati (e
ora dai referendum futuri sui diritti operai). Tutto il contrario delle intenzioni espresse ieri dagli imprenditori
riuniti a Cernobbio, e dei consigli a loro recapitati da Napolitano secondo il quale, invece, «i diversi devono
convergere».
Il povero Bersani può anche giocare alle primarie, ma è avvisato sulla rotta da seguire se non vuole vedersi
soffiare il partito dal sindaco di Firenze e dai suoi grandi sponsor. Certo non è un buon augurio per chi deve
presentarsi a chiedere il voto a dipendenti pubblici, pensionati, precari, disoccupati, artigiani, piccole imprese,
una base sociale che da questi primi dieci mesi di montismo ha ricevuto solo bastonate.
Vendola e il Referendum
09/09/2012 di Massimo Rossi*
Nichi Vendola si associa alla proposta dei referendum contro "la vergogna dello sfregio dell'articolo 18".
Questo fa piacere. Si intesta il merito dell'iniziativa e censura la federazione della sinistra dalla compagine
dei promotori. Questo fa meno piacere. Ma soprattutto non dice che, dividendo la sinistra antiliberista,
vuole andare al governo con gli artefici di questo scempio vergognoso. Questo avvilisce e inquieta. In un
momento così drammatico l'incoerenza e il politicismo rischiano di dare il colpo di grazia alla speranza di una
alternativa. La campagna referendaria per i/il diritti/o del/al lavoro può e deve invece rappresentare l'occasione
per riconciliare i contenuti di un progetto di società basato sui diritti e la civiltà del lavoro con le scelte
politiche conseguenti. Per rimettere in campo una sinistra finalmente degna di questo nome. Coerente, unita,
progettuale, popolare, partecipativa.
* Portavoce nazionale Fds
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