Tutti i film per la scuola - Centro Studi Cinematografici

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Tutti i film per la scuola - Centro Studi Cinematografici
Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXVIII - nuova serie - Periodico bimestrale - Supplemento al n. 95-96 della rivista il Ragazzo Selvaggio
CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI
MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA
95-96
SETTEMBRE-DICEMBRE 2012
Supplemento
Tutti i film per la scuola
SOMMARIO
E D ITO R IALE
01
pagina
Carlo Tagliabue
pagina
13
E ora dove andiamo?
33
T U T T I I F I L M D E L L’A N N O P E R L A S C U O L A
Tomboy
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
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13
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15
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17
18
19
20
21
17 ragazze
ACAB - All Cops Are Bastards / Almanya
La mia famiglia va in Gemania
L’amore che resta - Restless / Un amore
di gioventù
Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento /
L’arte di vincere
The Artist / Attack the Block - Invasione aliena
Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno /
La bella e la bestia, La carica dei 101, Cenerentola,
In copertina:
Il re leone
Il cavaliere oscuro
Carnage / Il castello nel cielo
Il ritorno
Il cavaliere oscuro - Il ritorno/ C’era una volta
in Anatolia
di Christopher Nolan
Cesare deve morire / La chiave di Sara
Usa 2012.
Chronicle / I colori della passione
Cosmopolis / Dark Shadows
Detachment - Il distacco / Diaz
Don’t Clean up this Blood
E ora dove andiamo? / L’estate
di Giacomo
Eva / Il gatto con gli stivali
La guerra è dichiarata / Happy Feet 2
Hugo Cabret / Hunger
Hunger Games / Le Idi di Marzo
L’incredibile storia di Winter
il delfino / Io sono Li
pagina 22
The Iron Lady / J. Edgar
Madagascar
3
John Carter / La kryptonite
Ricercati in Europa
nella borsa
The Lady - L’amore per la libertà /
Leafie La storia di un amore
pagina
6
La carica dei 101
pagina
16
Hugo Cabret
pagina
11
Dark Shadows
Lorax - Il guardiano della foresta /
Madagascar 3 - Ricercati in Europa
23 Maledimiele / Melancholia
24 Midnight in Paris / Miracolo
a Le Havre
25 Molto forte, incredibilmente vicino /
Monsieur Lazhar
26 Paradiso amaro / Il primo uomo
27 Project X - Una festa che spacca /
I Puffi
28 Qualcosa di straordinario /
Quasi amici
29 Real Steel / Romanzo di una strage
30 Scialla! - Stai sereno… / Seafood
Un pesce fuor d’acqua
31 Una separazione / Sister
32 Super 8 / Take Shelter
33 Tomboy / War Horse
22
AUTORI SCHEDE
(f.b.)
(p.c.)
(m.c.)
(l.c.)
(c.d.)
(d.d.g.)
(v.d.r.)
(a.f.)
(m.g.)
(m.gn.)
(g.g.)
(e.g.)
(s.l.)
Filippo Bascialli
Patrizia Canova
Massimo Causo
Luisa Ceretto
Carla Delmiglio
Davide Di Giorgio
Valeria De Rubeis
Anna Fellegara
Mariolina Gamba
Marzia Gandolfi
Giuseppe Gariazzo
Elio Girlanda
Silvana Lazzarino
(m.l.)
(a.l.)
(m.m.)
(m.mo.)
(a.m.)
Massimo Lechi
Alessandro Leone
Minua Manca
Michele Moccia
Alessandra
Montesanto
(g.p.)
Grazia Paganelli
(g.pe.) Giuseppe Perico
(m.p.)
Medina Podestà
(s.s.)
Silvia Savoldelli
(f.v.)
Flavio Vergerio
(c.m.v.) Cecilia M. Voi
(g.za.) Giancarlo Zappoli
EDITORIALE
A N N U A R I O 2 0 12
N
onostante le difficoltà di ordine
finanziario che continuano a
persistere nei confronti di chi opera
nella cultura, abbiamo voluto tener fede anche
quest’anno all’impegno di pubblicare l’Annuario
dei film che possono risultare interessanti per il
mondo della scuola.
Come si può vedere dalle scelte fatte dalla
Redazione, a dispetto di ogni suo detrattore il
cinema resta ancora il mezzo di comunicazione
più adatto a cogliere le istanze che emergono
dagli universi culturali più diversi, creando un
ponte ideale, e sostanziale, tra le cinematografie
mondiali. Se ci si sforzasse di analizzare in
profondità i legami che connettono i film da noi
segnalati, probabilmente si potrebbe cogliere
una trasversalità unificante.
Lasciamo questo compito ai nostri lettori che,
volendolo, possono impegnarsi utilmente a
individuare la sottile linea rossa che fa emergere
alcune linee portanti presenti in molte opere
cinematografiche di tutto il mondo.
Per quanto ci riguarda, realizzando questo
Annuario pensiamo di avere testimoniato ancora
una volta la nostra vocazione a svolgere un
servizio culturale di ampio respiro, soprattutto
nei confronti di chi, nonostante le difficoltà del
presente, continua a credere nell’intrinseca
natura formativa del cinema.
CARLO TAGLIABUE
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
17 ragazze
17 filles
In una cittadina bretone quindici
ragazze dello stesso liceo decidono di
rimanere incinte dopo che Camille,
leader carismatica del gruppo, annuncia
la propria gravidanza, seguita dalla
confessione di prossima maternità di
un’altra coetanea, Florance che, esclusa
inizialmente dalla ristretta cerchia di
amiche di Camille, riesce così a
ritagliarsi un posto.
La gravidanza diventa presto nelle
intenzioni delle ragazze un atto
rivoluzionario e di ribellione agli
adulti; le giovani sono convinte che
sarà l’occasione per maturare e dare
risposta all’educazione dei genitori,
ritenuta ipocrita e fallace.
Nonostante i tentativi della psicologa
scolastica e del corpo docenti di
affiancare le famiglie e di dissuadere le
ragazze dai loro propositi, queste
decidono di portare avanti le rispettive
gravidanze, pensando di poter crescere
insieme i diciassette bambini.
r. e sc. Delphine, Muriel Coulin fo. JeanLouis Vialard mont. Guy Lecorne int. L.
Grinberg, J. Darche, R. Duran, E. Garrel, Y.
Pilartz, S. Rigot, N. Lvovsky, F. Thomassin,
C. Brandt, F. Noaille, A. Verret or. Francia
2011 distr. Teodora dur. 90’
I
l motore del racconto è la storia di Camille. La scelta di tenere il bambino provoca la madre, che la ragazza sente insufficiente, egoista e assente, fraintendendo
i sacrifici di una donna senza marito, caricata di lavoro e responsabilità. Camille
sfida il genitore proponendo un viaggio
verso la libertà di scelta, supponendo di
poterne gestire in autonomia tutte le tappe. Posizione rafforzata dal gruppo che le
fa da megafono, generando un ideale ma-
nifesto per una “futura comune di giovani mamme”. In questo modo le motivazioni personali di Camille si trasformano nel
gioco della rivoluzione dei pancioni, in
barba alle strutture sociali che predeterminano spazi e tempi delle esperienze.
Il mare, la sabbia, il vento della costa diventano il luogo idilliaco di un paradiso
tutto concettuale dove mancano per scelta gli uomini.
La coralità che è in potenza nel film diventa però occasione mancata, perché
inesplorata, soprattutto da metà in poi,
quando le ecografie iniziano a provare la
psiche di molte ragazze. L’idea del feto
che diventa concreta nella macchia pulsante sul monitor pone più domande che
certezze, trasformandosi in spauracchio
nell’immediato futuro. L’ecografia porta
dentro la realtà. Le espressioni delle piccole donne cambiano, le certezze traballano e solo a sprazzi sentiamo che dietro
questa fragilità esistono delle famiglie.
Camille perderà il bambino, le altre rimarranno con dubbi e timori, ma tutto
questo rimane purtroppo fuori dallo
schermo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p.19.(a.l.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
1
DAI 16 ANNI
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
ACAB
All Cops Are Bastards
Cobra, Negro e Mazinga sono tre “celerini
bastardi”: vivono uno dei lavori più
ingrati. Per strada, agli stadi, nelle piazze,
ripuliscono la società dagli ultras, dai
clandestini, dai rom, dagli sfrattati, dai
delinquenti e dalle prostitute. Immersi
nella violenza, protagonisti di episodi di
guerriglia urbana, hanno imparato a
convivere con la diffidenza degli altri
reparti di Polizia e con l’odio della gente.
Oppongono violenza (legalizzata) a
violenza nel culto dell’ordine e della
legge, difendendosi con un forte senso di
gruppo. Nel reparto cercano compenso
da un privato deludente. Mariti
abbandonati, padri cui vengono tolti i
figli, solitudine, vivono per il lavoro.
Una giovane recluta, Adriano
(individualista e ribelle), porterà un
vento nuovo. Mentre gli anziani
troveranno l’unica ragione di esistere
sulla strada, deciderà per sé un futuro
meno “bastardo”, denunciando le azioni
fuori dalla legalità dei compagni.
S
tefano Sollima, figlio d’arte,adatta liberamente il libro inchiesta di Carlo Bonini (Einaudi) e offre un notevole film di
genere, un poliziesco che è uno spaccato di
vita dei reparti di polizia impegnati nell’applicazione, anche violenta, dell’ordine e della legalità. Basato su una storia vera, ACAB è l’acronimo di “All Cops are Bastards” (Tutti i poliziotti sono bastardi), uno
slogan creato dal movimento skinhead inglese degli anni Settanta, diventato poi ri-
Almanya
La mia famiglia
va in Germania
Almanya Willkommen
in Deutschland
10 settembre 1964: la Repubblica Federale
di Germania accoglie il milionesimo
lavoratore immigrato.
Oggi il piccolo Cenk Yilmaz si chiede se sia
tedesco o turco. I compagni turchi non lo
vogliono nella squadra di calcio perché lo
ritengono tedesco, i tedeschi lo respingono
in quanto turco. Per consolarlo, la cugina
gli racconta la storia del nonno Hüseyin,
giunto negli anni Sessanta in Germania
come gastarbeiter (operaio-ospite).
Una sera Hüseyin comunica di voler
tornare nella terra d’origine insieme ai
famigliari. Tutta la famiglia parte per la
Turchia. Nel corso del viaggio, per alcuni
prevalgono i ricordi di un passato che
sembrava sepolto, per altri la nostalgia
per la vita appena abbandonata. Fino al
giorno in cui un evento inatteso muta il
corso dell’ impresa.
2
r. Stefano Sollima sc. Daniele Cesarano,
Barbara Petronio, Leonardo Valenti mont.
Patrizio Marone mus. Mokadelic int. P.F.
Favino, F. Nigro, M. Giallini, A. Sartoretti,
D. Diele, R. Spagnuolo, E. Mastandrea, E.J.
Oberto or. Italia 2012 distr. 01 dur. 112’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Yasermin Samdereli so. e sc. Yasemin
Samdereli, Nesrin Samdereli fo. The Chau
Ngo mont. Andrea Mertens mus. Gerd
Baumann int. V. Erincin, F.O. Yardim, L.
Huser, D. Gül, A. Tezel, D. Moschitto, P.
Schmidt-Schaller, R. Koussouris, A.
Milberg or. Germania 2011 distr. Teodora
dur. 101’
C
ome è noto la nazione che in Europa
ospita il maggior numero di turchi è
proprio la Germania. I dati statistici ci dicono che su 82 milioni di abitanti i turchi costituiscono un’entità di circa un milione e
settecentomila persone legalmente residenti. I problemi legati all’integrazione non
sono sicuramente mancati. Di recente, grazie anche all’opera di Fatih Akin, il cinema
tedesco ha prodotto film che costituiscono
chiamo universale alla guerriglia nelle città, nelle strade, negli stadi.
Il regista segue da vicino tre poliziotti di
vecchia data e una recluta, colleghi e soprattutto “fratelli”, perché nel pericolo puoi
contare solo su di loro. Cameratismo, disciplina, rispetto delle regole, non sempre
in linea con la legge. Un racconto in soggettiva, reso possibile dall’assunzione del
punto di vista del giovane coatto da inserire nella nuova realtà, che permette un
inedito sguardo dall’interno del controverso “reparto mobile”, un mondo pervaso dalla violenza che diventa specchio di
una società malata, governata dall’odio.
Il ritmo forsennato, l’andamento cronachistico vagante tra pubblico e privato dolente dei nostri antieroi, dei perdenti la cui
unica ragione di vita è diventata il lavoro,
innescano una sorta di complicità negli
spettatori... Ma non è, non vuole essere, solo un film di denuncia sociale. È una storia di uomini.
Retorica totalmente assente, stile visivo
asciutto. Il film non cela la violenza, ma
non la esalta. Nessuna forma di giudizio né
per la celere, né per gli “avversari”. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 92, p. 18. (c.d.)
un ponte fra le due culture. Mancava però
la commedia generazionale che grazie all’escamotage della narrazione al piccolo di
famiglia, prende le mosse da come il nonno fosse giunto, emigrante dall’Anatolia,
nella Germania del boom economico.
Si sviluppa così una sorridente alternanza tra un passato di difficoltà e una progressiva crescita operosa. L’idillio prevale
sui contrasti ma l’ironia non manca. Così
come viene descritta con una molteplicità
di sfaccettature la figura del nonno pronto
a integrarsi al suo arrivo ma disinteressato
ad acquisire la nazionalità tedesca caparbiamente voluta e ottenuta invece dalla moglie.
Soprattutto nella parte finale il film (che
invece regge bene il ritorno in Turchia con
acute osservazioni sui pregiudizi) non riesce a sfuggire a un po’ di retorica al glucosio che finisce con il nuocergli più che portargli vantaggi. Questo però non inficia la
resa complessiva di un’opera piacevole
che consente anche ai non esperti di storia e società tedesche di divertirsi e (magari, perché no?) di fare anche produttivi paragoni con situazioni italiche passate e
presenti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 25. (g.za.)
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
L’amore
che resta
Restless
DAI 16 ANNI
Nel corso di un funerale, dove si fingono
parenti della persona defunta, gli
adolescenti Enoch e Annabel si incontrano
per la prima volta. Lentamente, i due
cominciano a frequentarsi in un freddo
autunno americano. Enoch, orfano, vive
con la zia, è introverso e ha come amico
del cuore il fantasma di Hiroshi, che fu
pilota kamikaze durante la seconda
guerra mondiale.
Annabel abita con la madre alcolizzata e
con la sorella maggiore troppo protettiva
nei suoi confronti, ama la natura e
Charles Darwin, ma la sua esistenza è
minata dal cancro. Inizialmente nasconde
il suo stato a Enoch. Nasce un amore
totalizzante, da vivere fino all’ultimo
respiro. Infine confida a Enoch di essere
vicina alla morte e, in ospedale, conoscerà
l’amico immaginario del fidanzato.
Al funerale Enoch affronterà il dolore
rievocando i momenti più belli del loro
rapporto.
r. Gus Van Sant sc. Jason Lew fo. Harris
Savides mont. Elliot Graham mus. Danny
Elfman int. Henry Hopper, Mia
Wasikowska, Kase Ryo or. Usa 2011 distr.
Warner Bros Pictures Italia dur. 95’
L
a morte e personaggi adolescenti ricorrono con nitidezza nell’opera di
Gus Van Sant. E sono in primo piano ne
L’amore che resta, dove l’esplorazione dei
sentimenti e il rapporto dei giovani protagonisti con la vita e la morte, la solitudine,
l’amicizia e l’innamoramento, sono condotti senza orpelli, per sottrazione. Gli
stessi titoli di testa sono linee che affiorano dalle immagini iniziali di paesaggio, di
natura; sono tracce che indicano discrezione, parole scritte sottovoce, in sinto-
Un amore
di gioventù
Un amour de jeunesse
Il film racconta la storia d’amore tra
Camille e Sullivan - 15 e 19 anni - nata in
un’estate e cresciuta con intensità e
passione: un coinvolgimento quasi
esclusivo che poco intercetta altri
personaggi. Alla fine dell’estate Sullivan
decide di partire per il Sudamerica per
fare nuove esperienze senza la ragazza.
Camille vive con molto dolore il distacco:
aspetta le lettere di Sullivan e quando
queste si fanno rare fino a scomparire
entra in una profonda depressione. Ne
uscirà dopo qualche anno anche grazie
alla passione per l’architettura e
all’incontro in Università con un
insegnante con cui inizia una relazione.
Camille e Sullivan si rincontrano e in lei
si ravviva la passione che non l’aveva di
fatto mai lasciata: è pronta a rimettere in
discussione l’equilibrio ritrovato per
tornare con lui. Sullivan ancora una
volta, pur sentendo il profondo legame
che li lega, si allontana.
r. e sc. Mia Hansen-LØve fo. Stéphane
Fontaine mont. Marion Monnier mus.
Vincent Vatoux, Olivier Goinard int. L.
Créton, S. Urzendowsky, M.-H. Brekke, V.
Bonneton, S. Renko, O. Fecht or.
Francia/Germania 2012 distr. Teodora
Spazio Cinema dur. 110’
Q
uasi sempre i film su tematiche come
l’affettività e la sessualità dei giovani
“sfruttano” la forza e il coinvolgimento di
tali storie senza far intravedere la volontà
di capirne le dinamiche. Un amore di gioventù ha il coraggio di esplorare l’affascinante mondo delle emozioni legate all’innamorarsi, i picchi di “pazzia” a cui
può portare l’amore, mettendo al centro
la figura di Camille, privilegiando il lin-
nia con un film costruito su una tensione,
un malessere, una ribellione non rimandabile, che s’insinua ovunque e sempre in
maniera sensibile, essenziale.
L’amore che resta è un lavoro che immerge lo spettatore in un tempo e in uno
spazio sospesi, nel tempo e nei luoghi dove vivono sospesi Enoch (l’esordiente e magnifico Henry Hopper, figlio di Dennis, alla cui memoria il film è dedicato) e Annabel (Mia Wasikowska, una delle migliori giovani attrici di questi anni). È un film di corpi e fantasmi, di silenzi e sguardi, di inquietudini sotterranee che emergono e di dolori indicibili. Un film sul tempo che manca.
Lo sguardo di Van Sant coglie la flagranza di un sorriso, di un volto che si gira, descrive una relazione in maniera mai
retorica o appesantita, anzi lieve nonostante, o proprio perché, destinata a essere vissuta “qui e ora” e presto interrotta. Ma
non dalla memoria. Al funerale di Annabel le immagini si riavvolgono, fino a ritrovare gli sguardi del primo incontro fra lei
e Enoch. Fino all’ultima inquadratura Gus
Van Sant lega in straordinaria sovrimpressione vita e morte, e viceversa. Vedi anche
in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 30. (g.g.)
guaggio degli sguardi e dei gesti anziché
quello delle parole.
Nel film c’è una forte attenzione ai
luoghi, ai colori che esplicitano i vissuti
interiori. Si alternano abitazioni di campagna, immerse in una situazione idilliaca, a elementi che richiamano sensazioni di dubbio e paura.
La natura e le abitazioni del film fanno da cassa di risonanza ai vissuti dei
personaggi anche quando ci si sposta in
città. Camille, con il maestro-compagno
architetto, cammina in una costruzione
decadente che i due devono ristrutturare, come a simboleggiare un passato andato in pezzi da riprendere in mano e
cercar di portare a nuova vita, così come
sta tentando di fare Camille con la propria personalità.
La giovane regista francese del film,
alla sua terza opera, ha il coraggio di
confrontarsi con un tema importante e
coinvolgente. Parte da un vissuto personale dell’adolescenza dal quale - dice
nelle interviste - è riuscita a prendere le
distanze osservandolo in modo maturo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.
94, p. 32. (g.pe.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
3
DAGLI 8 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Arrietty
Il mondo segreto sotto
il pavimento
Karigurashi no Arrietty
DAI 16 ANNI
In attesa di subire una delicata
operazione al cuore, il giovane Sho si
trasferisce in una villa immersa nel verde
alla periferia di Tokio. Nella stessa casa,
sotto il pavimento, vive Arrietty, una
graziosa adolescente alta circa dieci
centimetri che appartiene alla razza dei
prendimprestito. La sua famiglia,
composta dalla madre Homily e dal
padre Pod, vive degli scarti degli umani,
che vengono riutilizzati in modo creativo
nella vita di tutti i giorni.
Durante uno di questi recuperi, però, Sho
scorge Arrietty e tra i due, dopo l’iniziale
diffidenza, si instaura un profondo
legame che va al di là della semplice
amicizia, nonostante il divieto di farsi
vedere dagli umani imposto ad Arrietty
dai genitori.
Quando la famiglia di Arrietty scoprirà
che la loro presenza non è più un segreto
deciderà di abbandonare la casa…
4
r. Hiromasa Yonebayashi so. da “Gli
Sgraffignoli” (The Borrowers) di Mary
Norton sc. Hayao Miyazaki fo. Atsushi
Okui mont. Rie Matsubara mus. Cécile
Corbel or. Giappone 2010 distr. Lucky
Red dur. 94’
U
na nuova eroina esce dal cappello
Ghibli, l’ormai storico studio d’animazione nipponico: in questo caso è
l’uomo a interpretare la parte del gigante cattivo mentre il mondo di Arrietty e
degli gnomi ‘prendimprestito’ è sempre
esistito.
Non ci sono trasformazioni come nelle opere precedenti, ma solo l’avvicinamento di due realtà speculari con modi
opposti di vivere uno stesso contesto.
L’arte di vincere
Moneyball
Nel 2001, al termine del campionato, la
dirigenza della squadra di baseball
degli Athletics di Oakland in California
decide di vendere i suoi tre giocatori
più forti e costringe Billy Beane,
General Manager della squadra, a
sostituirli con un budget ridotto. Billy si
reca a Cleveland in Ohio presso la sede
degli Indians per trattare l’acquisto di
un giocatore. Conosce Peter Brand e,
interessato alle sue teorie circa la scelta
dei giocatori da inserire in una
squadra, lo assume. Peter convince
Billy a selezionare e acquistare i
giocatori secondo calcoli statistici.
Con queste regole i due compongono la
squadra per la nuova stagione; gli
Athletics perdono le prime partite, ma
poi venti vittorie li porteranno ai posti
alti della classifica e a giocare per il
titolo di campioni.
Billy è contattato dalla società dei Red
Sox per un contratto milionario:
rifiuterà e resterà a Oakland.
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Bennett Miller sc. Steven Zaillian,
Aaron Sorkin fo. Pascal Ridao mont.
Christopher Tellefsen mus. Mychael
Danna int. B. Pitt, J. Hill, P.S. Hoffman, R.
Wright, C. Pratt, S. Bishop, B. Jennings, K.
Medlock, T. Blanchard, J. McGee or. Usa
2011 distr. Warner Bros dur. 133’
L’
arte di vincere, tratto dal libro Moneyball. The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis, racconta
una storia ambientata nel mondo dello
sport, quella della squadra di baseball
degli Athletics di Oakland (California) e
del suo General Manager Billy Beane,
interpretato da Brad Pitt.
Bennett Miller realizza un film raccontato con semplicità e senza alcuna
Anche Arrietty, infatti, affronta il tema della diversità e della comunicazione
tra due mondi ma lo fa spostando l’incontro su un piano relazionale e mentale,
sulle capacità di adattamento a un unico
ambiente che viene vissuto prepotentemente o passivamente nel caso dei giganti umani mentre viene temuto e rispettato dagli gnomi. Il mondo dei primi
è visto nell’ottica di un palpabile seppur
celato consumismo in cui le linee d’arredamento vivono dell’opulenza di particolari artigianali ma anche artificiali, l’altro
è decorato dalla natura e governato da
remoti principi di rispetto e riciclo dove
rimane isolata e inadatta la mentalità del
guadagno. La famiglia in miniatura si procura il fabbisogno quotidiano “prendendolo in prestito” dagli umani che abitano
sopra il pavimento.
Insomma, Arrietty inventa - o probabilmente ricorda - un modo di vivere in
cui il valore delle cose è strettamente connaturato all’uso che se ne fa e non al valore simbolico che quello stesso oggetto
può arrivare a raggiungere nel mercato
dei beni di consumo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, pp. 10 e 11. (v.d.r.)
retorica, dedicandosi nella prima parte
a tracciare il ritratto privato di Billy, come nelle brevi sequenze (uno squarcio
sul passato) che lo descrivono come una
giovane promessa del baseball professionistico, o in quelle che lo ritraggono
nel suo rapporto intimo con la figlia adolescente. Queste sequenze sono alternate da Miller al racconto della sua attività di General Manager e alle dinamiche
relazionali legate agli ambienti sportivi.
In questo andirivieni Miller filma soprattutto luoghi chiusi: la casa e l’ufficio di
Billy, la stanza dello stadio dalla quale egli
assiste, attaccato al televisore, alle partite,
lo spogliatoio, finanche l’abitacolo della
sua auto, giungendo gradualmente nella
seconda parte del film a liberare il suo
protagonista dal senso di apprensione che
lo accompagna all’inizio. Intense le sequenze con le immagini di repertorio che
si mescolano ai frammenti di partite giocate sul campo, sono i momenti che raccontano l’ascesa vincente della sua squadra che, dopo le sconfitte iniziali, riuscì a
collezionare una striscia positiva di venti
vittorie. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91. p, 25. (m.mo.)
DAI 12 ANNI
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
The Artist
Hollywoodland, 1927: George Valentin,
star del muto, all’uscita da una trionfale
anteprima di un film d’avventura alla
Fantomas si fa fotografare con
l’ammiratrice Peppy Miller. La foto,
pubblicata in prima pagina su Variety,
provoca la gelosia della moglie Doris. In
seguito Peppy si presenta agli studi di
produzione della Kinograph per un
provino e ottiene una scrittura come
ballerina di fila anche per l’intervento di
Valentin che ne rimane affascinato.
1929: con la crisi economica arriva il
sonoro e, mentre Peppy si afferma come
diva di brillanti commedie “parlate”,
Valentin fallisce sia come attore che
come regista. Vende anche la propria
collezione d’arte, riducendosi in miseria.
Sprofondato in una crisi solipsistica,
dopo aver tentato di bruciare tutti i suoi
film, viene salvato ben due volte dal fido
cagnolino e dall’abbraccio amoroso di
Peppy.
Alla fine la coppia si troverà
accomunata in un musical in cui balla
uno sfrenato numero di tip-tap.
r. e sc. Michel Hazanavicius fo.
Guillaume Schiffman mont. AnneSophie Bion, Michel Hazanavicius mus.
Ludovic Bource int. J. Dujardin, B. Bejo,
J. Goodman, J. Cromwell, P.A. Miller, M.
Pyle, M. McDowell, Uggy or. Francia
2011 distr. Bim dur. 100’
H
azanavicius è sicuramente un accanito cinefilo, ma forse non uno studioso
di cinema. Se, infatti, The Artist è zeppo di
citazioni e allusioni a opere e personaggi
del cinema muto, il film non sembra costituire una riflessione sui codici linguistici e
comunicativi di quella fase storica. Il regista
si serve del cinema muto nei suoi aspetti più
esteriori appiattendo il racconto per immagini a una narrazione lineare e conven-
Attack the Block
Invasione aliena
Attack the Block
Periferia di Londra. Una gang di ragazzi
rapina un’infermiera mentre torna a
casa. Subito dopo, però, un meteorite
cade su un’auto parcheggiata lì vicino e
libera una mostruosa creatura. Moses, il
capo della gang, la affronta e la uccide.
Convinti di aver catturato un alieno e
che la scoperta potrebbe fruttare loro un
po’ di soldi, i ragazzi affidano il corpo a
Hi-Hatz, spacciatore del quartiere,
l’unico in grado di tenerlo al sicuro. Ma
nuove meteoriti arrivano dal cielo,
scatenando nel quartiere un’autentica
legione di alieni capaci di mimetizzarsi
nel buio: sono feroci e agili e solo le zanne
luminose permettono di identificarli.
I ragazzi cercano di proteggere il loro
palazzo, ma ben presto una serie di
equivoci li porta a doversi difendere
anche da Hi-Hatz (che li crede
responsabili di quanto sta accadendo) e a
cercare aiuto in casa di Sam, l’infermiera
che hanno rapinato.
r. e sc. Joe Cornish fo. Thomas Townend
mont. Jonathan Amos mus. Steven
Price, Felix Buxon, Simon Ratcliffe int.
Jodie Whittaker, John Boyega, Alex
Esmail, Leeon Jones, Franz Drameh,
Simon Howard, Jumayn Hunter, Nick
Frost or. Gran Bretagna/Francia 2011
distr. Filmauro dur. 88’
I
n inglese il block è l’isolato suburbano,
quello dove abbonda la microcriminalità e la gioventù si spende fra piccoli furti e rapporti con spacciatori che cercano
di “crescere” le nuove generazioni educandole al culto della criminalità e del
guadagno facile. Per i protagonisti, inoltre,
il block è tutto il loro mondo. Il palazzo da
difendere, secondo una logica tipica del
zionale, nell’accentuazione divertita di facili stereotipi, in cui il montaggio assume per
lo più una funzione cronologica, se non per
segnalare i passaggi temporali. La natura
linguistica “profonda” del cinema muto,
mirante a scoprire i mille aspetti misteriosi della realtà, non viene affatto rivisitata.
Sin troppo ovvio il riferimento a Rodolfo Valentino se il protagonista si chiama
George Valentin. L’ottimo Dujardin mette
tutta la sua energia nel copiare il largo sorriso e l’atletismo di Douglas Fairbanks, la
sottile sensualità di John Gilbert, l’ambiguità dolorosa di Lon Chaney, l’ironia di
William Powell. Dujardin è bravo a dichiarare la propria finzione recitativa, entrando
e uscendo dal personaggio e dai suoi modelli, ma siamo alla pura strizzatina d’occhio
cinefilica più che a una rivisitazione critica
di quei modelli, un gioco divertito più che
una presa di distanza e di reinvenzione.
Quanto alla sceneggiatura The Artist rivisita (e appiattisce) uno dei grandi paradigmi del cinema melodrammatico: la problematica storia d’amore fra un vecchio attore e una giovane attrice, destinata a succedergli nel box office. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 8 e 9. (f.v.)
racconto metropolitano, li identifica e li
unisce, rendendoli parte di una realtà che
essi vivono come se fosse staccata dal resto del mondo. A un livello più ampio l’avventura è quindi una metafora del loro
rapporto con lo spazio, che viene attraversato in tutta la sua ampiezza come a simboleggiare una metaforica “rinascita”.
In particolare il capobanda Moses è
quello che deve compiere un piccolo
percorso di formazione, fino a fare i conti con le proprie azioni e con gli errori che
hanno involontariamente determinato
l’intera invasione. In questo modo il personaggio allarga la prospettiva che lo
aveva sempre portato a vivere unicamente il “blocco” come proprio spazio
personale e capovolge alcuni dei presupposti su cui si basa la sua vita e la dinamica del quartiere.
È come se l’invasione rimettesse le
cose a posto: il gangster Hi-Hatz passa
così da figura ammirata a personaggio
negativo, mentre la povera infermiera
Sam, da vittima delle scorrerie dei ragazzi diventa una loro alleata nella lotta
contro i mostri. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 31. (d.d.g.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
5
DAI 10 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Le avventure di Tintin
Il segreto dell’Unicorno
The Adventures of Tintin:
the Secret of the Unicorn
DAI 6-8 ANNI
Il giovane reporter Tintin acquista il
modellino di un veliero, l’Unicorno, al
mercato; ma un Russo, Sakharine, lo
deruba dell’Unicorno, lo cattura e lo
imbarca su una nave cargo che fa rotta
per il Marocco. Sakharine ha corrotto
l’equipaggio affinché si rivolti contro il
comandante, lo smemorato Capitan
Haddock. Alleatosi con Haddock, Tintin
giunge per primo alla corte dello sceicco
che possiede un altro modello
dell’Unicorno. Il capitano ricorda: il suo
antenato Sir Francis Haddock affondò il
vero Unicorno in seguito all’abbordaggio
da parte dell’avo di Sakharine; ma riuscì
a salvare il tesoro di bordo nascondendo
le coordinate del luogo in tre pergamene
riposte nei modellini. Sakharine intende
rubare il terzo codice! Tintin deve
prevenire il furto per adempiere la
profezia secondo la quale solo l’ultimo
degli Haddock può scoprire il tesoro.
r. Steven Spielberg sc. Steven Moffat,
Edgar Wright, Joe Cornish mont.
Michael Kahn mus. John Williams or.
Usa/Nuova Zelanda/Belgio 2011 distr.
Warner Bros. dur. 107’
C
he cosa, dell’intrepido eroe dal ciuffo
ribelle, ha affascinato fin da piccolo il
futuro regista di Cincinnati? Sicuramente
il gusto della sfida che arriva quasi per caso, le trovate astute, la battuta pronta. Tintin è il capostipite della nuova generazione di eroi a doppia vita, schivi e persino
sfuggenti nel privato, leader indiscussi
una volta gettati nella mischia. Tintin non
si discosta molto da Indiana Jones, accademico discreto che si trova suo malgra-
CLASSICI DISNEY
La bella e la bestia
La giovane Belle si offre prigioniera alla Bestia
che vive nel suo castello in cambio della libertà
del padre. Scoprirà che il mostro è in realtà un
nobile principe vittima di una maledizione, e
imparerà ad apprezzarne il valore.
La carica dei 101
La malvagia Crudelia de Mon vuole realizzare
una pelliccia di cani dalmata: quando non
riesce a comprare i cuccioli di Peggy e Pongo,
ordina ai suoi scagnozzi di rapirli. Cani e
umani devono unire le forze per salvarli.
Cenerentola
Trattata come sguattera da matrigna e
sorellastre, Cenerentola riesce, con l’aiuto di
una fata, a partecipare al ballo del Re e
conquista il principe. Quando l’incantesimo si
spezza, fugge e perde una scarpa di cristallo
che il principe usa per ritrovarla.
Il re leone
La nascita di Simba, figlio di re Mufasa è
accolta con gioia nella savana. Il malvagio zio
Scar, però, riesce ad assumere il potere, facendo
ricadere su Simba la colpa della morte di
Mufasa. Dopo anni di esilio Simba viene messo
di fronte ai suoi doveri di erede al trono e torna
per rovesciare il regno di Scar.
6
do a fare il cowboy, ma anche dall’eterno
Peter Pan di Hook - Capitan Uncino, con
cui condivide il piacere infantile della curiosità anche se porta guai. Le citazioni
dei film precedenti si sprecano e la critica ha colto l’occasione per inneggiare al ritorno di Spielberg alla struttura della fiaba classica.
Le tecniche perfezionate della motion
capture in effetti sono qui interamente al
servizio del racconto, nel quale è facile individuare ogni ruolo tipico: l’eroe, l’antagonista, gli aiutanti. Il tratto semplice e le
coloriture piene di Hergé si perdono, così come i nomi originali francesi tutti anglicizzati, ma si ha in cambio la bella sorpresa di avere un effetto 3D degno di
questo nome, con profondità di campo
e risultati prospettici davvero magici.
Il film costituisce l’occasione giusta
per mostrare come l’animazione non sia
un macro-genere, ma un’etichetta dove
convivono molte anime diverse: in questo caso l’avventura, che finalmente riprende il volo dopo anni bui in cui era
rappresentata solo da sparuti film di cappa e spada. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 33. (c.m.v.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
LA BELLA E LA BESTIA tit. or. Beauty and the
Beast r. Gary Trousdale, Kirk Wise or.
Usa 1991 distr. Disney dur. 87’
LA CARICA DEI 101 tit. or. One Hundred
and One Dalmatians r. Clyde Geronimi,
Hamilton Luske, Wolfgang Reitherman
or. Usa 1961 distr. Disney dur. 76’
CENERENTOLA tit. or. Cinderella r. Clyde
Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton
Luske or. Usa 1950 distr. Disney dur. 71’
IL RE LEONE tit. or. The Lion King r. Roger
Allers, Rob Minkoff or. Usa 1994 distr.
Disney dur. 85’
Q
uattro classici Disney, riproposti nelle
sale in edizione restaurata digitalmente e, nel caso de La bella e la bestia e Il re leone, anche in versione 3D, per testimoniare
il lungo corso della casa americana. Nel descrivere un arco narrativo che va dal 1950 di
Cenerentola agli anni Novanta dei sopracitati La bella e la bestia e Il re leone, il percorso crea una sintesi fra l’originale filiazione
dalle fiabe e la porosità di storie che chiamano in causa anche riferimenti alti come
Shakespeare (la figura di Scar/Re Claudio
dell’Amleto), nonché le filosofie orientali: si
veda ad esempio il tema del “cerchio della
vita”, che rimanda anche al modello “nascosto” di Kimba il leone bianco.
Sebbene l’impressione sia dunque quella di volere, sotto certi aspetti, “modificare”
la storia disneyana, adattandola forzatamente alle esigenze del presente, in realtà
l’operazione descrive una perfetta circolarità che riporta direttamente alla filosofia del
fondatore Walt, sempre interessato a unire
tradizione e progresso e dunque a ripresentare il passato come se fosse la proverbiale “prima volta”. Non a caso le storie reggono bene l’impatto delle nuove tecnologie,
regalando un maggior senso di immersione nelle atmosfere delle varie vicende.
I film sono in distribuzione unicamente in formato digitale (e non in pellicola), per
le sale eventualmente attrezzate. (d.d.g.)
DAI 10 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Carnage
In un misurato appartamento di
Brooklyn due coppie provano a
risolvere uno smisurato accidente.
Zachary e Ethan, i loro figli adolescenti,
si sono confrontati incivilmente nel
parco. Due incisivi rotti dopo, i
rispettivi genitori si incontrano per
appianare i conflitti adolescenziali e
riconciliarne gli animi.
Ricevuti con le migliori intenzioni dai
coniugi Longstreet, genitori della parte
lesa, i Cowan, legale col vizio del
BlackBerry lui, broker finanziario
debole di stomaco lei, corrispondono
proponimenti e gentilezza. Almeno fino
a quando la nausea della signora
Cowan non viene rigettata sui preziosi
libri d’arte della signora Longstreet,
scrittrice di un solo libro, attivista
politica di troppe cause e consorte
imbarazzata di un grossista di
maniglie e sciacquoni.
L’imprevisto ‘dare di stomaco’ sbriglia le
rispettive nature, sospendendo
maschere e buone maniere, innescando
un’esilarante carneficina dialettica.
r. e sc. Roman Polanski fo. Pawel Edelman
mont. Hervé de Luze mus. Alexandre
Desplat, A. Iglesias int. Jodie Foster, Kate
Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly
or. Germania/Francia/Polonia/Spagna
2011 distr. Medusa dur. 79’
T
rasposizione della pièce di Yasmina
Reza, Carnage è un film sulla ‘colpevolezza’ e sulla ‘ragione’ di una classe
sociale che pratica la violenza piuttosto
che rinnegarla. Artefice sublime della
rappresentazione, pronto ancora una
volta a far ristagnare l’inquietudine nello sguardo dello spettatore, il regista apolide firma una commedia da camera a
quattro voci e quattro volti, una ‘carne-
Il castello
nel cielo
Tenku no shiro Rapyuta
La giovane Sheeta scivola dalla sua
aeronave per sfuggire a un attacco di
pirati del cielo. Durante la caduta viene
avvolta da una luce intensa sprigionatasi
dal suo ciondolo, che la fa galleggiare
nell’aria e la fa atterrare dolcemente tra le
braccia di Pazu, un suo coetaneo che vive
da solo. I due fanno amicizia subito e,
nella casa del ragazzo, Sheeta scopre una
foto su cui è inciso un nome: Laputa, un
leggendario castello volante che viaggia
nel cielo nascosto dalle nuvole. Sheeta
confessa quindi di avere un altro nome,
quello di Lucita Ul Laputa, che indica la
sua discendenza dal popolo di Laputa.
Intanto nelle vicinanze del villaggio sono
atterrati i pirati alla ricerca della
bambina caduta dal cielo. Insieme a loro
anche i soldati che la tenevano
prigioniera. Peta decide quindi di aiutare
l’amica a tornare nella sua città e così i
due intraprendono una lunga avventura.
r. e sc. Hayao Miyazaki fo. Hirokata
Takahashi mont. Yoshihiro Kasahara,
Hayao Miyazaki, Takeshi Seyama mus.
Joe Hisaishi or. Giappone 1986 distr.
Lucky Red dur. 124’
C
on Il castello nel cielo, del 1986, Hayao Miyazaki ha costruito per la prima volta un’opera densa, completa,
espressione della migliore avventura.
Laputa è, infatti, una città-ziqqurat
che cela un immenso quanto devastante potere: il segreto della ‘cristallizzazione’ della pietra Levistone, “il fuoco celeste che in passato ha già distrutto le Sodoma e Gomorra del Vecchio Testamento e che ha spazzato via Ramayana, Indora e Atlantide”. In queste parole trovia-
ficina’ borghese che dice del malessere
e scava nelle pulsioni, svelando i mostri
che la ‘rispettabilità’ dell’aspetto e dei
ruoli troppe volte nascondono.
Come La morte e la fanciulla, Carnage si ‘svolge’ a teatro ma non è affatto
teatro. Il teatro, luogo canonico della
rappresentazione e tempio sacro della
finzione, fissa piuttosto i bordi e la cornice dentro cui è incastonata una storia
di ordinaria follia quotidiana, avviata in
esterno e (mai) risolta in interno.
Il cinema fa il resto, muove ispiratissimo un ‘massacro’ e i suoi quattro interpreti in cinquanta metri quadri di spazio,
eludendo ogni rischio di staticità teatrale. Polanski insiste e rilancia, il mondo è
decisamente un posto ostile, pieno di
luoghi oscuri che ci prendono alle spalle costringendoci a rivelarci in tutta la
nostra miseria. Coniugando i tratti più
noti di una poetica che si nutre di paure irrazionali con alcune delle emergenze politiche contemporanee, l’autore ci
rammenta che il male sorge come un
veleno tra le pieghe del contratto sociale e dei luoghi comuni. Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n. 89, pp. 4 e 5. (m.gn.)
mo l’origine dell’antimilitarismo e della
diffidenza verso la tecnologia che il regista giapponese ha affrontato e riproposto in ogni suo film. Il ‘fuoco celeste’ è ovviamente la metafora della bomba atomica, una tragedia indimenticabile per
la memoria nipponica che si affaccia come un incubo ricorrente nelle favole del
Maestro.
Dentro Il castello nel cielo le morti sono reali, gli uomini vengono tramortiti e
gettati via come fossero ‘spazzatura’. Eppure è proprio nel buio che si accende
una luce diversa, quella delle pietre che
hanno una voce sottile e della natura da
cui l’uomo non si può allontanare. Nell’oscurità cresce il seme e il miracolo della vita che conduce al principio primo,
l’en sof, l’albero sacro che tutto abbraccia e tutto cambia. Così l’ombra della
corruzione e la bramosia del potere che
connotano negativamente la tecnologia, piegandola ai propri illeciti scopi,
vengono trasformate nella forza della
speranza che può derivare solo dalla nobiltà di sentimenti quali l’amicizia e
l’amore. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p.31. (v.d.r.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
7
DAI 12 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Il cavaliere oscuro
Il ritorno
The Dark Knight Rises
DAI 16 ANNI
Otto anni dopo la morte di Harvey Dent,
Procuratore Distrettuale deceduto e
ceduto al lato oscuro, Gotham è una città
mondata dal male. Almeno in superficie,
perché sotto i suoi grattacieli cova una
nuova criminalità organizzata da Bane,
un mercenario spietato dietro una
maschera antidolorifica. Mentre il
commissario Gordon fa i conti con la
coscienza e Bruce Wayne non trova un
senso dopo la morte di Rachel e la
‘diserzione’ di Batman, Bane riduce in
bancarotta la Wayne Enterprise e le sottrae
un reattore nucleare convertendo il nucleo
in un letale ordigno atomico. L’emergenza
risveglia il carattere combattivo di Gordon
e Wayne che si confrontano col passato e
provano a risollevare le sorti della città.
Istituita una dittatura proletaria e
imposto un regime di terrore, Bane dovrà
vedersela con un redivivo Batman, una
‘gatta’ ladra, un intraprendente agente e
un commissario ritrovato.
D
entro una Gotham di grattacieli, banche, vetro e metallo, dentro una città
che è New York senza esserlo, si risolve e
conclude la trilogia di Christopher Nolan.
Archiviando il fumetto originale e nutrendosi di immaginario cinematografico, il cavaliere oscuro ritorna e precipita nella grande crisi del Terzo Millennio, rievocazione
della Depressione che lo vide debuttare
nel maggio del 39 per mano di Bob Kane.
Dopo il Batman gotico di Burton e dopo
quello pop di Schumacher, che ne aveva
C’era una volta
in Anatolia
Bir zamanlar Anadolu’da
Siamo in Anatolia. Tre auto percorrono
strade sterrate. All’interno dei veicoli:
due uomini accusati di omicidio, un
poliziotto, un procuratore e un medico.
Uno dei presunti colpevoli deve
condurre gli esponenti della legge sul
luogo in cui si troverebbe il cadavere
della vittima. Ma il criminale si ricorda
poco e, quindi, la ricerca del corpo si
trasforma in un lungo peregrinare tra
le colline della steppa.
Dopo una breve pausa per la cena,
l’assassino piange e la memoria
ritorna. Viene, infatti, ritrovato il
cadavere che, con qualche difficoltà,
deve essere trasferito in città per
l’autopsia. Nello studio del medico
legale, finalmente, termina il percorso:
l’autopsia ha inizio. Uno schizzo di
sangue cela un’ennesima verità negata
mentre un’altra donna e un bambino
aspettano il verdetto.
8
r. Christopher Nolan sc. Christopher
Nolan, Jonathan Nolan fo. Wally Pfister
mont. Lee Smith mus. Hans Zimmer int.
C. Bale, G. Oldman, M. Caine, M.
Freeman, A. Hathaway, T. Hardy,... or.
Usa 2012 distr. Warner dur. 165’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Nuri Bilge Ceylan sc. Ercan Kesal, Ebru
Ceylan, Nuri Bilge Ceylan fo. Gökhan
Tiryaki mont. Bora Göksingöl int. M.
Uzuner, Y. Erdogan, T. Birsel, A.M. Taylan, F.
Tanis, E. Kesal, C. Demirci, E. Eraslan, N.
Okutucu or. Turchia/ Bosnia-Erzegovina
2011 distr. Parthénos dur. 157’
I
l titolo dell’ultimo e sesto film del regista
turco Nuri Bilge Ceylan riporta al capolavoro di Sergio Leone (forse per un omaggio e un collegamento al tema della nostalgia per un Passato che non può tornare)
oppure serve a collocare la storia in uno
spazio-tempo propri della dimensione favolistica. Il silenzio che avvolge l’atmosfera, la regia e il sonoro, infatti, fanno di questo film un romanzo visuale che ha il sapore dell’epica.
sancito il declino, servivano nuove condizioni perché l’eroe mascherato tornasse
sullo schermo. Forse per questo il primo
episodio della serie titola(va) Batman Begins, riazzerando il personaggio, come se al
cinema non avesse mai avuto un passato,
e avviando una continuità nuova e autoriale. Continuità che si risolve rilanciando attraverso il detective-orfano di Joseph Gordon-Levitt. Fresco guardiano dell’ordine
civile, erede ideale di Batman/Wayne con
cui condivide lutti e fantasmi infantili.
In un décor urbano verosimile e declinato al presente (politico) agisce di nuovo il cavaliere oscuro di Bale, alle prese questa volta con un villain ‘robusto’ prossimo a Robespierre e pronto a ‘prendere’ Bastiglia e Borsa di New York. Se nel capitolo precedente
(Il cavaliere oscuro) Joker teorizzava e seminava il caos, Bane lo eleva a sistema, spegnendo i lumi della ragione e riaccendendo lo spirito combattivo del suo antagonista, che risalirà la vertigine che produsse
l’eroe e che adesso fa l’uomo. Un uomo da
coniugare con una lady recuperata al dark,
un borghese in ritiro nella luce orizzontale di Firenze. Ormai immune al passato e alla cupezza verticale di Gotham. (m.gn.)
I caratteri simbolici ci sono tutti: ogni
personaggio è una “maschera” culturale e sociale. Gli uomini sono cittadini di
una società in frantumi e piena di contraddizioni ma sono anche i rappresentanti di un’umanità dolente che si interroga sul significato della vita e che ha
paura di guardare in faccia la morte. È
una società in fondo ancora patriarcale
e arcaica, in cui gli uomini fanno fatica
ad accettare il loro ruolo, magari un ruolo nuovo, soprattutto nel privato. Finché sono trincerati dietro a una divisa o
a una professione si sentono forti e sicuri ma, smessi quei panni, diventano confusi e inadeguati.
Le donne compaiono poco, ma la loro
presenza è fondamentale. Quando il gruppo si ferma per rifocillarsi, la fioca luce di
una candela illumina il bel volto della figlia del sindaco del villaggio: il suo viso è
la Grazia, la pace possibile.
Una donna, però, si è tolta la vita e il suicidio è un modo di far sentire in colpa chi
resta. E proprio la colpa è uno dei temi
principali del film come il tema dell’amore tradito, trascurato, sciupato. Vedi anche
in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 30. (a.m.)
DAI 16 ANNI
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Cesare
deve morire
Il film si apre sull’ultimo atto della
rappresentazione del Giulio Cesare di
Shakespeare, messa in scena nel teatro
del carcere romano di Rebibbia dalla
compagnia del Laboratorio Teatrale
condotto tra quelle mura da Fabio
Cavalli. Il pubblico torna a casa mentre
gli attori/detenuti tornano nelle loro
celle.
Tutto ha avuto inizio sei mesi prima e
il film ne ripercorre le fasi:
assegnazione dei ruoli e prove.
Gli attori provano nei luoghi della
prigione, poi tornano in cella e si
confrontano con le loro paure, le
amarezze, i ricordi. Il loro vissuto
personale interroga il dramma dei
personaggi che stanno interpretando.
Infine si va in scena, con successo, e poi
si torna in quella cella che “da quando
ho conosciuto l’arte, è diventata una
prigione”.
r. Paolo e Vittorio Taviani sc. P. e V. Taviani,
F. Cavalli, ispirato a “Giulio Cesare” di W.
Shakespeare fo. S. Zampagni mont. R.
Perpignani mus. G. Taviani, C. Trivia int. C.
Rega, S. Striano, G. Arcuri, A. Frasca, J. D.
Bonetti, V. Parrella, R. Majorana, V. Gallo,...
or. Italia 2012 distr. Sacher dur. 76’
“D
a quando ho conosciuto l’arte,
questa cella è diventata una prigione”: nella sua potenza didascalica, la
battuta finale recitata dall’attore detenuto
Cosimo Rega, prima di rientrare in cella,
racchiude non tanto il senso del film, quanto il suo dissenso. È in questa disarmonia
con la retorica dell’arte che libera lo spirito, giustamente cara al portato sociale degli operatori culturali, che il film dei Taviani dichiara la sua più profonda libertà, l’intento di lavorare non su figure retoriche
La chiave di Sara
Elle s’appelait Sarah
Julia Jarmond, giornalista newyorkese,
vive con il marito a Parigi e sta
conducendo un’inchiesta sui tragici
fatti del Velodromo d’Inverno, dove la
polizia francese rinchiuse per giorni in
condizioni disumane migliaia di ebrei
in attesa di inviarli ai campi di
sterminio nazisti.
Lavorando alla ricostruzione degli
avvenimenti, Julia si imbatte nella
storia di Sara Starzynski, una bambina
ebrea polacca che venne arrestata con i
genitori. Il giorno in cui la polizia
irruppe nella casa, la piccola rinchiuse
il fratellino Michel in un armadio,
portandosi via la chiave.
Dopo più di sessant’anni le storie delle
due donne si intrecciano e si collegano.
Quando il marito chiede alla moglie di
trasferirsi nell’appartamento dei suoi
genitori, ella scopre che quell’alloggio
era appartenuto alla famiglia
Starzynski nel periodo del
rastrellamento.
r. Gilles Paquet-Brenner sc. Gilles
Paquet-Brenner, S. Joncour fo. Pascal
Ridao mont. Hervé Schineid mus. Max
Richter int. K.S. Thomas, M. Mayance, N.
Arestrup, F. Pierrot, M. Duchaussoy, D.
Frot, G. Casadeus, A. Quinn, N.
Mashkevich, A. Bajrakatai or. Francia
2010 distr. Lucky Red dur. 111’
T
ratto dall’omonimo romanzo di Tatiana De Rosnay, il film intreccia le vicende di due donne tra Storia e memoria. Il regista Gilles Paquet-Brenner si volge al passato osservando con lucidità una realtà violenta e tragica. Emerge un sorprendente
ritratto della Francia in mano ai tedeschi e
in completa devozione a Hitler, mentre il resto della popolazione, la “zona grigia”, cer-
che illudono se stesse nel gioco dell’arte,
ma su persone che trovano nell’arte lo
specchio in cui riflettere se stesse nella loro più complessa realtà.
Cesare deve morire non esce mai di prigione, in senso reale e metaforico: le prove e lo spettacolo si svolgono a Rebibbia; la
dinamica drammaturgica è tutta chiusa
nel dramma personale dei detenuti/protagonisti. È sul loro personale confronto con
il testo di Shakespeare che si costruisce
l’intero lavoro. Non bisogna lasciarsi sviare dalla forma in presa diretta: solo apparentemente il film è resoconto di un’esperienza laboratoriale; al contrario, i Taviani
hanno lavorato sullo spiazzamento strutturale, sullo slargamento delle dinamiche
di messinscena, sull’elaborazione di una
trasversalità tra i livelli rappresentativi posti in essere. Cesare deve morire si muove tra
le linee d’ombra delle sbarre, rivelando la
natura atavica di architetture del potere
che innalzano muri, allungano corridoi
nel buio delle coscienze, serrano nelle celle la solitudine delle scelte operate nel bene e nel male dagli individui di oggi come
da quelli di ieri. Vedi anche in Il Ragazzo
Selvaggio n. 92, pp.10 e 11. (m.c.)
ca di sopravvivere, spesso (in)consapevole o connivente con il nemico. E la “banalità del male” trapela e (ri)compare anche
nelle persone ignare o indifferenti. L’affermazione di Julia Jarmond “A volte una verità che appartiene al passato comporta
un prezzo da pagare nel presente” racchiude il significato profondo del film: il dramma storico, il cuore della trama, si fonde
con i dilemmi esistenziali della giornalista.
Kristin Scott Thomas (Julia) e Mélusine
Mayance (Sara) con una interpretazione
intensa conducono lo spettatore nelle ombre di uno dei momenti più oscuri del Novecento, già esplorato da Roseline Bosch in
La rafle e da Joseph Losey nel finale di Mr
Klein. Un fil rouge lega qui le protagoniste
che percorrono la strada della “sopravvivenza”. I due punti di vista scorrono su binari tematici e temporali paralleli, differenziati dalla fotografia: asciutta e fredda quella degli avvenimenti contemporanei, seppiata e più intimistica quella del passato.
Il racconto, attraverso un continuo alternarsi di flashback e flashforward, risulta efficace, anche se nella seconda parte eccede nel sentimentalismo.Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n 91, p. 24. (m.m.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
9
DAI 16 ANNI
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Chronicle
Gli adolescenti Andrew, Matt e Steve
conducono una vita normale tra
scuola, amici e situazioni familiari
spesso problematiche.
Andrew vive con il padre, sempre
ubriaco, e la madre, gravemente
ammalata. È introverso e ha come
compagna inseparabile una
videocamera costantemente accesa per
documentare ogni istante delle sue
giornate. Matt, cugino di Andrew, è un
ragazzo cinico e saputello. Steve è lo
studente più popolare, l’atleta più
bravo ed entra nella vita di Andrew
aiutandolo a diventare più sicuro di sé.
Una notte, in un bosco i tre amici
trovano un buco e vengono in contatto
con un’entità aliena. Quell’incontro
dota i ragazzi di poteri speciali:
possono muovere gli oggetti con il
pensiero, scaraventare in aria
automobili, volare… In un crescendo
sempre più drammatico Steve e
Andrew, abusando dei super poteri,
periranno. Solo Matt si salverà
iniziando una nuova vita in Tibet.
Q
uella di Chronicle è una fantascienza
senza alieni, ambientata in una Terra per nulla devastata da cataclismi o attacchi di astronavi, dove i super poteri casualmente acquisiti non rendono i personaggi dei super eroi, anzi, dopo un’euforia iniziale, li pongono ancora più fragili di fronte alle quotidiane avversità. L’elemento che scatena il cambiamento nei
tre adolescenti entra nelle inquadrature,
si fa spazio in esse con un tono naturale,
I colori
della passione
The Mill and the Cross
In una delle sale del Kunsthistorisches
Museum di Vienna è conservato Salita al
Calvario, l’olio su tavola più grande di
Pieter Bruegel il Vecchio. Dipinto nel
1564, ritrae la parte centrale della
passione di Cristo.
L’idea del regista è quella di animare i
numerosi personaggi presenti nel
quadro e di far rivivere i momenti
cruciali delle loro vite che portarono alla
genesi della composizione così come noi
ancora oggi la vediamo. La dominazione
spagnola delle Fiandre, voluta da
Filippo II, porta con sé l’ombra
dell’Inquisizione che condanna e uccide
nei modi più barbari uomini e donne,
accusati di stregoneria e di eresia. Il
Cristo, nell’interpretazione del regista, è
paragonato a Martin Lutero: come
rinnovatore della Chiesa e Maestro è
messo a morte per il suo scomodo
messaggio di libertà e fratellanza. Così lo
descrive e lo ricorda sua madre Maria.
10
r. Josh Trank sc. Max Landis fo.
Matthew Jensen mont. Elliot Greenberg
mus. Andrea von Foerster int. Dane
DeHaan, Alex Russell, Michael B. Jordan,
Michael Kelly, Ashley Hinshaw or. Usa
2012, distr. Fox dur. 84’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Lech Majewski sc. Lech Majewski,
Michael Francis Gibson fo. Lech
Majewski, Adam Sikora mus. Jozef
Skrzek scen. Stanislaw Porczyk int.
Rutger Hauer, Charlotte Rampling,
Michael York or. Svezia/Polonia 2011
distr. CG Home Video dur. 97’
I
colori della passione, girato dall’artista
polacco Lech Majewski, ripropone una
lettura dettagliata dei simboli e dei personaggi che compaiono in Salita al Calvario
di Bruegel il Vecchio (1525/1530 - 1569), così come li ha analizzati in un saggio il critico americano Michael F. Gibson. Majewski tenta di uscire dalla staticità del museo
e di scorgere palpiti e vibrazioni dietro i volti e i corpi immobili delle figure. Una vera
che non stravolge (se non verso la fine) lo
stile di un’opera ben radicata nella definizione estetica che la caratterizza. Vale a dire l’adesione a quel “genere”, di moda e
con recenti antenati di culto (come The
Blair Witch Project), realizzato in soggettiva come fosse un falso documentario,
un vero film amatoriale.
La videocamera che Andrew utilizza, e
dietro la quale si nasconde per buona parte del film, produce già un senso di vertigine, di malessere (si pensi alle scene di
violenza fra Andrew e il padre o a quelle di
tenerezza fra il ragazzo e la madre), di
sbandamento che assorbe in buona parte la futura presenza delle capacità telecinetiche infiltratesi nella vita dei tre amici.
La fantascienza e il ricorso alla soggettiva
da film amatoriale servono al ventisettenne esordiente Josh Trank per realizzare
(con lo sceneggiatore Max Landis, figlio di
John Landis) una riflessione sul cinema
(sulle potenzialità del cinema di filmarsi
da sé, di auto-prodursi senza più la necessità di un occhio umano che osserva), sulle relazioni sociali e familiari, sugli ostacoli da affrontare per trovare la propria identità verso la vita adulta. (g.g.)
e propria messa in scena attoriale, con il ricorso frequente al frame-stop per segnalare il confine tra passato e presente, tra storia e attualità; la colonna audio usa invece i rumori d’ambiente, come lo schioccare del meccanismo del mulino a vento, come promemoria di un’epoca in cui la vita
campestre era segnata da precisi richiami
sonori. Si sale poi a un livello più alto di interpretazione dell’opera, quella filosofica,
il cui messaggio viene affidato alle parole
di Bruegel. Il nucleo della riflessione pittorica è il Cristo che, pur occupando il punto di convergenza delle linee del quadro, è
nascosto dalla sua stessa croce. L’ascesa al
Calvario si svolge tra l’indifferenza generale, solo impercettibilmente scossa dal dolore di Maria e dallo sguardo attonito di
Bruegel che si ritrasse qui in abiti bianchi.
Lo sforzo di Majewski è da lodare, soprattutto per il coraggio che dimostra nello sfidare le leggi dell’intrattenimento e
del ritmo, e in questa sede merita una segnalazione positiva per la sua speciale utilità didattica: se usato con saggezza questo è un prodotto di valore anche per i ragazzi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.
93, p. 28. (c.m.v.)
DAI 14 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Cosmopolis
Eric Packer, ventottenne
ultramiliardario, è tuttavia deciso a
farsi tagliare i capelli dal barbiere dove
andava da bambino, nel vecchio
quartiere dall’altra parte della città.
Inizia così, contro tutte le
raccomandazioni delle guardie del
corpo, un lungo viaggio dentro la città
a bordo di una limousine bianca,
attrezzata con tutti i comfort, una sorta
di ufficio mobile dove può incontrare i
suoi collaboratori.
Mentre l’auto procede con lentezza a
causa del traffico, di un corteo, di una
manifestazione violenta o del funerale
di un rapper, Eric discute della
sicurezza del suo sistema informatico
con Shiner, degli investimenti con
l’analista valutario Michael Chin, di
opere d’arte con Didi Fancher, di
filosofia con Vija Kinski, facendosi fare
la visita medica quotidiana e
imbattendosi quasi per caso nella
moglie Elise. Nel frattempo, porta
avanti con ostinazione una folle
scommessa finanziaria contro lo yuan.
r. e sc. David Cronenberg fo. Peter
Suschitzky mont. Ronald Sanders mus.
Howard Shore int. R. Pattinson, J.
Binoche, S. Gadon, M. Amalric, J.
Baruchel, K. Durand, K’naan, E.
Hampshire, S. Morton, P. Giamatti or.
Canada/Francia 2012 distr. 01 dur. 108’
S
ono bastati solo sei giorni a David
Cronenberg per scrivere la sceneggiatura di Cosmopolis, il film tratto dal romanzo omonimo di Don DeLillo, uscito
nel 2003 e divenuto subito opera controversa e preveggente nel mettere in rilievo tutte insieme le contraddizioni della
nuova economia globale.
Dark Shadows
Rampollo di una ricca famiglia di
emigrati inglesi in Maine, Barnabas
Collins vive sulle spalle dell’impero
economico legato alla pesca, costruito
dal padre dopo lo sbarco nel 1750 nella
cittadina di Collinsport. Barnabas ha
fama di playboy fino a quando
s’innamora di Josette, spezzando il cuore
di Angelique Bouchard, che lo aveva
servito e adorato. Angelique, che in realtà
è una strega, si vendica trasformandolo
in vampiro e seppellendolo vivo.
Risvegliato casualmente nel 1972,
Barnabas scopre che il maniero è andato
in rovina, come l’attività di famiglia, per
colpa di Angie, trasformatasi in
imprenditrice e per nulla invecchiata.
Mentre l’intera cittadina vive alle sue
dipendenze, i discendenti di Barnabas
hanno perso lustro, pur occupando
ancora la vecchia casa. Barnabas si
imbatte in un presente che non gli
appartiene, ma soprattutto nella perfida
Angie, con cui ingaggerà uno scontro
fino all’ultimo sangue, aiutato anche dai
figli di Elizabeth.
r. Tim Burton sc. Seth Grahame Smith fo.
Bruno Delbonnel mont. Chris Lebenzon
mus. Danny Elfman int. J. Depp, M.
Pfeiffer, H.B. Carter, E. Green, J.E. Haley, J.L.
Miller or. Usa 2012 distr. Warner dur. 140’
L
a bizzarra serie televisiva creata da Dan
Curtis sembrava giacere negli archivi
della memoria in attesa di Tim Burton. I
mostri di Dark Shadows pur avendo parenti antichi e leggendari – tra tutti Dracula e
l’Uomo Lupo – scintillano del restyling “made in Tim Burton”, così barocco e kitsch,
colorato e tetro al tempo stesso, come l’oltretomba de La sposa cadavere.
Quella che fu la dimora di Barnabas
adesso nasconde spazi che si accendono,
squarciati dagli anni Sessanta e dalle mode hippies che marchieranno anche il de-
Coerente è la scelta di concentrare
l’azione di Cosmopolis all’interno di una
limousine, perché questo spazio rappresenta il microcosmo claustrofobico in cui
il protagonista trascorre quasi tutto il suo
tempo, luogo ideale dell’astrazione assoluta dove tutto può accadere e dove i pensieri e i gesti vengono esaminati con cura
maniacale e, alla fine, privati di ogni contatto con l’esterno. Il tempo si ferma in
questo abitacolo allungato e arredato come fosse un ufficio e un salotto.
La città è invasa da molte folle in questo giorno di aprile del 2000, se ne vedono le ombre dai finestrini, sagome talvolta senza voce e senza volto capaci di trasformare la normalità in iperbole.
Eccitazione e rabbia, topi, danzatori
sufi, pasticceri terroristi. Cronenberg
spinge sul pedale dell’astrazione, appunto, e inquadra i dialoghi (tratti con
assoluta fedeltà da DeLillo) in una sorta
di fermo immagine ideale, costretti all’immobilità da quel cortocircuito in cui
si è arenata la realtà, tra spinte controllate verso il futuro e questo presente drogato dalla finzione. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 10 e 11. (g.p.)
cennio forse meno favoloso dei seventies.
Burton ci sguazza e gode dei contrasti, di
mostri adattati alla modernità, o nascosti
sapendo di essere fuori tempo massimo, ormai consegnati a leggende e miti.
È il 1972 della rivoluzione del corpo liberato. Barnabas scopre i figli dei fiori capelloni, la musica di Alice Cooper, che si esibisce in un Happening-party in villa con un
“bestiario” che da solo vale il film; e scopre
pure i cartoni animati di Scooby-Doo, definito una deprimente forma di teatro!
La vena ironica di Burton fa la differenza come al solito. In questo contesto Barnabas è un oggetto estraneo (e tutto sommato fino alla fine non riesce a funzionare), costretto ad arrendersi per la seconda volta alla megera Angie, fino a quando non scopre
la famiglia, non in quanto vessillo da sventolare, ma come ultimo baluardo ancora
credibile da contrapporre al modello sociale che vede predominare l’individuo sul
collettivo, nell’esaltazione del successo economico, dell’esercizio del potere, dell’arrogante imposizione del sé, nella convinzione che anche l’amore possa essere un oggetto da possedere a qualsiasi costo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggion. 94, p. 8 e 9. (a.l.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
11
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Detachment
Il distacco
Detachment
DAI 16 ANNI
Henry Barthes è un uomo solitario la cui
vita è segnata da un episodio drammatico
risalente all’infanzia. Di professione fa
l’insegnante di letteratura. In veste di
supplente, dovrà occuparsi di una classe
di una degradata scuola pubblica di
periferia. Fin dal primo giorno di lavoro
incontra colleghi disillusi e ragazzi che
non nutrono nessuna speranza per il loro
presente e futuro. Con stile poco
accademico, Henry cerca di coinvolgere gli
studenti e di appassionarli allo studio
come alle relazioni dentro e fuori
l’istituzione scolastica.
Contemporaneamente, Henry incontra
Erica, prostituta adolescente che accoglie
nella sua abitazione. Fra gli studenti è con
Meredith, ragazza sensibile appassionata
di fotografia, denigrata dai compagni per
la sua obesità e maltrattata dal padre, che
Henry instaura un rapporto speciale. Ma
Meredith non riuscirà a salvarsi dai
propri disagi e si suiciderà.
I
n Italia il nome di Tony Kaye è associato al suo lungometraggio d’esordio American History X del 1998, dramma sul razzismo realizzato con stile non convenzionale. Dopo alcuni lavori inediti sul mercato italiano, tra i quali il documentario auto-finanziato Lake of Fire, sull’aborto negli Stati Uniti, il sessantenne cineasta londinese ha diretto un altro film di finzione
fuori dagli schemi, coraggioso negli intenti, ma deludente nel risultato: Deta-
Diaz
Don’t Clean
up this Blood
20 luglio 2001, alla redazione della
Gazzetta di Bologna arriva la notizia
della morte di Carlo Giuliani. Uno dei
giornalisti, Luca, parte per Genova.
Incrocerà Alma, anarchica tedesca; Marco,
un organizzatore del Genoa Social Forum;
Nick, manager che si interessa di
economia solidale; Anselmo, vecchio
militante della CGIL che ha preso parte ai
cortei contro il G8. La sera si ritrovano nel
complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del
Genoa Social Forum, adibito a
dormitorio. Con il pretesto di dover
scovare agitatori e armi, centinaia di
poliziotti irrompono nell’edificio.
Mentre Etienne e Cecile, due anarchici
francesi protagonisti delle devastazioni di
quei giorni, si rifugiano in un bar, il VII
nucleo del I reparto mobile di Roma e gli
agenti della Digos fanno un massacro tra
gli ospiti inermi.
Nella caserma di Bolzaneto l’incubo
continua.
12
r. Tony Kaye sc. Carl Lund fo. Tony Kaye
mont. Barry Alexander Brown, Geoffrey
Richman, Michelle Botticelli mus. The
Newton Brothers int. A. Brody, S. Gayle,
C. Hendricks, J. Caan, L. Liu, T.B. Nelson,
M.G. Harden or. Usa 2011 distr. Officine
Ubu dur. 97’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Daniele Vicari sc. Daniele Vicari, Laura
Paolucci fo. Gherardo Gossi mont. Benni
Atria mus. Teho Teardo int. E. Germano,
C. Santamaria, J. Ulrich, D. Jacopini, F.
Rongione, R. Scarpa or. Italia/Francia/
Romania 2012 distr. Fandango dur. 120’
N
ei film catastrofici una corale di personaggi interagisce verso l’appuntamento con l’evento drammatico, mettendo a nudo aspetti psicologici più o meno
funzionali al racconto. In Diaz Vicari ingaggia attori di mestiere con il compito di
portare lo spettatore al centro del massacro, sapendo di non poter contare su intrecci complicati, giusto il tempo di mettere a fuoco alcuni caratteri, che inevitabilmente finiscono per farsi testimonianza figurata di categorie specifiche di persone: Luca, il giornalista, Alma, l’anarchi-
chment. Coraggioso perché affronta tematiche ben note alla storia del cinema come il degrado della scuola, la violenza
dei rapporti familiari e la prostituzione
giovanile - con uno sguardo personale debitore della sua esperienza di pittore e autore di numerosi video musicali. Deludente in quanto il ritratto di una società
marginale, giovanile e non solo, è caricato di troppi segni simbolici, frammentato
in una moltitudine di schegge da un montaggio a effetto come a effetto sono le scelte formali “provocatorie”.
Ricorrendo anche a inserti d’animazione e a finte interviste, all’uso del colore e
del bianconero, a citazioni esplicite come
nel caso de La caduta della casa degli Usher
di Edgar Allan Poe (con Henry che alla fine del film legge un brano di quel famoso
racconto), Detachment è un viaggio cupo
e al tempo stesso consolatorio dove gli interpreti giovani (Sami Gayle e l’esordiente Betty Kaye, figlia del regista, rispettivamente nel ruolo di Erica e Meredith) sono
più convincenti di quelli adulti e famosi (da
Adrien Brody nei panni del protagonista a
un quasi irriconoscibile James Caan in cameo come collega di Henry). (g.g.)
ca, Anselmo, l’anziano sindacalista, Etienne, un Black Block che si rifugia in un bar
e non prende nemmeno una legnata.
Le storie individuali si mescolano presto con la grande Storia del G8, in una
convergenza esaltata dalla frammentazione temporale e la molteplicità dei punti di
vista. La catastrofe del Titanic-Diaz è la
cronaca di un conto alla rovescia verso
l’esplosione nel momento in cui tutte le
pedine sono al loro posto: i manifestanti
rimasti dopo i cortei che si preparano alla notte di sonno prima delle ripartenze,
le forze dell’ordine alterate da due giorni
di scontri e caricate unicamente per distruggere. La Diaz affonda nelle tenebre. Il
mostro si scatena: i manganelli arrivano a
disintegrare computer, archivi, a spezzare ossa. È il preludio alle umiliazioni (e pare Salò): in infermeria Alma viene spogliata e derisa sotto gli occhi di uomini e donne in divisa. Le ecchimosi impressionano
davvero, lei piange e il medico rotea il
manganello come fosse un pene, greve e
scurrile. La parziale verità dei Tg è il preludio alla legittimazione di un’incomprensibile violenza di stato. Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 6 e 7. (a.l.)
DAI 16 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
E ora dove andiamo?
Et maintenant on va où?
Un gruppo di donne procede a passo
cadenzato, battendosi una mano sul
petto. Sono madri, figlie, sorelle e mogli di
chi non c’è più. Si tratta, infatti, di uno
strano corteo funebre. Una stradina
polverosa, in mezzo al deserto, separa il
cimitero in due parti: una parte per i
loculi cristiani e l’altra per quelli
musulmani. Siamo tra le montagne del
Libano. A causa di un bombardamento il
villaggio è rimasto isolato dal resto del
Paese, ma gli abitanti mantengono una
discreta armonia, nonostante le differenze
religiose e culturali.
L’isolamento e la pace vengono un giorno
squarciati dall’arrivo di un televisore: agli
uomini nel villaggio basta poco per essere
condizionati dagli eventi e dalla violenza
del mondo esterno. Per evitare questo le
donne mettono in atto alcuni
stratagemmi. Ma un ragazzo di fede
cattolica verrà ucciso e saranno sempre e
solo le donne a riaffermare il senso
profondo della vita, a superare i
pregiudizi.
r. Nadine Labaki so. e sc. N. Labaki, J.
Hojeily, R. El-Haddad, T. Bidegain fo. C.
Offenstein mont. V. Lange mus. Khaled
Mouzanar int. N. Labaki, C.B. Moussawbaa,
L. Hakim, Y. Maalouf, A. El-Noufaily, P.
Saghbini, A. Haidar, K. Abboud, M. Al
Sakka, S. Kawzally or. Francia/Libano/
Italia/ Egitto 2011 distr. Eagle dur. 100’
N
adine Labaki, al suo secondo lungometraggio, torna a parlare del Libano
con uno sguardo dissacrante, profondo,
tutto al femminile: uno sguardo attento,
costruttivo e sensibile.
La regia è spesso nervosa, la cinepresa
si muove traballando per accompagnare i
punti di vista dei personaggi che vivono in
uno stato di precarietà economica ed emo-
L’estate
di Giacomo
Un giorno d’estate nella campagna
friulana. Il diciottenne Giacomo, sordomuto, e la sedicenne Stefania, sua amica
d’infanzia, vanno a fare un picnic lungo
il Tagliamento. Raggiungono l’ingresso
di un bosco in bicicletta, poi proseguono
a piedi, perdendosi in cerca del corso
d’acqua, che sembra non apparire mai.
Nel bosco come sulla riva del fiume, che
a un certo punto si manifesta al loro
sguardo, Giacomo e Stefania
comunicano con gesti e brevi frasi come
in un gioco di bambini. I loro corpi si
sfiorano senza toccarsi, mentre affiorano
situazioni apparentemente estranee a
quella giornata di vacanza (una festa di
paese, Giacomo che suona la batteria).
Infine, i due amici lasciano il fiume e in
bicicletta si allontanano lungo una
strada.
Nell’epilogo, Giacomo è di nuovo nello
stesso luogo, questa volta in compagnia
della fidanzata Barbara, anche lei sordomuta.
r. Alessandro Comodin sc. Alessandro
Comodin fo. Tristan Bordmann, Alessandro
Comodin mont. João Nicolau, Alessandro
Comodin int. G. Zulian, S. Comodin, B.
Colombo or. Italia/Belgio/Francia 2011
distr. Tucker dur. 78’
L’
estate di Giacomo, opera prima di
Alessandro Comodin, è un film anomalo nel panorama cinematografico italiano e si inserisce in quel “genere” tra finzione e documentario particolarmente fertile in questi anni.
Il trentenne autore friulano, formatosi
a Bruxelles dove si è laureato, ha posto lo
sguardo su un ragazzo che conosce da
quando era bambino e che ha seguito durante la sua metamorfosi, ovvero la decisio-
tiva a causa dei continui scontri contro i labili confini del villaggio, delle case, dei luoghi di culto. Anche un televisore può trasformarsi da veicolo di conoscenza e di
informazione in strumento per aizzare
l’odio e la violenza: la lettura errata di un
fatto di cronaca può esasperare la situazione in un contesto complicato come quello del Medioriente.
La bella Amale e le sue amiche - donne
di tutte le età e di fedi differenti - chiedono
la complicità di altre donne provenienti
dall’Europa dell’est per spostare l’attenzione degli uomini bellicosi dalla guerra
alle gioie della passione, organizzano un
sontuoso banchetto a base di leccornie e di
hashisc e inscenano falsi miracoli. Ma tutto questo non basterà a evitare la tragedia.
E ora dove andiamo? Se la preghiera diventa pretesto di morte? Amale, Takla,
Ivonne, Afaf e Saydeh sono simboli di una
rivoluzione culturale, quella che vuole e
che tenta di riaffermare la fratellanza e il rispetto per l’“Altro”, nonostante un contesto patriarcale e maschilista, l’esistenza di
ideologie e integralismi, la superficialità e
immaturità di molti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 14 e 15. (a.m.)
ne di ricorrere a un’operazione chirurgica
per sentire per la prima volta in vita sua.
Dell’antefatto, e delle esperienze vissute dalla persona/personaggio al centro de
L’estate di Giacomo, non c’è traccia nel film.
Di Giacomo e Stefania, e nella scena finale anche di Barbara, non si sa nulla tranne
quel che (non) accade loro nel corso di
quei brevi momenti estivi e tranne minimi
dettagli, inseriti come fossero degli intervalli, che volutamente non aiutano a conoscere altro della vita di quegli adolescenti,
consegnata al fuori campo e, al massimo,
a intuizioni e supposizioni.
Comodin, con la complicità di tre giovani interpreti che portano nel testo la freschezza e i turbamenti dell’adolescenza e
nell’apparente semplicità narrativa e visiva,
costruisce un’opera dal dispositivo anche
troppo dichiarato, composta di una serie di
tappe unite da un montaggio che azzera le
distanze temporali. In tal modo i fatti potrebbero succedersi con una scansione differente. L’importante è il percorso sensoriale compiuto e vissuto da adolescenti che,
come ne L’intervallo di Leonardo Di Costanzo, si avventurano in un tempo sospeso dove la realtà ha i toni della fiaba. (g.g.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
13
DAI 12 ANNI
DAI 12 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Eva
Spagna 2040: Alex Grel, rinomato
ingegnere cibernetico, torna a Santa
Irene per portare a termine una
missione particolare per la Facoltà di
Robotica: creare un robot bambino
(dotato di cuore e anima). Nei dieci
anni in cui è stato lontano, il fratello
David e Lana (la donna da lui amata e
abbandonata) hanno continuato le
loro vite e ora sono sentimentalmente
legati.
Il destino vuole che la routine di Alex
venga movimentata da Eva, la figlia di
Lana e David, una bambina speciale,
curiosa e particolarmente estroversa.
Quando entra nel laboratorio dello zio,
si mostra molto interessata ai suoi
esperimenti…
Del resto, fin dal primo incontro tra
Eva e Alex nasce un legame speciale.
Insieme affronteranno un viaggio che li
condurrà a una rivelazione finale.
I
l sogno di creare un robot che rispecchi in tutto e per tutto un essere umano - sia dal punto di vista fisico che dal
punto di vista psicologico - e i rischi connessi a questa operazione futuristica sono al centro della riflessione di Kike Maillo alla sua prima regia di un lungometraggio, così come i rapporti umani e la
variegata complessità dei sentimenti che
abitano l’animo umano.
Il gatto
con gli stivali
Puss in Boots
Ricercato come un fuorilegge, il Gatto
con gli stivali giunge nella natia San
Fernando per sottrarre i fagioli magici a
Jack e Jill, una coppia di ladri. In questa
occasione conosce Kitty Zampe di
Velluto, una gatta ladra che sta
perseguendo il suo stesso scopo. Ben
presto, però, Gatto scopre che Kitty agisce
per conto di Humpty Alexander Dumpty,
suo vecchio amico d’infanzia, che anni
prima lo aveva tradito costringendolo a
diventare un fuorilegge. Gatto non
vorrebbe più avere a che fare con lui, ma
viene convinto a unirsi alla banda per
completare il progetto di una vita:
impossessarsi dei fagioli magici e, con
essi, far crescere una pianta capace di
portarli oltre le nuvole, nel castello dove
vive l’oca dalle uova d’oro, fonte di
eterna ricchezza. Il piano riesce, ma ben
presto la madre dell’oca abbandona il
castello per ritrovare la figlia, seminando
il terrore a San Fernando.
14
r. Kike Maillo sc. Sergi Belbel, Aintza
Serra, Cristina Clemente, Marti Roca fo.
Arnau Valls Colomer mont. Elena Ruiz
int. Daniel Brühl, Lluís Homar, Alberto
Ammann, Marta Etura, Claudia Vega or.
Spagna 2011 distr. Videa - CDE dur. 94’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Chris Miller s. Brian Lynch, Will
Davies, Tom Wheeler (personaggio di
Charles Perrault) sc. Tom Wheeler mont.
Eric Dapkewicz mus. Henry Jackman or.
Usa 2011 distr. Uip dur. 90’
E
saurita la freschezza della saga di
Shrek, la Dreamworks Animation si
affida stavolta a uno dei più celebrati
comprimari dell’orco verde, il Gatto con
gli stivali, qui promosso a protagonista
assoluto. Anche il tono è lievemente difforme dai modelli, perché articolato non
più sul gioco dei riferimenti politicamente scorretti, ma sulle dinamiche dell’avventura di cappa e spada, arricchita
Eva infatti è una science fiction - prodotto affermato degli Studios e dei laboratori digitali americani - trasferito in
questo caso in ambito europeo, che riesce a coniugare con efficacia la tecnologia allo spessore drammatico.
Alex è sicuro della bontà della sua
missione, ma ben presto la sfida da
scientifica si trasforma in umana, a cominciare dal sentimento forte che prova per la nipote, e per la complessità delle emozioni che si trova a dover gestire e
“trasferire” nel prototipo di “robot bambino” per farlo assomigliare a lei.
La piccola Eva diviene nel film la proiezione della volontà dell’uomo di riuscire a superare le proprie manchevolezze
raggiungendo la perfezione.
Nel complesso un bel film, all’apparenza semplice, ma in realtà carico
di significato, soprattutto se consideriamo il progresso tecnologico che stiamo attraversando e la velocità con la
quale siamo destinati a realizzare realtà virtuali, dimenticandoci spesso la
nostra natura umana ed emozionale.
Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.
90, p. 48. (f.b.)
dal più complesso e accattivante gioco di
opposti che la figura del Gatto naturalmente suscita: il suo fare adorabile e sornione, ma anche opportunista e ruffiano, è infatti capace di renderlo un eroe
e un brigante allo stesso tempo.
In effetti, sin dai tempi della saga madre, le storie continuano a vorticare attorno al concetto di identità, giocando
con gli opposti e con la percezione che
ogni spettatore ha degli elementi messi
in scena. Se dunque la trovata bizzarra
del Gatto che indossa gli stivali - mutuata dalla fiaba di Perrault - già offre materiale in abbondanza per la dinamica cara agli autori, il tutto viene ispessito dal
rapporto fra il tono generale del film e le
sue singole parti, che richiamano differenti fiabe.
La ricerca di un punto di equilibro fra
elementi tanto difformi trova un corrispettivo nella definizione del personaggio del Gatto, che per dare fondo alla sua
leggenda deve compiere un autentico
percorso di formazione, confrontandosi con i luoghi della sua infanzia e con i
traumi rimossi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 4. (d.d.g.)
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
La guerra
è dichiarata
La guerre est déclarée
DAI 6 ANNI
Roméo e Juliette, giovani parigini, si
conoscono a una festa, scherzano sui loro
nomi shakespeariani e si innamorano
fulmineamente. Dal loro amore nasce
Adam. I primi tempi sono felici e
spensierati. Ma il piccolo rivela presto
delle difficoltà: non dorme, piange in
continuazione, non trattiene ciò che
inghiotte. Preoccupati i genitori ottengono
un appuntamento a Marsiglia da un noto
pediatra. Una Tac mirata rivela una grave
forma di tumore al cervello. “Operabile”
assicura il medico. Da quel momento i
due giovani, privi di esperienza, si
troveranno a dover affrontare una
difficilissima prova: una dura lotta contro
la malattia, che tra speranze, delusioni,
preoccupazioni, sogni, ospedali, esami,
nuovi protocolli clinici proseguirà per
alcuni anni fino al fortunato esito
positivo. Sono sostenuti dai genitori, da
amici fedeli, dal desiderio di reagire e di
vivere, ma soprattutto dal loro amore.
r. Valérie Donzelli s. V. Donzelli, J. Elkaïm
fo. S. Bauchmann mont. P. Gaillard mus.
A. Rigaut int. V. Donzelli, J. Elkaïm, G.
Elkaïm, B. Sy, E. Lowensohon, M. Moretti,
P. Laudenbach, B. de Stael, A. Le Ny,...
or. Francia 2011 distr. Sacher dur. 100’
V
alérie Donzelli, al suo secondo lungometraggio, ha messo in scena i cinque
anni più brutti della sua vita in un originale esemplare di cinema autobiografico, che sa fondere forme e generi disparati. Non un dramma, né un melodramma,
al contrario un film ricco di azione con
tutti gli ingredienti della commedia. Il piccolo Adam è nella realtà Gabriel, il figlio
che la regista, qui anche interprete, ha
avuto dal suo ex compagno Jérémie Elkaïm, cosceneggiatore e interprete del
ruolo di Roméo.
Happy Feet 2
Mambo, il ribelle danzerino del primo
episodio, ha conquistato il cuore di
Gloria; dal loro amore è nato un figlio,
Erik che nonostante le amorevoli cure
del padre, proprio non riesce a
danzare, si sente goffo e ridicolo. Fugge
lontano nella terra di Adelia. Qui
incontra il prode Sven, un pinguino che
sa volare e che lo affascina. Raggiunto
da Mambo, si convince a seguirlo per
tornare a casa.
Il mondo intanto sta cambiando, lo
scioglimento dei ghiacci minaccia
l’habitat dei pinguini imperatore. Un
iceberg ha intrappolato la grande
famiglia degli imperatore, dove Gloria è
rimasta, in un buco profondo sorvolato
dai rapaci.
Sarà proprio Mambo a riunire le tribù
per la salvezza di tutti: danzando,
faranno crollare i ghiacci e creeranno
una strada da percorrere per uscire
dall’isolamento. E Mambo sarà di
nuovo un padre che ha riconquistato
l’affetto e la stima del figlio.
r. George Miller sc. W. Coleman, G.
Miller, G. Eck, P. Livingston mus. John
Powell or. Usa/Australia 2011 distr.
Warner dur. 100’
I
l regista australiano George Miller si
cimenta nuovamente in un’avventura
in musica nei grandi paesaggi dell’Antartide. E ripete lo schema narrativo, il gioco delle emozioni e dei caratteri. Se
Mambo era un diverso che non sapeva
cantare in una tribù di canterini, altrettanto il figlio Erik non sa danzare e sogna
una grande voce e due ali: vorrebbe volare come gli altri uccelli. Anche per lui
la via della fuga è inevitabile.
Il film mostra non la malattia in sé, ma
la guerra contro di essa dal punto di vista
dei combattenti. Con coraggio e determinazione i due genitori lottano per salvare
il loro piccolo, ma anche se stessi, la loro
normalità di vita, la loro gioia, la propria
energia. Non ci stupiscono allora le scene
intercalate che li vedono partecipare a feste chiassose con gli amici, a corse in motorino, a passeggiate nel parco, a gite per
contemplare la bellezza del mare. Scene
che intervengono con effetto catartico
quando la tensione emotiva potrebbe
prendere il sopravvento.
Positivo è far partecipare lo spettatore
a ogni reazione psicologica dei due interpreti senza cadere mai nel pietismo o nel
sentimentalismo. La regista usa una sorprendente libertà di linguaggio e si avvale di molti mezzi cari alla nouvelle vague
da Truffaut a Chabrol: ralenti, atmosfera
sfumata, uso della voce fuori campo. Scelte espressive efficaci se lo spettatore si
sente, nonostante il tema, sollevato e sereno e porta con sé l’ultima immagine:
Adam con i genitori ripresi di spalle di
fronte all’immensità del mare. Vedi anche
in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 25 (a.f.)
Valore del diverso, ribellione verso la
legge codificata del gruppo, disubbidienza e migrazione per affermare la propria
individualità. Inoltre nel film si può leggere il tema dell’ “uccisione del padre”
che sfocia nella ricerca di un padre d’elezione. Da cui partirà il lento processo di
riavvicinamento tra padre e figlio e la
maturazione di entrambi. L’altro tema
forte è l’ecologismo e il valore dell’unità dei viventi, nonostante le differenze.
Accettando ognuno la propria diversità, ma uniti agli altri, potremo, ciascuno
col proprio talento, cambiare il mondo.
Un film tecnicamente eccellente. Coreografie di migliaia di personaggi, musiche e stili classici, opera, ballate, rap.
L’Antartide restituita nella sua bellezza
incontaminata. In questo ambiente agiscono animali umanizzati nelle movenze e nei caratteri.
E tuttavia l’avventura latita, mentre
la sceneggiatura diluisce la vicenda con
siparietti gigioneschi, infila numeri di
canto e danza, scene madri. Difficile
identificarsi. Bei paesaggi, danza, canti
e tanti buoni sentimenti. Vedi anche in
Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 34. (c.d.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
15
DAI 16 ANNI
DAI 10 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
16
Hugo Cabret
Parigi, 1931. Il piccolo orfano Hugo
vive nella torre dell’orologio della
stazione di Montparnasse, braccato da
un ispettore ferroviario. Muore lo zio e
il ragazzo si mette a rubare per
sopravvivere. Del padre gli è rimasto
un automa-giocattolo che scrive. Tra
Hugo e il giocattolo da riparare, a cui
manca una chiave a forma di cuore
perché si riattivi, si sviluppa un
rapporto speciale, misterioso, che
sembra metterlo in contatto con
l’anima paterna.
Rubando i pezzi di cui ha bisogno da
un chiosco dei giocattoli all’interno
della stazione, Hugo conosce
l’eccentrica ragazzina Isabelle e il suo
padrino, l’illusionista e celebre cineasta
George Méliès, proprietario del chiosco,
creduto morto durante la guerra. Sarà
Isabelle, tra libri e vecchi film di
trucchi, a condurlo in un’affascinante
avventura che lo aiuterà a far rivivere
l’automa, rianimando anche l’intero
popolo della stazione.
r. Martin Scorsese sc. John Logan fo.
Robert Richardson mont. Thelma
Schoonmaker mus. Howard Shore int.
Ben Kingsley, Asa Butterfield, Chloë
Grace Moretz, Sacha Baron Cohen, Ray
Winstone, Emily Mortimer, Jude Law or.
Usa 2011 distr. 01 dur. 125’
D
al graphic novel La straordinaria
invenzione di Hugo Cabret di Brian
Selznick, con il suo primo 3D Scorsese
“restaura” l’idea primigenia di “cinematografo”, tra stupore infantile e meccanica narrativa che s’intreccia con la necessità di narrare noi stessi. Conferma Vin-
Hunger
Irlanda del Nord, 1981. Nel carcere di
Long Kesh, vicino a Belfast, i detenuti
repubblicani stanno effettuando due
proteste radicali, chiamate “delle
coperte” e “dello sporco”, per
rivendicare la condizione di
prigionieri politici, loro negata.
L’agente penitenziario Raymond
Lohan svolge in maniera ripetitiva le
sue mansioni di repressione,
isolandosi nei momenti di pausa. Il
giovane dissidente Davey Gillen viene
internato nella sudicia cella dove si
trova da tempo Gerry Campbell.
Bobby Sands, leader del movimento, di
fronte alla brutalità delle autorità,
decide di iniziare un nuovo sciopero
della fame. Nel corso di un lungo
dialogo con il reverendo Moran, Sands
spiega le ragioni per le quali è
disposto a morire pur di lottare per i
propri diritti e per quelli dei suoi
compagni. Nulla fermerà il gesto di
Bobby Sands, che morirà il 5 maggio
1981 a 27 anni dopo 66 giorni di
rifiuto del cibo.
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Steve McQueen sc. E. Walsh, S. McQueen
fo. S. Bobbitt mont. J. Walker mus. D.
Holmes con L. Abrahams int. M.
Fassbender, S. Graham, B. Milligan, L.
McMahon, L. Cunningham or. Gran
Bretagna/Irlanda 2008 distr. Bim dur. 96’
C
on Hunger, l’artista visivo afro-londinese Steve McQueen ha avviato, nel
2008, una personale riflessione sul corpo,
le sue mutazioni, e su alcune declinazioni dello stato di “prigionia”, fisica e mentale. Hunger è il primo capitolo di una trilogia continuata con Shame e interpretata sempre dallo stesso, immenso, attore,
Michael Fassbender. Ed è un film politico
fuori dagli schemi.
McQueen costruisce un’opera intrisa di
fisicità e densità cromatiche vicine alla
pittura. Il discorso politico è contenuto
cenzo Cerami: “Il film va goduto con l’ingenuità di chi è ancora capace di cogliere, nel cinema, il suo aspetto “miracoloso”, le sue originarie meraviglie. Di qui la
nostalgia di Scorsese. Che è, più in generale, nostalgia del candore e dell’innocenza. Sulla carta non è un film per bambini, perché i bambini, per loro fortuna,
ancora non conoscono il sentimento della nostalgia. È un film per chi deve al cinema gran parte del suo immaginario”.
Se il cinema aiuta a “ripararci” quando siamo “rotti”, l’uomo meccanico è
simbolo del cinema che funziona come
sogno. La paura di non trovare la porta,
la chiave per diventare ciò che siamo, è
il dubbio degli artisti come dei bambini, che Scorsese rivive con Méliès, il “giocattolaio” del cinema, rievocato in declino e nei trucchi. È un film per “cinebambini”, gli spettatori della “prima volta” che, come davanti al treno dei Lumière, urlano di sorpresa.
Scorsese vede il 3D in continuità tra
analogico e digitale come tra libro (illustrato) e schermo, quando le immagini
sembrano più vive. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 18-19. (e.g.)
nei gesti dei corpi, nelle tonalità del nero,
del grigio, del marrone, nella violenza dei
rumori, negli strati sonori delle voci dei
prigionieri, dei secondini, dei familiari in
visita, del sacerdote protagonista di un
dialogo memorabile con Sands. Un dialogo che si pone come “intermezzo” fra le altre due “parti” che compongono il testo.
C’è una “prima parte” inscritta nella descrizione, quasi documentaria, della quotidianità nel blocco riservato ai rivoluzionari e vista attraverso gli occhi sia dei carcerati sia degli aguzzini. E c’è una “seconda parte” nella quale lo sguardo del regista si sofferma sulle tappe che conducono alla morte di Sands, da quando decide
di riprendere lo sciopero della fame (con
Fassbender autore di una performance
audace, di un dimagrimento al limite del
sostenibile per aderire al suo personaggio).
Lo stile di McQueen non cede a divagazioni, concentrandosi, come il personaggio che descrive, sul raggiungimento,
senza via di fuga e di ritorno, della meta e
congedandosi con una chiusura a nero
dopo avere accompagnato fuori campo
il cadavere di Sands. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 20. (g.g.)
DAI 16 ANNI
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Hunger Games
The Hunger Games
Katniss vive con la madre e la sorella
più piccola Primrose nel Distretto 12,
uno dei più poveri dello stato di
Panem. Il padre è morto in seguito
all’esplosione della miniera dove
lavorava. Gli unici momenti di svago
per Katniss sono tirare con l’arco e
incontrare Gale, di cui è innamorata.
Ma una nuova edizione degli Hunger
Games sta per iniziare. Ogni anno, per
intimidire la popolazione
scoraggiandola a ribellarsi, lo stato
obbliga ognuno dei distretti a mandare
un ragazzo e una ragazza fra i 12 e i 18
anni a competere nella ricca Capitol
City ai “giochi della fame”, un crudele
spettacolo ripreso e trasmesso in
diretta. Solo uno sopravviverà.
Katniss vi partecipa per salvare la
sorella. In un’arena somigliante a una
foresta i concorrenti devono eliminarsi
a vicenda. Per la prima volta, però, lo
stato sarà costretto a salvare due
giocatori, grazie a uno stratagemma
adottato da Katniss.
r. Gary Ross sc. G. Ross, S. Collins, B. Ray,
dal rom. omon. di S. Collins fo. Tom Stern
mont. S. Mirrione, J. Welfling mus. T-Bone
Burnett, J.N. Howard int. J. Lawrence, J.
Hutcherson, L. Hemsworth, W. Harrelson,
E. Banks, L. Kravitz, S. Tucci, D. Sutherland
or. Usa 2012 distr. Warner Bros dur. 142’
C
ome per Harry Potter e Twilight c’è una
fortunata saga letteraria della scrittrice americana Suzanne Collins a ispirare
Hunger Games di Gary Ross, primo film di
una trilogia con protagonista la sedicenne
Katniss Everdeen, eroina armata di arco e
frecce. Al cinema, Katniss ha il volto e il
corpo di Jennifer Lawrence, ancora una
volta, come in Un gelido inverno, alle prese con un personaggio che non arretra di
fronte agli ostacoli, affrontandoli con deter-
Le Idi di Marzo
The Ides of March
Brillante esperto di comunicazione,
Stephen Meyers è al servizio del
governatore Morris nella campagna per le
primarie presidenziali del Partito
Democratico: si distingue per lo sguardo
attento alle fasce più giovani
dell’elettorato. Nell’Ohio Morris parte in
vantaggio. Quando l’ago della bilancia
inizia a spostarsi verso il rivale Pullman,
Morris non cede alle lusinghe di scomode
alleanze sacrificando gli ideali in cui
crede. Stephen, sicuro della trasparenza di
Morris, scopre però che la sua condotta è
incoerente: la stagista Molly, con la quale
ha una relazione, è stata costretta dal
governatore a un rapporto non del tutto
consenziente. Rimasta incinta, chiede un
aiuto economico a Stephen, non potendo
rivolgersi al padre, senatore cattolico.
Tutto precipita quando Stephen viene
licenziato dopo aver incontrato Tom
Duffy, responsabile della comunicazione
del rivale di Morris: un tranello che Duffy
orchestra per liberare il campo da quello
che ritiene un geniale concorrente.
r. George Clooney sc. G. Clooney, Grant
Heslov, Beau Willimon fo. Phedon
Papamichael mont. Stephen Mirrione mus.
Alexander Desplat int. R. Gosling, G.
Clooney, P.S. Hoffman, E.R Wood, M. Tomei,
P. Giamatti or. Usa 2011 distr. 01 dur. 102’
D
ichiara il regista: i meccanismi della
politica costringono spesso a sacrificare principi e ideali per arrivare al bersaglio, a giocare sporco, magari secondo le regole del rivale, piuttosto che lasciargli strada aperta. È significativo che il governatore Morris chieda alla moglie quanto ancora dovrà spostare l’asticella in là, ovvero
quanto dovrà inquinare l’idea di America,
Democrazia e Costituzione, scegliendo il
minore dei mali. Sulla difesa della coerenza ai principi individuali si schiera Stephen,
minazione, guardandoli in faccia, in una sfida con se stessa per non soccombere e per
non fare soccombere la propria famiglia.
Ross ha costruito un film che mette in
scena una società spiata in diretta dal potere, dove, come in Truman Show di Peter
Weir, vero e finto si sovrappongono, dove
la finzione, la rappresentazione, è la realtà.
E non sono solo i luoghi a contenere e perpetrare il senso del falso e del vero. Anche
le relazioni fra i personaggi sono caratterizzate da verità e menzogna, convenienza e
sincerità. Hunger Games, come sa essere il
cinema di genere, è un film che, attraverso la fantascienza, riflette sul mondo attuale, sulla sempre più preoccupante separazione delle classi sociali, sulla ribellione
delle masse contro i privilegiati arroccati nei
palazzi, e su un potere mediatico usato come arma di schiavitù. Katniss sa che, per
provare a scalfire quel potere, bisogna smascherarlo dall’interno, partecipare (è l’unica che sceglie, tutti gli altri sono sorteggiati) al gioco crudele, farsi guerriera e vincere non per diventare famosa ma per trasformarsi in portavoce di quella maggioranza
oppressa. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 8 e 9. (g.g.)
che sogna la sua America per interposta
persona, convinto che Morris possa essere l’uomo del cambiamento. Interessante
che la disputa non riguardi lo scontro per
le presidenziali con un rivale repubblicano.
La lotta è intestina, le logiche che la regolano non risparmiano colpi bassi a quelli
che potrebbero diventare futuri alleati.
Motore invisibile che innesca una serie
di eventi a catena è la coincidenza tra la relazione che Stephen intraprende con la
stagista Molly e la trappola di Duffy, esperto conoscitore dei meccanismi politici (e
dell’anima umana) al servizio di Pullman.
Il suo arco di trasformazione si compie con
l’ultima lezione della sua formazione sul
campo, come professionista e come uomo: il cinismo con cui viene fatto fuori diventa l’arma in più del giovane rampante
quando, dopo la morte di Molly, non si fa
scrupolo nel ricattare Morris per riottenere il suo posto.
Tutto è fosco, come la politica che si gioca lontana dai riflettori. Forte è la sensazione di essere di fronte a un teatro di uomini inevitabilmente destinati alla corruzione dell’anima. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 10 e 11. (a.l.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
17
DAI 10 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
L’incredibile storia di
Winter il delfino
Dolphin Tale
DAI 16 ANNI
Sawyer (12 anni) trova sulla spiaggia
della Florida un giovane delfino femmina,
impigliatosi in una trappola per granchi e
ferito.Viene affidato al Clearwater Marine
Hospital dove la figlia del direttore lo
battezza Winter. Dura è la lotta per la
sopravvivenza. Il delfino accetta il cibo
solo da Sawyer e tra i due nasce un
profondo legame. Il ragazzo lascia la
scuola estiva per dedicarsi all’amico.
Purtroppo si deve amputare la coda, ma
Winter, con determinazione e coraggio,
impara a nuotare anche così, mettendo
però in pericolo la colonna spinale
sollecitata da un movimento innaturale.
All’ospedale militare dove è ricoverato il
cugino Kyle, ferito in guerra, Sawyer
conosce il dr. Cameron McCarthy,
specialista in protesi, che accetta di
preparare una coda prostetica per il
delfino in un materiale flessibile chiamato
Winter’s Gel. Salverà il delfino, ma anche
migliaia di persone in tutto il mondo.
18
r. Charles Martin Smith sc. K. Janszen e
N. Dromi da una storia vera fo. Karl
Walter Lindenlaub mont. Harvey
Rosenstock mus. Mark Isham int. H.
Connick Jr, A. Judd, N. Gamble, K.
Kristofferson, C. Zuehlsdorff, M. Freeman
or. Usa 2011 distr. Warner Bros dur. 113’
I
l film è ispirato alla storia vera del delfino Winter, trovato in fin di vita nel 2005.
Trasportato all’Acquario, vive con una coda artificiale. L’interesse per la notizia non
è passato inosservato. Mescolando realtà
e finzione, ne è stato tratto un film visto con
gli occhi di un ragazzino. Il suo amore per
Winter, unito all’esperienza di un biologo
marino, all’ingegno di un brillante medico
ingegnere e all’aiuto di tutta una comunità ha compiuto il “miracolo”.
Io sono Li
La cinese Shun Li per poter emigrare ha
contratto un debito con
un’organizzazione malavitosa del suo
paese e sogna di poter riconquistare la
propria libertà restituendo la somma e
di far venire poi in Italia il figlio di otto
anni. Finisce per fare la barista in una
povera osteria di Chioggia frequentata
da pescatori e anziani pensionati.
La donna si inserisce bene
nell’ambiente, tanto da iniziare un
delicato rapporto sentimentale con
Bepi, un solitario pescatore di origini
slave, detto “il poeta”, vedovo di
un’italiana, con un figlio inurbato
sulla terraferma.
Ma l’amicizia, che potrebbe
trasformarsi in un matrimonio, viene
prima criticata e poi decisamente
ostacolata sia dalla chiusa comunità
cinese che dai chioggiotti, che
nascondono dietro la dichiarata
preoccupazione per un matrimonio
d’interesse il loro latente razzismo.
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Andrea Segre sc. Marco Pettenello,
Andrea Segre fo. Luca Bigazzi mont.
Sara Zavarise mus. François Couturier
int. Z. Tao, R. Serbedgja, M. Paolini, R.
Citran, G. Battiston or. Italia/Francia
2011 distr. Parthenos (Padova) dur. 96’
I
l film non si limita a denunciare le ingiustizie sociali (emarginazione, lavoro nero, razzismo) che subiscono gli immigrati,
specie se clandestini, privi di tutele e accesso ai diritti sindacali. Segre scava nell’anima profonda degli uomini vittime dell’emigrazione coatta e delle difficoltà di un’integrazione mai compiuta. La sua osservazione si sposta dai luoghi comuni che conosciamo sull’argomento per rivelare una realtà più complessa e angosciosa. Si veda
l’attenzione indotta sul volto misterioso
La realizzazione del film non è stata facile. Winter ha dovuto impersonare se stesso perché nessun altro delfino avrebbe potuto nuotare come lui, ma come una star
ha avuto una “controfigura”.
Nel film c’è l’incontro dell’uomo con la
Natura, due mondi che devono comprendersi e rispettarsi. La forza di sopravvivenza di Winter è una parabola sul non arrendersi, sul desiderio di farcela, sull’insegnare all’uomo che la vita è un bene prezioso.
La pellicola è ricca di spunti di riflessione anche per gli adulti. Si veda l’indagine caratteriale del piccolo Sawyer, introverso e
asociale perché traumatizzato dall’abbandono del padre, oggetto di bullismo da parte dei compagni, cui non sa rispondere,
che acquisisce consapevolezza di sé ed entusiasmo quando si sente utile e apprezzato. Si veda anche l’accenno critico alla guerra che riporta a casa Kyle, ex campione di
nuoto, menomato nel fisico e ancor più
nello spirito. A tutti viene in aiuto Winter.
Al di là di una vena di retorica buonista,
bilanciata dalla verità della storia, il film suscita commozione, speranza e amore per
la natura. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 5. (a.f.)
dell’organizzazione cinese che sfrutta la
protagonista (il padrone del ristorante è
probabilmente solo un prestanome). I meccanismi economici travalicano il semplice
impiego-sfruttamento della manodopera
straniera da parte degli imprenditori italiani. La metastasi è molto più complessa
e disumanizzante.
La delicata storia d’amore, altrettanto
significativamente, vede inconsueti protagonisti due immigrati provenienti da mondi culturali lontanissimi, la Cina e l’ex-Jugoslavia. Tuttavia Li e Bepi sono accomunati
dai bisogni essenziali di vicinanza, solidarietà, amore condiviso per il lavoro e la natura (ambedue sono ammaliati dalla bellezza misteriosa della laguna). Un rapporto
amoroso fondato sui silenzi, sugli sguardi
volti a cogliere la malia della laguna, su un
verso che tenta di dar corpo a sentimenti
impalpabili.
Io sono Li é un film sullo spaesamento e
la perdita di identità, non solo dei due protagonisti, ma anche degli altri malinconici
frequentatori dell’ Osteria “Paradiso” (sic),
che nascondono la loro solitudine dietro
gli spritz e la finta allegria caciarona. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 89, p. 9. (f.v.)
DAI 16 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
The Iron Lady
L’anziana Margaret Thatcher vive nella
sua grande casa di Londra senza più il
marito Denis, morto da anni.
Sgombrando il guardaroba per fare
pulizia, alla donna si risveglia
un’ondata di ricordi mentre la figlia
Carol, in visita, e le cameriere sono
preoccupate per il suo stato di
confusione mentale. A cena Margaret
intrattiene gli ospiti incantandoli come
sempre, ma poi si distrae rievocando la
cena in cui aveva conosciuto Denis, 60
anni prima.
Di notte Margaret riguarda i vecchi
filmini di famiglia, riflettendo sui
sacrifici fatti nel privato e negli affetti
pur di conseguire i suoi grandi successi
politici che, decennio dopo decennio,
scorrono davanti ai suoi occhi come ai
nostri con la Storia di tanti lunghi
anni. Il giorno dopo l’ex-statista decide
d’impacchettare gli effetti del marito
per disfarsene definitivamente,
ribadendo alla figlia la sua autonomia
anche nel presente.
r. Phyllida Lloyd sc. Abi Morgan fo.
Elliot Davis mont. Justine Wright mus.
Thomas Newman int. Meryl Streep, Jim
Broadbent, Olivia Colman, Alexandra
Roach, Harry Lloyd or. Gran Bretagna
2011 distr. Bim dur. 105’
S
ogno e realtà, vita privata e Storia,
femminismo e conservatorismo, musical e melodramma: ecco la ricetta per
coniugare materiali diversi. Oltre le biografie romanzate e le ricostruzioni
d’epoca, il film parla dell’accettazione
del passato, con una vicenda che si svol-
J. Edgar
J. Edgar Hoover è stata una delle
personalità più potenti degli Stati Uniti
d’America, eroe nazionale e al
contempo uomo ambizioso e temuto,
che non ha mai esitato a far uso delle
informazioni in suo possesso per
esercitare la sua autorità sui leader
della nazione. Nominato direttore del
FBI nel 1924, Hoover ne riorganizzò la
struttura in un micidiale apparato di
polizia in grado di eliminare e
catturare gangster del calibro di John
Dillinger o di George Machine Gun
Kelly. Scoprì l’assassino del piccolo
Lindbergh, diede la caccia a comunisti
e a membri delle Pantere Nere. Casi che
resero Hoover celebre nel mondo.
Fu a capo del Federal Bureau per ben
quarantotto anni, fino al 1972, sotto
otto presidenti, da Calvin Coolidge a
Richard Nixon.
r. Clint Eastwood sc. Dustin Lance Black
fo. Tom Stern mont. Joel Cox, Gary Roach
int. L. Di Caprio, N. Watts, A. Hammer, J.
Donovan, J. Lucas, D. Herriman, J. Dench,
G. Pierson, J. Hecht, C. Shyer or. Usa 2011
distr. Warner dur. 137’
D
opo aver narrato l’esperienza della
morte da parte di sopravvissuti al
maremoto in Hereafter, Clint Eastwood
torna al passato, per affrontare un personaggio della Storia degli Stati Uniti, J. Edgar Hoover, agente investigativo, una figura entrata nell’immaginario collettivo statunitense. A lui, infatti, si devono molti
cambiamenti e innovazioni che hanno
reso l’Fbi una delle agenzie investigative
più note ed efficienti nel mondo.
ge solo in due giorni, pur tra salti temporali e compresenza di stili. Non c’è un
giudizio storico o esterno su una delle figure più discusse della politica britannica, la prima donna capo di governo in
Occidente e il Primo ministro britannico con il maggior numero di mandati
del secolo scorso (1979-1990), quanto
l’intenzione “shakespeariana” di affrontare alcuni temi universali dal punto di
vista della stessa protagonista, interpretata magnificamente e mimeticamente
da Meryl Streep, giustamente premiata
con l’Oscar.
È una storia sul potere e sul suo tracollo ovvero sull’epilogo della vita di un
individuo che ha condotto un’esistenza
molto intensa sul piano professionale e
che all’improvviso finisce. È uno specchio dell’esistenza di ognuno di noi, amplificata dalle dimensioni enormi ed epiche della vita che ha vissuto la Thatcher.
Come dichiara la regista: “È la storia di
quello che accadrà a tutti noi quando le
nostre carriere si concluderanno, quando perderemo le nostre capacità e dovremo affrontare la vecchiaia”. Vedi anche in
Il Ragazzo Selvaggio n. 91, p. 27. (e.g.)
La scelta del regista è quella di riprendere un personaggio pubblico, che ha avuto un ruolo così determinante nella storia
americana e di raccontarlo perlopiù nel
privato.
La pellicola osserva e scruta i comportamenti di Hoover mantenendo quella distanza che lo stesso protagonista sembra
avere nei confronti della vita e delle persone con cui la condivide.
Eastwood riesce a tratteggiare l’uomo
più spietato e privo di scrupoli degli Stati
Uniti, svelandone, al contempo, nell’affannosa ricerca del mantenimento del potere acquisito, la sua umanità, la sua solitudine, la sua progressiva inadeguatezza
e consapevolezza di appartenere ormai
al passato, a un mondo in via di estinzione. Seguendo il procedimento attuato in
Flags of our Fathers e in Letters from Iwo
Jima, la guerra vista da due opposti fronti, due versioni di uno stesso evento, qui
lo riproduce in un unico film, nel raffigurare la vicenda di Hoover secondo Hoover,
il proprio desiderio di imprimere nelle
immagini della Storia la propria versione. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.91,
pp.12 e 13. (l.c.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
19
DAI 14 ANNI
DAI 12 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
20
John Carter
Il giovane Edgar Rice Burroughs viene
convocato a casa dello zio John Carter,
scomparso di recente. L’uomo gli ha
lasciato in eredità il suo patrimonio e
gli ha affidato un diario nel quale gli
racconta storie incredibili di un suo
viaggio sul pianeta Barsoom (quello
che noi conosciamo come Marte), dove
si era innamorato della principessa
Deja Thoris, promessa al tiranno del
regno rivale degli uomini rossi. La
diversa gravità del pianeta permetteva
a Carter di sfoggiare capacità
sovrumane, che ben presto lo hanno
reso una pedina importante nel gioco
fra le parti. Il tutto mentre una
misteriosa casta sacerdotale tesseva i
fili del destino dietro le quinte.
Alla fine della lettura Burroughs, scopre
però che Carter gli ha affidato un
compito fondamentale per concludere
definitivamente la storia...
r. Andrew Stanton so. dai romanzi di
Edgar Rice Burroughs sc. A. Stanton, M.
Andrews, M. Chabon fo. Daniel Mindel
mont. Eric Zumbrunnen mus. Michael
Giacchino int. T. Kitsch, L. Collins, S.
Morton, W. Dafoe, T.H. Church, M. Strong
or. Usa 2012 distr. Walt Disney dur. 132’
A
vederne scorrere le immagini solenni
e pregne di effetti speciali viene immediato pensare che John Carter sia vicino più
ad Avatar che al “cugino” Tarzan creato
dallo stesso Burroughs, ma in realtà la superficie nasconde molto bene un’anima retrò che Andrew Stanton ossequia con consumata abilità. Perché presentare nel 2012
l’idea di un uomo qualsiasi che si ritrova a
diventare un eroe su quel pianeta Marte a
La kryptonite
nella borsa
Napoli, 1973. Peppino Sansone ha nove
anni, è miope, vittima dei bulli della sua
classe, con una famiglia piena di parenti
piuttosto scombinata e un cugino più
grande, Gennaro, che crede di essere
Superman: con una calzamaglia
slabbrata e la mantellina da parrucchiere
sulle spalle vede “pericolo kryptonite”
dappertutto. La mamma Rosaria è chiusa
in un silenzio incomprensibile e il padre,
adultero, cerca di distrarre il figlio
regalandogli pulcini da trattare come
animali da compagnia.
Quando Gennaro muore
improvvisamente sotto un autobus, la
fantasia di Peppino reinventa la realtà e
lo riporta in vita, come se il cugino fosse
effettivamente il supereroe che diceva di
essere. È grazie a questo amico
immaginario che Peppino riesce ad
affrontare finalmente le vicissitudini della
sua famiglia e ad accostarsi al mondo
degli adulti, ritrovando fiducia in se stesso
e nelle proprie capacità.
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Ivan Cotroneo sc. Ivan Cotroneo,
Monica Rametta, Ludovica Rampoldi fo.
Luca Bigazzi mont. Giogiò Franchini,
Donatella Ruggiero mus. Pasquale
Catalano int. V. Golino, C. Capotondi, L.
Zingaretti, L. De Rienzo, L. Catani, F. Gifuni
or. Italia 2011 distr. Lucky Red dur. 98’
U
na Napoli spaccata a metà tra consuetudine e rinnovamento, tra accettazione e censura, fa da cornice alla storia,
dal romanzo omonimo, che si presenta
come un’opera sulla fallibilità dell’amore
e sulla nostra imperfezione.
La kryptonite nella borsa già nel titolo
ci fa intuire che quello presentato è un
mondo “altro”; qualcosa che, però, nella
sua diversità ci accomuna. Nel profondo
noi così vicino e al centro delle continue
osservazioni scientifiche è un atto di fiducia enorme nei confronti della capacità
umana di sognare ancora.
Per capire bene il senso dell’operazione occorre considerare come Stanton ponga il protagonista nella stessa condizione
dello spettatore, che deve letteralmente
ripartire da zero e riconsiderare gli stilemi
classici dell’avventura come se li vivesse
per la prima volta. Per questo, una volta
giunto su Marte, Carter deve per prima
cosa imparare a camminare. Il gioco è poi
ispessito dalla cornice in cui viene chiamato in causa lo stesso Burroughs, secondo
uno stilema che risale alla narrativa classica (basti pensare al Kipling di L’uomo che
volle farsi re) e che è pure propedeutico a
mettere lo spettatore nella condizione di riconsiderare il rapporto con il suo immaginario, azzerando il senso del già visto e riscoprendo il gusto per l’immaginazione e
l’epica. Perché bisogna conoscere bene le
regole di genere per poterle poi sovvertire,
e così il film diventa quasi un saggio di come si possa ancora raccontare la stessa
storia. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio
n. 93, pp. 12 e 13. (d.d.g.)
scontro generazionale su modi di vivere e
pensare, in mezzo alle difficoltà della vita
quotidiana, Peppino è lasciato solo. Per
fronteggiare la solitudine, il bambino inizia a vedere e a parlare con il cugino Gennaro, il quale in vita rivestiva i panni di Superman.
Materializzandosi dinanzi a lui ogni
volta che gli eventi della realtà sono ardui,
Gennaro/Superman arriva proprio quando Peppino ha bisogno di essere salvato,
senza mai riuscire nell’impresa. Nonostante tutto, Peppino continua a credere in
sé stesso, nella sua famiglia, nell’amore di
quella madre depressa e scoraggiata che
solo guardando Peppino negli occhi ritrova la forza e il coraggio per ricominciare a
parlare, prima con lo psicanalista, poi con
il marito, infine proprio con Peppino.
Ecco un racconto sull’amore il cui epilogo non dà adito né a vittorie né a sconfitte, bensì a riflessione e speranza. Tutto
si intreccia, anche perché il cinema italiano contemporaneo ha bisogno di una fiducia che si possa riversare sulla società e
su noi stessi, tutti attori di un profondo
cambiamento epocale in atto. Vedi anche
in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 31. (m.p.)
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
The Lady
L’amore per la libertà
The Lady
DAI 10 ANNI
Il film racconta la vita di Aung San Suu
Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, il
suo rapporto col marito e la lotta per la
democrazia del popolo birmano contro il
regime militare. Dopo l’assassinio del
padre, generale che aveva liberato il suo
Paese dall’oppressione dell’impero
britannico, Aung San Suu Kyi lascia
Oxford insieme al marito Michael Avis,
studioso di cultura tibetana, per tornare
in Birmania al capezzale della madre
gravemente malata.
Appassionatasi alle lotte democratiche per
destituire il regime militare di Saw Maung
in nome di principi come il voto equo e la
parità, Aung San Suu Kyi si candida alle
elezioni, vincendole. Ma il sogno di
divenire primo ministro si infrange contro
la repressione dei militari che rigettano
l’esito delle urne, riportano il clima di
terrore e la condannano agli arresti
domiciliari, rifiutandole anche il permesso
di curare il marito, ammalatosi di cancro.
r. Luc Besson sc. L. Besson, D. Marconi,
R. Frayn fo. Thierry Arbogast mont.
Julien Rey mus. Éric Serra int. M. Yeoh,
D. Thewlis, W. Hope, M.J. King, S.
Wooldridge or. Francia/Gran Bretagna
2011 distr. Good Film dur. 145’
T
he Lady posa lo sguardo su un popolo, uno stato poco conosciuto, la Birmania, e su una delle persone che sta segnando la sua recente storia nella lotta per
la democrazia non ancora conclusa. Inizia
con le immagini di Aung San Suu Kyi bambina nel momento in cui il padre Aung San,
eroe nazionale, viene assassinato pochi
mesi dopo la proclamazione dell’indipen-
Leafie
La storia di un amore
Madangeul Naon Amtak
Leafie è una gallina che deve solo
mangiare e deporre uova. Il suo desiderio è
andarsene e viene esaudito quando,
ritenuta morta, viene buttata via. Si
sveglia prima che la donnola la trasformi
in preda. A spiegarle i pericoli della Natura
è un germano reale di cui Leafie si
innamora fino a quando scopre che ha
una compagna che ha deposto un uovo.
Quando costei viene uccisa dalla donnola,
decide di portare avanti la cova e lo farà
anche dopo la morte del maschio. Nasce
così Greenie cui Leafie farà da ‘mamma’.
Greenie cresce e, con l’aiuto della lontra
sindaco, impara a nuotare. Le diversità tra
lui e la ‘mamma’ rischiano di dividerli.
Un giorno spicca il volo ed è pronto per
partire, anche se gli dispiace lasciare la
‘mamma’. La quale lo salva un’ultima
volta dalla donnola comprendendo però
che anche la predatrice ha dei piccoli da
nutrire e, dopo la partenza di Greenie, le si
offre come cibo.
r. Oh Seong-yun so. da un racconto di
Hwang Seonmi sc. Kim Eunjeong fo. Lee
Jonghyuk mont. Kim Gaebum, Kim
Sangbum mus. Lee Ji-soo or. Corea del
Sud 2011 distr. Mediterranea dur. 93’
I
l film si muove su un duplice livello: da
un lato l’attenzione al tema della diversità che viene sviluppato a partire dalla vita della gallina Leafie. Perché la protagonista vorrebbe volare via da quel pollaio in
cui si sente diversa, animata dal desiderio
di conoscere ciò che accade al di fuori. La
sua sarà una vita in cui ci si confronta con
la diversità. Dapprima quella di animale
domestico in un mondo selvatico e poi
quella di madre di un anatroccolo. Il qua-
denza. Ci appare una bambina di pochi
anni, inconsapevole di ciò che sta succedendo, ma subito immersa in un clima di
violenza, paura e terrore. Quasi un imprinting che segnerà la sua vita per sempre, (eccetto che nella parentesi inglese e americana), una costante in cui ancor oggi sta vivendo. Sono la paura e la violenza, incarnate dal
regime militare birmano che occupano
buona parte delle sequenze del film.
Altro tema centrale è il rapporto con la
famiglia: il marito e i figli. Besson mostra
come l’ideale e i valori che muovono Aung
San Suu Kyi nel lottare per la propria nazione coinvolgano inevitabilmente le persone a lei più vicine che la sostengono e
appoggiano con forza.
Come per la figura di Gandhi rimangono impresse nella memoria, oltre alle parole, il sorriso, l’abito bianco e alcuni singolari gesti, così per Aung San Suu Kyi
questo film fissa in alcune scene le semplici parole di pace da lei pronunciate e alcuni suoi gesti, come quello di adornare
il capo con i fiori o quello di incontrare più
gente possibile viaggiando sia in villaggi vicini che lontani. Vedi anche in Il Ragazzo
Selvaggio n. 93, p. 18. (g.pe.)
le crescendo marcherà la propria differenza da lei. Qui si innesta il tema di una pubertà che ha bisogno di distaccarsi dal genitore per poterlo poi meglio apprezzare.
Si accenna anche alla catena alimentare. Così come Greenie si nutre dei pesci, la
donnola (madre a sua volta come si scoprirà nel finale) deve nutrirsi di esseri viventi per poter allattare i suoi piccoli. La
versione originale vede la donnola lanciarsi verso Leafie per ucciderla mentre
in quella italiana si sente il grido della gallina senza vedere l’assalto.
Una struttura sociale gerarchizzata è
quella che ci viene proposta dalla figura
del padre di Greenie e poi, nel sottofinale, dalla gara di volo e dall’inquadramento del giovane germano reale nello stormo.
Sono scene in cui viene in qualche modo
abbandonata la grafica morbida che caratterizza gran parte del film per ricorrere a
un tratto più spigoloso e duro che è funzionale alla narrazione.
Una brutta figura è poi riservata all’allevatore che si vede punire come merita
dai pennuti che ha costretto a vivere una
vita per nulla naturale. Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n. 93, p. 29. (g.za.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
21
DAGLI 8 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Lorax
Il guardiano
della foresta
Dr. Seuss’ The Lorax
DAGLI 8 ANNI
Ted (12 anni) vive con una nonna
stramba e una madre invadente a
Thneedville, un mondo governato, come
una prigione di massima sicurezza, dal
sindaco O’ Hare, uomo senza scrupoli. Qui
tutto è di plastica: le case, il cibo, i prati, gli
alberi e nessuno sente la mancanza del
verde. Il ragazzino è innamorato della
dolce Audrey che desidera un albero vero,
il rarissimo Albero di Truffola.
Incoraggiato dalla nonna, Ted si mette in
viaggio per incontrare Once-ler, un essere
malvagio che vive in una catapecchia,
unico depositario del seme dell’albero.
Egli, in un tempo lontano, aveva distrutto
la foresta per utilizzare la lana degli alberi:
così le magiche piante erano cadute una
dopo l’altra. Nemico giurato di Once-ler è
Lorax, un’affascinante fantastica figura:
scorbutico guardiano della Valle di
Truffola dove simpatici orsetti corrono
felici nei boschi.
L
a favola The Lorax, pubblicata nel 1971,
è il quarto libro di Theodor Seuss Geisel che arriva sul grande schermo. Noto
negli Stati Uniti per essere uno dei più grandi scrittori per l’infanzia, Seuss è autore di
universi problematici, demenziali e sottilmente politici, sempre diversi: ogni storia
un mondo a sé che riflette tematiche particolari. In Lorax la matrice è l’ecologismo,
tema scontato oggi ma molto meno nel
1971. Il regista segue le linee della poetica
Madagascar 3
Ricercati in Europa
Madagascar 3:
Europe’s Most Wanted
Dopo lo sbarco in Madagascar, luogo di
libertà ma anche di pericoli, i simpatici
Alex, Melman, Marty e Gloria riprendono
il viaggio verso New York. A causa di un
atterraggio di fortuna l’aereo su cui
viaggiano insieme ai pinguini e ai lemuri
(recuperati grazie all’irruzione nel Casinò
di Montecarlo) li fa approdare nei pressi
di un circo itinerante guidato dalla tigre
Vitali. Lì trovano rifugio nel tentativo di
far perdere le tracce alla loro inseguitrice l’agente francese DuBois - che vuol
catturare e uccidere il leone Alex.
Attraverso l’Europa, passando per Londra
e Roma, fino al rientro a New York, gli
amici, con coraggio e inventiva, con
numeri ricchi di fantasia e originalità,
riescono a trasmettere entusiasmo e
fiducia alla troupe del circo, riportando lo
spettacolo alla gloria del tempo in cui
Vitali era la star di maggior richiamo per
i salti acrobatici.
22
r. Chris Renaud, Kyle Balda sc. Ken
Dauzio, Cinco Paul mont. Steven Liu,
Ken Schrebrmann mus. John Powell
int./dopp. D. De Vito, M. Mengoni, Z.
Efron, T. Swift, E. Helms, B. White or.
Usa 2012 distr. Universal dur. 86’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Eric Darnell, Tom McGrath, Conrad
Vernon so. e sc. Eric Darnell, Noah
Baumbach mont. Nick Fletcher mus.
Hans Zimmer or. Usa 2012 distr.
Universal dur. 93’
S
pirito avventuroso, inventiva e altruismo caratterizzano le vicende dei
simpatici protagonisti del terzo episodio di Madagascar in cui si coniugano
fantasia e comicità proprie dell’universo circense con atmosfere legate all’imprevisto e alla sorpresa tipiche dei viaggi. I quattro amici proseguono l’inarrestabile avventura nel tentativo di ritornare a New York, ma innanzi a loro si apro-
dello scrittore, fantasia visionaria e creatività linguistica, per inviare un messaggio
importante, la difesa dell’ambiente.
La narrazione è strutturata in due racconti paralleli: un viaggio temporale che
mette a confronto le avventure del presente di Ted e i flashback che ricostruiscono il
passato di Once-ler, il vero protagonista,
crudele (in)volontario, che occupa quasi
tutta la seconda parte del film. L’antagonista è Lorax, una “arancionissima” figura
pelosa con grandi baffi e sopracciglia gialle che rappresenta con bonarietà e ironia
l’ambientalista a tutto tondo insieme all’allegra compagnia di animali che cantano e ballano (siparietti musicali che rendono il racconto quasi un musical).
Ancora una volta le ultime tecniche della computer grafica degli animatori della Illumination Entertainment confermano le
loro caratteristiche con la creazione di un
mondo tridimensionale, nelle curiose immagini della città artificiale. Il film si presenta come una metafora del contrasto tra natura e progresso, un’allegorica rappresentazione dell’esigenza di progredire senza distruggere gli elementi naturali. Vedi anche
in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 21. (m.m.)
no le porte dell’Europa: Montecarlo,
Londra, Roma diventano scenari privilegiati dove reinventare un nuovo modo di
vivere grazie alla realtà magica del circo.
Sono soprattutto le performance degli animali - esibite insieme alla compagnia circense tra acrobazie e numeri impossibili, arricchite dai contesti dove i
nostri eroi sono alle prese con varie fughe - a regalare buon umore e una sottile vena di suspense al film. Questo mette in scena anche un percorso di maturazione dei protagonisti: tra novità e imprevisti, accanto al tema della ricerca
della propria identità e della libertà di
ogni componente del gruppo, sono sempre messi in luce l’affiatamento, il rispetto reciproco e la grande generosità.
Il divertimento è assicurato da battute, colpi di scena e situazioni paradossali in cui vengono a trovarsi i protagonisti,
in particolare l’ippopotamo Gloria, alquanto buffa ma elegante nella danza
sulla fune in coppia con la giraffa.
Il disegno dai tratti ora allungati ora
sinuosi e i colori accesi o pastello definiscono con efficacia le movenze dei personaggi e i loro temperamenti. (s.l.)
DAI 16 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Maledimiele
Sara ha 15 anni. È carina, intelligente,
brava a scuola, circondata da ‘amiche
del cuore’, corteggiata da un compagno,
ma non corrisposta da Matteo, di cui è
innamorata. Appartiene a una
famiglia borghese dove madre e padre,
concentrati sul lavoro e la carriera,
sembrano accoglienti e affettuosi, ma
di fatto non hanno con la figlia alcun
dialogo. È un’adolescente come tante,
senza evidenti motivi di
insoddisfazione. Eppure vive in
solitudine o, meglio, in compagnia solo
del proprio de-umanizzante segreto:
riuscire a raggiungere quello che
considera il peso ideale, perfetto: 38 kg.
Per ottenere il risultato e sentirsi
capace di auto-controllare il suo corpo,
Sara è disposta a tutto e si impone un
codice di comportamento durissimo
che la porterà progressivamente a
essere risucchiata nella spirale buia
della malattia che non perdona e da
cui è difficile uscire: l’anoressia.
r. Marco Pozzi sc. Paola Rota, Marco Pozzi
fo. Alessio Viola mont. Claudio Bonafede
mus. Claudio Pelissero int. B. Gargari, G.
Togna, S. Bergamasco, I. Barzizza or. Italia
2010 distr. Movimento Film dur. 106’
M
arco Pozzi presenta con sguardo sensibile uno dei problemi più temibili del mondo giovanile: l’anoressia, un malessere dolce che, come il miele, scivola
nelle pieghe del corpo e della mente, ma
amaro perché può portare alla morte. Maledimiele non accompagna solo lo spettatore dentro la malattia, mette anche in
campo il vuoto esistenziale e la difficoltà
di comunicare della famiglia borghese della protagonista.
Per rendere tale complessità, Pozzi lascia intuire il dramma attraverso scelte
Melancholia
La fine del mondo è vicina e ha il volto
di un pianeta blu che da mesi
‘corteggia’ la terra, dove Justine ha
appena sposato il suo principe. Ma di
quell’amore, formalizzato in un vuoto
rituale e circondato da familiari troppo
diligenti e poco affezionati, Justine non
sa più che farsene.
Sedotta dal pianeta, sprofonda nella
sua ‘malinconia’.
Incompresa dagli ospiti, dal maître de
cerimonie e dal marito, Justine assume
comportamenti inappropriati,
umiliando il suo datore di lavoro e
facendo sesso con un giovane invitato.
Abbandonata il giorno delle nozze,
cede all’apatia e alla depressione. La
soccorre Claire, sorella maggiore e
‘controllata’, con cui passerà le ultime
ore di vita prima dell’impatto con
Melancholia.
r. e sc. L. von Trier fo. M.A. Claro mont. M.
Højbjerg, M.M. Stensgaard mus. K. Eidnes
Andersen int. K. Dunst, C. Gainsbourg, K.
Sutherland, A. Skarsgård, S. Skarsgård, C.
Rampling or. Danimarca/Germania/Francia/
Svezia 2011 distr. Bim dur. 130’
P
erennemente instabile e incessantemente mutevole il cinema di Lars von
Trier investe la società dello spettacolo con
l’energia travolgente di un’onda che qualche volta bagna e irrita, molte altre monda e rinfresca. Un cinema il suo che obbliga a ridiscutere di estetica e di poetica, di
ritmi e di stili, un cinema che rilancia sempre disarmando con le sue trappole di folgorante bellezza.
Presentato in concorso a Cannes Melancholia è un’opera in due atti che spiaz-
estetiche differenti. Gioca sulla ripetizione da parte di Sara di gesti simbolici, come tracciare l’impronta del proprio corpo su un lenzuolo quasi fosse un sudario.
Lavora sulla contrapposizione tra pieno
e vuoto (del corpo, della relazione con i
genitori, dell’amore negato) accentuandolo, collocando gli eventi in spazi ampi,
ma algidi, silenziosi e claustrofobici. Utilizza il contrasto tra luci e ombre nei luoghi in cui Sara consuma i giorni, ma anche per descrivere le due parti della sua
personalità: quella che mostra a tutti e
quella che consuma in stanze segrete.
Sottolinea l’inconsistenza della famiglia
rappresentandola quasi fosse un quadretto privato di ogni consistenza reale. Di
particolare effetto è la scelta di scandire
la narrazione con la voce di Sara che si fa
via via più spigolosa, pungente, raggiungendo lo spettatore con la forza di una lama. Al termine della visione non può non
rimanere scolpito nella memoria lo sguardo vacuo della ragazza, una fra le tante, insospettabili vittime di un ideale di femminilità che la moda insiste a proporre come un valore. Vedi anche in Il Ragazzo
Selvaggio n. 93, p. 16. (p.c.)
za e smuove l’apatia del disincantato
sguardo contemporaneo (ri)proponendo
la dismisura del melodramma (lirico). Diviso in due parti e introdotto dal preludio
wagneriano di Tristano e Isotta, l’ultimo
film di von Trier mette in scena la sua e nostra Apocalisse.
Definitivo e liberatorio, Melancholia si
concentra sulla vita di due sorelle in attesa di un pianeta minaccioso e magnifico
che manderà letteralmente in frantumi la
loro vita e il loro mondo. Ai tableaux vivants di impressionante forza pittorica, che
come un’ouverture operistica anticipano
ciò che accadrà, seguono cinquantotto minuti di matrimonio, una festen in famiglia,
uno psicodramma consumato all’interno
di un nucleo domestico allargato che non
manca di esumare scheletri ben conservati negli armadi e di esibire la tempesta
emozionale della sposa, la bionda Justine
di Kirsten Dunst, attraversata dalla depressione e trafitta dalla melanconia.
Un film che deflagra sul buio aprendo
un varco verso un altro modo di guardare.
O verso un altro mondo (e un altro cinema)
da vedere. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, pp. 8 e 9. (m.gn.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
23
DAI 14 ANNI
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Midnight in Paris
Gil è uno sceneggiatore hollywoodiano
che vorrebbe fare un salto di qualità
scrivendo un romanzo. La sua
relazione con Inez risente di queste
frustrazioni, poiché la ragazza lo
ritiene un eterno indeciso con il mito
nostalgico degli anni Venti. Una sera,
rimasto solo mentre passeggia per le vie
di Parigi, Gil si ritrova per magia
proprio negli anni Venti e ha così modo
di conoscere Francis Scott Fitzgerald,
Ernest Hemingway, Salvador Dalì,
Pablo Picasso e Gertrude Stein, alla
quale chiede consigli per il suo
romanzo.
L’euforica esperienza lo porta in breve a
dedicare le giornate alla scrittura e le
notti alle avventure nel passato: in
questo modo conosce Adriana, una
ragazza di provincia che sogna il
successo e che vorrebbe vivere ai tempi
della belle époque. Ben presto Gil si
accorgerà di come i miti del passato
siano soltanto un alibi che impedisce
di vivere appieno il presente.
S
tupisce che sia un autore maturo e di
lunga esperienza come Woody Allen
a mettere sotto i riflettori una delle patologie dei nostri tempi: l’afflizione nostalgica, che costringe all’immobilismo
e al continuo rimpianto del passato.
Il film, pur nella sua struttura lineare
e apparentemente molto semplice, si
Miracolo
a Le Havre
Le Havre
Marcel Marx, abbandonata ogni velleità
artistica, vive a Le Havre facendo il
lustrascarpe. Trascorre il tempo libero al
bar o con la moglie Arletty. Un giorno
incontra Idrissa, un ragazzino che è
fuggito dal Gabon nascosto in un
container insieme ad altri immigrati fra
cui il nonno.
Arletty non sta bene, deve essere ricoverata
per un male che pare incurabile. Ignaro
delle reali condizioni della moglie, Marcel
va a Calais, nel centro che ospita il nonno
di Idrissa, e gli promette di aiutare il
nipote a raggiungere la madre a Londra.
Per questo però occorre molto denaro: gli
abitanti del quartiere aiutano l’anziano a
organizzare un concerto. Ma, dopo che un
informatore della zona ha denunciato la
presenza del ragazzino in casa di Marcel,
la polizia tiene d’occhio l’uomo. Quando
tutto sembra perduto, giunge un aiuto
inaspettato.
Marcel va in ospedale a trovare Arletty e…
24
r. e sc. Woody Allen fo. Darius Khondji
mont. Alisa Lepselter mus. Stephane
Wrembel int. Owen Wilson, Rachel
McAdams, Kurt Fuller, Michael Sheen,
Marion Cotillard, Tom Hiddleston, Corey
Stoll, Kathy Bates, Adrien Brody or.
Usa/Spagna 2011 distr. Medusa dur. 94’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. e sc. Aki Kaurismäki fo. Timo
Salminen mont. Timo Linnasalo int. A.
Wilms, K. Outinen, J.-P. Darroussin, B.
Miguel, E. Salo, E. Didi, P. Étaix, J.-P.
Léaud or. Francia/Finlandia/Germania
2011 distr. Bim dur. 93’
M
iracolo a Le Havre, titolo che (in
italiano) rimanda al film di De Sica, nella filmografia del regista si colloca subito dopo la trilogia dei perdenti,
composta da Nuvole in viaggio, L’uomo
senza passato e Luci della sera, con cui
condivide il rigore stilistico, che peraltro
contraddistingue l’intero percorso del
regista, insieme all’attenzione verso per-
snoda lungo un doppio registro: quello
della fiaba, innanzitutto, che tenta di restituire allo spettatore uno sguardo vergine rispetto alla Storia e al presente,
cercando di rivalutare il valore della meraviglia e il gusto per la scoperta rispetto alla tradizione e alle possibilità che la
stessa ha determinato. In virtù di questa
prospettiva rivitalizzante, il passato
smette di essere bloccato nell’idealismo
e nella dimensione museale dei luoghi
attraversati da Gil di giorno e diventa
materia viva, capace di riverberare un
nuovo fascino. C’è poi il registro della
demistificazione di un tempo elevato a
mito ineludibile e che per questo finisce
per impedire di cercare nuove strade nel
presente. La decisione finale di Gil di abbandonare il mondo del sogno, quindi,
gli dona consapevolezza e lo porta a
troncare il rapporto fallimentare con
Inez, ma allo stesso tempo lo ricontestualizza nel suo tempo, donandogli
nuovo entusiasmo e voglia di affrontare
le sfide. Il percorso di formazione, tipico di molte fiabe, insomma, si completa. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.
90, p. 29. (d.d.g.)
sonaggi marginali, umili, lavoratori che
abitano nei quartieri degradati delle periferie.
La pellicola per il suo tema principale
è attualissima e risente di quell’urgenza
che aveva animato Nuvole in viaggio, scritto in un momento particolarmente critico in cui la Finlandia era afflitta dalla disoccupazione. Mai come in quella pellicola Kaurismäki si era avvicinato, fino ad allora, alla realtà contemporanea giudicandola severamente, seppure adottando una
personalissima forma di riscrittura.
Per Miracolo a Le Havre l’autore si
spinge oltre, varca i confini del proprio
Paese per affrontare il problema irrisolto dei profughi. E lo fa raccontando l’incontro tra due mondi - quello degli immigrati giunti dal Gabon e quello degli
abitanti di un quartiere popolare di una
città portuale - elaborando ancora una
volta un proprio universo, venato di ottimismo, di bizzarria e umorismo, un vero antidoto contro l’indifferenza e il cinismo odierni.
Un cinema di poesia dallo stile impeccabile. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 90, pp. 6 e 7. (l.c.)
DAI 14 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Molto forte,
incredibilmente
vicino
Extremely Loud &
Incredibily Close
DAI 14 ANNI
Oskar (11 anni) vive con i genitori a
Manhattan. È molto legato al padre con il
quale gioca a inventare ossimori, una
routine fatta di parole e fantasia, amore e
complicità. Ma un maledetto giorno la
loro quotidianità viene spezzata
dall’attentato al World Trade Center.
Il ragazzino trova, per caso, in un
armadio una chiave con scritto Black e
quell’oggetto diventa per lui un rebus da
risolvere, un ultimo gioco per rimanere
ancorato alla figura paterna.
Ma non è il risultato che conta, bensì la
ricerca. Il cammino del ragazzo per le
strade di New York diventa un
pellegrinaggio ricco di incontri: ogni
persona ha un dolore, una perdita, una
paura che porta dentro di sé. Alla fine un
anziano farà capire a Oskar quanto sia
bella la vita, nonostante tutto.
r. Stephen Daldry so. Dal romanzo di
Jonathan Safran Foer sc. Eric Roth fo. Chris
Menges mont. Claire Simpson mus.
Alexandre Desplat int. T. Hanks, S. Bullock, T.
Horn, M. von Sydow, V. Davis, J. Goodman,
J. Whight, Z. Caldwell, A. Martinez or. Usa
2011 distr. Warner dur. 129’
I
l regista Stephen Daldry e lo sceneggiatore Eric Roth riprendono alcune idee
del bel romanzo di Jonhatan Safran Foer da cui è tratto il film, ma il risultato
non è lo stesso. Nello script sono stati
tagliati i non-detti, le sfumature e i pensieri sospesi; la regia si sofferma spesso
sugli occhi di Oskar e fa un uso eccessi-
Monsieur Lazhar
Bachir Lazhar
In una scuola elementare di Montreal,
una maestra muore tragicamente.
Dopo aver letto la notizia sul giornale,
Bachir Lazhar, un cinquantacinquenne
immigrato algerino, si presenta alla
preside per offrirsi come sostituto,
vantando oltre quindici anni di
esperienza di insegnamento. Viene
assunto immediatamente, anche perché
nel frattempo nessun altro insegnante si
è proposto, e si ritrova in una scuola in
crisi, costretto, al contempo, a dover
affrontare un dramma personale.
Bachir impara a conoscere il suo
gruppo di scolari, tra cui Alice e Simon,
due tra i bambini più traumatizzati
dalla scomparsa della maestra.
Trascorrono i mesi, e poco alla volta
l’uomo riesce a instaurare un buon
rapporto coi suoi allievi, ad amarli e a
sua volta a farsi accettare.
Nessuno è al corrente della lacerante
situazione dell’insegnante, che rischia
l’espulsione dal Paese…
r. e sc. Philippe Falardeau fo. Ronald
Plante mont. Stéphane Lafleur int.
Mohamed Fellag, Sophie Nélisse, Danielle
Proulx, Jules Philip, Émilien Néron or.
Canada 2011 distr. Officine Ubu dur. 94’
M
eritatamente candidato a concorrere al premio Oscar come miglior
film straniero lo scorso anno, Monsieur
Lazhar è il secondo adattamento del cineasta quebecchese, Philippe Falardeau.
Tratto dall’omonima pièce teatrale di
Evelyne de la Chenelière, che fa la sua comparsa nella pellicola nei panni della madre
della piccola Alice, Monsieur Lazhar affronta il tema dell’elaborazione del lutto,
della capacità di reagire: un lutto collettivo ma anche personale, che coinvolge in
modo differente ciascun personaggio.
vo dei flashback per rimarcare il continuo ricordo che il ragazzo ha di suo padre.
Comunque, la storia individuale del
protagonista si fa storia universale di tutte quelle persone che sono state colpite
dalla tragedia delle Torri Gemelle e anche di coloro che hanno sofferto in epoche passate. Si tratta infatti del racconto della ricerca di un nuovo equilibrio
dopo un lutto o un’esperienza dolorosa.
All’inizio Oskar non capisce cosa sia
successo e non accetta la perdita del padre. Ma, dopo il percorso fisico alla ricerca della serratura e grazie all’aiuto psicologico da parte dell’anziano signore, il ragazzo capisce che la ragione umana non
arriva a spiegare tutto e che si può, comunque, tornare alla vita e al futuro.
Una storia prettamente al maschile,
ma le donne, anche se restano sullo sfondo, sono importanti, come lo è la mamma di Oskar che ha l’ intelligenza di lasciare che il figlio compia l’elaborazione
del lutto a modo suo. Una storia, quindi, che parla di gioventù e vecchiaia, di
dubbi e saggezza. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 26. (a.m.)
La classe diviene un microcosmo dove poter affrontare paure e dolori, dove
poter ritrovare la propria alterità e identità culturale.
La pellicola, attraverso una struttura
narrativa semplice, lineare, prende avvio da un atto tragico, estremo, per raccontare con levità la capacità di reagire,
regalando momenti di poesia e ironia.
Al cineasta non interessa puntare il
dito contro il sistema scolastico, al contrario preme sottolineare come l’insegnamento sia un atto di resistenza e
quanto oggigiorno gli insegnanti possano a tutti gli effetti essere considerati
eroi moderni; lo è Bachir, nella sua muta resistenza contro l’ottusità di certi
genitori che non accettano osservazioni sui propri figli, nell’andare contro
corrente e imporre ai suoi allievi metodi di insegnamento considerati ormai
desueti.
Per il ruolo di Bachir, la scelta di Mohamed Fellag, attore, umorista e scrittore algerino, per il regista è stata quasi
obbligata, per il suo vissuto simile a quello del personaggio, per la forza e la dignità che sembrano accomunarli. (l.c.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
25
DAI 14 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
26
Paradiso amaro
The Descendants
Matt King è un avvocato di prestigio in
un paradiso bagnato dal Pacifico.
Discendente da missionari americani e
reali hawaiani, Matt è proprietario e
amministratore delle ultime terre
vergini dell’arcipelago. Marito e padre
di due figlie, la sua vita riceve
un’improvvisa battuta d’arresto
quando la moglie entra in coma a
seguito di un incidente in barca nel
mare di Waikiki. Il sonno irreversibile
in cui versa la compagna lo costringe a
riconsiderare la sua vita e il suo ruolo
di padre.
Riavvicinatosi alle figlie, scopre dalla
maggiore che la moglie aveva un
amante e l’intenzione di divorziare.
Colpito senza affondare, Matt è deciso
a capire il tradimento e ostinato a
cercare il rivale. Nel viaggio che lo
condurrà da Brian Speer, Matt
maturerà uno sguardo nuovo sulle
figlie e la vita, decidendo per il
sentimento e la saggezza.
r. Alexander Payne sc. Alexander Payne,
Nat Faxon, Jim Rash fo. Phedon
Papamichael mont. Kevin Tent mus.
Richard Ford int. G. Clooney, S.
Woodley, R. Forster, J. Greer, M. Lillard,
N. Krause, M. Birdsong, P. Hastie, B.
Bridges or. Usa 2011 distr. Fox dur. 110’
C
omincia con un risveglio brusco e un
sonno dolce il nuovo film di Alexander Payne, ambientato nel paradiso in terra degli americani e interessato alle persone vere e alle storie comuni, alle nevrosi e
alle tragedie personali nelle quali è facile
riconoscersi. Perché la vita, compresa
quella di Matt King, è il prodotto di gesti
Il primo uomo
Algeria, 1957. Jacques Cormery,
scrittore affermato e intellettuale
finissimo, torna ad Algeri sulle tracce
del padre mai conosciuto e deceduto
nella prima battaglia della Marna.
Ospite della vecchia madre, che lo ama
infinitamente ma non ha mai voluto
raggiungerlo in Francia, Jacques tiene
un discorso all’università di Algeri,
agitata e insanguinata dalla lotta
indipendentista.
Dentro i pomeriggi caldi di sole, l’uomo
rievoca la sua infanzia ‘educata’ da
una nonna intransigente, una madre
indulgente e uno zio semplice e
intimamente gentile.
Avanti e indietro nel tempo e nella
Storia di un Paese, Jacques risalirà fino
alla sua nascita, agli albori e alle
premesse dell’uomo che sarebbe
diventato.
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. e sc. Gianni Amelio fo. Yves Cape
mont. Carlo Simeoni mus. Franco
Piersanti int. J. Gamblin, M. Sansa, C.
Sola, D. Podalydès, U. Baugué, N. Giraud,
N. Jouglet,... or. Francia/Italia/Algeria,
2011 distr. 01 Distribution dur. 98’
I
spirato dal romanzo incompiuto di Albert Camus, Il primo uomo è un viaggio
che mette in scena ancora una volta l’universo morale del regista calabrese. Dopo
l’Italia disastrata dei primi anni Novanta
(Ladro di bambini) e dopo l’Albania postcomunista (Lamerica), Amelio guarda all’Algeria, all’insofferenza coloniale e alla
delicata relazione con la Francia. Guarda a
un maître à penser che predicava la convivenza e la reciproca comprensione. Al centro del film ancora una volta la paternità,
scelti per sciogliere i nodi che ne fanno un
intreccio tragicomico. Brillante alla superficie, Paradiso amaro come un buon vino libera presto sapori più densi e penetranti. Il retrogusto, amaro come il titolo
italiano, partecipa a una dimensione umana per così dire marginale e fuori mano rispetto all’immaginario hollywoodiano.
L’eccezionalità del cinema di Payne
non sta allora e non sta tanto nel mettere
sullo schermo l’inquietudine del quotidiano, quanto nel modo in cui il regista decide di trattarla, nella forma di un cinema
invisibile e magnificamente classico, che
nessuno a Hollywood sa più fare. Autore
indipendente e scrittore dotato, Payne
realizza commedie ‘laterali’ come le strade battute dai personaggi nel suo film più
celebre, Sideways.
E dell’indecifrabile essenza del titolo
inglese il suo cinema mantiene l’intraducibilità e la natura sfuggente, sempre sfumata. Perché l’oggetto frequentato dall’autore americano è l’uomo, perché il suo
film è una corte clemente che comprende prima di semplificare a giudizio e nei
giudizi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio
n. 92, pp. 8 e 9. (m.gn.)
quella reale e quella metaforica, e un’idea
di cinema morale in bilico tra la lezione di
Rossellini e quella di Bazin. Rinforzando
l’indissolubilità del legame tra passato e
presente, il regista ripropone un rinnovato umanesimo nell’osservazione della realtà, producendo uno stile personale dove
la forma (estetica) diventa etica. L’incontro
ideale con Camus trova proprio qui il senso e la ragione d’essere. Impaginando per
immagini un racconto svolto sul doppio
binario temporale, Il primo uomo riferisce
di un’infanzia accudita da figure femminili, che trova il suo riscatto nella cultura e
nell’educazione all’immagine: le diapositive della Grande Guerra proiettate dal maestro e il film muto ‘declamato’ alla nonna
analfabeta nel buio di un cinematografo. A
mancare nella vita del protagonista è il padre, sostituito nei film di Amelio dalla figura guida dei padri-maestri, sempre umani
e interessati al disagio giovanile, sempre
disponibili a concedere al bambino la possibilità di essere una persona che cresce e
conosce la vita nel modo giusto, sempre
pronti a restituire ai bambini una cosa che
altri avevano rubato. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 10 e 11. (m.gn.)
DAIGLI 8 ANNI
V.M. 14 ANNI/DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Project X
Una festa che spacca
Project X
Il giorno del diciassettesimo compleanno
del timido Thomas, i suoi compagni di
scuola Costa, JB e Dax organizzano una
festa di epiche proporzioni con lo scopo di
risollevare la popolarità del quartetto,
ignorato da tutti. L’evento si terrà a casa
del festeggiato, approfittando dell’assenza
dei genitori per il fine settimana e
abbonderà in alcool, droga e ragazze
disponibili.
Dopo la visita a uno spacciatore
psicolabile e l’acquisto di alcolici, i quattro
compagni aspettano impazienti la sera.
Proprio quando stanno per rassegnarsi
all’ennesimo fallimento, arrivano a frotte
gli invitati con i loro amici e gli amici
degli amici. In un crescendo di musica ed
ecstasy, tutti si danno alla pazza gioia,
anche nella piscina di casa che diventa
teatro delle più assurde esibizioni. Solo
Kirby, amica d’infanzia di Thomas e
innamorata di lui, intuisce che la festa
arriverà a un punto di non ritorno.
r. Nima Nourizadeh sc. Matt Drake,
Michael Bacall fo. Ken Seng mont. Jeff
Groth int. Thomas Mann, Oliver Cooper,
Kirby Bliss Blanton or. Usa 2011 distr.
Warner dur. 88’
N
ima Nourizadeh, inglese di origini iraniane, documentarista e cultore di
musica, si chiede, con il suo primo lungometraggio, che cosa spinga un gruppetto di
amici a rompere le regole del vivere sociale al punto da arrivare a uno scontro con la
polizia in assetto antisommossa. Da una
parte il desiderio di lasciare un segno, anche se negativo, della propria esistenza e,
dall’altra, il riscatto da un ambiente scolastico egoista e competitivo.
I Puffi
The Smurfs
Cinque Puffi - Tontolone, Quattrocchi,
Coraggioso, Brontolone e la dolce
Puffetta - guidati dal Grande Puffo
escono dal loro villaggio per sfuggire al
mago Gargamella, che intende usare la
loro essenza blu per aumentare i suoi
poteri magici. Durante la fuga sono
risucchiati in un vortice spaziotemporale che li catapulta nella New
York del giorno d’oggi. Qui finiscono
nell’appartamento di Patrick e Grace,
che dapprima si spaventano, ma poi
fanno amicizia con loro. Patrick è un
pubblicitario a un punto cruciale della
sua carriera e gli ometti blu riescono,
pur senza volerlo, a salvarlo dal
licenziamento per una campagna di
manifesti stradali sbagliata, che invece
si rivelerà vincente grazie all’immagine
della grande luna blu, la dea dei Puffi.
Alla fine, sconfitto Gargamella, gli
ometti blu vengono risucchiati dallo
stesso vortice di partenza e fanno
ritorno a casa sani e salvi.
r. Raja Gosnell sc. J. David Stem, David
N. Weiss, Jay Schrick, David Ronn fo.
Phil Meheux mont. Sabrina Plisco mus.
Heitor Pereira int. N.P. Harris, J. Mays, S.
Vergara, H. Azaria, T. Gunn or.
Usa/Belgio 2011 distr. Sony dur. 90’
S
ul successo di dimensioni planetarie
dei Puffi si è interrogato fin dal 1979
il celebre semiologo Umberto Eco, autore di un saggio a proposito della lingua
puffa: ‘È una lingua fatta di un’immensa quantità di sinonimi, dove tutti i termini sono omonimi e anche sinonimi.
Come capirsi? Secondo i principi della
linguistica tradizionale, la lingua puffa
Il film è tratto da un episodio accaduto
in Australia, dove un gruppo di teenager diramò inviti su MySpace, provocando danni per milioni a cose e persone, e facendo
accorrere sia la polizia sia la stampa sul
luogo dell’evento. Project X ritrae bene i
protagonisti di tali situazioni: ragazzi provenienti da famiglie benestanti che, pur
appartenendo a un’élite, sono ai margini
della vita scolastica, sia per rendimento,
sia per popolarità. Questi anonimi studenti, però, padroneggiano con abilità i nuovi
mezzi di comunicazione, dove una personalità più appagante di quella reale li sostiene nel web. L’intero film è infatti girato come un documentario, assemblando cioè
del materiale video, qui ovviamente ricreato. Tre sono le fonti: le semi-soggettive con
camera a spalla, che mostrano il punto di
vista di Dax; le immagini dei finti telegiornali; infine - idea geniale - le riprese della
festa fatte dagli attori e dalle comparse, tutti dotati dal regista di cellulari Smartphone.
Tecnologia che regna sovrana, mezzi di
comunicazione usati per gridare a tutti:
“Siamo qui!” e difendere così la propria reputazione giovanile. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, p. 29. (c.m.v.)
non dovrebbe permettere la comunicazione tra i membri del gruppo, e invece
i Puffi si capiscono benissimo e noi capiamo loro’. Il segreto forse risiede nell’estrema semplicità del loro mondo, in
cui ognuno ha un carattere e un ruolo
preciso. Tutti sono capaci di fare bene
qualcosa, a tal punto da essere battezzati secondo la rispettiva funzione: Puffo
Poeta, Puffo Forzuto, Puffo Burlone…
L’unica femmina è la Puffetta, caratterizzata da capelli biondi, occhi naturalmente azzurri, vocina mielosa, ciglia
truccate di mascara e decolleté con tacchetto. Non c’è Puffo che non ne sia innamorato, ma lei non fa preferenze per
nessuno, rimanendo così un sogno condiviso da tutti e irrealizzabile.
Nei momenti di difficoltà il Grande
Puffo, saggio e anziano capo del villaggio, consulta un antico testo di alchimia,
che fornisce suggerimenti immediati su
come comportarsi. Allo stesso modo, anche il messaggio del film è molto semplice e lineare: mai disperarsi, perché alla
fine i buoni vincono e i cattivi sono sconfitti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.
90, p. 35. (s.s.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
27
DAI 10 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Qualcosa
di straordinario
Big Miracle
DAI 14 ANNI
Il cronista Adam Carlson vorrebbe lasciare
la provincia dell’Alaska in cui lavora. Ma
si trova tra le mani un fatto straordinario:
tre balene grigie sono rimaste intrappolate
sotto una lastra di ghiaccio durante la
migrazione. La calotta, troppo estesa,
impedisce loro di arrivare in mare aperto
e i cetacei sono impegnati allo spasimo
per tenere aperto l’unico foro nel ghiaccio
che permette di affiorare a prendere fiato.
Il servizio di Adam sul fatto per un canale
televisivo locale attira in Alaska giornalisti
di tutte le emittenti nazionali,
imprenditori che si improvvisano
difensori dell’ambiente e perfino il
Presidente Reagan. Interviene anche una
rompighiaccio sovietica. Ma quelli che si
impegnano di più nell’impresa sono
Adam, Nathan (un ragazzo, amico del
giornalista, nato in Alaska) - prezioso
tramite con la popolazione e la cultura
locale - e l’ambientalista Rachel Kramer,
ex fidanzata di Carlson.
28
r. Ken Kwapis sc. Jack Amiel, Michael
Begler fo. John Balley mont. Cara
Silverman mus. Cliff Eidelman int. D.
Barrymore, J. Krasinski, K. Bell, D. Mulroney,
T.B. Nelson, V. Shaw, J. Pingayak, J. Chase,...
or. Usa 2012 distr. Universal dur. 107’
I
l film racconta una storia vera tratta dal
libro Freeing The Whales del giornalista
Thomas Rose: un fatto che ha coinvolto il
mondo intero nell’ottobre del 1988. La vicenda si è conclusa positivamente grazie a
una coalizione formata dalla popolazione
del luogo, dagli attivisti di Greenpeace, dalle compagnie petrolifere, dalla Casa Bianca (Reagan in persona), da militari americani e sovietici. Tutti hanno messo da parte gli interessi personali e le divergenze sui
Quasi amici
Intouchables
Il colto e aristocratico Philippe,
paralizzato dal collo in giù a seguito di
un incidente, è alla ricerca di un nuovo
aiutante. Driss, un giovane da poco uscito
di prigione, si presenta al colloquio con
l’unico interesse di farsi firmare il foglio
per il rinnovo del sussidio di
disoccupazione. Non ha alcun
curriculum, tuttavia viene preso in prova
per quindici giorni da Philippe,
incuriosito dai modi di fare del giovane.
Driss si trasferisce nel palazzo di
proprietà del suo nuovo datore di lavoro,
non deve mai lasciarlo solo. Il giovane
sembra infondere energia vitale
nell’uomo, riuscendo anzi a convincerlo a
incontrare una donna, con cui ha una
relazione epistolare.
Superato il periodo di prova, Driss è
assunto, ma il suo soggiorno nei quartieri
alti parigini dura poco, deve tornare a
casa dove un famigliare si è cacciato nei
guai; resta comunque in contatto, decide
di andare a trovare Philippe e di aiutarlo
ad affrontare le sue paure…
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. e sc. Olivier Nakache, Eric Toledano
fo. Mathieu Vadepied mont. Dorial
Rigal-Ansous mus. Ludovico Einaudi int.
F. Cluzet, O. Sy, A. Le Ny, A. Fleurot, C.
Mollet, A.G. Bellugi, C. Mendy, C. Ameri,
M.-L. Descoreaux, G. Oestermann or.
Francia 2011 distr. Medusa dur. 112’
I
spirandosi alla biografia di Philippe
Pozzo di Borgo, ricco uomo d’affari tetraplegico, e al suo incontro col proprio
badante, Abdel Sellou, i due registi, Eric
Toledano e Olivier Nakache fanno proprio il desiderio dello stesso protagonista, raccontando “una lezione universa-
problemi legati all’ambiente, hanno partecipato all’impresa portandola a buon fine. Da un lato la popolazione locale si è
impegnata freneticamente a forare e rompere chilometri di ghiaccio, dall’altro una
rompighiaccio sovietica ha spinto le lastre
ghiacciate verso l’entroterra per riuscire a
spostarle di almeno alcune miglia.
Due balene sono state restituite al mare aperto. Purtroppo il balenottero, provato per ferite e crisi respiratorie fin dalla scoperta dei cetacei, non ce l’ha fatta. La singolarità dell’evento e del suo evolversi ha
conferito alla storia un effetto mediatico
travolgente. Ma, fatto ancor più straordinario, è che l’impegno per portare all’esito
positivo la “missione” ha provocato un disgelo tra Americani e Sovietici in tempi di
Guerra Fredda.
Ken Kwapis racconta un evento noto.
Nel ripercorrere gli accadimenti che lo
hanno caratterizzato pone l’accento soprattutto sul coinvolgimento dei media
che lo ha accompagnato. Descrive una Nazione in cui la società e la politica sono
profondamente influenzate dai canali televisivi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio
n. 92, p. 19. (m.g.)
le di due desperados che si sostengono
l’un l’altro”.
La scelta del titolo, Intouchables - divenuto in Italia, Quasi amici - voleva essere un evidente riferimento alle caste
indiane, gli “intoccabili” o “paria” che
rappresentano la parte della popolazione più povera ed emarginata, un tempo
priva di tutti i diritti; ma, al contempo, rimanda anche al legame indissolubile, al
rapporto di profonda amicizia e di interdipendenza che si viene a creare tra i
due personaggi.
L’incontro tra Philippe e Driss abbatte qualsiasi barriera sociale, intellettuale, culturale, si sofferma principalmente sul concetto di solidarietà, è una storia di amicizia. Nessun pietismo o desiderio di sottolineare una conflittualità
classista appesantiscono la narrazione,
vi è un’irriverente comicità e una volontà dissacrante dove prevale sempre il lato umano di ciascun personaggio, indipendentemente dal ceto di provenienza.
Una ricetta così apparentemente semplice, da fare del film un piccolo capolavoro. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.
92 pag. 30. (l.c.)
DAI 16 ANNI
DAI 12 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Real Steel
2020. Il pugilato fra esseri umani non
esiste più, ora i combattimenti sono
sostenuti dai robot, in grado di
assicurare maggiore spettacolarità.
Charlie Kenton è un ex pugile che non
ha saputo sfruttare la sua chance e ora
si arrangia partecipando a gare di
“robot boxing” con quello che riesce ad
assemblare, ma le cose non gli vanno
troppo bene.
Oberato dai debiti e sempre alla ricerca
di un nuovo ingaggio, Charlie si ritrova
anche costretto a badare per un’estate a
Max, il figlio che non ha mai voluto
seguire e che ora, a 11 anni, è rimasto
senza madre e deve passare sotto la
custodia degli zii. Il ragazzo, pur
mostrandosi scontroso verso il genitore,
si appassiona agli incontri di “robot
boxing”, ancor più quando, in una
discarica, recupera Atom, un robot di
vecchia generazione, e decide di farlo
combattere. Per far questo, però,
occorre che Atom sia allenato da un
esperto come Charlie...
r. Shawn Levy so. D. Gilroy, J. Leven dal
racconto “Acciaio” di R. Matheson sc.
John Gatins, Leslie Bohens fo. Mauro
Fiore mont. Dean Zimmerman mus.
Danny Elfman int. H. Jackman, D. Goyo,
E. Lilly, A. Mackie or. Usa 2011 distr.
Walt Disney dur. 122’
D
opo gli ottimi Transformers, Steven
Spielberg continua a fondare una mitologia che traghetti la figura del robot dalla cultura giapponese a quella occidentale e per far questo si affida alla mano di
Shawn Levy: il regista di Una notte al museo lo ripaga conducendo con mano sicura una storia di combattimento fra giganti meccanici, articolata sui dettami del clas-
Romanzo
di una strage
Milano 19 novembre 1969. Al Teatro
Lirico, durante una manifestazione,
muore l’agente Antonio Annarumma. Qui
si incontrano i due protagonisti del film:
Luigi Calabresi della Squadra politica
della Questura di Milano e Giuseppe
Pinelli, un ferroviere milanese che anima
il Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa.
Intorno a loro i gruppi anarchici e della
sinistra extraparlamentare, l’editore
Feltrinelli, i neofascisti veneti Freda e
Ventura, i membri dei servizi segreti, le
istituzioni. In questo clima fosco il 12
dicembre 1969 un’esplosione devasta la
Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Muoiono diciassette persone e ottantotto
rimangono gravemente ferite.Viene
arrestato l’ anarchico Pietro Valpreda,
mentre Pinelli dopo un interrogatorio
estenuante, morirà cadendo da una
finestra della Questura. Luigi Calabresi,
amareggiato e ‘isolato’, prosegue le
indagini nel Carso, covo dei servizi deviati.
Il 17 maggio 1972 viene assassinato.
r. Marco Tullio Giordana sc. S. Petraglia, S.
Rulli, M.T. Giordana fo. Roberto Forza mont.
Francesca Calvelli mus. Franco Piersanti int.
V. Mastandrea, P. Favino, F. Gifuni, L.
Chiatti, L. Lo Cascio, O. Antonutti, G.
Lazzarini,... or. Italia 2012 distr. 01 dur. 130’
“A
tutte le diciassette vittime che morirono in quel pomeriggio del 12 dicembre 1969”. Il regista dedica così la sequenza più intensa del film, le immagini
di repertorio di Milano piegata dal dolore
ai funerali in piazza Duomo: momenti di
commozione altissima, anche grazie all’accompagnamento della Lacrimosa di
Mozart. Romanzo di una strage appartiene a quel genere di film su cui esprimere
un giudizio critico obiettivo è difficile, in
quanto non si riesce sempre a separare
sico racconto di incontro-scontro fra un
padre fallito e un figlio in cerca di punti di
riferimento. Siamo quindi in un ambito
che ha già seminato in passato pellicole
come Il campione o, più propriamente,
Over the Top (realizzato, guarda caso, negli stessi Anni Ottanta che hanno reso sia
il cinema di Spielberg che i robot centrali
nell’immaginario di mezzo mondo).
Il rapporto fra opposti si configura lentamente come una simbiosi, in cui l’avvicinamento dei personaggi va di pari passo con quello fra l’uomo e la macchina: la
storia, non a caso, gioca con la possibilità
che il robot Atom sia dotato di una volontà propria, ma non scioglie mai del tutto
questo dubbio.
Al contrario, il finale porta il robot a vincere la sua sfida contro il colosso Zeus
(giapponese, nemmeno a dirlo) proprio
emulando le mosse del suo allenatore, e la
vittoria permette infine a Charlie e al figlio Max di costruire un terreno comune su
cui cementare la loro unione. Atom diventa così il fulcro di una triangolazione fra iconografie, vite dei personaggi e immaginari di riferimento, raggiungendo la sintesi cara a Spielberg. (d.d.g.)
l’impatto emotivo dell’esperienza e della
memoria dall’aspetto cinefilo. Il regista
nella sua libera riproposizione storicistica
sceglie la tesi sostenuta da Paolo Cucchiarelli nel libro Il segreto di Piazza Fontana
della doppia bomba (una anarchica inoffensiva e una fascista, quella della strage).
Diviso in brevi capitoli per guidare lo spettatore nell’intrico dei fatti, il racconto è
incentrato sull’incontro/scontro tra Calabresi e Pinelli che come in un film western
si fronteggiano, ma allo stesso tempo sono accomunati dal rigore morale e dalla ricerca della verità. Ripresi anche nella vita
privata, padri e mariti presenti nella famiglia, onesti e determinati nel lavoro. Introducendo altri protagonisti di quel periodo, i politici, i vertici militari e istituzionali, l’autore riesce a restituire il quadro
dell’inadeguatezza della politica e della
colpevolezza dello Stato. Ma, se i personaggi sono credibili grazie all’interpretazione di attori capaci (Mastandrea, Favino, Gifuni), il film difetta di un approfondimento sull’epoca, la società, la città, l’atmosfera cupa e di tensione che sembrava annunciare la tragedia. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 93, pp. 4 e 5. (m.m.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
29
DAI 6 ANNI
DAI 16 ANNI
A N N U A R I O 2 0 12
Scialla!
Stai sereno...
Luca è un adolescente irrequieto perchè
sente la mancanza di una figura
genitoriale forte: studia poco e trascorre
le giornate a “far niente” con gli amici.
Bruno è il suo professore: scrittore di
biografie altrui, e scapolo, ma spesso in
compagnia di Tina, una ex pornostar.
La madre di Luca deve partire per un
improvviso impegno di lavoro e questo
porta Luca e Bruno a vivere sotto lo
stesso tetto per sei mesi: Bruno cerca di
trasmettere al ragazzo un po’ di
cultura, Luca trascina l’uomo in una
Roma piena di musica.
Un giorno, nella palestra che frequenta,
il ragazzo verrà avvicinato da un
pusher che gli chiede di spacciare, ma
lui si rifiuta. Tina chiederà proprio a
Bruno di scrivere la sua biografia, ma il
vero colpo di scena è che il professore
scoprirà di essere il padre di Luca e
allora tutte le parole e le esperienze
condivise assumeranno un significato
nuovo per entrambi.
I
l lungometraggio di esordio di Francesco Bruni mette a confronto adolescenza e maturità.
Risultano ben costruite le figure dei
protagonisti e dei personaggi che animano le loro esistenze. Bruno è un uomo rassegnato, solitario e taciturno tanto che si
rifugia nella sua seconda attività di ghost-
Seafood
Un pesce
fuor d’acqua
Seafood
Pup, piccolo squalo, assiste alla razzia di
sacche di uova da parte di pescatori di
frodo. Spaventato, torna dallo squalo
Julius che tenta di distrarlo. Nel frattempo
il liquame nero sta invadendo i rifugi degli
squali. Anche la piovra Octo consola Pup
portandolo in una corazzata affondata.
Spin, la pastinaca, conduce Pup, insieme
alla tartaruga Mertle, fino alla nave dei
pescatori, dove Pup scopre di poter
respirare in terra ferma, come la tartaruga!
Subito s’imbarca per salvare i nascituri.
Arrivato al molo, entra nella baracca.
Intanto Octo ha inventato uno scafandro
per Julius che gli consentirà di uscire
dall’oceano, con il quale correrà in aiuto
del coraggioso amico. Sulla terra troverà
strani alleati, quattro polli e un granchio.
Si scatena la battaglia finale: animali
contro uomini. Intanto il liquame
continua a uscire. Le forze unite degli
animali avranno la loro vittoria.
30
r. Francesco Bruni sc. F. Bruni, G.
Avellini fo. Arnaldo Catinari mont.
Marco Spoletini mus. Amir Issaa int. F.
Bentivoglio, B. Bobulova, F. Scicchitano,
V. Marchioni, G. Guarino, P. Manujibeya,
A. Scommegna,... or. Italia 2011 distr. 01
Distribution dur. 95’
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. Aun Hoe Goh so. e sc. Jeffrey Chiang
Channel or. Malesia/Cina 2011 distr.
Moviemax dur. 78’
È
il primo film d’animazione malese,
in computer-graphic, senza effetti
3D, una produzione cino-malese ricca
di omaggi ai modelli Usa. Pup intraprende il classico viaggio di avventura per la
salvezza delle uova finite in mano ai
bracconieri, e di formazione, che richiede l’abbandono della casa familiare; ma
da solo soccomberebbe, se tutti gli abitanti del mare, amici o nemici, insieme
agli animali di terra, non si unissero con-
writer. Luca è un degno rappresentante
della gioventù italiana: pochi sogni, poco
entusiasmo, tanta sfrontatezza e, alla fine,
si scopre anche tanto buon cuore.
Queste due persone - così diverse per
età, abitudini, stile di vita - saranno costrette a condividere lo stesso tetto per un
lasso di tempo sufficiente a conoscersi a
fondo e a ri-conoscersi l’uno nell’altro. La
palestra, le strade - e in certo senso anche
la scuola - sono luoghi di transito in cui è
difficile creare legami seri e profondi. Allora, l’unico modo rimasto, è quello di provare a farlo con le parole: parole di musica, di romanzo e anche parolacce a volte.
Bruno cambia abiti e ricomincia a sorridere. Luca si toglie le cuffiette con le canzoni hip-hop per ascoltare parole di poesia
del cantore-delinquente. Tina racconta a
Bruno la propria esperienza personale. E
tutti, apparentemente così distanti, formano una piccola, stramba famiglia.
Un film sul senso dell’amicizia, sul coraggio di parlarsi apertamente e, soprattutto, sull’importanza della parola - scritta o
parlata - per veicolare opinioni, emozioni e sentimenti. Vedi anche in Il Ragazzo
Selvaggio n. 90, p, 23. (a.m.)
tro il nemico comune, l’uomo, il grande
corruttore della natura vergine. Forte
messaggio ecologico e morale: l’iniziativa individuale non può essere vincente
se non accompagnata dalla discussione
e dalla logica dell’impresa collettiva. Senza retorica: nemici si trovano all’esterno
e all’interno delle acque.
Tematica nota, struttura narrativa tradizionale, molta azione, tanta simpatia,
e anche la capacità di distinguersi dal
cartoon americano. La caratterizzazione
dei personaggi è curata, il mondo sommerso non è un paradiso, bensì la sede
della catena alimentare, dove regna il
dubbio. Il tutto è calato nello scenario
orientale, riconoscibile dal paesaggio,
dalla cultura che trapela (non è l’iniziativa individuale americana a trionfare),
dall’insolita drammaticità che percorre
il testo fino a un crescendo poco rossiniano e molto made in Hong Kong del
rocambolesco finale.
Colori vivaci, tratto aggraziato, è un
buon esordio, ricco tematicamente secondo l’aurea regola dell’insegnare giocando. Vedi anche Il Ragazzo Selvaggio n.
94, p. 22. (c.d.)
DAI 16 ANNI
DAI 16 ANNI
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Una separazione
Jodaeiye Nader az Simin
Nader, impiegato di banca, e Simin,
insegnante, hanno ottenuto il visto per
lasciare l’Iran, ma Nader non se la sente
di abbandonare il padre malato di
Alzheimer. Simin ha perciò deciso di
chiedere il divorzio per poter partire con
la figlia undicenne Termeh. Nader però
non accetta. Il giudice li invita quindi a
risolvere privatamente la questione.
Simin torna a vivere dalla madre,
mentre Termeh rimane con il padre e il
nonno. Ad accudire l’anziano è Razieh,
giovane donna religiosa, madre di una
bambina. Razieh è incinta e, dopo una
lite con Nader, viene ricoverata in
ospedale, dove abortisce. Razieh e il
marito Hodjat incolpano Nader, ma i
fatti potrebbero essersi svolti in modo
diverso. Tra le due famiglie esplode un
duro confronto determinato anche
dalle differenze sociali e da opposte
visioni della vita. Sono giorni non facili
per Termeh, che infine dovrà scegliere
con quale genitore vivere…
r. e sc. Asghar Farhadi fo. Mahmoud
Kalari mont. Hayedeh Safiyari Sattar Oraki
int. P. Moadi, L. Hatami, S. Bayat, S.
Hosseini, S. Farhadi, A.-A. Shahbazi, B.
Karimi or. Iran 2011 distr. Sacher dur. 123’
C
on Una separazione Asghar Farhadi
conferma di essere in questi anni l’autore più interessante del cinema iraniano.
Di film in film ha elaborato una sempre più
attenta analisi dei comportamenti e delle relazioni all’interno della società iraniana contemporanea. Una separazione (Orso d’oro
al Festival di Berlino 2011) è un film corale
che descrive lo sfaldamento di una coppia
e le ripercussioni di questa scelta su altri
personaggi. Con fluidità di scrittura il regi-
Sister
Il piccolo Simon (Kacey Mottet Klein) è
un genio della sopravvivenza. Vive da
solo in un piccolo appartamento nella
periferia di una ricca località sciistica
svizzera, e per mantenersi ricorre a
trucchi ed espedienti illegali.
Schiavo di un destino che gli ha
riservato una maturazione forzata e
precoce, condivide la sua nervosa
esistenza di contrabbandiere-bambino
con Louise, la sorella. Una ragazza
problematica, volubile e inaffidabile,
rimpallata da un fidanzato all’altro,
incapace di badare a se stessa. Il
rapporto tra i due è perciò basato su
una gerarchia ribaltata: è il bambino
ad accudire la donna, a sostenerla, e
non viceversa. Mentre il dramma, in
questa vita infelice e senza orizzonte, è
sempre in agguato.
Ma proprio quando il loro instabile
ménage sarà sul punto di incrinarsi
irrimediabilmente, arriverà una presa
di coscienza tardiva, e forse non del
tutto inutile.
r. Ursula Meier sc. U. Meier, A. Jaccoud,
G. Taurand fo. Agnès Godard mont. Nelly
Quettier mus. John Parish int. K.M. Klein,
L. Seydoux, M. Compston, G. Anderson,
J.-F. Stévenin or. Francia/Svizzera 2012
distr. Teodora Film dur. 100’
È
un piccolo grande film quello che la
svizzera Ursula Meier ha portato in
concorso all’ultimo festival di Berlino,
aggiudicandosi l’Orso d’argento. Crudo
e, al contempo, tenerissimo.
Sister è infatti un dramma di grande
compattezza narrativa, caratterizzato da
una pudicizia e da un tocco dolce che
permette alla regista di sciogliere il tortuoso intrico di sentimenti contrastanti
che lega i due protagonisti, senza però
che questo sforzo di chiarezza ridimen-
sta e sceneggiatore immerge i personaggi in
situazioni senza apparente via d’uscita per
poi trasportarli, con espedienti impeccabili, dentro altre situazioni senza avere volutamente sciolto i nodi che li legavano alle precedenti. Farhadi crea in tal modo un
labirinto nel quale è piacevole perdersi grazie a un lavoro dove sceneggiatura, regia,
montaggio si incontrano per determinare,
tutti insieme, quel clima di sospensione
ovunque presente, come se il film fosse un
unico, infinito piano sequenza che i personaggi abitano con tutte le loro energie.
Fondamentale è il lavoro con gli attori da
parte di un cineasta che dà molta importanza alle prove, partendo da una sceneggiatura dettagliata da seguire con cura, affinché
ogni interprete possa comprendere le diverse sfumature del suo personaggio.
Farhadi espone dei fatti e non dà giudizi, invita alla riflessione e alla scoperta di
una società lontano dai luoghi comuni portando in primo piano argomenti non semplici da affrontare in un paese teocratico come l’Iran: differenze di classe, religione e laicità, depressione come conseguenza della perdita del lavoro, divorzio. Vedi anche in
Il Ragazzo Selvaggio n. 90, p. 14 e 15. (g.g.)
sioni la complessità di una storia tutt’altro che consolatoria. Anche perché, da
un punto di vista estetico, la strada prescelta è quella di un realismo estremo, figlio della lezione dei fratelli Dardenne,
con la macchina da presa che registra
sguardi, gesti e reazioni, e le suggestive
schitarrate di John Parish a fare da collante.
Aiutano, poi, gli attori principali. E se
Léa Seydoux conferma un talento ombroso e sfaccettato, il piccolo Kacey Mottet Klein è una vera rivelazione: un furetto capace di calamitare attenzione e simpatia, ma anche di incarnare tutta la malinconia di un personaggio costretto a
vagare in un quadro di solitudine. La
Meier - e lo spettatore con lei - li segue
sulle nevi senza opprimerli, indagando
tra le pieghe di una quotidianità fatta di
piccoli espedienti, rabbie ed effimeri
momenti di quiete. Accompagnandoli
poi verso un finale aperto, che lascia alla sensibilità di ognuno il compito di intuire se Louise e Simon riusciranno effettivamente a trovare la forza di ritrovarsi. E proseguire insieme. Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n. 94, pag. 24. (m.le.)
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
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DAI 16 ANNI
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Super 8
Estate 1979. In una cittadina dell’Ohio
un gruppo di amici appena adolescenti
vuole girare un film sugli zombie in
super-8. Charles è il regista, Joe, che si
occupa di trucco ed effetti speciali, ha
perso la mamma quattro mesi prima in
un incidente nell’acciaieria in cui
lavorava, durante un turno in
sostituzione di Jack, padre di Alice, una
coetanea di Joe. Alice viene coinvolta nel
progetto del film come attrice e tra lei e
Joe nasce un amore mal digerito dai
rispettivi padri.
Mentre i ragazzi girano un notturno, un
treno merci deraglia dopo aver speronato
un pick-up. I ragazzi rimangono illesi,
mentre la macchina da presa continua a
girare. Da quel momento il paese è
militarizzato. Scompaiono motori, cavi
della corrente, elettrodomestici. Il
vicesceriffo indaga, mentre i ragazzini
rivedendo il girato dell’incidente
capiscono che dal treno è fuggita una
creatura aliena, che nel sottosuolo sta
fabbricando un reattore e ha
imprigionato esseri umani tra cui Alice.
r. e sc. J.J. Abrams fo. Larry Fong mont.
M. Brandon, M.J. Markey mus. Michael
Giacchino int. K.Chandler, E. Fanning, J.
Courtney, G. Basso, N. Emmerich, R. Eldard
or. Usa 2011 distr. Universal dur. 112’
S
uper 8 appartiene al cinema degli alieni di terza generazione: quel filone che,
dopo le invasioni extra-terrestri di nemici
deformi e colonizzatori, metafora della
guerra fredda e del pericolo rosso, e dopo
l’ipotesi ecumenica di Spielberg, dove due
nature si toccano proponendo un dialogo
in funzione evolutiva, adesso ribalta la questione trasformando noi in mostri. Distrect
9 e Monsters su tutti smascherano l’ipocrisia borghese delle società opulente, che
dopo aver scampato il pericolo di una sup-
Take Shelter
In una cittadina dell’Ohio, Curtis
LaForche conduce una vita tranquilla
insieme alla moglie Samantha e alla
piccola Hannah: lui è un operaio
caposquadra, lei è casalinga e sarta parttime. Nonostante le preoccupazioni
economiche per curare e assistere al
meglio la bambina, sorda dalla nascita,
Curtis e Samantha sembrano vivere
felicemente.
Ma violenti incubi affliggono le notti di
Curtis e la minaccia di un tornado lo
ossessiona fino a convincerlo della
necessità di ampliare e rendere
funzionante un rifugio anti-tornado. Le
visioni apocalittiche che assillano Curtis
non tardano a creargli problemi anche
sul lavoro, fino a causarne il
licenziamento.
L’uomo decide finalmente di confidarsi
con sua moglie: la prescrizione di
sonniferi da parte del medico di base
allevia parzialmente il problema.
Nel corso di una notte scatta l’allarme
anti-tornado: Curtis, insieme alla moglie
e alla bambina, si dirige nel rifugio…
numero 95/96 · settembre-dicembre 2012
r. e sc. Jeff Nichols fo. Adam Stone
mont. Parke Gregg mus. David Wingo
int. M. Shannon, J. Chastain, T. Stewart,
S. Whigham, K. Mixon, N. Randall, R.
Kennard, S. Knisley, R. Longstreet, K.
Strunk, L.G. Hamilton or. Usa 2011 distr.
Movies Inspired dur. 120’
L
etteralmente la traduzione del titolo è “mettersi al riparo” ma, forzando un po’ il significato delle parole potrebbe anche alludere a “ripararsi da se
stessi”, dalle proprie ossessioni. Ed è
quanto si trova a fare il protagonista.
posta invasione (rossa), si inventano lager
preventivi per creature presunte pericolose. L’alieno di Super 8 è parente dei gamberoni schiavizzati nel Distretto 9 di Johannesburg o dei calamari giganti confinati nel
Messico in Monsters. Il mostro umano prevarica e tortura, mentre le creature vorrebbero solo tornare a casa. Abrams riesce ad
amalgamare punti di vista differenti, quello dei ragazzi, aperto vivace ludico costruttivo, con quello degli adulti, viziato da preconcetti e distruttivo, con uno stile di regia
che passa dal planare piano sui volti dei
giovani protagonisti sfiorati da lamelle di luce azzurra, al nervoso inquadrare le smorfie di tensione degli adulti, buoni e cattivi.
I padri sono sopraffatti dai dolori sedimentati e rifiutano di ascoltare i figli, anche se
custodiscono la verità, soprattutto in tema
di relazioni umane; i militari sono figurine
a due dimensioni, imbruttiti dalle logiche
della guerra permanente, per cui l’infanzia
è un luogo lontano e fastidioso. Joe e i suoi
amici sono invece l’essenza del processo
creativo che permette di rinnovare la realtà, perché non venga divorata dalla paura
del cambiamento. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 89, p. 2 e 3. (a.l.)
Con Take Shelter, Jeff Nichols, il talentuoso regista dell’Arkansas, si misura coi codici del genere catastrofico, in
realtà per scardinarli, spingendosi oltre
e realizzando un intenso thriller che indaga sull’interiorità della psiche.
Riuscita metafora delle inquietudini
quotidiane, la pellicola offre anche una
riflessione sulla coppia, sempre più costretta oggi a far fronte a difficoltà e a
preoccupazioni materiali che rischiano
di minare la sfera affettiva. C’è molta
America in questo racconto, che ha per
sfondo lo stato dell’Ohio, un’America
profonda, di provincia, dove si consumano rituali collettivi, fiere paesane, cene di beneficenza.
Co-protagonista della vicenda è il paesaggio naturale, ripreso in tutta la sua
bellezza. Una natura potente, minacciosa per la forza che sprigiona attraverso i
suoi elementi essenziali, inquietante eppure familiare, “non colpevole”. La narrazione ha una sua circolarità, contiene
una tensione che dall’inizio alla fine attanaglia lo spettatore, senza sciogliere alcun interrogativo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 94, pag. 12-13 (l.c.)
DAI 12 ANNI
DAI 12 ANNI
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Tomboy
Laure, dieci anni, si è appena trasferita in
un quartiere periferico di Parigi con la
mamma (in attesa di un maschietto) il
papà e la sorellina più piccola, Jeanne. È
estate, ma l’inizio della scuola è prossimo.
Fa la conoscenza di Lisa, una coetanea che
la introduce in un gruppo di ragazzini:
tutti maschi. Così si inventa un’identità
nuova e maschile, presentandosi come
Mickäel. Il gioco pare nascondere un
desiderio inespresso.
Lisa è attratta da Mickäel, mentre i
ragazzini lentamente accettano il nuovo
amico senza domandarsi nulla: gioca
bene a calcio e se la cava anche meglio
nelle zuffe. Mickäel, che coinvolge nel suo
gioco anche Jeanne, arriva perfino a
fabbricare con il pongo un pene da
infilare nel costume da bagno durante
una scampagnata al lago.
Lisa e Mickäel si scambiano un bacio,
ormai sono fidanzati. Quando la madre
capisce l’inganno, costringe la figlia a
calare la maschera.
r. e sc. Céline Sciamma fo. Crystel Fournier
mont. Julien Lacheray int. Z. Héran, M.
Lévana, J. Disson, S. Cattani,... or. Francia
2011 distr. Teodora Film dur. 82’
C
éline Sciamma nel precedente Naissance des pieuvres (sua opera prima)
aveva raccontato la scoperta del sé e dell’attrazione sessuale “fuori norma” in un contesto decisamente adolescenziale. I corpi
femminili tanto in Naissance quanto in
Tomboy, ma in maniera più fanciullesca,
cercano la grazia del contatto più che l’appagamento sensoriale, lo sguardo complice del primo innamoramento più che l’affermazione consapevole del fare coppia
attraverso uno stare insieme progettato.
La regista non trucca il suo film con trova-
te simboliche o eccessi registici, ma efficacemente aderisce al naturalismo del racconto di un gioco ingenuo, istintivo, addirittura necessario, sicuramente goduto:
una sorta di prova tecnica. Il piacere delle
attenzioni di Lisa, la curiosità dei primi
contatti, l’esplorazione (nella stanza della
compagna dove ballano e si truccano) di
una femminilità che non sia la sua, valgono la sfida alla verità biologica.
Il gioco nelle situazioni di gruppo invece è orchestrato per alzare la tensione,
quando pare sempre prossimo lo svelamento: il meccanismo funziona bene e
apre al finale in cui si consuma la piccola
grande tragedia di Laure, che chiede di
cambiare di nuovo casa e che invece è costretta dalla madre a rivelarsi femmina ai
compagni, scatenando l’ira e lo sconcerto
del gruppo che a quel punto non può che
punirla. È un’umiliazione inevitabile, un
passaggio obbligato che spinge Laure verso la consapevole problematicità dell’identità sessuale, che esploderà drammaticamente con l’adolescenza. Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n.90, pp. 12 e 13. (a.l.)
War Horse
1914. Albert Narracott vive in Gran
Bretagna in una fattoria con la madre
Rose e il padre Ted. Un giorno Ted
decide di scontrarsi con Mr. Lyons, che
gli affitta la terra, acquisendo all’asta
un puledro per trenta ghinee, somma
del tutto superiore al valore che il
quadrupede potrebbe avere come
cavallo da tiro. Lyons è pronto al
ricatto: se il raccolto non sarà adeguato
per pagare l’affitto si prenderà tutto.
Albert però decide di addestrare il
cavallo, cui ha dato il nome di Joey, e
riesce a raggiungere lo scopo.
Ma lo scoppio della prima guerra
mondiale e le difficili condizioni
economiche spingono Ted a vendere
Joey all’esercito. Da quel momento il
cavallo deve affrontare dure prove per
sopravvivere. Fino a quando, in un
ospedale da campo, Albert, arruolatosi
e rimasto ferito, lo ritrova e lo salva
dalla morte. Il cavallo e il suo giovane
padrone possono tornare a casa.
r. Steven Spielberg sc. L. Hall, R. Curtis,
dal rom. omon. di M. Morpurgo fo.
Janusz Kaminski mont. Michaler Kahn
mus. John Williams int. J. Irvine, P.
Mullan, E. Watson, N. Arestrup, D. Thewlis
or. Usa 2011 distr. Walt Disney dur. 146’
D
opo Le avventure di Tintin - Il segreto
dell’Unicorno, e con ancora maggiore convinzione, Steven Spielberg si rivolge
al mondo dei ragazzi con War Horse. Approfittando di un romanzo per ragazzi di Michael Morpurgo, il regista ha realizzato un
film totalmente old fashion, non rinunciando però ai temi e ai ‘luoghi’ cinematografici che da sempre costituiscono il tessuto connettivo del suo fare cinema. In War
Horse lo stile, le musiche e l’ambientazio-
ne contribuiscono all’esplicito omaggio
che Spielberg offre a quello che è stato il cinema della sua infanzia. Ci sono reminiscenze de Il cucciolo e di Via col vento, senza dimenticare la lezione del Kubrick di
Orizzonti di gloria o quella del Milestone di
All’Ovest niente di nuovo. Il tutto rivisitato
da Spielberg che, grazie alle peripezie del cavallo, può tornare ad affrontare il tema dell’essere umano e del suo ‘sentire’ in una
condizione di conflitto armato. È la fine di
un’epoca quella che Spielberg ci racconta
con le peripezie di questo ‘cavallo da guerra’. In un inferno in cui i corpi volano per ricadere nel fango delle trincee o vengono invasi dai gas resta però intatta, nell’immaginario spielberghiano, la dignità dei veri uomini. Spielberg vuole raccontare al pubblico più giovane per fargli percepire, con misura, la crudeltà delle guerre. Lo fa grazie a
un cavallo, un essere vivente trascinato in
una tragedia immane ma capace di conservare (così come gli uomini degni di questo
nome) la propria dignità. Vedi anche in Il
Ragazzo Selvaggio n. 91, pp. 6 e 7. (g. za.)
numero 95-96 · settembre-dicembre 2012
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FILM - Tutti i film della stagione
La rivista – bimestrale – recensisce dal 1984 tutti i film che escono in
Italia nel corso dell’anno sia nel circuito commerciale che in quello
off. Per ogni film riporta Cast e Credit completi.
È uno strumento indispensabile per chi vuole avere un panorama
della produzione cinematografica nazionale e internazionale, una
rivista di lavoro per cinefili e studiosi di cinema, un archivio storico
unico nel suo genere, utile per gli insegnanti e le bibblioteche.
Il costo dell’abbonamento annuo è di Euro 26,00.
Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 00165 Roma - Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail:[email protected]
SCRIVERE DI CINEMA
Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema
che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato
potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura
cinematografica.
ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria
cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati
in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i
libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno.
La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta
al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail:[email protected]
Segreteria di redazione
Bimestrale di cinema, televisione
Anna Fellegara, Cesare Frioni
e linguaggi multimediali nella scuola
Anno XXVIII, nuova serie, supplemento al n. 95-96
Progetto grafico e impaginazione
settembre-dicembre 2012
jessica benucci · www.gramma.it
Rivista del Centro Studi Cinematografici
Stampa e confezione
00165 Roma, Via Gregorio VII, 6
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Tel. e fax: 06 6382605
Città di Castello (PG)
www.cscinema.org · [email protected]
ISSN 1126-067X
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Un numero euro 6,00
In collaborazione con Centro Studi per
Finito di stampare: ottobre 2012
l’Educazione all’Immagine di Milano
Direttore responsabile
Carlo Tagliabue
Direttore
Mariolina Gamba
Redazione
Massimo Causo, Giovanni Desio,
Davide Di Giorgio, Elio Girlanda,
Flavio Vergerio, Giancarlo Zappoli
Aut. Trib. di Bergamo n. 13 del 30 aprile 1999
Alla rivista si collabora solo su invito della
redazione
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