New York, riapre la libreria Rizzoli una festa per gli amanti dei libri

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New York, riapre la libreria Rizzoli una festa per gli amanti dei libri
TERZA PAGINA
Corriere della Sera Mercoledì 22 Luglio 2015
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#
 In pagina
Paradossi e ossimori
nelle massime di Lec
di Sandro Modeo
P
olacco (di Leopoli) e in quanto tale
costretto tra militanza anti-nazista
e anti-stalinista, il poeta Stanislaw
Jerzy Lec (1909-1966) vede
presto i suoi versi oscurati dalle
massime, condensate nella raccolta-cult
dei Pensieri spettinati (a cura di Pietro
Marchesani, Bompiani, pp. 294, e 13, con
Elzeviro
LA SCRITTURA
«PARIGINA»
DI TESSON
Segna
libro
i disegni sintonici di Roland Topor). Anche
se nutrito dalla tradizione biblicotalmudica e dagli aforisti francesi, Lec ha
toni e timbri da puro Novecento, con
venature brechtiane («Beati i tempi in cui
si va al muro solo per fare pipì») e
kafkiane («Il mondo non riesce mai a
perdonare chi non è colpevole di nulla»);
venature, beninteso, di una musica
inconfondibile, dove paradossi e ossimori
fanno convivere la minacciosità
metafisico-sociale di ogni regime («Ci
nutrono di menzogne perché la verità
non si può mandar giù») con la vertigine
ontologico-onirica («Ho sognato la
realtà. Che sollievo, svegliarsi!»).
Armonizzando l’allegretto di fondo con
rintocchi da Requiem, la visione di Lec
scrosta così le ipocrisie e gli (auto)
inganni con cui veliamo la nostra natura
irrimediabilmente animale: «Perché gli
uomini non sono più cannibali? Bè,
bisogna pur credere in qualche progresso
della cucina».
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La sede è all’interno del prestigioso St. James building costruito nel 1896
New York, riapre la libreria Rizzoli
una festa per gli amanti dei libri
Vetrine
di Antonio Debenedetti
Nella foto a
sinistra: le
vetrine della
nuova libreria
Rizzoli al numero
1133 di
Broadway. A
fianco: l’interno
dei locali in stile
Beaux-Arts, con
le boiserie in
ciliegio. Qui
sotto: il Flatiron,
il grattacielo
«ferro da stiro»
completato
nel 1902. Si trova
a pochi passi
dalla «rinata»
libreria Rizzoli
I
l titolo del libro Abbandonarsi a vivere,
che traduce senza alterazioni il francese
S’abandonner à vivre, seduce mescolando il languore d’una canzonetta con una
scheggia dell’ormai remoto esistenzialismo
parigino. Trasmette una golosa voglia di leggere. Sarebbe un peccato limitarsi a far l’amore con la copertina. Si perderebbero, per cominciare, ritratti come questo d’una ragazza di
nome Marianne: «Jack aveva trovato il suo viso
perfettamente parigino: naso piccolo e a punta, capelli bruni fino alle spalle ,occhi irrequieti e tristi traversati a tratti da lampi di cinismo.
Una cerbiatta dal cuore di iena». L’autore, il
quarantatreenne Sylvain Tesson più francese
della Tour Eiffel, si limita a farla sparire in una
strizzata d’occhio.
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Ma chi è Tesson? Un orfano consapevole del
secolo breve, che rifiutando la civiltà cittadina,
ha ottenuto il successo davvero invidiabile di
chi rifiuta il successo. Ha incominciato, almeno così si legge nelle agiografie divulgate dagli
uffici stampa dei suoi editori, facendo il giro
del mondo in bicicletta. Più tardi, con l’aria di
chi dice «è solo l’inizio», ha lasciato l’Occidente dei computer andando a vivere per sei lunghi mesi nel silenzio delle «foreste siberiane».
Da questo bagno nella solitudine ha ricavato
un best seller incoronato dal prestigioso Premio Médicis. La morale? Tesson non ha dubbi:
«Il freddo, il silenzio e la solitudine sono delle
condizioni che in futuro si pagheranno più
care dell’oro. Su una Terra sovrappopolata,
surriscaldata, rumorosa, una capanna nella
foresta è l’Eldorado».
Occhi celesti, tipica espressione «di chi non
deve chiedere mai», Tesson tornato in patria
ha continuato a fare dell’imprevisto rischioso
il suo carburante psicologico. Fatto sta che,
tentando per gioco di scalare la facciata dell’abitazione d’un amico, ha rischiato di sfracellarsi. Quella drammatica e spavalda esperienza gli è costata dieci giorni di coma. Sarà uno
dei suoi personaggi, precisamente quello di
un’avventura boccaccesca intitolata La grondaia, a spiegare anche per conto dell’autore di
aver sempre considerato «Parigi un insospettato terreno di arrampicate». Le chiese, le cattedrali, le torri della città altro non gli sono
sembrate che lisce pareti rocciose, che invitanti e vertiginose falesie... Sfide per audaci
arrampicatori!
Il più riuscito dei diciannove racconti, ordinati in Abbandonarsi a vivere (Sellerio), è
proprio quello che apre il volume. La delicatezza del tocco può suggerire una lontana aria
di famiglia con gli innamorati di Peynet mentre il titolo Gli amanti rimanda a un bianco e
nero dei sentimenti in stile nouvelle vague. I
protagonisti sono d’altronde «due parigini
quarantenni del tipo di quelli che i quarantenni parigini descrivono nei loro romanzi». Lui è
un pittore, lei è una bancaria. Si conoscono
durante una di quelle serate in cui tutti si annoiano da morire ma nessuno ha intenzione
di andare a dormire. «Lei incarna un cristallo,
lui sembra modellato in una zolla di terra».
Lei pilucca come un lemure anemico lui mangia enormi bistecche ben cotte. Lei venera
Stendhal, lui recita Péguy. Si fracasseranno
contro un camion fermo mentre in motocicletta corrono a una cena. «Nell’incidente si
rendono un estremo omaggio». Lui muore e
lei cade in un coma irreversibile.
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Tesson cita i maestri della letteratura come
un uomo di fede chiede aiuto ai santi. Non a
caso molti di questi suoi racconti, veloci come
cazzotti o coinvolgenti come chiacchiere vicino al fuoco, riportano al loro inizio citazioni
da Flaubert o da Fitzgerald, da Baudelaire o da
Bukowski e altri. L’esergo è affidato a Pascal,
Kafka e Drieu La Rochelle. Si, proprio come
pensate: Tesson è un tipo che incuriosisce un
bel po’.
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Non solo scultore
e pittore,
Michelangelo
fu anche geniale
architetto. A lui nel
1515 papa Leone
X commissionò
la facciata della
basilica di San
Lorenzo (Firenze),
per la quale poi
avrebbe realizzato
Sacrestia Nuova e
Biblioteca. Opere
imponenti che
seguì come
progettista e
direttore dei
lavori, scegliendo
i materiali e
definendo ruoli
e salari delle
maestranze.
Lo racconta,
pescando dai
suoi autografi,
analizzati anche
sul piano della
lingua, Andrea
Felici:
Michelangelo a
San Lorenzo
(Olschki, pp. 376,
e 35)
Il David, la Pietà, il
Mosè, il Giudizio
Universale. Le
opere di
Michelangelo
sono (anche)
un’interpretazione
della Bibbia.
L’interpretazione
di chi, durante la
sua lunga vita
(1475-1564),
conobbe la
Riforma cattolica,
gli albori del
protestantesimo,
il Concilio
tridentino e provò
a offrire, armato di
scalpello e
pennello, una
personalissima
ermeneutica al
servizio della
Parola e di chi la
parola, in quanto
analfabeta (la
massa dei fedeli)
non poteva capire.
Piero Stefani, La
Bibbia di
Michelangelo
(Claudiana, pp. 95,
e 9,50).
a cura di
Marco
Ostoni
dal nostro inviato
Giuseppe Sarcina
La libreria Rizzoli riprende il suo posto, intimo,
profondo, a New York. La nuova
casa è al piano terra di uno dei
più begli edifici del quartiere
NoMad, il St.James building,
progettato nel 1896 dall’architetto Bruce Price. A due passi
dal celebre Flatiron, il ferro da
stiro di Manhattan. Il negozio si
porta dietro una lunga storia
iniziata nel 1964, quando il «cumenda» Angelo Rizzoli, già settantacinquenne, invitò il senatore italoamericano John Pastore a tagliare il nastro tricolore,
«tra preti e majorettes» come
scrisse all’epoca il «New York
Times», per il primo giorno
dell’International Bookstore
sulla Quinta Strada. Poi il primo
trasloco, sulla 57ª strada: rapidamente diventato luogo di
culto per i newyorkesi. Un posto raccolto, quasi un rifugio,
dove sfogliare grandi cataloghi
di arte, di fotografia, di design.
Comincia così, tra quei volumi, la storia tra Molly e Frank,
tra Meryl Streep e Robert De Niro, nel film «Innamorarsi».
NEW YORK

Laura Donnini:
per tutti
i nostri clienti
vogliamo
essere un luogo
di scoperte
La nuova Rizzoli riparte anche da lì, una trentina di isolati
più giù, al numero 1133 di
Broadway. Ieri sera c’è stata la
presentazione alla città, con
ancora qualcosina da sistemare
prima dell’apertura al pubblico, fissata per il 27 luglio. Laura
Donnini, amministratore delegato della Rcs Libri (società che
potrebbe essere venduta alla
Mondadori), mostrava, indicava, spiegava: «Torniamo in un
quartiere più vivace. In questi
mesi di chiusura abbiamo realizzato un’indagine di mercato:
i lettori ci hanno detto che vivevano la Rizzoli come una specie
di tempio, uno spazio in cui assaporare il piacere del contatto
con i libri. In questa città le
grandi librerie stanno scomparendo. Comprare su Amazon è
più facile. Però di solito chi va
su Amazon sa già che cosa vuole e che cosa cerca. Noi offriamo un luogo dove le persone
possano venire per scoprire anche qualcosa di diverso, di
ignoto».
Dietro la cassa, sul palchetto
dei bestseller campeggia la copertina di Go set a Watchmann,
Va’, metti una sentinella, l’ultima opera di Harper Lee, oltre
un milione di copie già vendute. Ma subito più in là ecco
un’infilata di titoli e di vecchie
edizioni, quasi disperse: The
Essential Ginsberg, Ralph Ellison e tanti altri autori, compresi gli italiani, naturalmente.
Carta e digitale insieme. Tradizione e piena contemporaneità. I dorsi corrono lungo tre
ambienti, la Navata, lo Skylight, con il tetto oscurato per il
coprifuoco durante la Seconda
guerra mondiale, e poi una
grande arcata rossa fino al Salone. Lo stile Beaux-Arts dell’edificio e degli interni è bilanciato dai pavimenti in pietra
bianca e nera alla maniera senese, dalle austere boiserie in
ciliegio, i lampadari in bronzo
a forma di candelabro trasportati dalla Cinquantasettesima
strada.
Il richiamo costante all’Italia
compare sui murales progettati
dal designer milanese Barnaba
Fornasetti. Cieli azzurri, nuvole,
segni zodiacali e un arco che
sommerge il Duomo di Milano
circondato dai pesci. Lo guardi,
prendi in mano un libro e subito ti senti un po’ meglio.
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Gli scatti del fotografo Roberto Merlo in mostra a Genova
Ritratto della Liguria vista dall’alto
di Marco Gillo
B
isogna volare per vedere
la Liguria, una terra verticale, difficile da scoprire
con molti luoghi nascosti. Un
paesaggio che per molte sue
parti deve essere ancora scoperto, a volte affrontando lunghe camminate a piedi o sorprendendolo dal mare come
era visto dai vecchi bastimenti
che arrivavano pieni di merce
dai posti più disparati per attraccare nel porto della Superba. È una terra, la Liguria, fatta
di punti di vista, di scorci immaginari che appaiono all’improvviso. Che vanno sorvolati,
non solo percorsi.
Altro modo di scoprirla, vederla dal cielo. Roberto Merlo,
fotografo genovese, ha fatto di
questa sua passione il centro
del suo lavoro professionale
sorvolando e fotografando le
maggiori città italiane e gran
parte delle sue coste.
Un’esperienza che dura da
quarant’anni, dalla quale nasce
un’idea e prende forma una
mostra allestita a Genova, la sua
Il porto di Genova
Una veduta aerea del Porto antico
di Genova con in primo piano la
zona dell’Acquario, la Darsena
e il Museo del Mare
(Fotografia di Roberto Merlo)
città, a Palazzo Ducale, nella
Loggia degli Abati da venerdì al
4 ottobre. Titolo, Liguria: un ritratto dal cielo. Un percorso che
si definisce attraverso un centinaio di scatti fotografici con i
quali l’autore ha scandagliato il
territorio rendendo allo spettatore un punto di vista unico del
territori, fortemente emozionale, di grande impatto.
Come nella visione che presenta il Porto di Genova un attimo prima del buio notturno.
Come sospesa tra la luce che sta
andando via e quella dei lampioni che sta prendendo il suo
posto. L’immagine dà allo spettatore una sensazione di protezione, restituendo al luogo quel
significato antico di «riparo ove
poter sostare sicuri». Protetto
dai venti, al centro dei traffici
dell’antichità. Quelle luci sono
la vita. In movimento.
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