Tutti i film per la scuola - Centro Studi Cinematografici
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Tutti i film per la scuola - Centro Studi Cinematografici
Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXVIII - nuova serie - Periodico bimestrale - Supplemento al n. 95-96 della rivista il Ragazzo Selvaggio CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA 95-96 SETTEMBRE-DICEMBRE 2012 Supplemento Tutti i film per la scuola SOMMARIO E D ITO R IALE 01 pagina Carlo Tagliabue pagina 13 E ora dove andiamo? 33 T U T T I I F I L M D E L L’A N N O P E R L A S C U O L A Tomboy 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 17 ragazze ACAB - All Cops Are Bastards / Almanya La mia famiglia va in Gemania L’amore che resta - Restless / Un amore di gioventù Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento / L’arte di vincere The Artist / Attack the Block - Invasione aliena Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno / La bella e la bestia, La carica dei 101, Cenerentola, In copertina: Il re leone Il cavaliere oscuro Carnage / Il castello nel cielo Il ritorno Il cavaliere oscuro - Il ritorno/ C’era una volta in Anatolia di Christopher Nolan Cesare deve morire / La chiave di Sara Usa 2012. Chronicle / I colori della passione Cosmopolis / Dark Shadows Detachment - Il distacco / Diaz Don’t Clean up this Blood E ora dove andiamo? / L’estate di Giacomo Eva / Il gatto con gli stivali La guerra è dichiarata / Happy Feet 2 Hugo Cabret / Hunger Hunger Games / Le Idi di Marzo L’incredibile storia di Winter il delfino / Io sono Li pagina 22 The Iron Lady / J. Edgar Madagascar 3 John Carter / La kryptonite Ricercati in Europa nella borsa The Lady - L’amore per la libertà / Leafie La storia di un amore pagina 6 La carica dei 101 pagina 16 Hugo Cabret pagina 11 Dark Shadows Lorax - Il guardiano della foresta / Madagascar 3 - Ricercati in Europa 23 Maledimiele / Melancholia 24 Midnight in Paris / Miracolo a Le Havre 25 Molto forte, incredibilmente vicino / Monsieur Lazhar 26 Paradiso amaro / Il primo uomo 27 Project X - Una festa che spacca / I Puffi 28 Qualcosa di straordinario / Quasi amici 29 Real Steel / Romanzo di una strage 30 Scialla! - Stai sereno… / Seafood Un pesce fuor d’acqua 31 Una separazione / Sister 32 Super 8 / Take Shelter 33 Tomboy / War Horse 22 AUTORI SCHEDE (f.b.) (p.c.) (m.c.) (l.c.) (c.d.) (d.d.g.) (v.d.r.) (a.f.) (m.g.) (m.gn.) (g.g.) (e.g.) (s.l.) Filippo Bascialli Patrizia Canova Massimo Causo Luisa Ceretto Carla Delmiglio Davide Di Giorgio Valeria De Rubeis Anna Fellegara Mariolina Gamba Marzia Gandolfi Giuseppe Gariazzo Elio Girlanda Silvana Lazzarino (m.l.) (a.l.) (m.m.) (m.mo.) (a.m.) Massimo Lechi Alessandro Leone Minua Manca Michele Moccia Alessandra Montesanto (g.p.) Grazia Paganelli (g.pe.) Giuseppe Perico (m.p.) Medina Podestà (s.s.) Silvia Savoldelli (f.v.) Flavio Vergerio (c.m.v.) Cecilia M. Voi (g.za.) Giancarlo Zappoli EDITORIALE A N N U A R I O 2 0 12 N onostante le difficoltà di ordine finanziario che continuano a persistere nei confronti di chi opera nella cultura, abbiamo voluto tener fede anche quest’anno all’impegno di pubblicare l’Annuario dei film che possono risultare interessanti per il mondo della scuola. Come si può vedere dalle scelte fatte dalla Redazione, a dispetto di ogni suo detrattore il cinema resta ancora il mezzo di comunicazione più adatto a cogliere le istanze che emergono dagli universi culturali più diversi, creando un ponte ideale, e sostanziale, tra le cinematografie mondiali. Se ci si sforzasse di analizzare in profondità i legami che connettono i film da noi segnalati, probabilmente si potrebbe cogliere una trasversalità unificante. Lasciamo questo compito ai nostri lettori che, volendolo, possono impegnarsi utilmente a individuare la sottile linea rossa che fa emergere alcune linee portanti presenti in molte opere cinematografiche di tutto il mondo. Per quanto ci riguarda, realizzando questo Annuario pensiamo di avere testimoniato ancora una volta la nostra vocazione a svolgere un servizio culturale di ampio respiro, soprattutto nei confronti di chi, nonostante le difficoltà del presente, continua a credere nell’intrinseca natura formativa del cinema. CARLO TAGLIABUE DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 17 ragazze 17 filles In una cittadina bretone quindici ragazze dello stesso liceo decidono di rimanere incinte dopo che Camille, leader carismatica del gruppo, annuncia la propria gravidanza, seguita dalla confessione di prossima maternità di un’altra coetanea, Florance che, esclusa inizialmente dalla ristretta cerchia di amiche di Camille, riesce così a ritagliarsi un posto. La gravidanza diventa presto nelle intenzioni delle ragazze un atto rivoluzionario e di ribellione agli adulti; le giovani sono convinte che sarà l’occasione per maturare e dare risposta all’educazione dei genitori, ritenuta ipocrita e fallace. Nonostante i tentativi della psicologa scolastica e del corpo docenti di affiancare le famiglie e di dissuadere le ragazze dai loro propositi, queste decidono di portare avanti le rispettive gravidanze, pensando di poter crescere insieme i diciassette bambini. r. e sc. Delphine, Muriel Coulin fo. JeanLouis Vialard mont. Guy Lecorne int. L. Grinberg, J. Darche, R. Duran, E. Garrel, Y. Pilartz, S. Rigot, N. Lvovsky, F. Thomassin, C. Brandt, F. Noaille, A. Verret or. Francia 2011 distr. Teodora dur. 90’ I l motore del racconto è la storia di Camille. La scelta di tenere il bambino provoca la madre, che la ragazza sente insufficiente, egoista e assente, fraintendendo i sacrifici di una donna senza marito, caricata di lavoro e responsabilità. Camille sfida il genitore proponendo un viaggio verso la libertà di scelta, supponendo di poterne gestire in autonomia tutte le tappe. Posizione rafforzata dal gruppo che le fa da megafono, generando un ideale ma- nifesto per una “futura comune di giovani mamme”. In questo modo le motivazioni personali di Camille si trasformano nel gioco della rivoluzione dei pancioni, in barba alle strutture sociali che predeterminano spazi e tempi delle esperienze. Il mare, la sabbia, il vento della costa diventano il luogo idilliaco di un paradiso tutto concettuale dove mancano per scelta gli uomini. La coralità che è in potenza nel film diventa però occasione mancata, perché inesplorata, soprattutto da metà in poi, quando le ecografie iniziano a provare la psiche di molte ragazze. L’idea del feto che diventa concreta nella macchia pulsante sul monitor pone più domande che certezze, trasformandosi in spauracchio nell’immediato futuro. L’ecografia porta dentro la realtà. Le espressioni delle piccole donne cambiano, le certezze traballano e solo a sprazzi sentiamo che dietro questa fragilità esistono delle famiglie. Camille perderà il bambino, le altre rimarranno con dubbi e timori, ma tutto questo rimane purtroppo fuori dallo schermo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p.19.(a.l.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 1 DAI 16 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 ACAB All Cops Are Bastards Cobra, Negro e Mazinga sono tre “celerini bastardi”: vivono uno dei lavori più ingrati. Per strada, agli stadi, nelle piazze, ripuliscono la società dagli ultras, dai clandestini, dai rom, dagli sfrattati, dai delinquenti e dalle prostitute. Immersi nella violenza, protagonisti di episodi di guerriglia urbana, hanno imparato a convivere con la diffidenza degli altri reparti di Polizia e con l’odio della gente. Oppongono violenza (legalizzata) a violenza nel culto dell’ordine e della legge, difendendosi con un forte senso di gruppo. Nel reparto cercano compenso da un privato deludente. Mariti abbandonati, padri cui vengono tolti i figli, solitudine, vivono per il lavoro. Una giovane recluta, Adriano (individualista e ribelle), porterà un vento nuovo. Mentre gli anziani troveranno l’unica ragione di esistere sulla strada, deciderà per sé un futuro meno “bastardo”, denunciando le azioni fuori dalla legalità dei compagni. S tefano Sollima, figlio d’arte,adatta liberamente il libro inchiesta di Carlo Bonini (Einaudi) e offre un notevole film di genere, un poliziesco che è uno spaccato di vita dei reparti di polizia impegnati nell’applicazione, anche violenta, dell’ordine e della legalità. Basato su una storia vera, ACAB è l’acronimo di “All Cops are Bastards” (Tutti i poliziotti sono bastardi), uno slogan creato dal movimento skinhead inglese degli anni Settanta, diventato poi ri- Almanya La mia famiglia va in Germania Almanya Willkommen in Deutschland 10 settembre 1964: la Repubblica Federale di Germania accoglie il milionesimo lavoratore immigrato. Oggi il piccolo Cenk Yilmaz si chiede se sia tedesco o turco. I compagni turchi non lo vogliono nella squadra di calcio perché lo ritengono tedesco, i tedeschi lo respingono in quanto turco. Per consolarlo, la cugina gli racconta la storia del nonno Hüseyin, giunto negli anni Sessanta in Germania come gastarbeiter (operaio-ospite). Una sera Hüseyin comunica di voler tornare nella terra d’origine insieme ai famigliari. Tutta la famiglia parte per la Turchia. Nel corso del viaggio, per alcuni prevalgono i ricordi di un passato che sembrava sepolto, per altri la nostalgia per la vita appena abbandonata. Fino al giorno in cui un evento inatteso muta il corso dell’ impresa. 2 r. Stefano Sollima sc. Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti mont. Patrizio Marone mus. Mokadelic int. P.F. Favino, F. Nigro, M. Giallini, A. Sartoretti, D. Diele, R. Spagnuolo, E. Mastandrea, E.J. Oberto or. Italia 2012 distr. 01 dur. 112’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Yasermin Samdereli so. e sc. Yasemin Samdereli, Nesrin Samdereli fo. The Chau Ngo mont. Andrea Mertens mus. Gerd Baumann int. V. Erincin, F.O. Yardim, L. Huser, D. Gül, A. Tezel, D. Moschitto, P. Schmidt-Schaller, R. Koussouris, A. Milberg or. Germania 2011 distr. Teodora dur. 101’ C ome è noto la nazione che in Europa ospita il maggior numero di turchi è proprio la Germania. I dati statistici ci dicono che su 82 milioni di abitanti i turchi costituiscono un’entità di circa un milione e settecentomila persone legalmente residenti. I problemi legati all’integrazione non sono sicuramente mancati. Di recente, grazie anche all’opera di Fatih Akin, il cinema tedesco ha prodotto film che costituiscono chiamo universale alla guerriglia nelle città, nelle strade, negli stadi. Il regista segue da vicino tre poliziotti di vecchia data e una recluta, colleghi e soprattutto “fratelli”, perché nel pericolo puoi contare solo su di loro. Cameratismo, disciplina, rispetto delle regole, non sempre in linea con la legge. Un racconto in soggettiva, reso possibile dall’assunzione del punto di vista del giovane coatto da inserire nella nuova realtà, che permette un inedito sguardo dall’interno del controverso “reparto mobile”, un mondo pervaso dalla violenza che diventa specchio di una società malata, governata dall’odio. Il ritmo forsennato, l’andamento cronachistico vagante tra pubblico e privato dolente dei nostri antieroi, dei perdenti la cui unica ragione di vita è diventata il lavoro, innescano una sorta di complicità negli spettatori... Ma non è, non vuole essere, solo un film di denuncia sociale. È una storia di uomini. Retorica totalmente assente, stile visivo asciutto. Il film non cela la violenza, ma non la esalta. Nessuna forma di giudizio né per la celere, né per gli “avversari”. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 92, p. 18. (c.d.) un ponte fra le due culture. Mancava però la commedia generazionale che grazie all’escamotage della narrazione al piccolo di famiglia, prende le mosse da come il nonno fosse giunto, emigrante dall’Anatolia, nella Germania del boom economico. Si sviluppa così una sorridente alternanza tra un passato di difficoltà e una progressiva crescita operosa. L’idillio prevale sui contrasti ma l’ironia non manca. Così come viene descritta con una molteplicità di sfaccettature la figura del nonno pronto a integrarsi al suo arrivo ma disinteressato ad acquisire la nazionalità tedesca caparbiamente voluta e ottenuta invece dalla moglie. Soprattutto nella parte finale il film (che invece regge bene il ritorno in Turchia con acute osservazioni sui pregiudizi) non riesce a sfuggire a un po’ di retorica al glucosio che finisce con il nuocergli più che portargli vantaggi. Questo però non inficia la resa complessiva di un’opera piacevole che consente anche ai non esperti di storia e società tedesche di divertirsi e (magari, perché no?) di fare anche produttivi paragoni con situazioni italiche passate e presenti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 25. (g.za.) DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 L’amore che resta Restless DAI 16 ANNI Nel corso di un funerale, dove si fingono parenti della persona defunta, gli adolescenti Enoch e Annabel si incontrano per la prima volta. Lentamente, i due cominciano a frequentarsi in un freddo autunno americano. Enoch, orfano, vive con la zia, è introverso e ha come amico del cuore il fantasma di Hiroshi, che fu pilota kamikaze durante la seconda guerra mondiale. Annabel abita con la madre alcolizzata e con la sorella maggiore troppo protettiva nei suoi confronti, ama la natura e Charles Darwin, ma la sua esistenza è minata dal cancro. Inizialmente nasconde il suo stato a Enoch. Nasce un amore totalizzante, da vivere fino all’ultimo respiro. Infine confida a Enoch di essere vicina alla morte e, in ospedale, conoscerà l’amico immaginario del fidanzato. Al funerale Enoch affronterà il dolore rievocando i momenti più belli del loro rapporto. r. Gus Van Sant sc. Jason Lew fo. Harris Savides mont. Elliot Graham mus. Danny Elfman int. Henry Hopper, Mia Wasikowska, Kase Ryo or. Usa 2011 distr. Warner Bros Pictures Italia dur. 95’ L a morte e personaggi adolescenti ricorrono con nitidezza nell’opera di Gus Van Sant. E sono in primo piano ne L’amore che resta, dove l’esplorazione dei sentimenti e il rapporto dei giovani protagonisti con la vita e la morte, la solitudine, l’amicizia e l’innamoramento, sono condotti senza orpelli, per sottrazione. Gli stessi titoli di testa sono linee che affiorano dalle immagini iniziali di paesaggio, di natura; sono tracce che indicano discrezione, parole scritte sottovoce, in sinto- Un amore di gioventù Un amour de jeunesse Il film racconta la storia d’amore tra Camille e Sullivan - 15 e 19 anni - nata in un’estate e cresciuta con intensità e passione: un coinvolgimento quasi esclusivo che poco intercetta altri personaggi. Alla fine dell’estate Sullivan decide di partire per il Sudamerica per fare nuove esperienze senza la ragazza. Camille vive con molto dolore il distacco: aspetta le lettere di Sullivan e quando queste si fanno rare fino a scomparire entra in una profonda depressione. Ne uscirà dopo qualche anno anche grazie alla passione per l’architettura e all’incontro in Università con un insegnante con cui inizia una relazione. Camille e Sullivan si rincontrano e in lei si ravviva la passione che non l’aveva di fatto mai lasciata: è pronta a rimettere in discussione l’equilibrio ritrovato per tornare con lui. Sullivan ancora una volta, pur sentendo il profondo legame che li lega, si allontana. r. e sc. Mia Hansen-LØve fo. Stéphane Fontaine mont. Marion Monnier mus. Vincent Vatoux, Olivier Goinard int. L. Créton, S. Urzendowsky, M.-H. Brekke, V. Bonneton, S. Renko, O. Fecht or. Francia/Germania 2012 distr. Teodora Spazio Cinema dur. 110’ Q uasi sempre i film su tematiche come l’affettività e la sessualità dei giovani “sfruttano” la forza e il coinvolgimento di tali storie senza far intravedere la volontà di capirne le dinamiche. Un amore di gioventù ha il coraggio di esplorare l’affascinante mondo delle emozioni legate all’innamorarsi, i picchi di “pazzia” a cui può portare l’amore, mettendo al centro la figura di Camille, privilegiando il lin- nia con un film costruito su una tensione, un malessere, una ribellione non rimandabile, che s’insinua ovunque e sempre in maniera sensibile, essenziale. L’amore che resta è un lavoro che immerge lo spettatore in un tempo e in uno spazio sospesi, nel tempo e nei luoghi dove vivono sospesi Enoch (l’esordiente e magnifico Henry Hopper, figlio di Dennis, alla cui memoria il film è dedicato) e Annabel (Mia Wasikowska, una delle migliori giovani attrici di questi anni). È un film di corpi e fantasmi, di silenzi e sguardi, di inquietudini sotterranee che emergono e di dolori indicibili. Un film sul tempo che manca. Lo sguardo di Van Sant coglie la flagranza di un sorriso, di un volto che si gira, descrive una relazione in maniera mai retorica o appesantita, anzi lieve nonostante, o proprio perché, destinata a essere vissuta “qui e ora” e presto interrotta. Ma non dalla memoria. Al funerale di Annabel le immagini si riavvolgono, fino a ritrovare gli sguardi del primo incontro fra lei e Enoch. Fino all’ultima inquadratura Gus Van Sant lega in straordinaria sovrimpressione vita e morte, e viceversa. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 30. (g.g.) guaggio degli sguardi e dei gesti anziché quello delle parole. Nel film c’è una forte attenzione ai luoghi, ai colori che esplicitano i vissuti interiori. Si alternano abitazioni di campagna, immerse in una situazione idilliaca, a elementi che richiamano sensazioni di dubbio e paura. La natura e le abitazioni del film fanno da cassa di risonanza ai vissuti dei personaggi anche quando ci si sposta in città. Camille, con il maestro-compagno architetto, cammina in una costruzione decadente che i due devono ristrutturare, come a simboleggiare un passato andato in pezzi da riprendere in mano e cercar di portare a nuova vita, così come sta tentando di fare Camille con la propria personalità. La giovane regista francese del film, alla sua terza opera, ha il coraggio di confrontarsi con un tema importante e coinvolgente. Parte da un vissuto personale dell’adolescenza dal quale - dice nelle interviste - è riuscita a prendere le distanze osservandolo in modo maturo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 32. (g.pe.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 3 DAGLI 8 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Arrietty Il mondo segreto sotto il pavimento Karigurashi no Arrietty DAI 16 ANNI In attesa di subire una delicata operazione al cuore, il giovane Sho si trasferisce in una villa immersa nel verde alla periferia di Tokio. Nella stessa casa, sotto il pavimento, vive Arrietty, una graziosa adolescente alta circa dieci centimetri che appartiene alla razza dei prendimprestito. La sua famiglia, composta dalla madre Homily e dal padre Pod, vive degli scarti degli umani, che vengono riutilizzati in modo creativo nella vita di tutti i giorni. Durante uno di questi recuperi, però, Sho scorge Arrietty e tra i due, dopo l’iniziale diffidenza, si instaura un profondo legame che va al di là della semplice amicizia, nonostante il divieto di farsi vedere dagli umani imposto ad Arrietty dai genitori. Quando la famiglia di Arrietty scoprirà che la loro presenza non è più un segreto deciderà di abbandonare la casa… 4 r. Hiromasa Yonebayashi so. da “Gli Sgraffignoli” (The Borrowers) di Mary Norton sc. Hayao Miyazaki fo. Atsushi Okui mont. Rie Matsubara mus. Cécile Corbel or. Giappone 2010 distr. Lucky Red dur. 94’ U na nuova eroina esce dal cappello Ghibli, l’ormai storico studio d’animazione nipponico: in questo caso è l’uomo a interpretare la parte del gigante cattivo mentre il mondo di Arrietty e degli gnomi ‘prendimprestito’ è sempre esistito. Non ci sono trasformazioni come nelle opere precedenti, ma solo l’avvicinamento di due realtà speculari con modi opposti di vivere uno stesso contesto. L’arte di vincere Moneyball Nel 2001, al termine del campionato, la dirigenza della squadra di baseball degli Athletics di Oakland in California decide di vendere i suoi tre giocatori più forti e costringe Billy Beane, General Manager della squadra, a sostituirli con un budget ridotto. Billy si reca a Cleveland in Ohio presso la sede degli Indians per trattare l’acquisto di un giocatore. Conosce Peter Brand e, interessato alle sue teorie circa la scelta dei giocatori da inserire in una squadra, lo assume. Peter convince Billy a selezionare e acquistare i giocatori secondo calcoli statistici. Con queste regole i due compongono la squadra per la nuova stagione; gli Athletics perdono le prime partite, ma poi venti vittorie li porteranno ai posti alti della classifica e a giocare per il titolo di campioni. Billy è contattato dalla società dei Red Sox per un contratto milionario: rifiuterà e resterà a Oakland. numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Bennett Miller sc. Steven Zaillian, Aaron Sorkin fo. Pascal Ridao mont. Christopher Tellefsen mus. Mychael Danna int. B. Pitt, J. Hill, P.S. Hoffman, R. Wright, C. Pratt, S. Bishop, B. Jennings, K. Medlock, T. Blanchard, J. McGee or. Usa 2011 distr. Warner Bros dur. 133’ L’ arte di vincere, tratto dal libro Moneyball. The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis, racconta una storia ambientata nel mondo dello sport, quella della squadra di baseball degli Athletics di Oakland (California) e del suo General Manager Billy Beane, interpretato da Brad Pitt. Bennett Miller realizza un film raccontato con semplicità e senza alcuna Anche Arrietty, infatti, affronta il tema della diversità e della comunicazione tra due mondi ma lo fa spostando l’incontro su un piano relazionale e mentale, sulle capacità di adattamento a un unico ambiente che viene vissuto prepotentemente o passivamente nel caso dei giganti umani mentre viene temuto e rispettato dagli gnomi. Il mondo dei primi è visto nell’ottica di un palpabile seppur celato consumismo in cui le linee d’arredamento vivono dell’opulenza di particolari artigianali ma anche artificiali, l’altro è decorato dalla natura e governato da remoti principi di rispetto e riciclo dove rimane isolata e inadatta la mentalità del guadagno. La famiglia in miniatura si procura il fabbisogno quotidiano “prendendolo in prestito” dagli umani che abitano sopra il pavimento. Insomma, Arrietty inventa - o probabilmente ricorda - un modo di vivere in cui il valore delle cose è strettamente connaturato all’uso che se ne fa e non al valore simbolico che quello stesso oggetto può arrivare a raggiungere nel mercato dei beni di consumo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, pp. 10 e 11. (v.d.r.) retorica, dedicandosi nella prima parte a tracciare il ritratto privato di Billy, come nelle brevi sequenze (uno squarcio sul passato) che lo descrivono come una giovane promessa del baseball professionistico, o in quelle che lo ritraggono nel suo rapporto intimo con la figlia adolescente. Queste sequenze sono alternate da Miller al racconto della sua attività di General Manager e alle dinamiche relazionali legate agli ambienti sportivi. In questo andirivieni Miller filma soprattutto luoghi chiusi: la casa e l’ufficio di Billy, la stanza dello stadio dalla quale egli assiste, attaccato al televisore, alle partite, lo spogliatoio, finanche l’abitacolo della sua auto, giungendo gradualmente nella seconda parte del film a liberare il suo protagonista dal senso di apprensione che lo accompagna all’inizio. Intense le sequenze con le immagini di repertorio che si mescolano ai frammenti di partite giocate sul campo, sono i momenti che raccontano l’ascesa vincente della sua squadra che, dopo le sconfitte iniziali, riuscì a collezionare una striscia positiva di venti vittorie. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91. p, 25. (m.mo.) DAI 12 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 The Artist Hollywoodland, 1927: George Valentin, star del muto, all’uscita da una trionfale anteprima di un film d’avventura alla Fantomas si fa fotografare con l’ammiratrice Peppy Miller. La foto, pubblicata in prima pagina su Variety, provoca la gelosia della moglie Doris. In seguito Peppy si presenta agli studi di produzione della Kinograph per un provino e ottiene una scrittura come ballerina di fila anche per l’intervento di Valentin che ne rimane affascinato. 1929: con la crisi economica arriva il sonoro e, mentre Peppy si afferma come diva di brillanti commedie “parlate”, Valentin fallisce sia come attore che come regista. Vende anche la propria collezione d’arte, riducendosi in miseria. Sprofondato in una crisi solipsistica, dopo aver tentato di bruciare tutti i suoi film, viene salvato ben due volte dal fido cagnolino e dall’abbraccio amoroso di Peppy. Alla fine la coppia si troverà accomunata in un musical in cui balla uno sfrenato numero di tip-tap. r. e sc. Michel Hazanavicius fo. Guillaume Schiffman mont. AnneSophie Bion, Michel Hazanavicius mus. Ludovic Bource int. J. Dujardin, B. Bejo, J. Goodman, J. Cromwell, P.A. Miller, M. Pyle, M. McDowell, Uggy or. Francia 2011 distr. Bim dur. 100’ H azanavicius è sicuramente un accanito cinefilo, ma forse non uno studioso di cinema. Se, infatti, The Artist è zeppo di citazioni e allusioni a opere e personaggi del cinema muto, il film non sembra costituire una riflessione sui codici linguistici e comunicativi di quella fase storica. Il regista si serve del cinema muto nei suoi aspetti più esteriori appiattendo il racconto per immagini a una narrazione lineare e conven- Attack the Block Invasione aliena Attack the Block Periferia di Londra. Una gang di ragazzi rapina un’infermiera mentre torna a casa. Subito dopo, però, un meteorite cade su un’auto parcheggiata lì vicino e libera una mostruosa creatura. Moses, il capo della gang, la affronta e la uccide. Convinti di aver catturato un alieno e che la scoperta potrebbe fruttare loro un po’ di soldi, i ragazzi affidano il corpo a Hi-Hatz, spacciatore del quartiere, l’unico in grado di tenerlo al sicuro. Ma nuove meteoriti arrivano dal cielo, scatenando nel quartiere un’autentica legione di alieni capaci di mimetizzarsi nel buio: sono feroci e agili e solo le zanne luminose permettono di identificarli. I ragazzi cercano di proteggere il loro palazzo, ma ben presto una serie di equivoci li porta a doversi difendere anche da Hi-Hatz (che li crede responsabili di quanto sta accadendo) e a cercare aiuto in casa di Sam, l’infermiera che hanno rapinato. r. e sc. Joe Cornish fo. Thomas Townend mont. Jonathan Amos mus. Steven Price, Felix Buxon, Simon Ratcliffe int. Jodie Whittaker, John Boyega, Alex Esmail, Leeon Jones, Franz Drameh, Simon Howard, Jumayn Hunter, Nick Frost or. Gran Bretagna/Francia 2011 distr. Filmauro dur. 88’ I n inglese il block è l’isolato suburbano, quello dove abbonda la microcriminalità e la gioventù si spende fra piccoli furti e rapporti con spacciatori che cercano di “crescere” le nuove generazioni educandole al culto della criminalità e del guadagno facile. Per i protagonisti, inoltre, il block è tutto il loro mondo. Il palazzo da difendere, secondo una logica tipica del zionale, nell’accentuazione divertita di facili stereotipi, in cui il montaggio assume per lo più una funzione cronologica, se non per segnalare i passaggi temporali. La natura linguistica “profonda” del cinema muto, mirante a scoprire i mille aspetti misteriosi della realtà, non viene affatto rivisitata. Sin troppo ovvio il riferimento a Rodolfo Valentino se il protagonista si chiama George Valentin. L’ottimo Dujardin mette tutta la sua energia nel copiare il largo sorriso e l’atletismo di Douglas Fairbanks, la sottile sensualità di John Gilbert, l’ambiguità dolorosa di Lon Chaney, l’ironia di William Powell. Dujardin è bravo a dichiarare la propria finzione recitativa, entrando e uscendo dal personaggio e dai suoi modelli, ma siamo alla pura strizzatina d’occhio cinefilica più che a una rivisitazione critica di quei modelli, un gioco divertito più che una presa di distanza e di reinvenzione. Quanto alla sceneggiatura The Artist rivisita (e appiattisce) uno dei grandi paradigmi del cinema melodrammatico: la problematica storia d’amore fra un vecchio attore e una giovane attrice, destinata a succedergli nel box office. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 8 e 9. (f.v.) racconto metropolitano, li identifica e li unisce, rendendoli parte di una realtà che essi vivono come se fosse staccata dal resto del mondo. A un livello più ampio l’avventura è quindi una metafora del loro rapporto con lo spazio, che viene attraversato in tutta la sua ampiezza come a simboleggiare una metaforica “rinascita”. In particolare il capobanda Moses è quello che deve compiere un piccolo percorso di formazione, fino a fare i conti con le proprie azioni e con gli errori che hanno involontariamente determinato l’intera invasione. In questo modo il personaggio allarga la prospettiva che lo aveva sempre portato a vivere unicamente il “blocco” come proprio spazio personale e capovolge alcuni dei presupposti su cui si basa la sua vita e la dinamica del quartiere. È come se l’invasione rimettesse le cose a posto: il gangster Hi-Hatz passa così da figura ammirata a personaggio negativo, mentre la povera infermiera Sam, da vittima delle scorrerie dei ragazzi diventa una loro alleata nella lotta contro i mostri. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 31. (d.d.g.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 5 DAI 10 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Le avventure di Tintin Il segreto dell’Unicorno The Adventures of Tintin: the Secret of the Unicorn DAI 6-8 ANNI Il giovane reporter Tintin acquista il modellino di un veliero, l’Unicorno, al mercato; ma un Russo, Sakharine, lo deruba dell’Unicorno, lo cattura e lo imbarca su una nave cargo che fa rotta per il Marocco. Sakharine ha corrotto l’equipaggio affinché si rivolti contro il comandante, lo smemorato Capitan Haddock. Alleatosi con Haddock, Tintin giunge per primo alla corte dello sceicco che possiede un altro modello dell’Unicorno. Il capitano ricorda: il suo antenato Sir Francis Haddock affondò il vero Unicorno in seguito all’abbordaggio da parte dell’avo di Sakharine; ma riuscì a salvare il tesoro di bordo nascondendo le coordinate del luogo in tre pergamene riposte nei modellini. Sakharine intende rubare il terzo codice! Tintin deve prevenire il furto per adempiere la profezia secondo la quale solo l’ultimo degli Haddock può scoprire il tesoro. r. Steven Spielberg sc. Steven Moffat, Edgar Wright, Joe Cornish mont. Michael Kahn mus. John Williams or. Usa/Nuova Zelanda/Belgio 2011 distr. Warner Bros. dur. 107’ C he cosa, dell’intrepido eroe dal ciuffo ribelle, ha affascinato fin da piccolo il futuro regista di Cincinnati? Sicuramente il gusto della sfida che arriva quasi per caso, le trovate astute, la battuta pronta. Tintin è il capostipite della nuova generazione di eroi a doppia vita, schivi e persino sfuggenti nel privato, leader indiscussi una volta gettati nella mischia. Tintin non si discosta molto da Indiana Jones, accademico discreto che si trova suo malgra- CLASSICI DISNEY La bella e la bestia La giovane Belle si offre prigioniera alla Bestia che vive nel suo castello in cambio della libertà del padre. Scoprirà che il mostro è in realtà un nobile principe vittima di una maledizione, e imparerà ad apprezzarne il valore. La carica dei 101 La malvagia Crudelia de Mon vuole realizzare una pelliccia di cani dalmata: quando non riesce a comprare i cuccioli di Peggy e Pongo, ordina ai suoi scagnozzi di rapirli. Cani e umani devono unire le forze per salvarli. Cenerentola Trattata come sguattera da matrigna e sorellastre, Cenerentola riesce, con l’aiuto di una fata, a partecipare al ballo del Re e conquista il principe. Quando l’incantesimo si spezza, fugge e perde una scarpa di cristallo che il principe usa per ritrovarla. Il re leone La nascita di Simba, figlio di re Mufasa è accolta con gioia nella savana. Il malvagio zio Scar, però, riesce ad assumere il potere, facendo ricadere su Simba la colpa della morte di Mufasa. Dopo anni di esilio Simba viene messo di fronte ai suoi doveri di erede al trono e torna per rovesciare il regno di Scar. 6 do a fare il cowboy, ma anche dall’eterno Peter Pan di Hook - Capitan Uncino, con cui condivide il piacere infantile della curiosità anche se porta guai. Le citazioni dei film precedenti si sprecano e la critica ha colto l’occasione per inneggiare al ritorno di Spielberg alla struttura della fiaba classica. Le tecniche perfezionate della motion capture in effetti sono qui interamente al servizio del racconto, nel quale è facile individuare ogni ruolo tipico: l’eroe, l’antagonista, gli aiutanti. Il tratto semplice e le coloriture piene di Hergé si perdono, così come i nomi originali francesi tutti anglicizzati, ma si ha in cambio la bella sorpresa di avere un effetto 3D degno di questo nome, con profondità di campo e risultati prospettici davvero magici. Il film costituisce l’occasione giusta per mostrare come l’animazione non sia un macro-genere, ma un’etichetta dove convivono molte anime diverse: in questo caso l’avventura, che finalmente riprende il volo dopo anni bui in cui era rappresentata solo da sparuti film di cappa e spada. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 33. (c.m.v.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 LA BELLA E LA BESTIA tit. or. Beauty and the Beast r. Gary Trousdale, Kirk Wise or. Usa 1991 distr. Disney dur. 87’ LA CARICA DEI 101 tit. or. One Hundred and One Dalmatians r. Clyde Geronimi, Hamilton Luske, Wolfgang Reitherman or. Usa 1961 distr. Disney dur. 76’ CENERENTOLA tit. or. Cinderella r. Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske or. Usa 1950 distr. Disney dur. 71’ IL RE LEONE tit. or. The Lion King r. Roger Allers, Rob Minkoff or. Usa 1994 distr. Disney dur. 85’ Q uattro classici Disney, riproposti nelle sale in edizione restaurata digitalmente e, nel caso de La bella e la bestia e Il re leone, anche in versione 3D, per testimoniare il lungo corso della casa americana. Nel descrivere un arco narrativo che va dal 1950 di Cenerentola agli anni Novanta dei sopracitati La bella e la bestia e Il re leone, il percorso crea una sintesi fra l’originale filiazione dalle fiabe e la porosità di storie che chiamano in causa anche riferimenti alti come Shakespeare (la figura di Scar/Re Claudio dell’Amleto), nonché le filosofie orientali: si veda ad esempio il tema del “cerchio della vita”, che rimanda anche al modello “nascosto” di Kimba il leone bianco. Sebbene l’impressione sia dunque quella di volere, sotto certi aspetti, “modificare” la storia disneyana, adattandola forzatamente alle esigenze del presente, in realtà l’operazione descrive una perfetta circolarità che riporta direttamente alla filosofia del fondatore Walt, sempre interessato a unire tradizione e progresso e dunque a ripresentare il passato come se fosse la proverbiale “prima volta”. Non a caso le storie reggono bene l’impatto delle nuove tecnologie, regalando un maggior senso di immersione nelle atmosfere delle varie vicende. I film sono in distribuzione unicamente in formato digitale (e non in pellicola), per le sale eventualmente attrezzate. (d.d.g.) DAI 10 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Carnage In un misurato appartamento di Brooklyn due coppie provano a risolvere uno smisurato accidente. Zachary e Ethan, i loro figli adolescenti, si sono confrontati incivilmente nel parco. Due incisivi rotti dopo, i rispettivi genitori si incontrano per appianare i conflitti adolescenziali e riconciliarne gli animi. Ricevuti con le migliori intenzioni dai coniugi Longstreet, genitori della parte lesa, i Cowan, legale col vizio del BlackBerry lui, broker finanziario debole di stomaco lei, corrispondono proponimenti e gentilezza. Almeno fino a quando la nausea della signora Cowan non viene rigettata sui preziosi libri d’arte della signora Longstreet, scrittrice di un solo libro, attivista politica di troppe cause e consorte imbarazzata di un grossista di maniglie e sciacquoni. L’imprevisto ‘dare di stomaco’ sbriglia le rispettive nature, sospendendo maschere e buone maniere, innescando un’esilarante carneficina dialettica. r. e sc. Roman Polanski fo. Pawel Edelman mont. Hervé de Luze mus. Alexandre Desplat, A. Iglesias int. Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly or. Germania/Francia/Polonia/Spagna 2011 distr. Medusa dur. 79’ T rasposizione della pièce di Yasmina Reza, Carnage è un film sulla ‘colpevolezza’ e sulla ‘ragione’ di una classe sociale che pratica la violenza piuttosto che rinnegarla. Artefice sublime della rappresentazione, pronto ancora una volta a far ristagnare l’inquietudine nello sguardo dello spettatore, il regista apolide firma una commedia da camera a quattro voci e quattro volti, una ‘carne- Il castello nel cielo Tenku no shiro Rapyuta La giovane Sheeta scivola dalla sua aeronave per sfuggire a un attacco di pirati del cielo. Durante la caduta viene avvolta da una luce intensa sprigionatasi dal suo ciondolo, che la fa galleggiare nell’aria e la fa atterrare dolcemente tra le braccia di Pazu, un suo coetaneo che vive da solo. I due fanno amicizia subito e, nella casa del ragazzo, Sheeta scopre una foto su cui è inciso un nome: Laputa, un leggendario castello volante che viaggia nel cielo nascosto dalle nuvole. Sheeta confessa quindi di avere un altro nome, quello di Lucita Ul Laputa, che indica la sua discendenza dal popolo di Laputa. Intanto nelle vicinanze del villaggio sono atterrati i pirati alla ricerca della bambina caduta dal cielo. Insieme a loro anche i soldati che la tenevano prigioniera. Peta decide quindi di aiutare l’amica a tornare nella sua città e così i due intraprendono una lunga avventura. r. e sc. Hayao Miyazaki fo. Hirokata Takahashi mont. Yoshihiro Kasahara, Hayao Miyazaki, Takeshi Seyama mus. Joe Hisaishi or. Giappone 1986 distr. Lucky Red dur. 124’ C on Il castello nel cielo, del 1986, Hayao Miyazaki ha costruito per la prima volta un’opera densa, completa, espressione della migliore avventura. Laputa è, infatti, una città-ziqqurat che cela un immenso quanto devastante potere: il segreto della ‘cristallizzazione’ della pietra Levistone, “il fuoco celeste che in passato ha già distrutto le Sodoma e Gomorra del Vecchio Testamento e che ha spazzato via Ramayana, Indora e Atlantide”. In queste parole trovia- ficina’ borghese che dice del malessere e scava nelle pulsioni, svelando i mostri che la ‘rispettabilità’ dell’aspetto e dei ruoli troppe volte nascondono. Come La morte e la fanciulla, Carnage si ‘svolge’ a teatro ma non è affatto teatro. Il teatro, luogo canonico della rappresentazione e tempio sacro della finzione, fissa piuttosto i bordi e la cornice dentro cui è incastonata una storia di ordinaria follia quotidiana, avviata in esterno e (mai) risolta in interno. Il cinema fa il resto, muove ispiratissimo un ‘massacro’ e i suoi quattro interpreti in cinquanta metri quadri di spazio, eludendo ogni rischio di staticità teatrale. Polanski insiste e rilancia, il mondo è decisamente un posto ostile, pieno di luoghi oscuri che ci prendono alle spalle costringendoci a rivelarci in tutta la nostra miseria. Coniugando i tratti più noti di una poetica che si nutre di paure irrazionali con alcune delle emergenze politiche contemporanee, l’autore ci rammenta che il male sorge come un veleno tra le pieghe del contratto sociale e dei luoghi comuni. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 89, pp. 4 e 5. (m.gn.) mo l’origine dell’antimilitarismo e della diffidenza verso la tecnologia che il regista giapponese ha affrontato e riproposto in ogni suo film. Il ‘fuoco celeste’ è ovviamente la metafora della bomba atomica, una tragedia indimenticabile per la memoria nipponica che si affaccia come un incubo ricorrente nelle favole del Maestro. Dentro Il castello nel cielo le morti sono reali, gli uomini vengono tramortiti e gettati via come fossero ‘spazzatura’. Eppure è proprio nel buio che si accende una luce diversa, quella delle pietre che hanno una voce sottile e della natura da cui l’uomo non si può allontanare. Nell’oscurità cresce il seme e il miracolo della vita che conduce al principio primo, l’en sof, l’albero sacro che tutto abbraccia e tutto cambia. Così l’ombra della corruzione e la bramosia del potere che connotano negativamente la tecnologia, piegandola ai propri illeciti scopi, vengono trasformate nella forza della speranza che può derivare solo dalla nobiltà di sentimenti quali l’amicizia e l’amore. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p.31. (v.d.r.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 7 DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Il cavaliere oscuro Il ritorno The Dark Knight Rises DAI 16 ANNI Otto anni dopo la morte di Harvey Dent, Procuratore Distrettuale deceduto e ceduto al lato oscuro, Gotham è una città mondata dal male. Almeno in superficie, perché sotto i suoi grattacieli cova una nuova criminalità organizzata da Bane, un mercenario spietato dietro una maschera antidolorifica. Mentre il commissario Gordon fa i conti con la coscienza e Bruce Wayne non trova un senso dopo la morte di Rachel e la ‘diserzione’ di Batman, Bane riduce in bancarotta la Wayne Enterprise e le sottrae un reattore nucleare convertendo il nucleo in un letale ordigno atomico. L’emergenza risveglia il carattere combattivo di Gordon e Wayne che si confrontano col passato e provano a risollevare le sorti della città. Istituita una dittatura proletaria e imposto un regime di terrore, Bane dovrà vedersela con un redivivo Batman, una ‘gatta’ ladra, un intraprendente agente e un commissario ritrovato. D entro una Gotham di grattacieli, banche, vetro e metallo, dentro una città che è New York senza esserlo, si risolve e conclude la trilogia di Christopher Nolan. Archiviando il fumetto originale e nutrendosi di immaginario cinematografico, il cavaliere oscuro ritorna e precipita nella grande crisi del Terzo Millennio, rievocazione della Depressione che lo vide debuttare nel maggio del 39 per mano di Bob Kane. Dopo il Batman gotico di Burton e dopo quello pop di Schumacher, che ne aveva C’era una volta in Anatolia Bir zamanlar Anadolu’da Siamo in Anatolia. Tre auto percorrono strade sterrate. All’interno dei veicoli: due uomini accusati di omicidio, un poliziotto, un procuratore e un medico. Uno dei presunti colpevoli deve condurre gli esponenti della legge sul luogo in cui si troverebbe il cadavere della vittima. Ma il criminale si ricorda poco e, quindi, la ricerca del corpo si trasforma in un lungo peregrinare tra le colline della steppa. Dopo una breve pausa per la cena, l’assassino piange e la memoria ritorna. Viene, infatti, ritrovato il cadavere che, con qualche difficoltà, deve essere trasferito in città per l’autopsia. Nello studio del medico legale, finalmente, termina il percorso: l’autopsia ha inizio. Uno schizzo di sangue cela un’ennesima verità negata mentre un’altra donna e un bambino aspettano il verdetto. 8 r. Christopher Nolan sc. Christopher Nolan, Jonathan Nolan fo. Wally Pfister mont. Lee Smith mus. Hans Zimmer int. C. Bale, G. Oldman, M. Caine, M. Freeman, A. Hathaway, T. Hardy,... or. Usa 2012 distr. Warner dur. 165’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Nuri Bilge Ceylan sc. Ercan Kesal, Ebru Ceylan, Nuri Bilge Ceylan fo. Gökhan Tiryaki mont. Bora Göksingöl int. M. Uzuner, Y. Erdogan, T. Birsel, A.M. Taylan, F. Tanis, E. Kesal, C. Demirci, E. Eraslan, N. Okutucu or. Turchia/ Bosnia-Erzegovina 2011 distr. Parthénos dur. 157’ I l titolo dell’ultimo e sesto film del regista turco Nuri Bilge Ceylan riporta al capolavoro di Sergio Leone (forse per un omaggio e un collegamento al tema della nostalgia per un Passato che non può tornare) oppure serve a collocare la storia in uno spazio-tempo propri della dimensione favolistica. Il silenzio che avvolge l’atmosfera, la regia e il sonoro, infatti, fanno di questo film un romanzo visuale che ha il sapore dell’epica. sancito il declino, servivano nuove condizioni perché l’eroe mascherato tornasse sullo schermo. Forse per questo il primo episodio della serie titola(va) Batman Begins, riazzerando il personaggio, come se al cinema non avesse mai avuto un passato, e avviando una continuità nuova e autoriale. Continuità che si risolve rilanciando attraverso il detective-orfano di Joseph Gordon-Levitt. Fresco guardiano dell’ordine civile, erede ideale di Batman/Wayne con cui condivide lutti e fantasmi infantili. In un décor urbano verosimile e declinato al presente (politico) agisce di nuovo il cavaliere oscuro di Bale, alle prese questa volta con un villain ‘robusto’ prossimo a Robespierre e pronto a ‘prendere’ Bastiglia e Borsa di New York. Se nel capitolo precedente (Il cavaliere oscuro) Joker teorizzava e seminava il caos, Bane lo eleva a sistema, spegnendo i lumi della ragione e riaccendendo lo spirito combattivo del suo antagonista, che risalirà la vertigine che produsse l’eroe e che adesso fa l’uomo. Un uomo da coniugare con una lady recuperata al dark, un borghese in ritiro nella luce orizzontale di Firenze. Ormai immune al passato e alla cupezza verticale di Gotham. (m.gn.) I caratteri simbolici ci sono tutti: ogni personaggio è una “maschera” culturale e sociale. Gli uomini sono cittadini di una società in frantumi e piena di contraddizioni ma sono anche i rappresentanti di un’umanità dolente che si interroga sul significato della vita e che ha paura di guardare in faccia la morte. È una società in fondo ancora patriarcale e arcaica, in cui gli uomini fanno fatica ad accettare il loro ruolo, magari un ruolo nuovo, soprattutto nel privato. Finché sono trincerati dietro a una divisa o a una professione si sentono forti e sicuri ma, smessi quei panni, diventano confusi e inadeguati. Le donne compaiono poco, ma la loro presenza è fondamentale. Quando il gruppo si ferma per rifocillarsi, la fioca luce di una candela illumina il bel volto della figlia del sindaco del villaggio: il suo viso è la Grazia, la pace possibile. Una donna, però, si è tolta la vita e il suicidio è un modo di far sentire in colpa chi resta. E proprio la colpa è uno dei temi principali del film come il tema dell’amore tradito, trascurato, sciupato. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 30. (a.m.) DAI 16 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Cesare deve morire Il film si apre sull’ultimo atto della rappresentazione del Giulio Cesare di Shakespeare, messa in scena nel teatro del carcere romano di Rebibbia dalla compagnia del Laboratorio Teatrale condotto tra quelle mura da Fabio Cavalli. Il pubblico torna a casa mentre gli attori/detenuti tornano nelle loro celle. Tutto ha avuto inizio sei mesi prima e il film ne ripercorre le fasi: assegnazione dei ruoli e prove. Gli attori provano nei luoghi della prigione, poi tornano in cella e si confrontano con le loro paure, le amarezze, i ricordi. Il loro vissuto personale interroga il dramma dei personaggi che stanno interpretando. Infine si va in scena, con successo, e poi si torna in quella cella che “da quando ho conosciuto l’arte, è diventata una prigione”. r. Paolo e Vittorio Taviani sc. P. e V. Taviani, F. Cavalli, ispirato a “Giulio Cesare” di W. Shakespeare fo. S. Zampagni mont. R. Perpignani mus. G. Taviani, C. Trivia int. C. Rega, S. Striano, G. Arcuri, A. Frasca, J. D. Bonetti, V. Parrella, R. Majorana, V. Gallo,... or. Italia 2012 distr. Sacher dur. 76’ “D a quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”: nella sua potenza didascalica, la battuta finale recitata dall’attore detenuto Cosimo Rega, prima di rientrare in cella, racchiude non tanto il senso del film, quanto il suo dissenso. È in questa disarmonia con la retorica dell’arte che libera lo spirito, giustamente cara al portato sociale degli operatori culturali, che il film dei Taviani dichiara la sua più profonda libertà, l’intento di lavorare non su figure retoriche La chiave di Sara Elle s’appelait Sarah Julia Jarmond, giornalista newyorkese, vive con il marito a Parigi e sta conducendo un’inchiesta sui tragici fatti del Velodromo d’Inverno, dove la polizia francese rinchiuse per giorni in condizioni disumane migliaia di ebrei in attesa di inviarli ai campi di sterminio nazisti. Lavorando alla ricostruzione degli avvenimenti, Julia si imbatte nella storia di Sara Starzynski, una bambina ebrea polacca che venne arrestata con i genitori. Il giorno in cui la polizia irruppe nella casa, la piccola rinchiuse il fratellino Michel in un armadio, portandosi via la chiave. Dopo più di sessant’anni le storie delle due donne si intrecciano e si collegano. Quando il marito chiede alla moglie di trasferirsi nell’appartamento dei suoi genitori, ella scopre che quell’alloggio era appartenuto alla famiglia Starzynski nel periodo del rastrellamento. r. Gilles Paquet-Brenner sc. Gilles Paquet-Brenner, S. Joncour fo. Pascal Ridao mont. Hervé Schineid mus. Max Richter int. K.S. Thomas, M. Mayance, N. Arestrup, F. Pierrot, M. Duchaussoy, D. Frot, G. Casadeus, A. Quinn, N. Mashkevich, A. Bajrakatai or. Francia 2010 distr. Lucky Red dur. 111’ T ratto dall’omonimo romanzo di Tatiana De Rosnay, il film intreccia le vicende di due donne tra Storia e memoria. Il regista Gilles Paquet-Brenner si volge al passato osservando con lucidità una realtà violenta e tragica. Emerge un sorprendente ritratto della Francia in mano ai tedeschi e in completa devozione a Hitler, mentre il resto della popolazione, la “zona grigia”, cer- che illudono se stesse nel gioco dell’arte, ma su persone che trovano nell’arte lo specchio in cui riflettere se stesse nella loro più complessa realtà. Cesare deve morire non esce mai di prigione, in senso reale e metaforico: le prove e lo spettacolo si svolgono a Rebibbia; la dinamica drammaturgica è tutta chiusa nel dramma personale dei detenuti/protagonisti. È sul loro personale confronto con il testo di Shakespeare che si costruisce l’intero lavoro. Non bisogna lasciarsi sviare dalla forma in presa diretta: solo apparentemente il film è resoconto di un’esperienza laboratoriale; al contrario, i Taviani hanno lavorato sullo spiazzamento strutturale, sullo slargamento delle dinamiche di messinscena, sull’elaborazione di una trasversalità tra i livelli rappresentativi posti in essere. Cesare deve morire si muove tra le linee d’ombra delle sbarre, rivelando la natura atavica di architetture del potere che innalzano muri, allungano corridoi nel buio delle coscienze, serrano nelle celle la solitudine delle scelte operate nel bene e nel male dagli individui di oggi come da quelli di ieri. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 92, pp.10 e 11. (m.c.) ca di sopravvivere, spesso (in)consapevole o connivente con il nemico. E la “banalità del male” trapela e (ri)compare anche nelle persone ignare o indifferenti. L’affermazione di Julia Jarmond “A volte una verità che appartiene al passato comporta un prezzo da pagare nel presente” racchiude il significato profondo del film: il dramma storico, il cuore della trama, si fonde con i dilemmi esistenziali della giornalista. Kristin Scott Thomas (Julia) e Mélusine Mayance (Sara) con una interpretazione intensa conducono lo spettatore nelle ombre di uno dei momenti più oscuri del Novecento, già esplorato da Roseline Bosch in La rafle e da Joseph Losey nel finale di Mr Klein. Un fil rouge lega qui le protagoniste che percorrono la strada della “sopravvivenza”. I due punti di vista scorrono su binari tematici e temporali paralleli, differenziati dalla fotografia: asciutta e fredda quella degli avvenimenti contemporanei, seppiata e più intimistica quella del passato. Il racconto, attraverso un continuo alternarsi di flashback e flashforward, risulta efficace, anche se nella seconda parte eccede nel sentimentalismo.Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n 91, p. 24. (m.m.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 9 DAI 16 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Chronicle Gli adolescenti Andrew, Matt e Steve conducono una vita normale tra scuola, amici e situazioni familiari spesso problematiche. Andrew vive con il padre, sempre ubriaco, e la madre, gravemente ammalata. È introverso e ha come compagna inseparabile una videocamera costantemente accesa per documentare ogni istante delle sue giornate. Matt, cugino di Andrew, è un ragazzo cinico e saputello. Steve è lo studente più popolare, l’atleta più bravo ed entra nella vita di Andrew aiutandolo a diventare più sicuro di sé. Una notte, in un bosco i tre amici trovano un buco e vengono in contatto con un’entità aliena. Quell’incontro dota i ragazzi di poteri speciali: possono muovere gli oggetti con il pensiero, scaraventare in aria automobili, volare… In un crescendo sempre più drammatico Steve e Andrew, abusando dei super poteri, periranno. Solo Matt si salverà iniziando una nuova vita in Tibet. Q uella di Chronicle è una fantascienza senza alieni, ambientata in una Terra per nulla devastata da cataclismi o attacchi di astronavi, dove i super poteri casualmente acquisiti non rendono i personaggi dei super eroi, anzi, dopo un’euforia iniziale, li pongono ancora più fragili di fronte alle quotidiane avversità. L’elemento che scatena il cambiamento nei tre adolescenti entra nelle inquadrature, si fa spazio in esse con un tono naturale, I colori della passione The Mill and the Cross In una delle sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna è conservato Salita al Calvario, l’olio su tavola più grande di Pieter Bruegel il Vecchio. Dipinto nel 1564, ritrae la parte centrale della passione di Cristo. L’idea del regista è quella di animare i numerosi personaggi presenti nel quadro e di far rivivere i momenti cruciali delle loro vite che portarono alla genesi della composizione così come noi ancora oggi la vediamo. La dominazione spagnola delle Fiandre, voluta da Filippo II, porta con sé l’ombra dell’Inquisizione che condanna e uccide nei modi più barbari uomini e donne, accusati di stregoneria e di eresia. Il Cristo, nell’interpretazione del regista, è paragonato a Martin Lutero: come rinnovatore della Chiesa e Maestro è messo a morte per il suo scomodo messaggio di libertà e fratellanza. Così lo descrive e lo ricorda sua madre Maria. 10 r. Josh Trank sc. Max Landis fo. Matthew Jensen mont. Elliot Greenberg mus. Andrea von Foerster int. Dane DeHaan, Alex Russell, Michael B. Jordan, Michael Kelly, Ashley Hinshaw or. Usa 2012, distr. Fox dur. 84’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Lech Majewski sc. Lech Majewski, Michael Francis Gibson fo. Lech Majewski, Adam Sikora mus. Jozef Skrzek scen. Stanislaw Porczyk int. Rutger Hauer, Charlotte Rampling, Michael York or. Svezia/Polonia 2011 distr. CG Home Video dur. 97’ I colori della passione, girato dall’artista polacco Lech Majewski, ripropone una lettura dettagliata dei simboli e dei personaggi che compaiono in Salita al Calvario di Bruegel il Vecchio (1525/1530 - 1569), così come li ha analizzati in un saggio il critico americano Michael F. Gibson. Majewski tenta di uscire dalla staticità del museo e di scorgere palpiti e vibrazioni dietro i volti e i corpi immobili delle figure. Una vera che non stravolge (se non verso la fine) lo stile di un’opera ben radicata nella definizione estetica che la caratterizza. Vale a dire l’adesione a quel “genere”, di moda e con recenti antenati di culto (come The Blair Witch Project), realizzato in soggettiva come fosse un falso documentario, un vero film amatoriale. La videocamera che Andrew utilizza, e dietro la quale si nasconde per buona parte del film, produce già un senso di vertigine, di malessere (si pensi alle scene di violenza fra Andrew e il padre o a quelle di tenerezza fra il ragazzo e la madre), di sbandamento che assorbe in buona parte la futura presenza delle capacità telecinetiche infiltratesi nella vita dei tre amici. La fantascienza e il ricorso alla soggettiva da film amatoriale servono al ventisettenne esordiente Josh Trank per realizzare (con lo sceneggiatore Max Landis, figlio di John Landis) una riflessione sul cinema (sulle potenzialità del cinema di filmarsi da sé, di auto-prodursi senza più la necessità di un occhio umano che osserva), sulle relazioni sociali e familiari, sugli ostacoli da affrontare per trovare la propria identità verso la vita adulta. (g.g.) e propria messa in scena attoriale, con il ricorso frequente al frame-stop per segnalare il confine tra passato e presente, tra storia e attualità; la colonna audio usa invece i rumori d’ambiente, come lo schioccare del meccanismo del mulino a vento, come promemoria di un’epoca in cui la vita campestre era segnata da precisi richiami sonori. Si sale poi a un livello più alto di interpretazione dell’opera, quella filosofica, il cui messaggio viene affidato alle parole di Bruegel. Il nucleo della riflessione pittorica è il Cristo che, pur occupando il punto di convergenza delle linee del quadro, è nascosto dalla sua stessa croce. L’ascesa al Calvario si svolge tra l’indifferenza generale, solo impercettibilmente scossa dal dolore di Maria e dallo sguardo attonito di Bruegel che si ritrasse qui in abiti bianchi. Lo sforzo di Majewski è da lodare, soprattutto per il coraggio che dimostra nello sfidare le leggi dell’intrattenimento e del ritmo, e in questa sede merita una segnalazione positiva per la sua speciale utilità didattica: se usato con saggezza questo è un prodotto di valore anche per i ragazzi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 28. (c.m.v.) DAI 14 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Cosmopolis Eric Packer, ventottenne ultramiliardario, è tuttavia deciso a farsi tagliare i capelli dal barbiere dove andava da bambino, nel vecchio quartiere dall’altra parte della città. Inizia così, contro tutte le raccomandazioni delle guardie del corpo, un lungo viaggio dentro la città a bordo di una limousine bianca, attrezzata con tutti i comfort, una sorta di ufficio mobile dove può incontrare i suoi collaboratori. Mentre l’auto procede con lentezza a causa del traffico, di un corteo, di una manifestazione violenta o del funerale di un rapper, Eric discute della sicurezza del suo sistema informatico con Shiner, degli investimenti con l’analista valutario Michael Chin, di opere d’arte con Didi Fancher, di filosofia con Vija Kinski, facendosi fare la visita medica quotidiana e imbattendosi quasi per caso nella moglie Elise. Nel frattempo, porta avanti con ostinazione una folle scommessa finanziaria contro lo yuan. r. e sc. David Cronenberg fo. Peter Suschitzky mont. Ronald Sanders mus. Howard Shore int. R. Pattinson, J. Binoche, S. Gadon, M. Amalric, J. Baruchel, K. Durand, K’naan, E. Hampshire, S. Morton, P. Giamatti or. Canada/Francia 2012 distr. 01 dur. 108’ S ono bastati solo sei giorni a David Cronenberg per scrivere la sceneggiatura di Cosmopolis, il film tratto dal romanzo omonimo di Don DeLillo, uscito nel 2003 e divenuto subito opera controversa e preveggente nel mettere in rilievo tutte insieme le contraddizioni della nuova economia globale. Dark Shadows Rampollo di una ricca famiglia di emigrati inglesi in Maine, Barnabas Collins vive sulle spalle dell’impero economico legato alla pesca, costruito dal padre dopo lo sbarco nel 1750 nella cittadina di Collinsport. Barnabas ha fama di playboy fino a quando s’innamora di Josette, spezzando il cuore di Angelique Bouchard, che lo aveva servito e adorato. Angelique, che in realtà è una strega, si vendica trasformandolo in vampiro e seppellendolo vivo. Risvegliato casualmente nel 1972, Barnabas scopre che il maniero è andato in rovina, come l’attività di famiglia, per colpa di Angie, trasformatasi in imprenditrice e per nulla invecchiata. Mentre l’intera cittadina vive alle sue dipendenze, i discendenti di Barnabas hanno perso lustro, pur occupando ancora la vecchia casa. Barnabas si imbatte in un presente che non gli appartiene, ma soprattutto nella perfida Angie, con cui ingaggerà uno scontro fino all’ultimo sangue, aiutato anche dai figli di Elizabeth. r. Tim Burton sc. Seth Grahame Smith fo. Bruno Delbonnel mont. Chris Lebenzon mus. Danny Elfman int. J. Depp, M. Pfeiffer, H.B. Carter, E. Green, J.E. Haley, J.L. Miller or. Usa 2012 distr. Warner dur. 140’ L a bizzarra serie televisiva creata da Dan Curtis sembrava giacere negli archivi della memoria in attesa di Tim Burton. I mostri di Dark Shadows pur avendo parenti antichi e leggendari – tra tutti Dracula e l’Uomo Lupo – scintillano del restyling “made in Tim Burton”, così barocco e kitsch, colorato e tetro al tempo stesso, come l’oltretomba de La sposa cadavere. Quella che fu la dimora di Barnabas adesso nasconde spazi che si accendono, squarciati dagli anni Sessanta e dalle mode hippies che marchieranno anche il de- Coerente è la scelta di concentrare l’azione di Cosmopolis all’interno di una limousine, perché questo spazio rappresenta il microcosmo claustrofobico in cui il protagonista trascorre quasi tutto il suo tempo, luogo ideale dell’astrazione assoluta dove tutto può accadere e dove i pensieri e i gesti vengono esaminati con cura maniacale e, alla fine, privati di ogni contatto con l’esterno. Il tempo si ferma in questo abitacolo allungato e arredato come fosse un ufficio e un salotto. La città è invasa da molte folle in questo giorno di aprile del 2000, se ne vedono le ombre dai finestrini, sagome talvolta senza voce e senza volto capaci di trasformare la normalità in iperbole. Eccitazione e rabbia, topi, danzatori sufi, pasticceri terroristi. Cronenberg spinge sul pedale dell’astrazione, appunto, e inquadra i dialoghi (tratti con assoluta fedeltà da DeLillo) in una sorta di fermo immagine ideale, costretti all’immobilità da quel cortocircuito in cui si è arenata la realtà, tra spinte controllate verso il futuro e questo presente drogato dalla finzione. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 10 e 11. (g.p.) cennio forse meno favoloso dei seventies. Burton ci sguazza e gode dei contrasti, di mostri adattati alla modernità, o nascosti sapendo di essere fuori tempo massimo, ormai consegnati a leggende e miti. È il 1972 della rivoluzione del corpo liberato. Barnabas scopre i figli dei fiori capelloni, la musica di Alice Cooper, che si esibisce in un Happening-party in villa con un “bestiario” che da solo vale il film; e scopre pure i cartoni animati di Scooby-Doo, definito una deprimente forma di teatro! La vena ironica di Burton fa la differenza come al solito. In questo contesto Barnabas è un oggetto estraneo (e tutto sommato fino alla fine non riesce a funzionare), costretto ad arrendersi per la seconda volta alla megera Angie, fino a quando non scopre la famiglia, non in quanto vessillo da sventolare, ma come ultimo baluardo ancora credibile da contrapporre al modello sociale che vede predominare l’individuo sul collettivo, nell’esaltazione del successo economico, dell’esercizio del potere, dell’arrogante imposizione del sé, nella convinzione che anche l’amore possa essere un oggetto da possedere a qualsiasi costo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggion. 94, p. 8 e 9. (a.l.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 11 DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Detachment Il distacco Detachment DAI 16 ANNI Henry Barthes è un uomo solitario la cui vita è segnata da un episodio drammatico risalente all’infanzia. Di professione fa l’insegnante di letteratura. In veste di supplente, dovrà occuparsi di una classe di una degradata scuola pubblica di periferia. Fin dal primo giorno di lavoro incontra colleghi disillusi e ragazzi che non nutrono nessuna speranza per il loro presente e futuro. Con stile poco accademico, Henry cerca di coinvolgere gli studenti e di appassionarli allo studio come alle relazioni dentro e fuori l’istituzione scolastica. Contemporaneamente, Henry incontra Erica, prostituta adolescente che accoglie nella sua abitazione. Fra gli studenti è con Meredith, ragazza sensibile appassionata di fotografia, denigrata dai compagni per la sua obesità e maltrattata dal padre, che Henry instaura un rapporto speciale. Ma Meredith non riuscirà a salvarsi dai propri disagi e si suiciderà. I n Italia il nome di Tony Kaye è associato al suo lungometraggio d’esordio American History X del 1998, dramma sul razzismo realizzato con stile non convenzionale. Dopo alcuni lavori inediti sul mercato italiano, tra i quali il documentario auto-finanziato Lake of Fire, sull’aborto negli Stati Uniti, il sessantenne cineasta londinese ha diretto un altro film di finzione fuori dagli schemi, coraggioso negli intenti, ma deludente nel risultato: Deta- Diaz Don’t Clean up this Blood 20 luglio 2001, alla redazione della Gazzetta di Bologna arriva la notizia della morte di Carlo Giuliani. Uno dei giornalisti, Luca, parte per Genova. Incrocerà Alma, anarchica tedesca; Marco, un organizzatore del Genoa Social Forum; Nick, manager che si interessa di economia solidale; Anselmo, vecchio militante della CGIL che ha preso parte ai cortei contro il G8. La sera si ritrovano nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Genoa Social Forum, adibito a dormitorio. Con il pretesto di dover scovare agitatori e armi, centinaia di poliziotti irrompono nell’edificio. Mentre Etienne e Cecile, due anarchici francesi protagonisti delle devastazioni di quei giorni, si rifugiano in un bar, il VII nucleo del I reparto mobile di Roma e gli agenti della Digos fanno un massacro tra gli ospiti inermi. Nella caserma di Bolzaneto l’incubo continua. 12 r. Tony Kaye sc. Carl Lund fo. Tony Kaye mont. Barry Alexander Brown, Geoffrey Richman, Michelle Botticelli mus. The Newton Brothers int. A. Brody, S. Gayle, C. Hendricks, J. Caan, L. Liu, T.B. Nelson, M.G. Harden or. Usa 2011 distr. Officine Ubu dur. 97’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Daniele Vicari sc. Daniele Vicari, Laura Paolucci fo. Gherardo Gossi mont. Benni Atria mus. Teho Teardo int. E. Germano, C. Santamaria, J. Ulrich, D. Jacopini, F. Rongione, R. Scarpa or. Italia/Francia/ Romania 2012 distr. Fandango dur. 120’ N ei film catastrofici una corale di personaggi interagisce verso l’appuntamento con l’evento drammatico, mettendo a nudo aspetti psicologici più o meno funzionali al racconto. In Diaz Vicari ingaggia attori di mestiere con il compito di portare lo spettatore al centro del massacro, sapendo di non poter contare su intrecci complicati, giusto il tempo di mettere a fuoco alcuni caratteri, che inevitabilmente finiscono per farsi testimonianza figurata di categorie specifiche di persone: Luca, il giornalista, Alma, l’anarchi- chment. Coraggioso perché affronta tematiche ben note alla storia del cinema come il degrado della scuola, la violenza dei rapporti familiari e la prostituzione giovanile - con uno sguardo personale debitore della sua esperienza di pittore e autore di numerosi video musicali. Deludente in quanto il ritratto di una società marginale, giovanile e non solo, è caricato di troppi segni simbolici, frammentato in una moltitudine di schegge da un montaggio a effetto come a effetto sono le scelte formali “provocatorie”. Ricorrendo anche a inserti d’animazione e a finte interviste, all’uso del colore e del bianconero, a citazioni esplicite come nel caso de La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe (con Henry che alla fine del film legge un brano di quel famoso racconto), Detachment è un viaggio cupo e al tempo stesso consolatorio dove gli interpreti giovani (Sami Gayle e l’esordiente Betty Kaye, figlia del regista, rispettivamente nel ruolo di Erica e Meredith) sono più convincenti di quelli adulti e famosi (da Adrien Brody nei panni del protagonista a un quasi irriconoscibile James Caan in cameo come collega di Henry). (g.g.) ca, Anselmo, l’anziano sindacalista, Etienne, un Black Block che si rifugia in un bar e non prende nemmeno una legnata. Le storie individuali si mescolano presto con la grande Storia del G8, in una convergenza esaltata dalla frammentazione temporale e la molteplicità dei punti di vista. La catastrofe del Titanic-Diaz è la cronaca di un conto alla rovescia verso l’esplosione nel momento in cui tutte le pedine sono al loro posto: i manifestanti rimasti dopo i cortei che si preparano alla notte di sonno prima delle ripartenze, le forze dell’ordine alterate da due giorni di scontri e caricate unicamente per distruggere. La Diaz affonda nelle tenebre. Il mostro si scatena: i manganelli arrivano a disintegrare computer, archivi, a spezzare ossa. È il preludio alle umiliazioni (e pare Salò): in infermeria Alma viene spogliata e derisa sotto gli occhi di uomini e donne in divisa. Le ecchimosi impressionano davvero, lei piange e il medico rotea il manganello come fosse un pene, greve e scurrile. La parziale verità dei Tg è il preludio alla legittimazione di un’incomprensibile violenza di stato. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 6 e 7. (a.l.) DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 E ora dove andiamo? Et maintenant on va où? Un gruppo di donne procede a passo cadenzato, battendosi una mano sul petto. Sono madri, figlie, sorelle e mogli di chi non c’è più. Si tratta, infatti, di uno strano corteo funebre. Una stradina polverosa, in mezzo al deserto, separa il cimitero in due parti: una parte per i loculi cristiani e l’altra per quelli musulmani. Siamo tra le montagne del Libano. A causa di un bombardamento il villaggio è rimasto isolato dal resto del Paese, ma gli abitanti mantengono una discreta armonia, nonostante le differenze religiose e culturali. L’isolamento e la pace vengono un giorno squarciati dall’arrivo di un televisore: agli uomini nel villaggio basta poco per essere condizionati dagli eventi e dalla violenza del mondo esterno. Per evitare questo le donne mettono in atto alcuni stratagemmi. Ma un ragazzo di fede cattolica verrà ucciso e saranno sempre e solo le donne a riaffermare il senso profondo della vita, a superare i pregiudizi. r. Nadine Labaki so. e sc. N. Labaki, J. Hojeily, R. El-Haddad, T. Bidegain fo. C. Offenstein mont. V. Lange mus. Khaled Mouzanar int. N. Labaki, C.B. Moussawbaa, L. Hakim, Y. Maalouf, A. El-Noufaily, P. Saghbini, A. Haidar, K. Abboud, M. Al Sakka, S. Kawzally or. Francia/Libano/ Italia/ Egitto 2011 distr. Eagle dur. 100’ N adine Labaki, al suo secondo lungometraggio, torna a parlare del Libano con uno sguardo dissacrante, profondo, tutto al femminile: uno sguardo attento, costruttivo e sensibile. La regia è spesso nervosa, la cinepresa si muove traballando per accompagnare i punti di vista dei personaggi che vivono in uno stato di precarietà economica ed emo- L’estate di Giacomo Un giorno d’estate nella campagna friulana. Il diciottenne Giacomo, sordomuto, e la sedicenne Stefania, sua amica d’infanzia, vanno a fare un picnic lungo il Tagliamento. Raggiungono l’ingresso di un bosco in bicicletta, poi proseguono a piedi, perdendosi in cerca del corso d’acqua, che sembra non apparire mai. Nel bosco come sulla riva del fiume, che a un certo punto si manifesta al loro sguardo, Giacomo e Stefania comunicano con gesti e brevi frasi come in un gioco di bambini. I loro corpi si sfiorano senza toccarsi, mentre affiorano situazioni apparentemente estranee a quella giornata di vacanza (una festa di paese, Giacomo che suona la batteria). Infine, i due amici lasciano il fiume e in bicicletta si allontanano lungo una strada. Nell’epilogo, Giacomo è di nuovo nello stesso luogo, questa volta in compagnia della fidanzata Barbara, anche lei sordomuta. r. Alessandro Comodin sc. Alessandro Comodin fo. Tristan Bordmann, Alessandro Comodin mont. João Nicolau, Alessandro Comodin int. G. Zulian, S. Comodin, B. Colombo or. Italia/Belgio/Francia 2011 distr. Tucker dur. 78’ L’ estate di Giacomo, opera prima di Alessandro Comodin, è un film anomalo nel panorama cinematografico italiano e si inserisce in quel “genere” tra finzione e documentario particolarmente fertile in questi anni. Il trentenne autore friulano, formatosi a Bruxelles dove si è laureato, ha posto lo sguardo su un ragazzo che conosce da quando era bambino e che ha seguito durante la sua metamorfosi, ovvero la decisio- tiva a causa dei continui scontri contro i labili confini del villaggio, delle case, dei luoghi di culto. Anche un televisore può trasformarsi da veicolo di conoscenza e di informazione in strumento per aizzare l’odio e la violenza: la lettura errata di un fatto di cronaca può esasperare la situazione in un contesto complicato come quello del Medioriente. La bella Amale e le sue amiche - donne di tutte le età e di fedi differenti - chiedono la complicità di altre donne provenienti dall’Europa dell’est per spostare l’attenzione degli uomini bellicosi dalla guerra alle gioie della passione, organizzano un sontuoso banchetto a base di leccornie e di hashisc e inscenano falsi miracoli. Ma tutto questo non basterà a evitare la tragedia. E ora dove andiamo? Se la preghiera diventa pretesto di morte? Amale, Takla, Ivonne, Afaf e Saydeh sono simboli di una rivoluzione culturale, quella che vuole e che tenta di riaffermare la fratellanza e il rispetto per l’“Altro”, nonostante un contesto patriarcale e maschilista, l’esistenza di ideologie e integralismi, la superficialità e immaturità di molti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 14 e 15. (a.m.) ne di ricorrere a un’operazione chirurgica per sentire per la prima volta in vita sua. Dell’antefatto, e delle esperienze vissute dalla persona/personaggio al centro de L’estate di Giacomo, non c’è traccia nel film. Di Giacomo e Stefania, e nella scena finale anche di Barbara, non si sa nulla tranne quel che (non) accade loro nel corso di quei brevi momenti estivi e tranne minimi dettagli, inseriti come fossero degli intervalli, che volutamente non aiutano a conoscere altro della vita di quegli adolescenti, consegnata al fuori campo e, al massimo, a intuizioni e supposizioni. Comodin, con la complicità di tre giovani interpreti che portano nel testo la freschezza e i turbamenti dell’adolescenza e nell’apparente semplicità narrativa e visiva, costruisce un’opera dal dispositivo anche troppo dichiarato, composta di una serie di tappe unite da un montaggio che azzera le distanze temporali. In tal modo i fatti potrebbero succedersi con una scansione differente. L’importante è il percorso sensoriale compiuto e vissuto da adolescenti che, come ne L’intervallo di Leonardo Di Costanzo, si avventurano in un tempo sospeso dove la realtà ha i toni della fiaba. (g.g.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 13 DAI 12 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Eva Spagna 2040: Alex Grel, rinomato ingegnere cibernetico, torna a Santa Irene per portare a termine una missione particolare per la Facoltà di Robotica: creare un robot bambino (dotato di cuore e anima). Nei dieci anni in cui è stato lontano, il fratello David e Lana (la donna da lui amata e abbandonata) hanno continuato le loro vite e ora sono sentimentalmente legati. Il destino vuole che la routine di Alex venga movimentata da Eva, la figlia di Lana e David, una bambina speciale, curiosa e particolarmente estroversa. Quando entra nel laboratorio dello zio, si mostra molto interessata ai suoi esperimenti… Del resto, fin dal primo incontro tra Eva e Alex nasce un legame speciale. Insieme affronteranno un viaggio che li condurrà a una rivelazione finale. I l sogno di creare un robot che rispecchi in tutto e per tutto un essere umano - sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista psicologico - e i rischi connessi a questa operazione futuristica sono al centro della riflessione di Kike Maillo alla sua prima regia di un lungometraggio, così come i rapporti umani e la variegata complessità dei sentimenti che abitano l’animo umano. Il gatto con gli stivali Puss in Boots Ricercato come un fuorilegge, il Gatto con gli stivali giunge nella natia San Fernando per sottrarre i fagioli magici a Jack e Jill, una coppia di ladri. In questa occasione conosce Kitty Zampe di Velluto, una gatta ladra che sta perseguendo il suo stesso scopo. Ben presto, però, Gatto scopre che Kitty agisce per conto di Humpty Alexander Dumpty, suo vecchio amico d’infanzia, che anni prima lo aveva tradito costringendolo a diventare un fuorilegge. Gatto non vorrebbe più avere a che fare con lui, ma viene convinto a unirsi alla banda per completare il progetto di una vita: impossessarsi dei fagioli magici e, con essi, far crescere una pianta capace di portarli oltre le nuvole, nel castello dove vive l’oca dalle uova d’oro, fonte di eterna ricchezza. Il piano riesce, ma ben presto la madre dell’oca abbandona il castello per ritrovare la figlia, seminando il terrore a San Fernando. 14 r. Kike Maillo sc. Sergi Belbel, Aintza Serra, Cristina Clemente, Marti Roca fo. Arnau Valls Colomer mont. Elena Ruiz int. Daniel Brühl, Lluís Homar, Alberto Ammann, Marta Etura, Claudia Vega or. Spagna 2011 distr. Videa - CDE dur. 94’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Chris Miller s. Brian Lynch, Will Davies, Tom Wheeler (personaggio di Charles Perrault) sc. Tom Wheeler mont. Eric Dapkewicz mus. Henry Jackman or. Usa 2011 distr. Uip dur. 90’ E saurita la freschezza della saga di Shrek, la Dreamworks Animation si affida stavolta a uno dei più celebrati comprimari dell’orco verde, il Gatto con gli stivali, qui promosso a protagonista assoluto. Anche il tono è lievemente difforme dai modelli, perché articolato non più sul gioco dei riferimenti politicamente scorretti, ma sulle dinamiche dell’avventura di cappa e spada, arricchita Eva infatti è una science fiction - prodotto affermato degli Studios e dei laboratori digitali americani - trasferito in questo caso in ambito europeo, che riesce a coniugare con efficacia la tecnologia allo spessore drammatico. Alex è sicuro della bontà della sua missione, ma ben presto la sfida da scientifica si trasforma in umana, a cominciare dal sentimento forte che prova per la nipote, e per la complessità delle emozioni che si trova a dover gestire e “trasferire” nel prototipo di “robot bambino” per farlo assomigliare a lei. La piccola Eva diviene nel film la proiezione della volontà dell’uomo di riuscire a superare le proprie manchevolezze raggiungendo la perfezione. Nel complesso un bel film, all’apparenza semplice, ma in realtà carico di significato, soprattutto se consideriamo il progresso tecnologico che stiamo attraversando e la velocità con la quale siamo destinati a realizzare realtà virtuali, dimenticandoci spesso la nostra natura umana ed emozionale. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 48. (f.b.) dal più complesso e accattivante gioco di opposti che la figura del Gatto naturalmente suscita: il suo fare adorabile e sornione, ma anche opportunista e ruffiano, è infatti capace di renderlo un eroe e un brigante allo stesso tempo. In effetti, sin dai tempi della saga madre, le storie continuano a vorticare attorno al concetto di identità, giocando con gli opposti e con la percezione che ogni spettatore ha degli elementi messi in scena. Se dunque la trovata bizzarra del Gatto che indossa gli stivali - mutuata dalla fiaba di Perrault - già offre materiale in abbondanza per la dinamica cara agli autori, il tutto viene ispessito dal rapporto fra il tono generale del film e le sue singole parti, che richiamano differenti fiabe. La ricerca di un punto di equilibro fra elementi tanto difformi trova un corrispettivo nella definizione del personaggio del Gatto, che per dare fondo alla sua leggenda deve compiere un autentico percorso di formazione, confrontandosi con i luoghi della sua infanzia e con i traumi rimossi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 4. (d.d.g.) DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 La guerra è dichiarata La guerre est déclarée DAI 6 ANNI Roméo e Juliette, giovani parigini, si conoscono a una festa, scherzano sui loro nomi shakespeariani e si innamorano fulmineamente. Dal loro amore nasce Adam. I primi tempi sono felici e spensierati. Ma il piccolo rivela presto delle difficoltà: non dorme, piange in continuazione, non trattiene ciò che inghiotte. Preoccupati i genitori ottengono un appuntamento a Marsiglia da un noto pediatra. Una Tac mirata rivela una grave forma di tumore al cervello. “Operabile” assicura il medico. Da quel momento i due giovani, privi di esperienza, si troveranno a dover affrontare una difficilissima prova: una dura lotta contro la malattia, che tra speranze, delusioni, preoccupazioni, sogni, ospedali, esami, nuovi protocolli clinici proseguirà per alcuni anni fino al fortunato esito positivo. Sono sostenuti dai genitori, da amici fedeli, dal desiderio di reagire e di vivere, ma soprattutto dal loro amore. r. Valérie Donzelli s. V. Donzelli, J. Elkaïm fo. S. Bauchmann mont. P. Gaillard mus. A. Rigaut int. V. Donzelli, J. Elkaïm, G. Elkaïm, B. Sy, E. Lowensohon, M. Moretti, P. Laudenbach, B. de Stael, A. Le Ny,... or. Francia 2011 distr. Sacher dur. 100’ V alérie Donzelli, al suo secondo lungometraggio, ha messo in scena i cinque anni più brutti della sua vita in un originale esemplare di cinema autobiografico, che sa fondere forme e generi disparati. Non un dramma, né un melodramma, al contrario un film ricco di azione con tutti gli ingredienti della commedia. Il piccolo Adam è nella realtà Gabriel, il figlio che la regista, qui anche interprete, ha avuto dal suo ex compagno Jérémie Elkaïm, cosceneggiatore e interprete del ruolo di Roméo. Happy Feet 2 Mambo, il ribelle danzerino del primo episodio, ha conquistato il cuore di Gloria; dal loro amore è nato un figlio, Erik che nonostante le amorevoli cure del padre, proprio non riesce a danzare, si sente goffo e ridicolo. Fugge lontano nella terra di Adelia. Qui incontra il prode Sven, un pinguino che sa volare e che lo affascina. Raggiunto da Mambo, si convince a seguirlo per tornare a casa. Il mondo intanto sta cambiando, lo scioglimento dei ghiacci minaccia l’habitat dei pinguini imperatore. Un iceberg ha intrappolato la grande famiglia degli imperatore, dove Gloria è rimasta, in un buco profondo sorvolato dai rapaci. Sarà proprio Mambo a riunire le tribù per la salvezza di tutti: danzando, faranno crollare i ghiacci e creeranno una strada da percorrere per uscire dall’isolamento. E Mambo sarà di nuovo un padre che ha riconquistato l’affetto e la stima del figlio. r. George Miller sc. W. Coleman, G. Miller, G. Eck, P. Livingston mus. John Powell or. Usa/Australia 2011 distr. Warner dur. 100’ I l regista australiano George Miller si cimenta nuovamente in un’avventura in musica nei grandi paesaggi dell’Antartide. E ripete lo schema narrativo, il gioco delle emozioni e dei caratteri. Se Mambo era un diverso che non sapeva cantare in una tribù di canterini, altrettanto il figlio Erik non sa danzare e sogna una grande voce e due ali: vorrebbe volare come gli altri uccelli. Anche per lui la via della fuga è inevitabile. Il film mostra non la malattia in sé, ma la guerra contro di essa dal punto di vista dei combattenti. Con coraggio e determinazione i due genitori lottano per salvare il loro piccolo, ma anche se stessi, la loro normalità di vita, la loro gioia, la propria energia. Non ci stupiscono allora le scene intercalate che li vedono partecipare a feste chiassose con gli amici, a corse in motorino, a passeggiate nel parco, a gite per contemplare la bellezza del mare. Scene che intervengono con effetto catartico quando la tensione emotiva potrebbe prendere il sopravvento. Positivo è far partecipare lo spettatore a ogni reazione psicologica dei due interpreti senza cadere mai nel pietismo o nel sentimentalismo. La regista usa una sorprendente libertà di linguaggio e si avvale di molti mezzi cari alla nouvelle vague da Truffaut a Chabrol: ralenti, atmosfera sfumata, uso della voce fuori campo. Scelte espressive efficaci se lo spettatore si sente, nonostante il tema, sollevato e sereno e porta con sé l’ultima immagine: Adam con i genitori ripresi di spalle di fronte all’immensità del mare. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 25 (a.f.) Valore del diverso, ribellione verso la legge codificata del gruppo, disubbidienza e migrazione per affermare la propria individualità. Inoltre nel film si può leggere il tema dell’ “uccisione del padre” che sfocia nella ricerca di un padre d’elezione. Da cui partirà il lento processo di riavvicinamento tra padre e figlio e la maturazione di entrambi. L’altro tema forte è l’ecologismo e il valore dell’unità dei viventi, nonostante le differenze. Accettando ognuno la propria diversità, ma uniti agli altri, potremo, ciascuno col proprio talento, cambiare il mondo. Un film tecnicamente eccellente. Coreografie di migliaia di personaggi, musiche e stili classici, opera, ballate, rap. L’Antartide restituita nella sua bellezza incontaminata. In questo ambiente agiscono animali umanizzati nelle movenze e nei caratteri. E tuttavia l’avventura latita, mentre la sceneggiatura diluisce la vicenda con siparietti gigioneschi, infila numeri di canto e danza, scene madri. Difficile identificarsi. Bei paesaggi, danza, canti e tanti buoni sentimenti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 34. (c.d.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 15 DAI 16 ANNI DAI 10 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 16 Hugo Cabret Parigi, 1931. Il piccolo orfano Hugo vive nella torre dell’orologio della stazione di Montparnasse, braccato da un ispettore ferroviario. Muore lo zio e il ragazzo si mette a rubare per sopravvivere. Del padre gli è rimasto un automa-giocattolo che scrive. Tra Hugo e il giocattolo da riparare, a cui manca una chiave a forma di cuore perché si riattivi, si sviluppa un rapporto speciale, misterioso, che sembra metterlo in contatto con l’anima paterna. Rubando i pezzi di cui ha bisogno da un chiosco dei giocattoli all’interno della stazione, Hugo conosce l’eccentrica ragazzina Isabelle e il suo padrino, l’illusionista e celebre cineasta George Méliès, proprietario del chiosco, creduto morto durante la guerra. Sarà Isabelle, tra libri e vecchi film di trucchi, a condurlo in un’affascinante avventura che lo aiuterà a far rivivere l’automa, rianimando anche l’intero popolo della stazione. r. Martin Scorsese sc. John Logan fo. Robert Richardson mont. Thelma Schoonmaker mus. Howard Shore int. Ben Kingsley, Asa Butterfield, Chloë Grace Moretz, Sacha Baron Cohen, Ray Winstone, Emily Mortimer, Jude Law or. Usa 2011 distr. 01 dur. 125’ D al graphic novel La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, con il suo primo 3D Scorsese “restaura” l’idea primigenia di “cinematografo”, tra stupore infantile e meccanica narrativa che s’intreccia con la necessità di narrare noi stessi. Conferma Vin- Hunger Irlanda del Nord, 1981. Nel carcere di Long Kesh, vicino a Belfast, i detenuti repubblicani stanno effettuando due proteste radicali, chiamate “delle coperte” e “dello sporco”, per rivendicare la condizione di prigionieri politici, loro negata. L’agente penitenziario Raymond Lohan svolge in maniera ripetitiva le sue mansioni di repressione, isolandosi nei momenti di pausa. Il giovane dissidente Davey Gillen viene internato nella sudicia cella dove si trova da tempo Gerry Campbell. Bobby Sands, leader del movimento, di fronte alla brutalità delle autorità, decide di iniziare un nuovo sciopero della fame. Nel corso di un lungo dialogo con il reverendo Moran, Sands spiega le ragioni per le quali è disposto a morire pur di lottare per i propri diritti e per quelli dei suoi compagni. Nulla fermerà il gesto di Bobby Sands, che morirà il 5 maggio 1981 a 27 anni dopo 66 giorni di rifiuto del cibo. numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Steve McQueen sc. E. Walsh, S. McQueen fo. S. Bobbitt mont. J. Walker mus. D. Holmes con L. Abrahams int. M. Fassbender, S. Graham, B. Milligan, L. McMahon, L. Cunningham or. Gran Bretagna/Irlanda 2008 distr. Bim dur. 96’ C on Hunger, l’artista visivo afro-londinese Steve McQueen ha avviato, nel 2008, una personale riflessione sul corpo, le sue mutazioni, e su alcune declinazioni dello stato di “prigionia”, fisica e mentale. Hunger è il primo capitolo di una trilogia continuata con Shame e interpretata sempre dallo stesso, immenso, attore, Michael Fassbender. Ed è un film politico fuori dagli schemi. McQueen costruisce un’opera intrisa di fisicità e densità cromatiche vicine alla pittura. Il discorso politico è contenuto cenzo Cerami: “Il film va goduto con l’ingenuità di chi è ancora capace di cogliere, nel cinema, il suo aspetto “miracoloso”, le sue originarie meraviglie. Di qui la nostalgia di Scorsese. Che è, più in generale, nostalgia del candore e dell’innocenza. Sulla carta non è un film per bambini, perché i bambini, per loro fortuna, ancora non conoscono il sentimento della nostalgia. È un film per chi deve al cinema gran parte del suo immaginario”. Se il cinema aiuta a “ripararci” quando siamo “rotti”, l’uomo meccanico è simbolo del cinema che funziona come sogno. La paura di non trovare la porta, la chiave per diventare ciò che siamo, è il dubbio degli artisti come dei bambini, che Scorsese rivive con Méliès, il “giocattolaio” del cinema, rievocato in declino e nei trucchi. È un film per “cinebambini”, gli spettatori della “prima volta” che, come davanti al treno dei Lumière, urlano di sorpresa. Scorsese vede il 3D in continuità tra analogico e digitale come tra libro (illustrato) e schermo, quando le immagini sembrano più vive. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 18-19. (e.g.) nei gesti dei corpi, nelle tonalità del nero, del grigio, del marrone, nella violenza dei rumori, negli strati sonori delle voci dei prigionieri, dei secondini, dei familiari in visita, del sacerdote protagonista di un dialogo memorabile con Sands. Un dialogo che si pone come “intermezzo” fra le altre due “parti” che compongono il testo. C’è una “prima parte” inscritta nella descrizione, quasi documentaria, della quotidianità nel blocco riservato ai rivoluzionari e vista attraverso gli occhi sia dei carcerati sia degli aguzzini. E c’è una “seconda parte” nella quale lo sguardo del regista si sofferma sulle tappe che conducono alla morte di Sands, da quando decide di riprendere lo sciopero della fame (con Fassbender autore di una performance audace, di un dimagrimento al limite del sostenibile per aderire al suo personaggio). Lo stile di McQueen non cede a divagazioni, concentrandosi, come il personaggio che descrive, sul raggiungimento, senza via di fuga e di ritorno, della meta e congedandosi con una chiusura a nero dopo avere accompagnato fuori campo il cadavere di Sands. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 20. (g.g.) DAI 16 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Hunger Games The Hunger Games Katniss vive con la madre e la sorella più piccola Primrose nel Distretto 12, uno dei più poveri dello stato di Panem. Il padre è morto in seguito all’esplosione della miniera dove lavorava. Gli unici momenti di svago per Katniss sono tirare con l’arco e incontrare Gale, di cui è innamorata. Ma una nuova edizione degli Hunger Games sta per iniziare. Ogni anno, per intimidire la popolazione scoraggiandola a ribellarsi, lo stato obbliga ognuno dei distretti a mandare un ragazzo e una ragazza fra i 12 e i 18 anni a competere nella ricca Capitol City ai “giochi della fame”, un crudele spettacolo ripreso e trasmesso in diretta. Solo uno sopravviverà. Katniss vi partecipa per salvare la sorella. In un’arena somigliante a una foresta i concorrenti devono eliminarsi a vicenda. Per la prima volta, però, lo stato sarà costretto a salvare due giocatori, grazie a uno stratagemma adottato da Katniss. r. Gary Ross sc. G. Ross, S. Collins, B. Ray, dal rom. omon. di S. Collins fo. Tom Stern mont. S. Mirrione, J. Welfling mus. T-Bone Burnett, J.N. Howard int. J. Lawrence, J. Hutcherson, L. Hemsworth, W. Harrelson, E. Banks, L. Kravitz, S. Tucci, D. Sutherland or. Usa 2012 distr. Warner Bros dur. 142’ C ome per Harry Potter e Twilight c’è una fortunata saga letteraria della scrittrice americana Suzanne Collins a ispirare Hunger Games di Gary Ross, primo film di una trilogia con protagonista la sedicenne Katniss Everdeen, eroina armata di arco e frecce. Al cinema, Katniss ha il volto e il corpo di Jennifer Lawrence, ancora una volta, come in Un gelido inverno, alle prese con un personaggio che non arretra di fronte agli ostacoli, affrontandoli con deter- Le Idi di Marzo The Ides of March Brillante esperto di comunicazione, Stephen Meyers è al servizio del governatore Morris nella campagna per le primarie presidenziali del Partito Democratico: si distingue per lo sguardo attento alle fasce più giovani dell’elettorato. Nell’Ohio Morris parte in vantaggio. Quando l’ago della bilancia inizia a spostarsi verso il rivale Pullman, Morris non cede alle lusinghe di scomode alleanze sacrificando gli ideali in cui crede. Stephen, sicuro della trasparenza di Morris, scopre però che la sua condotta è incoerente: la stagista Molly, con la quale ha una relazione, è stata costretta dal governatore a un rapporto non del tutto consenziente. Rimasta incinta, chiede un aiuto economico a Stephen, non potendo rivolgersi al padre, senatore cattolico. Tutto precipita quando Stephen viene licenziato dopo aver incontrato Tom Duffy, responsabile della comunicazione del rivale di Morris: un tranello che Duffy orchestra per liberare il campo da quello che ritiene un geniale concorrente. r. George Clooney sc. G. Clooney, Grant Heslov, Beau Willimon fo. Phedon Papamichael mont. Stephen Mirrione mus. Alexander Desplat int. R. Gosling, G. Clooney, P.S. Hoffman, E.R Wood, M. Tomei, P. Giamatti or. Usa 2011 distr. 01 dur. 102’ D ichiara il regista: i meccanismi della politica costringono spesso a sacrificare principi e ideali per arrivare al bersaglio, a giocare sporco, magari secondo le regole del rivale, piuttosto che lasciargli strada aperta. È significativo che il governatore Morris chieda alla moglie quanto ancora dovrà spostare l’asticella in là, ovvero quanto dovrà inquinare l’idea di America, Democrazia e Costituzione, scegliendo il minore dei mali. Sulla difesa della coerenza ai principi individuali si schiera Stephen, minazione, guardandoli in faccia, in una sfida con se stessa per non soccombere e per non fare soccombere la propria famiglia. Ross ha costruito un film che mette in scena una società spiata in diretta dal potere, dove, come in Truman Show di Peter Weir, vero e finto si sovrappongono, dove la finzione, la rappresentazione, è la realtà. E non sono solo i luoghi a contenere e perpetrare il senso del falso e del vero. Anche le relazioni fra i personaggi sono caratterizzate da verità e menzogna, convenienza e sincerità. Hunger Games, come sa essere il cinema di genere, è un film che, attraverso la fantascienza, riflette sul mondo attuale, sulla sempre più preoccupante separazione delle classi sociali, sulla ribellione delle masse contro i privilegiati arroccati nei palazzi, e su un potere mediatico usato come arma di schiavitù. Katniss sa che, per provare a scalfire quel potere, bisogna smascherarlo dall’interno, partecipare (è l’unica che sceglie, tutti gli altri sono sorteggiati) al gioco crudele, farsi guerriera e vincere non per diventare famosa ma per trasformarsi in portavoce di quella maggioranza oppressa. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 8 e 9. (g.g.) che sogna la sua America per interposta persona, convinto che Morris possa essere l’uomo del cambiamento. Interessante che la disputa non riguardi lo scontro per le presidenziali con un rivale repubblicano. La lotta è intestina, le logiche che la regolano non risparmiano colpi bassi a quelli che potrebbero diventare futuri alleati. Motore invisibile che innesca una serie di eventi a catena è la coincidenza tra la relazione che Stephen intraprende con la stagista Molly e la trappola di Duffy, esperto conoscitore dei meccanismi politici (e dell’anima umana) al servizio di Pullman. Il suo arco di trasformazione si compie con l’ultima lezione della sua formazione sul campo, come professionista e come uomo: il cinismo con cui viene fatto fuori diventa l’arma in più del giovane rampante quando, dopo la morte di Molly, non si fa scrupolo nel ricattare Morris per riottenere il suo posto. Tutto è fosco, come la politica che si gioca lontana dai riflettori. Forte è la sensazione di essere di fronte a un teatro di uomini inevitabilmente destinati alla corruzione dell’anima. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 10 e 11. (a.l.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 17 DAI 10 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 L’incredibile storia di Winter il delfino Dolphin Tale DAI 16 ANNI Sawyer (12 anni) trova sulla spiaggia della Florida un giovane delfino femmina, impigliatosi in una trappola per granchi e ferito.Viene affidato al Clearwater Marine Hospital dove la figlia del direttore lo battezza Winter. Dura è la lotta per la sopravvivenza. Il delfino accetta il cibo solo da Sawyer e tra i due nasce un profondo legame. Il ragazzo lascia la scuola estiva per dedicarsi all’amico. Purtroppo si deve amputare la coda, ma Winter, con determinazione e coraggio, impara a nuotare anche così, mettendo però in pericolo la colonna spinale sollecitata da un movimento innaturale. All’ospedale militare dove è ricoverato il cugino Kyle, ferito in guerra, Sawyer conosce il dr. Cameron McCarthy, specialista in protesi, che accetta di preparare una coda prostetica per il delfino in un materiale flessibile chiamato Winter’s Gel. Salverà il delfino, ma anche migliaia di persone in tutto il mondo. 18 r. Charles Martin Smith sc. K. Janszen e N. Dromi da una storia vera fo. Karl Walter Lindenlaub mont. Harvey Rosenstock mus. Mark Isham int. H. Connick Jr, A. Judd, N. Gamble, K. Kristofferson, C. Zuehlsdorff, M. Freeman or. Usa 2011 distr. Warner Bros dur. 113’ I l film è ispirato alla storia vera del delfino Winter, trovato in fin di vita nel 2005. Trasportato all’Acquario, vive con una coda artificiale. L’interesse per la notizia non è passato inosservato. Mescolando realtà e finzione, ne è stato tratto un film visto con gli occhi di un ragazzino. Il suo amore per Winter, unito all’esperienza di un biologo marino, all’ingegno di un brillante medico ingegnere e all’aiuto di tutta una comunità ha compiuto il “miracolo”. Io sono Li La cinese Shun Li per poter emigrare ha contratto un debito con un’organizzazione malavitosa del suo paese e sogna di poter riconquistare la propria libertà restituendo la somma e di far venire poi in Italia il figlio di otto anni. Finisce per fare la barista in una povera osteria di Chioggia frequentata da pescatori e anziani pensionati. La donna si inserisce bene nell’ambiente, tanto da iniziare un delicato rapporto sentimentale con Bepi, un solitario pescatore di origini slave, detto “il poeta”, vedovo di un’italiana, con un figlio inurbato sulla terraferma. Ma l’amicizia, che potrebbe trasformarsi in un matrimonio, viene prima criticata e poi decisamente ostacolata sia dalla chiusa comunità cinese che dai chioggiotti, che nascondono dietro la dichiarata preoccupazione per un matrimonio d’interesse il loro latente razzismo. numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Andrea Segre sc. Marco Pettenello, Andrea Segre fo. Luca Bigazzi mont. Sara Zavarise mus. François Couturier int. Z. Tao, R. Serbedgja, M. Paolini, R. Citran, G. Battiston or. Italia/Francia 2011 distr. Parthenos (Padova) dur. 96’ I l film non si limita a denunciare le ingiustizie sociali (emarginazione, lavoro nero, razzismo) che subiscono gli immigrati, specie se clandestini, privi di tutele e accesso ai diritti sindacali. Segre scava nell’anima profonda degli uomini vittime dell’emigrazione coatta e delle difficoltà di un’integrazione mai compiuta. La sua osservazione si sposta dai luoghi comuni che conosciamo sull’argomento per rivelare una realtà più complessa e angosciosa. Si veda l’attenzione indotta sul volto misterioso La realizzazione del film non è stata facile. Winter ha dovuto impersonare se stesso perché nessun altro delfino avrebbe potuto nuotare come lui, ma come una star ha avuto una “controfigura”. Nel film c’è l’incontro dell’uomo con la Natura, due mondi che devono comprendersi e rispettarsi. La forza di sopravvivenza di Winter è una parabola sul non arrendersi, sul desiderio di farcela, sull’insegnare all’uomo che la vita è un bene prezioso. La pellicola è ricca di spunti di riflessione anche per gli adulti. Si veda l’indagine caratteriale del piccolo Sawyer, introverso e asociale perché traumatizzato dall’abbandono del padre, oggetto di bullismo da parte dei compagni, cui non sa rispondere, che acquisisce consapevolezza di sé ed entusiasmo quando si sente utile e apprezzato. Si veda anche l’accenno critico alla guerra che riporta a casa Kyle, ex campione di nuoto, menomato nel fisico e ancor più nello spirito. A tutti viene in aiuto Winter. Al di là di una vena di retorica buonista, bilanciata dalla verità della storia, il film suscita commozione, speranza e amore per la natura. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 5. (a.f.) dell’organizzazione cinese che sfrutta la protagonista (il padrone del ristorante è probabilmente solo un prestanome). I meccanismi economici travalicano il semplice impiego-sfruttamento della manodopera straniera da parte degli imprenditori italiani. La metastasi è molto più complessa e disumanizzante. La delicata storia d’amore, altrettanto significativamente, vede inconsueti protagonisti due immigrati provenienti da mondi culturali lontanissimi, la Cina e l’ex-Jugoslavia. Tuttavia Li e Bepi sono accomunati dai bisogni essenziali di vicinanza, solidarietà, amore condiviso per il lavoro e la natura (ambedue sono ammaliati dalla bellezza misteriosa della laguna). Un rapporto amoroso fondato sui silenzi, sugli sguardi volti a cogliere la malia della laguna, su un verso che tenta di dar corpo a sentimenti impalpabili. Io sono Li é un film sullo spaesamento e la perdita di identità, non solo dei due protagonisti, ma anche degli altri malinconici frequentatori dell’ Osteria “Paradiso” (sic), che nascondono la loro solitudine dietro gli spritz e la finta allegria caciarona. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 89, p. 9. (f.v.) DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 The Iron Lady L’anziana Margaret Thatcher vive nella sua grande casa di Londra senza più il marito Denis, morto da anni. Sgombrando il guardaroba per fare pulizia, alla donna si risveglia un’ondata di ricordi mentre la figlia Carol, in visita, e le cameriere sono preoccupate per il suo stato di confusione mentale. A cena Margaret intrattiene gli ospiti incantandoli come sempre, ma poi si distrae rievocando la cena in cui aveva conosciuto Denis, 60 anni prima. Di notte Margaret riguarda i vecchi filmini di famiglia, riflettendo sui sacrifici fatti nel privato e negli affetti pur di conseguire i suoi grandi successi politici che, decennio dopo decennio, scorrono davanti ai suoi occhi come ai nostri con la Storia di tanti lunghi anni. Il giorno dopo l’ex-statista decide d’impacchettare gli effetti del marito per disfarsene definitivamente, ribadendo alla figlia la sua autonomia anche nel presente. r. Phyllida Lloyd sc. Abi Morgan fo. Elliot Davis mont. Justine Wright mus. Thomas Newman int. Meryl Streep, Jim Broadbent, Olivia Colman, Alexandra Roach, Harry Lloyd or. Gran Bretagna 2011 distr. Bim dur. 105’ S ogno e realtà, vita privata e Storia, femminismo e conservatorismo, musical e melodramma: ecco la ricetta per coniugare materiali diversi. Oltre le biografie romanzate e le ricostruzioni d’epoca, il film parla dell’accettazione del passato, con una vicenda che si svol- J. Edgar J. Edgar Hoover è stata una delle personalità più potenti degli Stati Uniti d’America, eroe nazionale e al contempo uomo ambizioso e temuto, che non ha mai esitato a far uso delle informazioni in suo possesso per esercitare la sua autorità sui leader della nazione. Nominato direttore del FBI nel 1924, Hoover ne riorganizzò la struttura in un micidiale apparato di polizia in grado di eliminare e catturare gangster del calibro di John Dillinger o di George Machine Gun Kelly. Scoprì l’assassino del piccolo Lindbergh, diede la caccia a comunisti e a membri delle Pantere Nere. Casi che resero Hoover celebre nel mondo. Fu a capo del Federal Bureau per ben quarantotto anni, fino al 1972, sotto otto presidenti, da Calvin Coolidge a Richard Nixon. r. Clint Eastwood sc. Dustin Lance Black fo. Tom Stern mont. Joel Cox, Gary Roach int. L. Di Caprio, N. Watts, A. Hammer, J. Donovan, J. Lucas, D. Herriman, J. Dench, G. Pierson, J. Hecht, C. Shyer or. Usa 2011 distr. Warner dur. 137’ D opo aver narrato l’esperienza della morte da parte di sopravvissuti al maremoto in Hereafter, Clint Eastwood torna al passato, per affrontare un personaggio della Storia degli Stati Uniti, J. Edgar Hoover, agente investigativo, una figura entrata nell’immaginario collettivo statunitense. A lui, infatti, si devono molti cambiamenti e innovazioni che hanno reso l’Fbi una delle agenzie investigative più note ed efficienti nel mondo. ge solo in due giorni, pur tra salti temporali e compresenza di stili. Non c’è un giudizio storico o esterno su una delle figure più discusse della politica britannica, la prima donna capo di governo in Occidente e il Primo ministro britannico con il maggior numero di mandati del secolo scorso (1979-1990), quanto l’intenzione “shakespeariana” di affrontare alcuni temi universali dal punto di vista della stessa protagonista, interpretata magnificamente e mimeticamente da Meryl Streep, giustamente premiata con l’Oscar. È una storia sul potere e sul suo tracollo ovvero sull’epilogo della vita di un individuo che ha condotto un’esistenza molto intensa sul piano professionale e che all’improvviso finisce. È uno specchio dell’esistenza di ognuno di noi, amplificata dalle dimensioni enormi ed epiche della vita che ha vissuto la Thatcher. Come dichiara la regista: “È la storia di quello che accadrà a tutti noi quando le nostre carriere si concluderanno, quando perderemo le nostre capacità e dovremo affrontare la vecchiaia”. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 27. (e.g.) La scelta del regista è quella di riprendere un personaggio pubblico, che ha avuto un ruolo così determinante nella storia americana e di raccontarlo perlopiù nel privato. La pellicola osserva e scruta i comportamenti di Hoover mantenendo quella distanza che lo stesso protagonista sembra avere nei confronti della vita e delle persone con cui la condivide. Eastwood riesce a tratteggiare l’uomo più spietato e privo di scrupoli degli Stati Uniti, svelandone, al contempo, nell’affannosa ricerca del mantenimento del potere acquisito, la sua umanità, la sua solitudine, la sua progressiva inadeguatezza e consapevolezza di appartenere ormai al passato, a un mondo in via di estinzione. Seguendo il procedimento attuato in Flags of our Fathers e in Letters from Iwo Jima, la guerra vista da due opposti fronti, due versioni di uno stesso evento, qui lo riproduce in un unico film, nel raffigurare la vicenda di Hoover secondo Hoover, il proprio desiderio di imprimere nelle immagini della Storia la propria versione. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.91, pp.12 e 13. (l.c.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 19 DAI 14 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 20 John Carter Il giovane Edgar Rice Burroughs viene convocato a casa dello zio John Carter, scomparso di recente. L’uomo gli ha lasciato in eredità il suo patrimonio e gli ha affidato un diario nel quale gli racconta storie incredibili di un suo viaggio sul pianeta Barsoom (quello che noi conosciamo come Marte), dove si era innamorato della principessa Deja Thoris, promessa al tiranno del regno rivale degli uomini rossi. La diversa gravità del pianeta permetteva a Carter di sfoggiare capacità sovrumane, che ben presto lo hanno reso una pedina importante nel gioco fra le parti. Il tutto mentre una misteriosa casta sacerdotale tesseva i fili del destino dietro le quinte. Alla fine della lettura Burroughs, scopre però che Carter gli ha affidato un compito fondamentale per concludere definitivamente la storia... r. Andrew Stanton so. dai romanzi di Edgar Rice Burroughs sc. A. Stanton, M. Andrews, M. Chabon fo. Daniel Mindel mont. Eric Zumbrunnen mus. Michael Giacchino int. T. Kitsch, L. Collins, S. Morton, W. Dafoe, T.H. Church, M. Strong or. Usa 2012 distr. Walt Disney dur. 132’ A vederne scorrere le immagini solenni e pregne di effetti speciali viene immediato pensare che John Carter sia vicino più ad Avatar che al “cugino” Tarzan creato dallo stesso Burroughs, ma in realtà la superficie nasconde molto bene un’anima retrò che Andrew Stanton ossequia con consumata abilità. Perché presentare nel 2012 l’idea di un uomo qualsiasi che si ritrova a diventare un eroe su quel pianeta Marte a La kryptonite nella borsa Napoli, 1973. Peppino Sansone ha nove anni, è miope, vittima dei bulli della sua classe, con una famiglia piena di parenti piuttosto scombinata e un cugino più grande, Gennaro, che crede di essere Superman: con una calzamaglia slabbrata e la mantellina da parrucchiere sulle spalle vede “pericolo kryptonite” dappertutto. La mamma Rosaria è chiusa in un silenzio incomprensibile e il padre, adultero, cerca di distrarre il figlio regalandogli pulcini da trattare come animali da compagnia. Quando Gennaro muore improvvisamente sotto un autobus, la fantasia di Peppino reinventa la realtà e lo riporta in vita, come se il cugino fosse effettivamente il supereroe che diceva di essere. È grazie a questo amico immaginario che Peppino riesce ad affrontare finalmente le vicissitudini della sua famiglia e ad accostarsi al mondo degli adulti, ritrovando fiducia in se stesso e nelle proprie capacità. numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Ivan Cotroneo sc. Ivan Cotroneo, Monica Rametta, Ludovica Rampoldi fo. Luca Bigazzi mont. Giogiò Franchini, Donatella Ruggiero mus. Pasquale Catalano int. V. Golino, C. Capotondi, L. Zingaretti, L. De Rienzo, L. Catani, F. Gifuni or. Italia 2011 distr. Lucky Red dur. 98’ U na Napoli spaccata a metà tra consuetudine e rinnovamento, tra accettazione e censura, fa da cornice alla storia, dal romanzo omonimo, che si presenta come un’opera sulla fallibilità dell’amore e sulla nostra imperfezione. La kryptonite nella borsa già nel titolo ci fa intuire che quello presentato è un mondo “altro”; qualcosa che, però, nella sua diversità ci accomuna. Nel profondo noi così vicino e al centro delle continue osservazioni scientifiche è un atto di fiducia enorme nei confronti della capacità umana di sognare ancora. Per capire bene il senso dell’operazione occorre considerare come Stanton ponga il protagonista nella stessa condizione dello spettatore, che deve letteralmente ripartire da zero e riconsiderare gli stilemi classici dell’avventura come se li vivesse per la prima volta. Per questo, una volta giunto su Marte, Carter deve per prima cosa imparare a camminare. Il gioco è poi ispessito dalla cornice in cui viene chiamato in causa lo stesso Burroughs, secondo uno stilema che risale alla narrativa classica (basti pensare al Kipling di L’uomo che volle farsi re) e che è pure propedeutico a mettere lo spettatore nella condizione di riconsiderare il rapporto con il suo immaginario, azzerando il senso del già visto e riscoprendo il gusto per l’immaginazione e l’epica. Perché bisogna conoscere bene le regole di genere per poterle poi sovvertire, e così il film diventa quasi un saggio di come si possa ancora raccontare la stessa storia. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 12 e 13. (d.d.g.) scontro generazionale su modi di vivere e pensare, in mezzo alle difficoltà della vita quotidiana, Peppino è lasciato solo. Per fronteggiare la solitudine, il bambino inizia a vedere e a parlare con il cugino Gennaro, il quale in vita rivestiva i panni di Superman. Materializzandosi dinanzi a lui ogni volta che gli eventi della realtà sono ardui, Gennaro/Superman arriva proprio quando Peppino ha bisogno di essere salvato, senza mai riuscire nell’impresa. Nonostante tutto, Peppino continua a credere in sé stesso, nella sua famiglia, nell’amore di quella madre depressa e scoraggiata che solo guardando Peppino negli occhi ritrova la forza e il coraggio per ricominciare a parlare, prima con lo psicanalista, poi con il marito, infine proprio con Peppino. Ecco un racconto sull’amore il cui epilogo non dà adito né a vittorie né a sconfitte, bensì a riflessione e speranza. Tutto si intreccia, anche perché il cinema italiano contemporaneo ha bisogno di una fiducia che si possa riversare sulla società e su noi stessi, tutti attori di un profondo cambiamento epocale in atto. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 31. (m.p.) DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 The Lady L’amore per la libertà The Lady DAI 10 ANNI Il film racconta la vita di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, il suo rapporto col marito e la lotta per la democrazia del popolo birmano contro il regime militare. Dopo l’assassinio del padre, generale che aveva liberato il suo Paese dall’oppressione dell’impero britannico, Aung San Suu Kyi lascia Oxford insieme al marito Michael Avis, studioso di cultura tibetana, per tornare in Birmania al capezzale della madre gravemente malata. Appassionatasi alle lotte democratiche per destituire il regime militare di Saw Maung in nome di principi come il voto equo e la parità, Aung San Suu Kyi si candida alle elezioni, vincendole. Ma il sogno di divenire primo ministro si infrange contro la repressione dei militari che rigettano l’esito delle urne, riportano il clima di terrore e la condannano agli arresti domiciliari, rifiutandole anche il permesso di curare il marito, ammalatosi di cancro. r. Luc Besson sc. L. Besson, D. Marconi, R. Frayn fo. Thierry Arbogast mont. Julien Rey mus. Éric Serra int. M. Yeoh, D. Thewlis, W. Hope, M.J. King, S. Wooldridge or. Francia/Gran Bretagna 2011 distr. Good Film dur. 145’ T he Lady posa lo sguardo su un popolo, uno stato poco conosciuto, la Birmania, e su una delle persone che sta segnando la sua recente storia nella lotta per la democrazia non ancora conclusa. Inizia con le immagini di Aung San Suu Kyi bambina nel momento in cui il padre Aung San, eroe nazionale, viene assassinato pochi mesi dopo la proclamazione dell’indipen- Leafie La storia di un amore Madangeul Naon Amtak Leafie è una gallina che deve solo mangiare e deporre uova. Il suo desiderio è andarsene e viene esaudito quando, ritenuta morta, viene buttata via. Si sveglia prima che la donnola la trasformi in preda. A spiegarle i pericoli della Natura è un germano reale di cui Leafie si innamora fino a quando scopre che ha una compagna che ha deposto un uovo. Quando costei viene uccisa dalla donnola, decide di portare avanti la cova e lo farà anche dopo la morte del maschio. Nasce così Greenie cui Leafie farà da ‘mamma’. Greenie cresce e, con l’aiuto della lontra sindaco, impara a nuotare. Le diversità tra lui e la ‘mamma’ rischiano di dividerli. Un giorno spicca il volo ed è pronto per partire, anche se gli dispiace lasciare la ‘mamma’. La quale lo salva un’ultima volta dalla donnola comprendendo però che anche la predatrice ha dei piccoli da nutrire e, dopo la partenza di Greenie, le si offre come cibo. r. Oh Seong-yun so. da un racconto di Hwang Seonmi sc. Kim Eunjeong fo. Lee Jonghyuk mont. Kim Gaebum, Kim Sangbum mus. Lee Ji-soo or. Corea del Sud 2011 distr. Mediterranea dur. 93’ I l film si muove su un duplice livello: da un lato l’attenzione al tema della diversità che viene sviluppato a partire dalla vita della gallina Leafie. Perché la protagonista vorrebbe volare via da quel pollaio in cui si sente diversa, animata dal desiderio di conoscere ciò che accade al di fuori. La sua sarà una vita in cui ci si confronta con la diversità. Dapprima quella di animale domestico in un mondo selvatico e poi quella di madre di un anatroccolo. Il qua- denza. Ci appare una bambina di pochi anni, inconsapevole di ciò che sta succedendo, ma subito immersa in un clima di violenza, paura e terrore. Quasi un imprinting che segnerà la sua vita per sempre, (eccetto che nella parentesi inglese e americana), una costante in cui ancor oggi sta vivendo. Sono la paura e la violenza, incarnate dal regime militare birmano che occupano buona parte delle sequenze del film. Altro tema centrale è il rapporto con la famiglia: il marito e i figli. Besson mostra come l’ideale e i valori che muovono Aung San Suu Kyi nel lottare per la propria nazione coinvolgano inevitabilmente le persone a lei più vicine che la sostengono e appoggiano con forza. Come per la figura di Gandhi rimangono impresse nella memoria, oltre alle parole, il sorriso, l’abito bianco e alcuni singolari gesti, così per Aung San Suu Kyi questo film fissa in alcune scene le semplici parole di pace da lei pronunciate e alcuni suoi gesti, come quello di adornare il capo con i fiori o quello di incontrare più gente possibile viaggiando sia in villaggi vicini che lontani. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 18. (g.pe.) le crescendo marcherà la propria differenza da lei. Qui si innesta il tema di una pubertà che ha bisogno di distaccarsi dal genitore per poterlo poi meglio apprezzare. Si accenna anche alla catena alimentare. Così come Greenie si nutre dei pesci, la donnola (madre a sua volta come si scoprirà nel finale) deve nutrirsi di esseri viventi per poter allattare i suoi piccoli. La versione originale vede la donnola lanciarsi verso Leafie per ucciderla mentre in quella italiana si sente il grido della gallina senza vedere l’assalto. Una struttura sociale gerarchizzata è quella che ci viene proposta dalla figura del padre di Greenie e poi, nel sottofinale, dalla gara di volo e dall’inquadramento del giovane germano reale nello stormo. Sono scene in cui viene in qualche modo abbandonata la grafica morbida che caratterizza gran parte del film per ricorrere a un tratto più spigoloso e duro che è funzionale alla narrazione. Una brutta figura è poi riservata all’allevatore che si vede punire come merita dai pennuti che ha costretto a vivere una vita per nulla naturale. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 29. (g.za.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 21 DAGLI 8 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Lorax Il guardiano della foresta Dr. Seuss’ The Lorax DAGLI 8 ANNI Ted (12 anni) vive con una nonna stramba e una madre invadente a Thneedville, un mondo governato, come una prigione di massima sicurezza, dal sindaco O’ Hare, uomo senza scrupoli. Qui tutto è di plastica: le case, il cibo, i prati, gli alberi e nessuno sente la mancanza del verde. Il ragazzino è innamorato della dolce Audrey che desidera un albero vero, il rarissimo Albero di Truffola. Incoraggiato dalla nonna, Ted si mette in viaggio per incontrare Once-ler, un essere malvagio che vive in una catapecchia, unico depositario del seme dell’albero. Egli, in un tempo lontano, aveva distrutto la foresta per utilizzare la lana degli alberi: così le magiche piante erano cadute una dopo l’altra. Nemico giurato di Once-ler è Lorax, un’affascinante fantastica figura: scorbutico guardiano della Valle di Truffola dove simpatici orsetti corrono felici nei boschi. L a favola The Lorax, pubblicata nel 1971, è il quarto libro di Theodor Seuss Geisel che arriva sul grande schermo. Noto negli Stati Uniti per essere uno dei più grandi scrittori per l’infanzia, Seuss è autore di universi problematici, demenziali e sottilmente politici, sempre diversi: ogni storia un mondo a sé che riflette tematiche particolari. In Lorax la matrice è l’ecologismo, tema scontato oggi ma molto meno nel 1971. Il regista segue le linee della poetica Madagascar 3 Ricercati in Europa Madagascar 3: Europe’s Most Wanted Dopo lo sbarco in Madagascar, luogo di libertà ma anche di pericoli, i simpatici Alex, Melman, Marty e Gloria riprendono il viaggio verso New York. A causa di un atterraggio di fortuna l’aereo su cui viaggiano insieme ai pinguini e ai lemuri (recuperati grazie all’irruzione nel Casinò di Montecarlo) li fa approdare nei pressi di un circo itinerante guidato dalla tigre Vitali. Lì trovano rifugio nel tentativo di far perdere le tracce alla loro inseguitrice l’agente francese DuBois - che vuol catturare e uccidere il leone Alex. Attraverso l’Europa, passando per Londra e Roma, fino al rientro a New York, gli amici, con coraggio e inventiva, con numeri ricchi di fantasia e originalità, riescono a trasmettere entusiasmo e fiducia alla troupe del circo, riportando lo spettacolo alla gloria del tempo in cui Vitali era la star di maggior richiamo per i salti acrobatici. 22 r. Chris Renaud, Kyle Balda sc. Ken Dauzio, Cinco Paul mont. Steven Liu, Ken Schrebrmann mus. John Powell int./dopp. D. De Vito, M. Mengoni, Z. Efron, T. Swift, E. Helms, B. White or. Usa 2012 distr. Universal dur. 86’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Eric Darnell, Tom McGrath, Conrad Vernon so. e sc. Eric Darnell, Noah Baumbach mont. Nick Fletcher mus. Hans Zimmer or. Usa 2012 distr. Universal dur. 93’ S pirito avventuroso, inventiva e altruismo caratterizzano le vicende dei simpatici protagonisti del terzo episodio di Madagascar in cui si coniugano fantasia e comicità proprie dell’universo circense con atmosfere legate all’imprevisto e alla sorpresa tipiche dei viaggi. I quattro amici proseguono l’inarrestabile avventura nel tentativo di ritornare a New York, ma innanzi a loro si apro- dello scrittore, fantasia visionaria e creatività linguistica, per inviare un messaggio importante, la difesa dell’ambiente. La narrazione è strutturata in due racconti paralleli: un viaggio temporale che mette a confronto le avventure del presente di Ted e i flashback che ricostruiscono il passato di Once-ler, il vero protagonista, crudele (in)volontario, che occupa quasi tutta la seconda parte del film. L’antagonista è Lorax, una “arancionissima” figura pelosa con grandi baffi e sopracciglia gialle che rappresenta con bonarietà e ironia l’ambientalista a tutto tondo insieme all’allegra compagnia di animali che cantano e ballano (siparietti musicali che rendono il racconto quasi un musical). Ancora una volta le ultime tecniche della computer grafica degli animatori della Illumination Entertainment confermano le loro caratteristiche con la creazione di un mondo tridimensionale, nelle curiose immagini della città artificiale. Il film si presenta come una metafora del contrasto tra natura e progresso, un’allegorica rappresentazione dell’esigenza di progredire senza distruggere gli elementi naturali. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 21. (m.m.) no le porte dell’Europa: Montecarlo, Londra, Roma diventano scenari privilegiati dove reinventare un nuovo modo di vivere grazie alla realtà magica del circo. Sono soprattutto le performance degli animali - esibite insieme alla compagnia circense tra acrobazie e numeri impossibili, arricchite dai contesti dove i nostri eroi sono alle prese con varie fughe - a regalare buon umore e una sottile vena di suspense al film. Questo mette in scena anche un percorso di maturazione dei protagonisti: tra novità e imprevisti, accanto al tema della ricerca della propria identità e della libertà di ogni componente del gruppo, sono sempre messi in luce l’affiatamento, il rispetto reciproco e la grande generosità. Il divertimento è assicurato da battute, colpi di scena e situazioni paradossali in cui vengono a trovarsi i protagonisti, in particolare l’ippopotamo Gloria, alquanto buffa ma elegante nella danza sulla fune in coppia con la giraffa. Il disegno dai tratti ora allungati ora sinuosi e i colori accesi o pastello definiscono con efficacia le movenze dei personaggi e i loro temperamenti. (s.l.) DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Maledimiele Sara ha 15 anni. È carina, intelligente, brava a scuola, circondata da ‘amiche del cuore’, corteggiata da un compagno, ma non corrisposta da Matteo, di cui è innamorata. Appartiene a una famiglia borghese dove madre e padre, concentrati sul lavoro e la carriera, sembrano accoglienti e affettuosi, ma di fatto non hanno con la figlia alcun dialogo. È un’adolescente come tante, senza evidenti motivi di insoddisfazione. Eppure vive in solitudine o, meglio, in compagnia solo del proprio de-umanizzante segreto: riuscire a raggiungere quello che considera il peso ideale, perfetto: 38 kg. Per ottenere il risultato e sentirsi capace di auto-controllare il suo corpo, Sara è disposta a tutto e si impone un codice di comportamento durissimo che la porterà progressivamente a essere risucchiata nella spirale buia della malattia che non perdona e da cui è difficile uscire: l’anoressia. r. Marco Pozzi sc. Paola Rota, Marco Pozzi fo. Alessio Viola mont. Claudio Bonafede mus. Claudio Pelissero int. B. Gargari, G. Togna, S. Bergamasco, I. Barzizza or. Italia 2010 distr. Movimento Film dur. 106’ M arco Pozzi presenta con sguardo sensibile uno dei problemi più temibili del mondo giovanile: l’anoressia, un malessere dolce che, come il miele, scivola nelle pieghe del corpo e della mente, ma amaro perché può portare alla morte. Maledimiele non accompagna solo lo spettatore dentro la malattia, mette anche in campo il vuoto esistenziale e la difficoltà di comunicare della famiglia borghese della protagonista. Per rendere tale complessità, Pozzi lascia intuire il dramma attraverso scelte Melancholia La fine del mondo è vicina e ha il volto di un pianeta blu che da mesi ‘corteggia’ la terra, dove Justine ha appena sposato il suo principe. Ma di quell’amore, formalizzato in un vuoto rituale e circondato da familiari troppo diligenti e poco affezionati, Justine non sa più che farsene. Sedotta dal pianeta, sprofonda nella sua ‘malinconia’. Incompresa dagli ospiti, dal maître de cerimonie e dal marito, Justine assume comportamenti inappropriati, umiliando il suo datore di lavoro e facendo sesso con un giovane invitato. Abbandonata il giorno delle nozze, cede all’apatia e alla depressione. La soccorre Claire, sorella maggiore e ‘controllata’, con cui passerà le ultime ore di vita prima dell’impatto con Melancholia. r. e sc. L. von Trier fo. M.A. Claro mont. M. Højbjerg, M.M. Stensgaard mus. K. Eidnes Andersen int. K. Dunst, C. Gainsbourg, K. Sutherland, A. Skarsgård, S. Skarsgård, C. Rampling or. Danimarca/Germania/Francia/ Svezia 2011 distr. Bim dur. 130’ P erennemente instabile e incessantemente mutevole il cinema di Lars von Trier investe la società dello spettacolo con l’energia travolgente di un’onda che qualche volta bagna e irrita, molte altre monda e rinfresca. Un cinema il suo che obbliga a ridiscutere di estetica e di poetica, di ritmi e di stili, un cinema che rilancia sempre disarmando con le sue trappole di folgorante bellezza. Presentato in concorso a Cannes Melancholia è un’opera in due atti che spiaz- estetiche differenti. Gioca sulla ripetizione da parte di Sara di gesti simbolici, come tracciare l’impronta del proprio corpo su un lenzuolo quasi fosse un sudario. Lavora sulla contrapposizione tra pieno e vuoto (del corpo, della relazione con i genitori, dell’amore negato) accentuandolo, collocando gli eventi in spazi ampi, ma algidi, silenziosi e claustrofobici. Utilizza il contrasto tra luci e ombre nei luoghi in cui Sara consuma i giorni, ma anche per descrivere le due parti della sua personalità: quella che mostra a tutti e quella che consuma in stanze segrete. Sottolinea l’inconsistenza della famiglia rappresentandola quasi fosse un quadretto privato di ogni consistenza reale. Di particolare effetto è la scelta di scandire la narrazione con la voce di Sara che si fa via via più spigolosa, pungente, raggiungendo lo spettatore con la forza di una lama. Al termine della visione non può non rimanere scolpito nella memoria lo sguardo vacuo della ragazza, una fra le tante, insospettabili vittime di un ideale di femminilità che la moda insiste a proporre come un valore. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 16. (p.c.) za e smuove l’apatia del disincantato sguardo contemporaneo (ri)proponendo la dismisura del melodramma (lirico). Diviso in due parti e introdotto dal preludio wagneriano di Tristano e Isotta, l’ultimo film di von Trier mette in scena la sua e nostra Apocalisse. Definitivo e liberatorio, Melancholia si concentra sulla vita di due sorelle in attesa di un pianeta minaccioso e magnifico che manderà letteralmente in frantumi la loro vita e il loro mondo. Ai tableaux vivants di impressionante forza pittorica, che come un’ouverture operistica anticipano ciò che accadrà, seguono cinquantotto minuti di matrimonio, una festen in famiglia, uno psicodramma consumato all’interno di un nucleo domestico allargato che non manca di esumare scheletri ben conservati negli armadi e di esibire la tempesta emozionale della sposa, la bionda Justine di Kirsten Dunst, attraversata dalla depressione e trafitta dalla melanconia. Un film che deflagra sul buio aprendo un varco verso un altro modo di guardare. O verso un altro mondo (e un altro cinema) da vedere. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, pp. 8 e 9. (m.gn.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 23 DAI 14 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Midnight in Paris Gil è uno sceneggiatore hollywoodiano che vorrebbe fare un salto di qualità scrivendo un romanzo. La sua relazione con Inez risente di queste frustrazioni, poiché la ragazza lo ritiene un eterno indeciso con il mito nostalgico degli anni Venti. Una sera, rimasto solo mentre passeggia per le vie di Parigi, Gil si ritrova per magia proprio negli anni Venti e ha così modo di conoscere Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Salvador Dalì, Pablo Picasso e Gertrude Stein, alla quale chiede consigli per il suo romanzo. L’euforica esperienza lo porta in breve a dedicare le giornate alla scrittura e le notti alle avventure nel passato: in questo modo conosce Adriana, una ragazza di provincia che sogna il successo e che vorrebbe vivere ai tempi della belle époque. Ben presto Gil si accorgerà di come i miti del passato siano soltanto un alibi che impedisce di vivere appieno il presente. S tupisce che sia un autore maturo e di lunga esperienza come Woody Allen a mettere sotto i riflettori una delle patologie dei nostri tempi: l’afflizione nostalgica, che costringe all’immobilismo e al continuo rimpianto del passato. Il film, pur nella sua struttura lineare e apparentemente molto semplice, si Miracolo a Le Havre Le Havre Marcel Marx, abbandonata ogni velleità artistica, vive a Le Havre facendo il lustrascarpe. Trascorre il tempo libero al bar o con la moglie Arletty. Un giorno incontra Idrissa, un ragazzino che è fuggito dal Gabon nascosto in un container insieme ad altri immigrati fra cui il nonno. Arletty non sta bene, deve essere ricoverata per un male che pare incurabile. Ignaro delle reali condizioni della moglie, Marcel va a Calais, nel centro che ospita il nonno di Idrissa, e gli promette di aiutare il nipote a raggiungere la madre a Londra. Per questo però occorre molto denaro: gli abitanti del quartiere aiutano l’anziano a organizzare un concerto. Ma, dopo che un informatore della zona ha denunciato la presenza del ragazzino in casa di Marcel, la polizia tiene d’occhio l’uomo. Quando tutto sembra perduto, giunge un aiuto inaspettato. Marcel va in ospedale a trovare Arletty e… 24 r. e sc. Woody Allen fo. Darius Khondji mont. Alisa Lepselter mus. Stephane Wrembel int. Owen Wilson, Rachel McAdams, Kurt Fuller, Michael Sheen, Marion Cotillard, Tom Hiddleston, Corey Stoll, Kathy Bates, Adrien Brody or. Usa/Spagna 2011 distr. Medusa dur. 94’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. e sc. Aki Kaurismäki fo. Timo Salminen mont. Timo Linnasalo int. A. Wilms, K. Outinen, J.-P. Darroussin, B. Miguel, E. Salo, E. Didi, P. Étaix, J.-P. Léaud or. Francia/Finlandia/Germania 2011 distr. Bim dur. 93’ M iracolo a Le Havre, titolo che (in italiano) rimanda al film di De Sica, nella filmografia del regista si colloca subito dopo la trilogia dei perdenti, composta da Nuvole in viaggio, L’uomo senza passato e Luci della sera, con cui condivide il rigore stilistico, che peraltro contraddistingue l’intero percorso del regista, insieme all’attenzione verso per- snoda lungo un doppio registro: quello della fiaba, innanzitutto, che tenta di restituire allo spettatore uno sguardo vergine rispetto alla Storia e al presente, cercando di rivalutare il valore della meraviglia e il gusto per la scoperta rispetto alla tradizione e alle possibilità che la stessa ha determinato. In virtù di questa prospettiva rivitalizzante, il passato smette di essere bloccato nell’idealismo e nella dimensione museale dei luoghi attraversati da Gil di giorno e diventa materia viva, capace di riverberare un nuovo fascino. C’è poi il registro della demistificazione di un tempo elevato a mito ineludibile e che per questo finisce per impedire di cercare nuove strade nel presente. La decisione finale di Gil di abbandonare il mondo del sogno, quindi, gli dona consapevolezza e lo porta a troncare il rapporto fallimentare con Inez, ma allo stesso tempo lo ricontestualizza nel suo tempo, donandogli nuovo entusiasmo e voglia di affrontare le sfide. Il percorso di formazione, tipico di molte fiabe, insomma, si completa. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 29. (d.d.g.) sonaggi marginali, umili, lavoratori che abitano nei quartieri degradati delle periferie. La pellicola per il suo tema principale è attualissima e risente di quell’urgenza che aveva animato Nuvole in viaggio, scritto in un momento particolarmente critico in cui la Finlandia era afflitta dalla disoccupazione. Mai come in quella pellicola Kaurismäki si era avvicinato, fino ad allora, alla realtà contemporanea giudicandola severamente, seppure adottando una personalissima forma di riscrittura. Per Miracolo a Le Havre l’autore si spinge oltre, varca i confini del proprio Paese per affrontare il problema irrisolto dei profughi. E lo fa raccontando l’incontro tra due mondi - quello degli immigrati giunti dal Gabon e quello degli abitanti di un quartiere popolare di una città portuale - elaborando ancora una volta un proprio universo, venato di ottimismo, di bizzarria e umorismo, un vero antidoto contro l’indifferenza e il cinismo odierni. Un cinema di poesia dallo stile impeccabile. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, pp. 6 e 7. (l.c.) DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Molto forte, incredibilmente vicino Extremely Loud & Incredibily Close DAI 14 ANNI Oskar (11 anni) vive con i genitori a Manhattan. È molto legato al padre con il quale gioca a inventare ossimori, una routine fatta di parole e fantasia, amore e complicità. Ma un maledetto giorno la loro quotidianità viene spezzata dall’attentato al World Trade Center. Il ragazzino trova, per caso, in un armadio una chiave con scritto Black e quell’oggetto diventa per lui un rebus da risolvere, un ultimo gioco per rimanere ancorato alla figura paterna. Ma non è il risultato che conta, bensì la ricerca. Il cammino del ragazzo per le strade di New York diventa un pellegrinaggio ricco di incontri: ogni persona ha un dolore, una perdita, una paura che porta dentro di sé. Alla fine un anziano farà capire a Oskar quanto sia bella la vita, nonostante tutto. r. Stephen Daldry so. Dal romanzo di Jonathan Safran Foer sc. Eric Roth fo. Chris Menges mont. Claire Simpson mus. Alexandre Desplat int. T. Hanks, S. Bullock, T. Horn, M. von Sydow, V. Davis, J. Goodman, J. Whight, Z. Caldwell, A. Martinez or. Usa 2011 distr. Warner dur. 129’ I l regista Stephen Daldry e lo sceneggiatore Eric Roth riprendono alcune idee del bel romanzo di Jonhatan Safran Foer da cui è tratto il film, ma il risultato non è lo stesso. Nello script sono stati tagliati i non-detti, le sfumature e i pensieri sospesi; la regia si sofferma spesso sugli occhi di Oskar e fa un uso eccessi- Monsieur Lazhar Bachir Lazhar In una scuola elementare di Montreal, una maestra muore tragicamente. Dopo aver letto la notizia sul giornale, Bachir Lazhar, un cinquantacinquenne immigrato algerino, si presenta alla preside per offrirsi come sostituto, vantando oltre quindici anni di esperienza di insegnamento. Viene assunto immediatamente, anche perché nel frattempo nessun altro insegnante si è proposto, e si ritrova in una scuola in crisi, costretto, al contempo, a dover affrontare un dramma personale. Bachir impara a conoscere il suo gruppo di scolari, tra cui Alice e Simon, due tra i bambini più traumatizzati dalla scomparsa della maestra. Trascorrono i mesi, e poco alla volta l’uomo riesce a instaurare un buon rapporto coi suoi allievi, ad amarli e a sua volta a farsi accettare. Nessuno è al corrente della lacerante situazione dell’insegnante, che rischia l’espulsione dal Paese… r. e sc. Philippe Falardeau fo. Ronald Plante mont. Stéphane Lafleur int. Mohamed Fellag, Sophie Nélisse, Danielle Proulx, Jules Philip, Émilien Néron or. Canada 2011 distr. Officine Ubu dur. 94’ M eritatamente candidato a concorrere al premio Oscar come miglior film straniero lo scorso anno, Monsieur Lazhar è il secondo adattamento del cineasta quebecchese, Philippe Falardeau. Tratto dall’omonima pièce teatrale di Evelyne de la Chenelière, che fa la sua comparsa nella pellicola nei panni della madre della piccola Alice, Monsieur Lazhar affronta il tema dell’elaborazione del lutto, della capacità di reagire: un lutto collettivo ma anche personale, che coinvolge in modo differente ciascun personaggio. vo dei flashback per rimarcare il continuo ricordo che il ragazzo ha di suo padre. Comunque, la storia individuale del protagonista si fa storia universale di tutte quelle persone che sono state colpite dalla tragedia delle Torri Gemelle e anche di coloro che hanno sofferto in epoche passate. Si tratta infatti del racconto della ricerca di un nuovo equilibrio dopo un lutto o un’esperienza dolorosa. All’inizio Oskar non capisce cosa sia successo e non accetta la perdita del padre. Ma, dopo il percorso fisico alla ricerca della serratura e grazie all’aiuto psicologico da parte dell’anziano signore, il ragazzo capisce che la ragione umana non arriva a spiegare tutto e che si può, comunque, tornare alla vita e al futuro. Una storia prettamente al maschile, ma le donne, anche se restano sullo sfondo, sono importanti, come lo è la mamma di Oskar che ha l’ intelligenza di lasciare che il figlio compia l’elaborazione del lutto a modo suo. Una storia, quindi, che parla di gioventù e vecchiaia, di dubbi e saggezza. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 26. (a.m.) La classe diviene un microcosmo dove poter affrontare paure e dolori, dove poter ritrovare la propria alterità e identità culturale. La pellicola, attraverso una struttura narrativa semplice, lineare, prende avvio da un atto tragico, estremo, per raccontare con levità la capacità di reagire, regalando momenti di poesia e ironia. Al cineasta non interessa puntare il dito contro il sistema scolastico, al contrario preme sottolineare come l’insegnamento sia un atto di resistenza e quanto oggigiorno gli insegnanti possano a tutti gli effetti essere considerati eroi moderni; lo è Bachir, nella sua muta resistenza contro l’ottusità di certi genitori che non accettano osservazioni sui propri figli, nell’andare contro corrente e imporre ai suoi allievi metodi di insegnamento considerati ormai desueti. Per il ruolo di Bachir, la scelta di Mohamed Fellag, attore, umorista e scrittore algerino, per il regista è stata quasi obbligata, per il suo vissuto simile a quello del personaggio, per la forza e la dignità che sembrano accomunarli. (l.c.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 25 DAI 14 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 26 Paradiso amaro The Descendants Matt King è un avvocato di prestigio in un paradiso bagnato dal Pacifico. Discendente da missionari americani e reali hawaiani, Matt è proprietario e amministratore delle ultime terre vergini dell’arcipelago. Marito e padre di due figlie, la sua vita riceve un’improvvisa battuta d’arresto quando la moglie entra in coma a seguito di un incidente in barca nel mare di Waikiki. Il sonno irreversibile in cui versa la compagna lo costringe a riconsiderare la sua vita e il suo ruolo di padre. Riavvicinatosi alle figlie, scopre dalla maggiore che la moglie aveva un amante e l’intenzione di divorziare. Colpito senza affondare, Matt è deciso a capire il tradimento e ostinato a cercare il rivale. Nel viaggio che lo condurrà da Brian Speer, Matt maturerà uno sguardo nuovo sulle figlie e la vita, decidendo per il sentimento e la saggezza. r. Alexander Payne sc. Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash fo. Phedon Papamichael mont. Kevin Tent mus. Richard Ford int. G. Clooney, S. Woodley, R. Forster, J. Greer, M. Lillard, N. Krause, M. Birdsong, P. Hastie, B. Bridges or. Usa 2011 distr. Fox dur. 110’ C omincia con un risveglio brusco e un sonno dolce il nuovo film di Alexander Payne, ambientato nel paradiso in terra degli americani e interessato alle persone vere e alle storie comuni, alle nevrosi e alle tragedie personali nelle quali è facile riconoscersi. Perché la vita, compresa quella di Matt King, è il prodotto di gesti Il primo uomo Algeria, 1957. Jacques Cormery, scrittore affermato e intellettuale finissimo, torna ad Algeri sulle tracce del padre mai conosciuto e deceduto nella prima battaglia della Marna. Ospite della vecchia madre, che lo ama infinitamente ma non ha mai voluto raggiungerlo in Francia, Jacques tiene un discorso all’università di Algeri, agitata e insanguinata dalla lotta indipendentista. Dentro i pomeriggi caldi di sole, l’uomo rievoca la sua infanzia ‘educata’ da una nonna intransigente, una madre indulgente e uno zio semplice e intimamente gentile. Avanti e indietro nel tempo e nella Storia di un Paese, Jacques risalirà fino alla sua nascita, agli albori e alle premesse dell’uomo che sarebbe diventato. numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. e sc. Gianni Amelio fo. Yves Cape mont. Carlo Simeoni mus. Franco Piersanti int. J. Gamblin, M. Sansa, C. Sola, D. Podalydès, U. Baugué, N. Giraud, N. Jouglet,... or. Francia/Italia/Algeria, 2011 distr. 01 Distribution dur. 98’ I spirato dal romanzo incompiuto di Albert Camus, Il primo uomo è un viaggio che mette in scena ancora una volta l’universo morale del regista calabrese. Dopo l’Italia disastrata dei primi anni Novanta (Ladro di bambini) e dopo l’Albania postcomunista (Lamerica), Amelio guarda all’Algeria, all’insofferenza coloniale e alla delicata relazione con la Francia. Guarda a un maître à penser che predicava la convivenza e la reciproca comprensione. Al centro del film ancora una volta la paternità, scelti per sciogliere i nodi che ne fanno un intreccio tragicomico. Brillante alla superficie, Paradiso amaro come un buon vino libera presto sapori più densi e penetranti. Il retrogusto, amaro come il titolo italiano, partecipa a una dimensione umana per così dire marginale e fuori mano rispetto all’immaginario hollywoodiano. L’eccezionalità del cinema di Payne non sta allora e non sta tanto nel mettere sullo schermo l’inquietudine del quotidiano, quanto nel modo in cui il regista decide di trattarla, nella forma di un cinema invisibile e magnificamente classico, che nessuno a Hollywood sa più fare. Autore indipendente e scrittore dotato, Payne realizza commedie ‘laterali’ come le strade battute dai personaggi nel suo film più celebre, Sideways. E dell’indecifrabile essenza del titolo inglese il suo cinema mantiene l’intraducibilità e la natura sfuggente, sempre sfumata. Perché l’oggetto frequentato dall’autore americano è l’uomo, perché il suo film è una corte clemente che comprende prima di semplificare a giudizio e nei giudizi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 92, pp. 8 e 9. (m.gn.) quella reale e quella metaforica, e un’idea di cinema morale in bilico tra la lezione di Rossellini e quella di Bazin. Rinforzando l’indissolubilità del legame tra passato e presente, il regista ripropone un rinnovato umanesimo nell’osservazione della realtà, producendo uno stile personale dove la forma (estetica) diventa etica. L’incontro ideale con Camus trova proprio qui il senso e la ragione d’essere. Impaginando per immagini un racconto svolto sul doppio binario temporale, Il primo uomo riferisce di un’infanzia accudita da figure femminili, che trova il suo riscatto nella cultura e nell’educazione all’immagine: le diapositive della Grande Guerra proiettate dal maestro e il film muto ‘declamato’ alla nonna analfabeta nel buio di un cinematografo. A mancare nella vita del protagonista è il padre, sostituito nei film di Amelio dalla figura guida dei padri-maestri, sempre umani e interessati al disagio giovanile, sempre disponibili a concedere al bambino la possibilità di essere una persona che cresce e conosce la vita nel modo giusto, sempre pronti a restituire ai bambini una cosa che altri avevano rubato. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 10 e 11. (m.gn.) DAIGLI 8 ANNI V.M. 14 ANNI/DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Project X Una festa che spacca Project X Il giorno del diciassettesimo compleanno del timido Thomas, i suoi compagni di scuola Costa, JB e Dax organizzano una festa di epiche proporzioni con lo scopo di risollevare la popolarità del quartetto, ignorato da tutti. L’evento si terrà a casa del festeggiato, approfittando dell’assenza dei genitori per il fine settimana e abbonderà in alcool, droga e ragazze disponibili. Dopo la visita a uno spacciatore psicolabile e l’acquisto di alcolici, i quattro compagni aspettano impazienti la sera. Proprio quando stanno per rassegnarsi all’ennesimo fallimento, arrivano a frotte gli invitati con i loro amici e gli amici degli amici. In un crescendo di musica ed ecstasy, tutti si danno alla pazza gioia, anche nella piscina di casa che diventa teatro delle più assurde esibizioni. Solo Kirby, amica d’infanzia di Thomas e innamorata di lui, intuisce che la festa arriverà a un punto di non ritorno. r. Nima Nourizadeh sc. Matt Drake, Michael Bacall fo. Ken Seng mont. Jeff Groth int. Thomas Mann, Oliver Cooper, Kirby Bliss Blanton or. Usa 2011 distr. Warner dur. 88’ N ima Nourizadeh, inglese di origini iraniane, documentarista e cultore di musica, si chiede, con il suo primo lungometraggio, che cosa spinga un gruppetto di amici a rompere le regole del vivere sociale al punto da arrivare a uno scontro con la polizia in assetto antisommossa. Da una parte il desiderio di lasciare un segno, anche se negativo, della propria esistenza e, dall’altra, il riscatto da un ambiente scolastico egoista e competitivo. I Puffi The Smurfs Cinque Puffi - Tontolone, Quattrocchi, Coraggioso, Brontolone e la dolce Puffetta - guidati dal Grande Puffo escono dal loro villaggio per sfuggire al mago Gargamella, che intende usare la loro essenza blu per aumentare i suoi poteri magici. Durante la fuga sono risucchiati in un vortice spaziotemporale che li catapulta nella New York del giorno d’oggi. Qui finiscono nell’appartamento di Patrick e Grace, che dapprima si spaventano, ma poi fanno amicizia con loro. Patrick è un pubblicitario a un punto cruciale della sua carriera e gli ometti blu riescono, pur senza volerlo, a salvarlo dal licenziamento per una campagna di manifesti stradali sbagliata, che invece si rivelerà vincente grazie all’immagine della grande luna blu, la dea dei Puffi. Alla fine, sconfitto Gargamella, gli ometti blu vengono risucchiati dallo stesso vortice di partenza e fanno ritorno a casa sani e salvi. r. Raja Gosnell sc. J. David Stem, David N. Weiss, Jay Schrick, David Ronn fo. Phil Meheux mont. Sabrina Plisco mus. Heitor Pereira int. N.P. Harris, J. Mays, S. Vergara, H. Azaria, T. Gunn or. Usa/Belgio 2011 distr. Sony dur. 90’ S ul successo di dimensioni planetarie dei Puffi si è interrogato fin dal 1979 il celebre semiologo Umberto Eco, autore di un saggio a proposito della lingua puffa: ‘È una lingua fatta di un’immensa quantità di sinonimi, dove tutti i termini sono omonimi e anche sinonimi. Come capirsi? Secondo i principi della linguistica tradizionale, la lingua puffa Il film è tratto da un episodio accaduto in Australia, dove un gruppo di teenager diramò inviti su MySpace, provocando danni per milioni a cose e persone, e facendo accorrere sia la polizia sia la stampa sul luogo dell’evento. Project X ritrae bene i protagonisti di tali situazioni: ragazzi provenienti da famiglie benestanti che, pur appartenendo a un’élite, sono ai margini della vita scolastica, sia per rendimento, sia per popolarità. Questi anonimi studenti, però, padroneggiano con abilità i nuovi mezzi di comunicazione, dove una personalità più appagante di quella reale li sostiene nel web. L’intero film è infatti girato come un documentario, assemblando cioè del materiale video, qui ovviamente ricreato. Tre sono le fonti: le semi-soggettive con camera a spalla, che mostrano il punto di vista di Dax; le immagini dei finti telegiornali; infine - idea geniale - le riprese della festa fatte dagli attori e dalle comparse, tutti dotati dal regista di cellulari Smartphone. Tecnologia che regna sovrana, mezzi di comunicazione usati per gridare a tutti: “Siamo qui!” e difendere così la propria reputazione giovanile. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 29. (c.m.v.) non dovrebbe permettere la comunicazione tra i membri del gruppo, e invece i Puffi si capiscono benissimo e noi capiamo loro’. Il segreto forse risiede nell’estrema semplicità del loro mondo, in cui ognuno ha un carattere e un ruolo preciso. Tutti sono capaci di fare bene qualcosa, a tal punto da essere battezzati secondo la rispettiva funzione: Puffo Poeta, Puffo Forzuto, Puffo Burlone… L’unica femmina è la Puffetta, caratterizzata da capelli biondi, occhi naturalmente azzurri, vocina mielosa, ciglia truccate di mascara e decolleté con tacchetto. Non c’è Puffo che non ne sia innamorato, ma lei non fa preferenze per nessuno, rimanendo così un sogno condiviso da tutti e irrealizzabile. Nei momenti di difficoltà il Grande Puffo, saggio e anziano capo del villaggio, consulta un antico testo di alchimia, che fornisce suggerimenti immediati su come comportarsi. Allo stesso modo, anche il messaggio del film è molto semplice e lineare: mai disperarsi, perché alla fine i buoni vincono e i cattivi sono sconfitti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 35. (s.s.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 27 DAI 10 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Qualcosa di straordinario Big Miracle DAI 14 ANNI Il cronista Adam Carlson vorrebbe lasciare la provincia dell’Alaska in cui lavora. Ma si trova tra le mani un fatto straordinario: tre balene grigie sono rimaste intrappolate sotto una lastra di ghiaccio durante la migrazione. La calotta, troppo estesa, impedisce loro di arrivare in mare aperto e i cetacei sono impegnati allo spasimo per tenere aperto l’unico foro nel ghiaccio che permette di affiorare a prendere fiato. Il servizio di Adam sul fatto per un canale televisivo locale attira in Alaska giornalisti di tutte le emittenti nazionali, imprenditori che si improvvisano difensori dell’ambiente e perfino il Presidente Reagan. Interviene anche una rompighiaccio sovietica. Ma quelli che si impegnano di più nell’impresa sono Adam, Nathan (un ragazzo, amico del giornalista, nato in Alaska) - prezioso tramite con la popolazione e la cultura locale - e l’ambientalista Rachel Kramer, ex fidanzata di Carlson. 28 r. Ken Kwapis sc. Jack Amiel, Michael Begler fo. John Balley mont. Cara Silverman mus. Cliff Eidelman int. D. Barrymore, J. Krasinski, K. Bell, D. Mulroney, T.B. Nelson, V. Shaw, J. Pingayak, J. Chase,... or. Usa 2012 distr. Universal dur. 107’ I l film racconta una storia vera tratta dal libro Freeing The Whales del giornalista Thomas Rose: un fatto che ha coinvolto il mondo intero nell’ottobre del 1988. La vicenda si è conclusa positivamente grazie a una coalizione formata dalla popolazione del luogo, dagli attivisti di Greenpeace, dalle compagnie petrolifere, dalla Casa Bianca (Reagan in persona), da militari americani e sovietici. Tutti hanno messo da parte gli interessi personali e le divergenze sui Quasi amici Intouchables Il colto e aristocratico Philippe, paralizzato dal collo in giù a seguito di un incidente, è alla ricerca di un nuovo aiutante. Driss, un giovane da poco uscito di prigione, si presenta al colloquio con l’unico interesse di farsi firmare il foglio per il rinnovo del sussidio di disoccupazione. Non ha alcun curriculum, tuttavia viene preso in prova per quindici giorni da Philippe, incuriosito dai modi di fare del giovane. Driss si trasferisce nel palazzo di proprietà del suo nuovo datore di lavoro, non deve mai lasciarlo solo. Il giovane sembra infondere energia vitale nell’uomo, riuscendo anzi a convincerlo a incontrare una donna, con cui ha una relazione epistolare. Superato il periodo di prova, Driss è assunto, ma il suo soggiorno nei quartieri alti parigini dura poco, deve tornare a casa dove un famigliare si è cacciato nei guai; resta comunque in contatto, decide di andare a trovare Philippe e di aiutarlo ad affrontare le sue paure… numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. e sc. Olivier Nakache, Eric Toledano fo. Mathieu Vadepied mont. Dorial Rigal-Ansous mus. Ludovico Einaudi int. F. Cluzet, O. Sy, A. Le Ny, A. Fleurot, C. Mollet, A.G. Bellugi, C. Mendy, C. Ameri, M.-L. Descoreaux, G. Oestermann or. Francia 2011 distr. Medusa dur. 112’ I spirandosi alla biografia di Philippe Pozzo di Borgo, ricco uomo d’affari tetraplegico, e al suo incontro col proprio badante, Abdel Sellou, i due registi, Eric Toledano e Olivier Nakache fanno proprio il desiderio dello stesso protagonista, raccontando “una lezione universa- problemi legati all’ambiente, hanno partecipato all’impresa portandola a buon fine. Da un lato la popolazione locale si è impegnata freneticamente a forare e rompere chilometri di ghiaccio, dall’altro una rompighiaccio sovietica ha spinto le lastre ghiacciate verso l’entroterra per riuscire a spostarle di almeno alcune miglia. Due balene sono state restituite al mare aperto. Purtroppo il balenottero, provato per ferite e crisi respiratorie fin dalla scoperta dei cetacei, non ce l’ha fatta. La singolarità dell’evento e del suo evolversi ha conferito alla storia un effetto mediatico travolgente. Ma, fatto ancor più straordinario, è che l’impegno per portare all’esito positivo la “missione” ha provocato un disgelo tra Americani e Sovietici in tempi di Guerra Fredda. Ken Kwapis racconta un evento noto. Nel ripercorrere gli accadimenti che lo hanno caratterizzato pone l’accento soprattutto sul coinvolgimento dei media che lo ha accompagnato. Descrive una Nazione in cui la società e la politica sono profondamente influenzate dai canali televisivi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 92, p. 19. (m.g.) le di due desperados che si sostengono l’un l’altro”. La scelta del titolo, Intouchables - divenuto in Italia, Quasi amici - voleva essere un evidente riferimento alle caste indiane, gli “intoccabili” o “paria” che rappresentano la parte della popolazione più povera ed emarginata, un tempo priva di tutti i diritti; ma, al contempo, rimanda anche al legame indissolubile, al rapporto di profonda amicizia e di interdipendenza che si viene a creare tra i due personaggi. L’incontro tra Philippe e Driss abbatte qualsiasi barriera sociale, intellettuale, culturale, si sofferma principalmente sul concetto di solidarietà, è una storia di amicizia. Nessun pietismo o desiderio di sottolineare una conflittualità classista appesantiscono la narrazione, vi è un’irriverente comicità e una volontà dissacrante dove prevale sempre il lato umano di ciascun personaggio, indipendentemente dal ceto di provenienza. Una ricetta così apparentemente semplice, da fare del film un piccolo capolavoro. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 92 pag. 30. (l.c.) DAI 16 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Real Steel 2020. Il pugilato fra esseri umani non esiste più, ora i combattimenti sono sostenuti dai robot, in grado di assicurare maggiore spettacolarità. Charlie Kenton è un ex pugile che non ha saputo sfruttare la sua chance e ora si arrangia partecipando a gare di “robot boxing” con quello che riesce ad assemblare, ma le cose non gli vanno troppo bene. Oberato dai debiti e sempre alla ricerca di un nuovo ingaggio, Charlie si ritrova anche costretto a badare per un’estate a Max, il figlio che non ha mai voluto seguire e che ora, a 11 anni, è rimasto senza madre e deve passare sotto la custodia degli zii. Il ragazzo, pur mostrandosi scontroso verso il genitore, si appassiona agli incontri di “robot boxing”, ancor più quando, in una discarica, recupera Atom, un robot di vecchia generazione, e decide di farlo combattere. Per far questo, però, occorre che Atom sia allenato da un esperto come Charlie... r. Shawn Levy so. D. Gilroy, J. Leven dal racconto “Acciaio” di R. Matheson sc. John Gatins, Leslie Bohens fo. Mauro Fiore mont. Dean Zimmerman mus. Danny Elfman int. H. Jackman, D. Goyo, E. Lilly, A. Mackie or. Usa 2011 distr. Walt Disney dur. 122’ D opo gli ottimi Transformers, Steven Spielberg continua a fondare una mitologia che traghetti la figura del robot dalla cultura giapponese a quella occidentale e per far questo si affida alla mano di Shawn Levy: il regista di Una notte al museo lo ripaga conducendo con mano sicura una storia di combattimento fra giganti meccanici, articolata sui dettami del clas- Romanzo di una strage Milano 19 novembre 1969. Al Teatro Lirico, durante una manifestazione, muore l’agente Antonio Annarumma. Qui si incontrano i due protagonisti del film: Luigi Calabresi della Squadra politica della Questura di Milano e Giuseppe Pinelli, un ferroviere milanese che anima il Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa. Intorno a loro i gruppi anarchici e della sinistra extraparlamentare, l’editore Feltrinelli, i neofascisti veneti Freda e Ventura, i membri dei servizi segreti, le istituzioni. In questo clima fosco il 12 dicembre 1969 un’esplosione devasta la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Muoiono diciassette persone e ottantotto rimangono gravemente ferite.Viene arrestato l’ anarchico Pietro Valpreda, mentre Pinelli dopo un interrogatorio estenuante, morirà cadendo da una finestra della Questura. Luigi Calabresi, amareggiato e ‘isolato’, prosegue le indagini nel Carso, covo dei servizi deviati. Il 17 maggio 1972 viene assassinato. r. Marco Tullio Giordana sc. S. Petraglia, S. Rulli, M.T. Giordana fo. Roberto Forza mont. Francesca Calvelli mus. Franco Piersanti int. V. Mastandrea, P. Favino, F. Gifuni, L. Chiatti, L. Lo Cascio, O. Antonutti, G. Lazzarini,... or. Italia 2012 distr. 01 dur. 130’ “A tutte le diciassette vittime che morirono in quel pomeriggio del 12 dicembre 1969”. Il regista dedica così la sequenza più intensa del film, le immagini di repertorio di Milano piegata dal dolore ai funerali in piazza Duomo: momenti di commozione altissima, anche grazie all’accompagnamento della Lacrimosa di Mozart. Romanzo di una strage appartiene a quel genere di film su cui esprimere un giudizio critico obiettivo è difficile, in quanto non si riesce sempre a separare sico racconto di incontro-scontro fra un padre fallito e un figlio in cerca di punti di riferimento. Siamo quindi in un ambito che ha già seminato in passato pellicole come Il campione o, più propriamente, Over the Top (realizzato, guarda caso, negli stessi Anni Ottanta che hanno reso sia il cinema di Spielberg che i robot centrali nell’immaginario di mezzo mondo). Il rapporto fra opposti si configura lentamente come una simbiosi, in cui l’avvicinamento dei personaggi va di pari passo con quello fra l’uomo e la macchina: la storia, non a caso, gioca con la possibilità che il robot Atom sia dotato di una volontà propria, ma non scioglie mai del tutto questo dubbio. Al contrario, il finale porta il robot a vincere la sua sfida contro il colosso Zeus (giapponese, nemmeno a dirlo) proprio emulando le mosse del suo allenatore, e la vittoria permette infine a Charlie e al figlio Max di costruire un terreno comune su cui cementare la loro unione. Atom diventa così il fulcro di una triangolazione fra iconografie, vite dei personaggi e immaginari di riferimento, raggiungendo la sintesi cara a Spielberg. (d.d.g.) l’impatto emotivo dell’esperienza e della memoria dall’aspetto cinefilo. Il regista nella sua libera riproposizione storicistica sceglie la tesi sostenuta da Paolo Cucchiarelli nel libro Il segreto di Piazza Fontana della doppia bomba (una anarchica inoffensiva e una fascista, quella della strage). Diviso in brevi capitoli per guidare lo spettatore nell’intrico dei fatti, il racconto è incentrato sull’incontro/scontro tra Calabresi e Pinelli che come in un film western si fronteggiano, ma allo stesso tempo sono accomunati dal rigore morale e dalla ricerca della verità. Ripresi anche nella vita privata, padri e mariti presenti nella famiglia, onesti e determinati nel lavoro. Introducendo altri protagonisti di quel periodo, i politici, i vertici militari e istituzionali, l’autore riesce a restituire il quadro dell’inadeguatezza della politica e della colpevolezza dello Stato. Ma, se i personaggi sono credibili grazie all’interpretazione di attori capaci (Mastandrea, Favino, Gifuni), il film difetta di un approfondimento sull’epoca, la società, la città, l’atmosfera cupa e di tensione che sembrava annunciare la tragedia. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 4 e 5. (m.m.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 29 DAI 6 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Scialla! Stai sereno... Luca è un adolescente irrequieto perchè sente la mancanza di una figura genitoriale forte: studia poco e trascorre le giornate a “far niente” con gli amici. Bruno è il suo professore: scrittore di biografie altrui, e scapolo, ma spesso in compagnia di Tina, una ex pornostar. La madre di Luca deve partire per un improvviso impegno di lavoro e questo porta Luca e Bruno a vivere sotto lo stesso tetto per sei mesi: Bruno cerca di trasmettere al ragazzo un po’ di cultura, Luca trascina l’uomo in una Roma piena di musica. Un giorno, nella palestra che frequenta, il ragazzo verrà avvicinato da un pusher che gli chiede di spacciare, ma lui si rifiuta. Tina chiederà proprio a Bruno di scrivere la sua biografia, ma il vero colpo di scena è che il professore scoprirà di essere il padre di Luca e allora tutte le parole e le esperienze condivise assumeranno un significato nuovo per entrambi. I l lungometraggio di esordio di Francesco Bruni mette a confronto adolescenza e maturità. Risultano ben costruite le figure dei protagonisti e dei personaggi che animano le loro esistenze. Bruno è un uomo rassegnato, solitario e taciturno tanto che si rifugia nella sua seconda attività di ghost- Seafood Un pesce fuor d’acqua Seafood Pup, piccolo squalo, assiste alla razzia di sacche di uova da parte di pescatori di frodo. Spaventato, torna dallo squalo Julius che tenta di distrarlo. Nel frattempo il liquame nero sta invadendo i rifugi degli squali. Anche la piovra Octo consola Pup portandolo in una corazzata affondata. Spin, la pastinaca, conduce Pup, insieme alla tartaruga Mertle, fino alla nave dei pescatori, dove Pup scopre di poter respirare in terra ferma, come la tartaruga! Subito s’imbarca per salvare i nascituri. Arrivato al molo, entra nella baracca. Intanto Octo ha inventato uno scafandro per Julius che gli consentirà di uscire dall’oceano, con il quale correrà in aiuto del coraggioso amico. Sulla terra troverà strani alleati, quattro polli e un granchio. Si scatena la battaglia finale: animali contro uomini. Intanto il liquame continua a uscire. Le forze unite degli animali avranno la loro vittoria. 30 r. Francesco Bruni sc. F. Bruni, G. Avellini fo. Arnaldo Catinari mont. Marco Spoletini mus. Amir Issaa int. F. Bentivoglio, B. Bobulova, F. Scicchitano, V. Marchioni, G. Guarino, P. Manujibeya, A. Scommegna,... or. Italia 2011 distr. 01 Distribution dur. 95’ numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. Aun Hoe Goh so. e sc. Jeffrey Chiang Channel or. Malesia/Cina 2011 distr. Moviemax dur. 78’ È il primo film d’animazione malese, in computer-graphic, senza effetti 3D, una produzione cino-malese ricca di omaggi ai modelli Usa. Pup intraprende il classico viaggio di avventura per la salvezza delle uova finite in mano ai bracconieri, e di formazione, che richiede l’abbandono della casa familiare; ma da solo soccomberebbe, se tutti gli abitanti del mare, amici o nemici, insieme agli animali di terra, non si unissero con- writer. Luca è un degno rappresentante della gioventù italiana: pochi sogni, poco entusiasmo, tanta sfrontatezza e, alla fine, si scopre anche tanto buon cuore. Queste due persone - così diverse per età, abitudini, stile di vita - saranno costrette a condividere lo stesso tetto per un lasso di tempo sufficiente a conoscersi a fondo e a ri-conoscersi l’uno nell’altro. La palestra, le strade - e in certo senso anche la scuola - sono luoghi di transito in cui è difficile creare legami seri e profondi. Allora, l’unico modo rimasto, è quello di provare a farlo con le parole: parole di musica, di romanzo e anche parolacce a volte. Bruno cambia abiti e ricomincia a sorridere. Luca si toglie le cuffiette con le canzoni hip-hop per ascoltare parole di poesia del cantore-delinquente. Tina racconta a Bruno la propria esperienza personale. E tutti, apparentemente così distanti, formano una piccola, stramba famiglia. Un film sul senso dell’amicizia, sul coraggio di parlarsi apertamente e, soprattutto, sull’importanza della parola - scritta o parlata - per veicolare opinioni, emozioni e sentimenti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p, 23. (a.m.) tro il nemico comune, l’uomo, il grande corruttore della natura vergine. Forte messaggio ecologico e morale: l’iniziativa individuale non può essere vincente se non accompagnata dalla discussione e dalla logica dell’impresa collettiva. Senza retorica: nemici si trovano all’esterno e all’interno delle acque. Tematica nota, struttura narrativa tradizionale, molta azione, tanta simpatia, e anche la capacità di distinguersi dal cartoon americano. La caratterizzazione dei personaggi è curata, il mondo sommerso non è un paradiso, bensì la sede della catena alimentare, dove regna il dubbio. Il tutto è calato nello scenario orientale, riconoscibile dal paesaggio, dalla cultura che trapela (non è l’iniziativa individuale americana a trionfare), dall’insolita drammaticità che percorre il testo fino a un crescendo poco rossiniano e molto made in Hong Kong del rocambolesco finale. Colori vivaci, tratto aggraziato, è un buon esordio, ricco tematicamente secondo l’aurea regola dell’insegnare giocando. Vedi anche Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 22. (c.d.) DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Una separazione Jodaeiye Nader az Simin Nader, impiegato di banca, e Simin, insegnante, hanno ottenuto il visto per lasciare l’Iran, ma Nader non se la sente di abbandonare il padre malato di Alzheimer. Simin ha perciò deciso di chiedere il divorzio per poter partire con la figlia undicenne Termeh. Nader però non accetta. Il giudice li invita quindi a risolvere privatamente la questione. Simin torna a vivere dalla madre, mentre Termeh rimane con il padre e il nonno. Ad accudire l’anziano è Razieh, giovane donna religiosa, madre di una bambina. Razieh è incinta e, dopo una lite con Nader, viene ricoverata in ospedale, dove abortisce. Razieh e il marito Hodjat incolpano Nader, ma i fatti potrebbero essersi svolti in modo diverso. Tra le due famiglie esplode un duro confronto determinato anche dalle differenze sociali e da opposte visioni della vita. Sono giorni non facili per Termeh, che infine dovrà scegliere con quale genitore vivere… r. e sc. Asghar Farhadi fo. Mahmoud Kalari mont. Hayedeh Safiyari Sattar Oraki int. P. Moadi, L. Hatami, S. Bayat, S. Hosseini, S. Farhadi, A.-A. Shahbazi, B. Karimi or. Iran 2011 distr. Sacher dur. 123’ C on Una separazione Asghar Farhadi conferma di essere in questi anni l’autore più interessante del cinema iraniano. Di film in film ha elaborato una sempre più attenta analisi dei comportamenti e delle relazioni all’interno della società iraniana contemporanea. Una separazione (Orso d’oro al Festival di Berlino 2011) è un film corale che descrive lo sfaldamento di una coppia e le ripercussioni di questa scelta su altri personaggi. Con fluidità di scrittura il regi- Sister Il piccolo Simon (Kacey Mottet Klein) è un genio della sopravvivenza. Vive da solo in un piccolo appartamento nella periferia di una ricca località sciistica svizzera, e per mantenersi ricorre a trucchi ed espedienti illegali. Schiavo di un destino che gli ha riservato una maturazione forzata e precoce, condivide la sua nervosa esistenza di contrabbandiere-bambino con Louise, la sorella. Una ragazza problematica, volubile e inaffidabile, rimpallata da un fidanzato all’altro, incapace di badare a se stessa. Il rapporto tra i due è perciò basato su una gerarchia ribaltata: è il bambino ad accudire la donna, a sostenerla, e non viceversa. Mentre il dramma, in questa vita infelice e senza orizzonte, è sempre in agguato. Ma proprio quando il loro instabile ménage sarà sul punto di incrinarsi irrimediabilmente, arriverà una presa di coscienza tardiva, e forse non del tutto inutile. r. Ursula Meier sc. U. Meier, A. Jaccoud, G. Taurand fo. Agnès Godard mont. Nelly Quettier mus. John Parish int. K.M. Klein, L. Seydoux, M. Compston, G. Anderson, J.-F. Stévenin or. Francia/Svizzera 2012 distr. Teodora Film dur. 100’ È un piccolo grande film quello che la svizzera Ursula Meier ha portato in concorso all’ultimo festival di Berlino, aggiudicandosi l’Orso d’argento. Crudo e, al contempo, tenerissimo. Sister è infatti un dramma di grande compattezza narrativa, caratterizzato da una pudicizia e da un tocco dolce che permette alla regista di sciogliere il tortuoso intrico di sentimenti contrastanti che lega i due protagonisti, senza però che questo sforzo di chiarezza ridimen- sta e sceneggiatore immerge i personaggi in situazioni senza apparente via d’uscita per poi trasportarli, con espedienti impeccabili, dentro altre situazioni senza avere volutamente sciolto i nodi che li legavano alle precedenti. Farhadi crea in tal modo un labirinto nel quale è piacevole perdersi grazie a un lavoro dove sceneggiatura, regia, montaggio si incontrano per determinare, tutti insieme, quel clima di sospensione ovunque presente, come se il film fosse un unico, infinito piano sequenza che i personaggi abitano con tutte le loro energie. Fondamentale è il lavoro con gli attori da parte di un cineasta che dà molta importanza alle prove, partendo da una sceneggiatura dettagliata da seguire con cura, affinché ogni interprete possa comprendere le diverse sfumature del suo personaggio. Farhadi espone dei fatti e non dà giudizi, invita alla riflessione e alla scoperta di una società lontano dai luoghi comuni portando in primo piano argomenti non semplici da affrontare in un paese teocratico come l’Iran: differenze di classe, religione e laicità, depressione come conseguenza della perdita del lavoro, divorzio. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 14 e 15. (g.g.) sioni la complessità di una storia tutt’altro che consolatoria. Anche perché, da un punto di vista estetico, la strada prescelta è quella di un realismo estremo, figlio della lezione dei fratelli Dardenne, con la macchina da presa che registra sguardi, gesti e reazioni, e le suggestive schitarrate di John Parish a fare da collante. Aiutano, poi, gli attori principali. E se Léa Seydoux conferma un talento ombroso e sfaccettato, il piccolo Kacey Mottet Klein è una vera rivelazione: un furetto capace di calamitare attenzione e simpatia, ma anche di incarnare tutta la malinconia di un personaggio costretto a vagare in un quadro di solitudine. La Meier - e lo spettatore con lei - li segue sulle nevi senza opprimerli, indagando tra le pieghe di una quotidianità fatta di piccoli espedienti, rabbie ed effimeri momenti di quiete. Accompagnandoli poi verso un finale aperto, che lascia alla sensibilità di ognuno il compito di intuire se Louise e Simon riusciranno effettivamente a trovare la forza di ritrovarsi. E proseguire insieme. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, pag. 24. (m.le.) numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 31 DAI 16 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 32 Super 8 Estate 1979. In una cittadina dell’Ohio un gruppo di amici appena adolescenti vuole girare un film sugli zombie in super-8. Charles è il regista, Joe, che si occupa di trucco ed effetti speciali, ha perso la mamma quattro mesi prima in un incidente nell’acciaieria in cui lavorava, durante un turno in sostituzione di Jack, padre di Alice, una coetanea di Joe. Alice viene coinvolta nel progetto del film come attrice e tra lei e Joe nasce un amore mal digerito dai rispettivi padri. Mentre i ragazzi girano un notturno, un treno merci deraglia dopo aver speronato un pick-up. I ragazzi rimangono illesi, mentre la macchina da presa continua a girare. Da quel momento il paese è militarizzato. Scompaiono motori, cavi della corrente, elettrodomestici. Il vicesceriffo indaga, mentre i ragazzini rivedendo il girato dell’incidente capiscono che dal treno è fuggita una creatura aliena, che nel sottosuolo sta fabbricando un reattore e ha imprigionato esseri umani tra cui Alice. r. e sc. J.J. Abrams fo. Larry Fong mont. M. Brandon, M.J. Markey mus. Michael Giacchino int. K.Chandler, E. Fanning, J. Courtney, G. Basso, N. Emmerich, R. Eldard or. Usa 2011 distr. Universal dur. 112’ S uper 8 appartiene al cinema degli alieni di terza generazione: quel filone che, dopo le invasioni extra-terrestri di nemici deformi e colonizzatori, metafora della guerra fredda e del pericolo rosso, e dopo l’ipotesi ecumenica di Spielberg, dove due nature si toccano proponendo un dialogo in funzione evolutiva, adesso ribalta la questione trasformando noi in mostri. Distrect 9 e Monsters su tutti smascherano l’ipocrisia borghese delle società opulente, che dopo aver scampato il pericolo di una sup- Take Shelter In una cittadina dell’Ohio, Curtis LaForche conduce una vita tranquilla insieme alla moglie Samantha e alla piccola Hannah: lui è un operaio caposquadra, lei è casalinga e sarta parttime. Nonostante le preoccupazioni economiche per curare e assistere al meglio la bambina, sorda dalla nascita, Curtis e Samantha sembrano vivere felicemente. Ma violenti incubi affliggono le notti di Curtis e la minaccia di un tornado lo ossessiona fino a convincerlo della necessità di ampliare e rendere funzionante un rifugio anti-tornado. Le visioni apocalittiche che assillano Curtis non tardano a creargli problemi anche sul lavoro, fino a causarne il licenziamento. L’uomo decide finalmente di confidarsi con sua moglie: la prescrizione di sonniferi da parte del medico di base allevia parzialmente il problema. Nel corso di una notte scatta l’allarme anti-tornado: Curtis, insieme alla moglie e alla bambina, si dirige nel rifugio… numero 95/96 · settembre-dicembre 2012 r. e sc. Jeff Nichols fo. Adam Stone mont. Parke Gregg mus. David Wingo int. M. Shannon, J. Chastain, T. Stewart, S. Whigham, K. Mixon, N. Randall, R. Kennard, S. Knisley, R. Longstreet, K. Strunk, L.G. Hamilton or. Usa 2011 distr. Movies Inspired dur. 120’ L etteralmente la traduzione del titolo è “mettersi al riparo” ma, forzando un po’ il significato delle parole potrebbe anche alludere a “ripararsi da se stessi”, dalle proprie ossessioni. Ed è quanto si trova a fare il protagonista. posta invasione (rossa), si inventano lager preventivi per creature presunte pericolose. L’alieno di Super 8 è parente dei gamberoni schiavizzati nel Distretto 9 di Johannesburg o dei calamari giganti confinati nel Messico in Monsters. Il mostro umano prevarica e tortura, mentre le creature vorrebbero solo tornare a casa. Abrams riesce ad amalgamare punti di vista differenti, quello dei ragazzi, aperto vivace ludico costruttivo, con quello degli adulti, viziato da preconcetti e distruttivo, con uno stile di regia che passa dal planare piano sui volti dei giovani protagonisti sfiorati da lamelle di luce azzurra, al nervoso inquadrare le smorfie di tensione degli adulti, buoni e cattivi. I padri sono sopraffatti dai dolori sedimentati e rifiutano di ascoltare i figli, anche se custodiscono la verità, soprattutto in tema di relazioni umane; i militari sono figurine a due dimensioni, imbruttiti dalle logiche della guerra permanente, per cui l’infanzia è un luogo lontano e fastidioso. Joe e i suoi amici sono invece l’essenza del processo creativo che permette di rinnovare la realtà, perché non venga divorata dalla paura del cambiamento. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 89, p. 2 e 3. (a.l.) Con Take Shelter, Jeff Nichols, il talentuoso regista dell’Arkansas, si misura coi codici del genere catastrofico, in realtà per scardinarli, spingendosi oltre e realizzando un intenso thriller che indaga sull’interiorità della psiche. Riuscita metafora delle inquietudini quotidiane, la pellicola offre anche una riflessione sulla coppia, sempre più costretta oggi a far fronte a difficoltà e a preoccupazioni materiali che rischiano di minare la sfera affettiva. C’è molta America in questo racconto, che ha per sfondo lo stato dell’Ohio, un’America profonda, di provincia, dove si consumano rituali collettivi, fiere paesane, cene di beneficenza. Co-protagonista della vicenda è il paesaggio naturale, ripreso in tutta la sua bellezza. Una natura potente, minacciosa per la forza che sprigiona attraverso i suoi elementi essenziali, inquietante eppure familiare, “non colpevole”. La narrazione ha una sua circolarità, contiene una tensione che dall’inizio alla fine attanaglia lo spettatore, senza sciogliere alcun interrogativo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, pag. 12-13 (l.c.) DAI 12 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 12 Tomboy Laure, dieci anni, si è appena trasferita in un quartiere periferico di Parigi con la mamma (in attesa di un maschietto) il papà e la sorellina più piccola, Jeanne. È estate, ma l’inizio della scuola è prossimo. Fa la conoscenza di Lisa, una coetanea che la introduce in un gruppo di ragazzini: tutti maschi. Così si inventa un’identità nuova e maschile, presentandosi come Mickäel. Il gioco pare nascondere un desiderio inespresso. Lisa è attratta da Mickäel, mentre i ragazzini lentamente accettano il nuovo amico senza domandarsi nulla: gioca bene a calcio e se la cava anche meglio nelle zuffe. Mickäel, che coinvolge nel suo gioco anche Jeanne, arriva perfino a fabbricare con il pongo un pene da infilare nel costume da bagno durante una scampagnata al lago. Lisa e Mickäel si scambiano un bacio, ormai sono fidanzati. Quando la madre capisce l’inganno, costringe la figlia a calare la maschera. r. e sc. Céline Sciamma fo. Crystel Fournier mont. Julien Lacheray int. Z. Héran, M. Lévana, J. Disson, S. Cattani,... or. Francia 2011 distr. Teodora Film dur. 82’ C éline Sciamma nel precedente Naissance des pieuvres (sua opera prima) aveva raccontato la scoperta del sé e dell’attrazione sessuale “fuori norma” in un contesto decisamente adolescenziale. I corpi femminili tanto in Naissance quanto in Tomboy, ma in maniera più fanciullesca, cercano la grazia del contatto più che l’appagamento sensoriale, lo sguardo complice del primo innamoramento più che l’affermazione consapevole del fare coppia attraverso uno stare insieme progettato. La regista non trucca il suo film con trova- te simboliche o eccessi registici, ma efficacemente aderisce al naturalismo del racconto di un gioco ingenuo, istintivo, addirittura necessario, sicuramente goduto: una sorta di prova tecnica. Il piacere delle attenzioni di Lisa, la curiosità dei primi contatti, l’esplorazione (nella stanza della compagna dove ballano e si truccano) di una femminilità che non sia la sua, valgono la sfida alla verità biologica. Il gioco nelle situazioni di gruppo invece è orchestrato per alzare la tensione, quando pare sempre prossimo lo svelamento: il meccanismo funziona bene e apre al finale in cui si consuma la piccola grande tragedia di Laure, che chiede di cambiare di nuovo casa e che invece è costretta dalla madre a rivelarsi femmina ai compagni, scatenando l’ira e lo sconcerto del gruppo che a quel punto non può che punirla. È un’umiliazione inevitabile, un passaggio obbligato che spinge Laure verso la consapevole problematicità dell’identità sessuale, che esploderà drammaticamente con l’adolescenza. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.90, pp. 12 e 13. (a.l.) War Horse 1914. Albert Narracott vive in Gran Bretagna in una fattoria con la madre Rose e il padre Ted. Un giorno Ted decide di scontrarsi con Mr. Lyons, che gli affitta la terra, acquisendo all’asta un puledro per trenta ghinee, somma del tutto superiore al valore che il quadrupede potrebbe avere come cavallo da tiro. Lyons è pronto al ricatto: se il raccolto non sarà adeguato per pagare l’affitto si prenderà tutto. Albert però decide di addestrare il cavallo, cui ha dato il nome di Joey, e riesce a raggiungere lo scopo. Ma lo scoppio della prima guerra mondiale e le difficili condizioni economiche spingono Ted a vendere Joey all’esercito. Da quel momento il cavallo deve affrontare dure prove per sopravvivere. Fino a quando, in un ospedale da campo, Albert, arruolatosi e rimasto ferito, lo ritrova e lo salva dalla morte. Il cavallo e il suo giovane padrone possono tornare a casa. r. Steven Spielberg sc. L. Hall, R. Curtis, dal rom. omon. di M. Morpurgo fo. Janusz Kaminski mont. Michaler Kahn mus. John Williams int. J. Irvine, P. Mullan, E. Watson, N. Arestrup, D. Thewlis or. Usa 2011 distr. Walt Disney dur. 146’ D opo Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno, e con ancora maggiore convinzione, Steven Spielberg si rivolge al mondo dei ragazzi con War Horse. Approfittando di un romanzo per ragazzi di Michael Morpurgo, il regista ha realizzato un film totalmente old fashion, non rinunciando però ai temi e ai ‘luoghi’ cinematografici che da sempre costituiscono il tessuto connettivo del suo fare cinema. In War Horse lo stile, le musiche e l’ambientazio- ne contribuiscono all’esplicito omaggio che Spielberg offre a quello che è stato il cinema della sua infanzia. Ci sono reminiscenze de Il cucciolo e di Via col vento, senza dimenticare la lezione del Kubrick di Orizzonti di gloria o quella del Milestone di All’Ovest niente di nuovo. Il tutto rivisitato da Spielberg che, grazie alle peripezie del cavallo, può tornare ad affrontare il tema dell’essere umano e del suo ‘sentire’ in una condizione di conflitto armato. È la fine di un’epoca quella che Spielberg ci racconta con le peripezie di questo ‘cavallo da guerra’. In un inferno in cui i corpi volano per ricadere nel fango delle trincee o vengono invasi dai gas resta però intatta, nell’immaginario spielberghiano, la dignità dei veri uomini. Spielberg vuole raccontare al pubblico più giovane per fargli percepire, con misura, la crudeltà delle guerre. Lo fa grazie a un cavallo, un essere vivente trascinato in una tragedia immane ma capace di conservare (così come gli uomini degni di questo nome) la propria dignità. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 6 e 7. (g. za.) numero 95-96 · settembre-dicembre 2012 33 FILM - Tutti i film della stagione La rivista – bimestrale – recensisce dal 1984 tutti i film che escono in Italia nel corso dell’anno sia nel circuito commerciale che in quello off. Per ogni film riporta Cast e Credit completi. È uno strumento indispensabile per chi vuole avere un panorama della produzione cinematografica nazionale e internazionale, una rivista di lavoro per cinefili e studiosi di cinema, un archivio storico unico nel suo genere, utile per gli insegnanti e le bibblioteche. Il costo dell’abbonamento annuo è di Euro 26,00. Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 00165 Roma - Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail:[email protected] SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail:[email protected] Segreteria di redazione Bimestrale di cinema, televisione Anna Fellegara, Cesare Frioni e linguaggi multimediali nella scuola Anno XXVIII, nuova serie, supplemento al n. 95-96 Progetto grafico e impaginazione settembre-dicembre 2012 jessica benucci · www.gramma.it Rivista del Centro Studi Cinematografici Stampa e confezione 00165 Roma, Via Gregorio VII, 6 Tipostampa per conto di Joelle srl Tel. e fax: 06 6382605 Città di Castello (PG) www.cscinema.org · [email protected] ISSN 1126-067X © Centro Studi Cinematografici Un numero euro 6,00 In collaborazione con Centro Studi per Finito di stampare: ottobre 2012 l’Educazione all’Immagine di Milano Direttore responsabile Carlo Tagliabue Direttore Mariolina Gamba Redazione Massimo Causo, Giovanni Desio, Davide Di Giorgio, Elio Girlanda, Flavio Vergerio, Giancarlo Zappoli Aut. Trib. di Bergamo n. 13 del 30 aprile 1999 Alla rivista si collabora solo su invito della redazione Testi e immagini vanno inviati a: [email protected] Abbonamento annuale alla rivista Centro Studi Cinematografici • euro 30,00 conto corrente postale numero 26862003 Ricordiamo che, grazie alla Direttiva Ministeriale n. 70 del 17 giugno 2002, è operativa l’azione di rimborso per le spese di autoaggiornamento degli insegnanti. Tra le spese rimborsabili sono previste anche quelle relative ad abbonamenti a riviste specializzate.