letteratura
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letteratura A cura di Anna Casanova ono il filo sottile, così sottile che si infila e si tende, prolungandosi. Così sottile che non si spezza. Ed il groviglio di fili si allarga e mostra, chiari e ben stretti, i nodi che non si sciolgono. Sono una traccia in quel groviglio e il mio principio appartiene a quello multiplo». Con questa suggestiva metafora Cristina Ali Farah, scrittrice italo-somala, inizia il suo romanzo Madre piccola, mettendo subito al centro il tema dell’identità, intesa non come auto-affermazione di una differenza, ma come una dimensione aperta e composita. La riflessione sul tema dell’identità, ma anche l’ironica presa di distanza «S 30 POPOLI FEBBRAIO 2008 da una sua enfatizzazione, sono in- IN PRINCIPIO FU PAP KHOUMA gredienti tipici della letteratura mi- Furono proprio due grandi case editrigrante, vale a dire la letteratura crea- ci, del resto, a «scoprire» la letteratura ta da scrittori e scrittrici di origine migrante nei primi anni Novanta. straniera, italiani di adozione, che Apripista è stata la De Agostini, con scrivono in italiano e pubblicano con La promessa di Hamadi, di Saidou le nostre case editrici. «Esplosa» nei Moussa Ba e Alessandro Michelletti, e primi anni Novanta, questa letteratu- Garzanti con Io, venditore di elefanti, ra continua a essere fertile, spiazzan- scritto a quattro mani da Pap te, in continua crescita, con quasi 300 Khouma, senegalese (che oggi dirige scrittori all’attivo grazie all’attenzione la rivista on line El Ghibli), e Oreste ricevuta soprattutto dalla piccola e Pivetta, ora ripubblicato da Baldini media editoria (Dell’Arco, Castoldi Delai. SopratFara, Cosmo Iannone, All’inizio tutto questo secondo liBesa, Sinnos, E/O, Terre predominava la bro diventò un caso edidi mezzo, Emi) e, in casi co-autorialità, toriale, vendendo 80mila più episodici, anche dai voluta copie e venendo adottato big (Frassinelli, Garzanti, dalle case come testo nelle scuole Giunti, Fabbri, Einaudi, editrici, elementari e medie. poi gli scrittori Laterza, Bompiani). Di fatto, dopo i primi ca- stranieri hanno iniziato a scrivere autonomamente S. BOSELLI identità - differenza l’emozione era concentrata sulla necessità di farsi riconoscere come diversi e dare valore alla propria provenienza, oggi si assiste al tentativo di trovare formule comuni che non neghino le identità, ma trovino elementi di convivenza. Alla fase “io esisto” segue la fase “ci confrontiamo”». Pagine migranti Sono stranieri ma scrivono (sempre meglio) nella nostra lingua. Valorizzati soprattutto dai piccoli e medi editori, pluripremiati, gli scrittori immigrati a volte sfondano anche in libreria si, sarà l’arcipelago delle piccole-medie case editrici a dare spazio e continuità alla letteratura migrante. «In quegli anni si guardava all’immigrazione come a un fenomeno di interazione tra popoli: basti pensare al successo di un programma come Non solo nero - spiega Roberta Sangiorgi, presidente dell’associazione e casa editrice Eks&Tra -. Poi il clima politico cambiò. Nel 1992 emerge la questione dell’immigrazione albanese, con vere e proprie ondate, i gommoni, i casi di malavita. A quel punto gli albanesi assunsero una connotazione negativa e i primi flussi, che potevano essere facilmente governati, diventarono emergenza». È significativo, peraltro, che oggi la comunità di scrittori stranieri più numerosa in Italia sia proprio quella albanese (citiamo, tra gli altri, Ron Kubati e Clirim Muca). In ogni caso, emergenze vere o presunte a parte, l’evoluzione del fenomeno è proseguita. Se nella prima fase della letteratura migrante predominava la co-autorialità, voluta soprattutto dall’editore, negli anni successivi gli scrittori hanno iniziato a scrivere in modo autonomo. Anche dal punto di vista tematico si è assistito a un cambiamento: ai primi scritti essenzialmente autobiografici, in cui si mettevano in luce le difficoltà del viaggio e dell’inserimento in Italia, è seguita «una maggiore capacità di trasposizione narrativa», sostiene la Sangiorgi. E questo corrisponde, secondo Mauro Baffico, direttore di Edizioni Dell’Arco, a un processo emotivo: «Prima PICCOLI, MA NON TROPPO Tra le tante case editrici che negli anni hanno pubblicato scrittori migranti spicca Fara Editore. Dal 1995 al 2000 ha pubblicato le antologie del concorso Eks&Tra (www.eksetra.net), un punto di riferimento per la letteratura migrante. Ma non solo. C’è stato spazio per opere autonome, come quelle dell’egiziano Mohamed Ghonim, dell’albanese Gezim Hajdari (vincitore nel 1997 del Premio «Montale» e nel 2007 del Premio «Piccola editoria di qualità»), delle brasiliane Rosana Crispin da Costa e Rosete de Sá. Un percorso ormai consolidato, al punto che, secondo il direttore Alessandro Ramberti, «ormai ha senso parlare di letteratura “migrante” solo in termini strettamente scolastici; in realtà questi autori non sono interessanti soltanto per il valore sociologico, di testimonianza, di I primi romanzi analisi del feno- mettevano meno immigrato- in luce rio, ma hanno un le difficoltà valore letterario del viaggio e dell’inserimento, in sé». Aspetto condivi- oggi si cerca sibile ma, per i il confronto più, l’aggettivo è con la cultura inteso come «una italiana e con dimensione del- gli altri immigrati l’animo» e, come aggiunge Baffico, «significa che la letteratura è in movimento: questi scrittori, in un mondo dove i confini nazionali stanno cadendo, sono portatori di una cultura che acquisisce pregnanza di contenuti proprio per essere frutto di un percorso di vita non stabile». Si capisce allora perché Edizioni Dell’Arco abbia dato proprio il nome di «Letteratura migrante» a una delle FEBBRAIO 2008 POPOLI 31 letteratura sue collane di maggior successo: raccoglie scritti autobiografici, romanzi, poesie di autori immigrati ed è diretta da un medico, cittadino italo-togolese, Kossi Komla«Senza Ebri, che con il integrazione suo libro Imbarazzismi (2002) linguistica sei si è distinto con vulnerabile 30mila copie - dice l’indiana vendute. Una peLaila Wadia -. culiarità di Ho dovuto Dell’Arco è la sua ri-apprendere distribuzione: nel tutto: immigrare 1997 mette on significa the road la letteri-nascere» ratura, dando lavoro a gruppi di venditori stranieri, da Ventimiglia e Pesaro. La casa editrice E/O ha scoperto invece solo recentemente questo tipo di letteratura, ma con ottime scelte. Tra i suoi autori, l’algerino Amara Lakhous, con Scontro di civiltà per un ascenso- re a piazza Vittorio, e l’indiana Laila Wadia con Amiche per la pelle, romanzo ambientato a Trieste, dove l’autrice vive. Il libro di Amara Lakhous è un esempio di long-seller, un romanzo che continua a vendere bene anche a due anni dalla pubblicazione (30mila copie). A breve ne verrà tratto anche un film. «Una delle originalità del libro è la mescolanza di generi - spiega il direttore di E/O, Sandro Ferri -: commedia all’italiana, giallo, romanzo sociale, il tutto con una polifonia di voci articolata in una struttura narrativa originale. Inoltre ha un forte contenuto politico: ironizza sui pregiudizi e prende le distanze dal delirio identitario di questi tempi». La stessa ironia si respira nelle pagine di Laila Wadia. In Amiche per la pelle (vincitore nel 2006 del Premio «Popoli in cammino»), romanzo corale al femminile, l’autrice racconta con leggerezza e umorismo la convivenza tra quattro famiglie straniere residenti in un condominio triestino, giocando anche sulle incomprensioni della lingua. «Credo che senza l’integrazione linguistica si sia vulnerabili. All’inizio per me è stato difficilissimo, perché avevo la proprietà linguistica di un bambino: ho dovuto ri-apprendere tutto. Immigrazione significa ri-nascere, imparare tutto daccapo con grande fatica. Ma se non abbiamo gli strumenti linguistici, se non abbiamo le parole per dare voce, come possiamo pretendere che altri ci ascoltino?». E scrivere questo libro in italiano è stata una doppia sfida per lei perché, «quando mi sono iscritta all’università italiana, ho incontrato una persona LA MAPPATURA Penne multicolore Q M. SORRENTINI uanti sono gli scrittori immigrati in Italia che hanno pubblicato scrivendo nella nostra lingua? A questa domanda cerca di rispondere l’unica banca dati esistente in materia, denominata Basili, nata nel 1997 grazie al finanziamento del Cnr, presso il Dipartimento di italianistica e spettacolo dell’Università di Roma. L’opera è coordinata da Armando Gnisci, professore associato di Critica letteraria e letterature comparate. Basili (www.disp.let.uniroma1.it/basili2001), cui è collegata la rivista specializzata Kúmá, offre anzitutto una mappatura su numero e provenienze degli scrittori: considerando il periodo che va dal 1980 al 2007 si contano 279 scrittori, per il 57% maschi. Le nazionalità rappresentate sono 80. A livello continentale prevale l’Africa (34,2% degli autori), seguita da Europa (29,3%), Americhe (19,2%) e Asia (16,7%). In assoluto, i gruppi nazionali più numerosi sono gli albanesi (24 scrittori censiti), i marocchini (17), gli argentini (15) e gli iraniani (15). Le opere letterarie sinora schedate sono 726. Quanto ai generi, prevale la poesia, seguita dai racconti; più distanziati romanzi, antologie e altri generi. Un’altra fonte interessante è il concorso letterario Esk&Tra, che dal 1995 premia le migliori opere di scrittori immigrati nel nostro Paese. Roberta Sangiorgi, presidente del concorso, fornisce un panorama degli autori degli oltre 1.800 scritti passati in questi anni al vaglio della giuria: «Fino al 2000 c’era soprattutto la prima generazione di immigrati, la cui provenienza era per il 40% l’Africa, per il 30% il Sudamerica (in particolare Brasile e Argentina), per il 20% l’Europa dell’Est (con una presenza maggioritaria di scrittori albanesi), e per il restante 10% l’Asia. Dal 2000 si è verificato un doppio fenomeno: in primo luogo hanno cominciato ad arrivarci molti scritti della seconda generazione; in secondo luogo cambiano le provenienze. Al primo posto ora c’è l’Europa dell’Est (in cui spiccano romeni e cittadini della ex-Iugoslavia), poi vengono il Sudamerica e, più staccata, l’Asia (in particolare India e Cina), mentre ora l’Africa è all’ultimo posto, con il 10% delle opere candidate al premio». Un’altra nuova tendenza sottolineata dalla Sangiorgi è la prevalenza di partecipanti donne (circa l’80%). (Nella foto la premiazione dell’edizione 2007: al centro Duska Kovacevic, croata, vincitrice con il romanzo Con la valigia piena di speranza. Qui a fianco, la locandina del concorso). I ritratti di tre fra i più noti autori stranieri che scrivono in italiano; da sinistra, Amara Lakhous, Laila Wadia, Kossi Komla-Ebri. estremamente sgradevole che mi disse di tornare al mio Paese a piantare patate perché io questa lingua non l’avrei mai parlata». NUOVI LINGUAGGI Altra casa editrice molto attenta e dinamica è la Cosmo Iannone di Isernia che, con una collana nata nel 2004, «Kumacreola», dà spazio alle parole dei migranti: in lingua bambara (etnia africana molto diffusa in Mali), kuma significa parola, una parola «creola», cioè «nuova e mista». Armando Gnisci, direttore della collana, è sostenitore della «creolizzazione», ossia della possibilità che nell’italiano «si operi una mutazione attraverso il nuovo apporto degli scrittori migranti, ossia si crei insieme una nuova cultura e una lingua meticcia». Gnisci fa notare come l’editoria italiana abbia sempre svolto un lavoro di normalizzazione rispetto alla lingua standard, provocando un appiattimento: «Noi invece lasciamo il testo nelle sue capacità creative. Vengono corretti solo gli accenti, la punteggiatura troppo straniante, gli errori di ortografia». E allora non c’è da stupirsi per l’originalità dei racconti raccolti in Terra mobile, del siriano Yousef Wakkas o per l’incantevole romanzo della scrittrice brasiliana Christiana de Caldas Brito, una delle più prolifiche autrici di racconti e testi teatrali, vincitrice nel 2003 del Premio «Il Paese delle donne». Con 500 temporali, «il primo romanzo brasiliano scritto in italiano - sostiene Gnisci -, Christiana gioca con le parole, ne crea di nuove, inserendosi in quel gruppo di scrittori immigrati di seconda generazione, scrittori “espressivisti” che spremono la lingua e ne fanno venir fuori una parola nuova». Altre due donne, Cristina Ali Farah e Gabriella Ghermandi, hanno invece il merito di aver inaugurato un nuovo filone: la letteratura post-coloniale italiana. La Ali Farah, con Madre piccola (Frassinelli), partendo dall’incontro di due cugine a Roma racconta la storia della diaspora somala, mentre la Ghermandi, con Regina di fiori e di perle (Donzelli), attraverso il racconto di un nonno alla nipotina e intrecciando tante storie come in una matrioska, affronta la storia dell’Etiopia e il problema dell’identità e della memoria coloniale. Sul tema del rapporto tra lingua di origine e lingua di adozione, la Ghermandi racconta: «Le lingue veicolano la cultura e allora l’italiano mi fa pensare alla Toscana, alle colline, al mare verde, ai filari di vite. Per me rappresenta l’ordine e un certo tipo di sensualità italiana. L’amarico invece è una lingua di montagna, spirituale, di riflessione, una lingua che evoca solitudine e chiacchiere a bassa voce. Ancora, il tigrino è la lingua delle donne della mia famiglia, sensuali, combattenti, molto forti, donne di cui tutti gli uomini hanno paura. E infine il dialetto bolognese, la lingua di mio padre, mi fa venire in mente un grande abbraccio». È interessante notare che, se la Ghermandi conferma l’influenza nella sua scrittura della tradizione orale etiope, Cristina Ali Farah, che pure ha una scrittura impregnata di oralità, introduce un intrigante elemento legato alla metropoli che produce parole «creole»: «Quando si parla di letteratura africana - spiega la scrittrice spesso si parla di oralità. Ma questo libro penso sia legato più alle metropoli e a come ho lavorato. Per scriverlo ho raccolto molte storie, registrandole. Quando trascrivevo le voci somale, dovevo travasare tra le mie due Secondo lingue; con le vo- Armando Gnisci, ci di persone «l’editoria dell’Ecuador, del- italiana la Romania, che appiattisce parlavano in ita- la lingua; liano, mi accor- noi invece gevo quanto que- lasciamo il ste stratificazioni testo nelle linguistiche delle sue capacità lingue madri sul- creative» l’italiano creassero parole nuove, modificando anche la sintassi. Per me è stato un laboratorio di scrittura molto fecondo». La letteratura migrante svela così il suo volto di avanguardia letteraria, che con spregiudicatezza usa e innova la lingua e con acume affronta tematiche scomode, ignorate da buona parte della letteratura italiana. Di fronte a una società che guarda ma non vede, che sente ma non ascolta, che parla ma non comunica, vengono in mente le parole di un nostro cantautore: «La città è un film straniero senza sottotitoli». Forse questi sottotitoli li stanno aggiungendo gli scrittori immigrati. NOVITÀ Un ponte (di carta) sul Mediterraneo A fine ottobre la casa editrice E/O ha fondato Sharq/Gharb (Est/Ovest, in arabo), la prima casa editrice italiana che pubblica in arabo. L’intento è quello di creare un ponte culturale, facendo conoscere la letteratura italiana contemporanea al mondo arabo e viceversa. Un punto nevralgico del lavoro è la traduzione: «Si utilizza il principio di traduzione diretta - spiega il direttore del progetto, lo scrittore algerino Amara Lakhous -, senza mediazione con altre lingue, e si cerca di avere un approccio senza forzature, in cui si mantengono i modi di dire, lo stile, le peculiarità, senza appiattire la traduzione. Insomma, non si arabizzerà l’italiano e non si italianizzerà l’arabo». Sugli scaffali delle nostre librerie c’è il primo libro, I giorni dell’abbandono, di Elena Ferrante, che risponde appieno alla filosofia editoriale di Sharq/Gharb: attenzione al romanzo sociale e spazio alle voci femminili.