La Rassegna d`Ischia 4/2013

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La Rassegna d`Ischia 4/2013
Anno XXXIV
N. 4
Agosto / Settembre 2013
Euro 2,00
Una Carta aragonese contenente le isole di Ischia,
Procida, S.to Stefano
Ragguaglio
istorico topografico
della Isola d'Ischia (II)
Pagine d'Autore : Cavascura
Lacco Ameno - Piazza Rosario :
dicembre 1881 / febbraio 1883
Fonti archivistiche: I luoghi sacri
de "Li bagni" d'Ischia
Rassegna Libri - Ex libris
I nuovi emblemi dell'Isola d'Ischia
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Immagini dell'isola d'Ischia
Anno XXXIV- N. 4 Agosto/Settembre 2013
Euro 2,00
Periodico di ricerche e di temi turistici,
culturali, politici e sportivi
Editore e Direttore responsabile : Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 19 - 80076 Lacco Ameno (NA)
Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661.
Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma)
Sommario
2 Immagini di Ischia
3 Motivi
5 Una Carta aragonese contenente le isole
di Ischia, Procida, Santo Stefano
16 Lacco Ameno - Piazza Rosario
Dicembre 1881 - Febbraio 1883
21 Ragguaglio istorico topografico
della Isola d'Ischia (II)
37 Tibet
41 Fonti archivistiche
I luoghi sacri de "Li bagni " di Ischia
46 Amarcord degli anni '50 e '60
Cinema, divertimento, socializzazione
48 Ex libris
51 Forio - Nella villa La Colombaia
Mostra collettiva di artisti ischitani
52 I vincitori
dell'Ischia Film Festival 2013
53 Pagine di Autore
Cavascura
55 Rassegna Libri
Chiuso in redazione il 30 luglio 2013
In copertina I - I Maronti (Foto di G. Silvestri)
Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente
- Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati),
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MOTIVI
Raffaele Castagna
I nuovi emblemi dell’isola d’Ischia
Sembra ormai svanito il tempo in cui l’isola amava
presentarsi ai suoi abitanti, ai suoi ospiti, occasionali o
assidui frequentatori delle sue stagioni, estive o invernali, con i suoi apparati paesaggistici di cui l’ha dotata
la natura, con la purezza e la salubrità delle sue acque
marine e del suo clima, con i bei tramonti solari; aspetti
in un certo senso pur presenti ancora oggi, ma gli occhi
e la mente non sono più molto portati a percepirli, perché distratti da una diversa realtà che va imponendosi su
tutto con i suoi molteplici colori che si irraggiano sotto
il sole cocente: prevalgono cioè quei cumuli di rifiuti
sparsi o racchiusi in buste che sono sparsi dovunque,
nei centri, nei vicoli, nelle strade… senza ritegno (una
certa giustificazione!: “fan tutti così ed io mi adeguo”),
a testimonianza di un’età consumatrice e di una popolazione restia a qualsiasi regola e alla salvaguardia di un
ambiente incomparabile qual era (forse non più) quello
dell’isola. Circostanza alla quale si sono perfettamente
adeguati gli ex-villeggianti accasatisi sull’isola con proprie abitazioni.
Come il noto quiz televisivo (Reazione a catena),
“uno tira l’altro” e vince (!?) il malcapitato cui tocca di
veder ridotto a cesso pubblico per tutte le ore, diurne e
notturne, lo spazio antistante la sua casa; a volte anche
rifiuti di peso come televisioni, suppellettili varie, materassi, bidoni non più utilizzabili.
Volendo, si potrebbe parlare anche di quelli che sono
considerati gli amanti e protettori dei cani, pronti a lasciarvi indifferentemente la mattina davanti casa un bel
“servizio” e proseguire la passeggiata in compagnia.
Oggi in fondo dobbiamo ammettere che anche i rifiuti
costituiscono un panorama da fissare fotograficamente
e da trasmettere in giro come ottima visione per dare
sviluppo (!?) al turismo.
A tale realtà si sono assuefatte anche le amministrazioni comunali che non sono in grado di assumere provvedimenti seri, di far rispettare le loro delibere; se si fanno
presenti certe esigenze, sono abili a prendersi gioco di
voi con le solite chiacchiere: “ora faremo”, “pazienza”,
“non c’è personale”… Più facile far gironzolare i vigili per controllare se le macchine rispettano le soste
temporanee, le strisce blu… Ma lo monitorizzano mai
direttamente il paese la sera o la mattina, rinunciando
magari qualche volta a presenziare a questa o a quella
manifestazione? Oltre tutto si tratta anche di una questione di igiene, considerato che non si effettua alcuna
disinfettazione.
L’isola, non c’è che dire, se la passa proprio male, anche perché più che attrezzarla e dotarla di servizi per
una popolazione che cresce continuamente e che d’estate ancora aumenta enormemente, la si impoverisce
sempre più privandola di talune dotazioni prima conquistate: ridimensionamento di un ospedale che ci siamo trovati soltanto grazie ad Angelo Rizzoli (e lo stato
non ne tiene conto), per la giustizia si intende imporci
il continente, nonostante che aumentino i costi e diminuiscano i collegamenti, il trasporto pubblico terrestre,
che una volta si voleva valorizzare per spingere ad una
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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In alto si legge un avviso del Comune che vieta di depositare
in loco i rifiuti
ridotta utilizzazione dei mezzi privati, è sempre più carente; le stesse strutture culturali (una volta si parlava di
turismo culturale) languono per mancanza di personale
e per la scarsa propensione politica di investire in questo
settore.
Il giornalista Nino Longobardi scriveva sul Messaggero nell’agosto del 1967 in un articolo intitolato “I barbari ad Ischia”: «Più che di un articolo, Ischia dovrebbe
essere oggetto di una monografia dal titolo: “Come si
tenta di distruggere un’isola”. La ottusità delle autorità preposte alla tutela turistica della “perla del golfo di
Napoli” raggiunge una perfezione da considerare esemplare. Si sa bene che la salvaguardia del nostro patrimonio naturale è in bancarotta dalle Alpi al mare. Ischia,
purtroppo, non fa eccezione alla regola, ma la conferma
clamorosamente». E pensare però che allora ci si riferiva essenzialmente all’abusivismo edilizio, continuato
poi ancora nel tempo; che si dovrebbe dire oggi di fronte alla nuova realtà che presenta un notevole degrado,
espresso non soltanto dal sorgere, qua e là, di una casa
o casetta, ma dalla presenza continua di rifiuti per ogni
dove, tra l’indifferenza generale e il tacito assenso delle
autorità amministrative?
Parafrasando una vignetta satirica di Altan notata in
un giornale di non so quale anno (L’Espresso), ci si potrebbe chiedere, di fronte alla caterva di problemi che
assillano l’isola, dove siano gli amministratori (sindaci,
4 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
assessori…), con pronta risposta: “Ci si sono seduti sopra”.
Amministratori sempre pronti a correre a presenziare
manifestazioni ed eventi di facciata, mai presenti e mai
pronti prima a tentare di educare le popolazioni, poi decisi a reprimere certi abusi e a far rispettare le delibere
che d’altra parte hanno pur sempre loro stessi adottato.
Oltre tutto, l’isola è anche diventata caciarona per alcuni aspetti, legati allo scarso controllo del territorio,
smentendo quelle parole che il re Ludwig I di Baviera
fece aggiungere all’affresco di Rottmann sulle arcate
del giardino di corte a Monaco: Corri a Ischia / lontano dal frastuono della vita / là troverai quella pace
/ che da tempo ti è sfuggita via1». Oggi il frastuono
c’è (e si sente), manca la pace. E il “come si tenta di
distruggere un’isola” va senz’altro corretto in un “come
si è distrutta (o si sta distruggendo) un’isola (!?), invece
di valorizzarne le sue risorse naturali, come il termalismo, e culturali, sempre trascurate: si pensi che la Biblioteca Antoniana viene aperta solo con le associazioni
di volontariato (Centro Studi), difficoltà sono palesate
anche per il Museo Pithecusae. Peraltro quest’aspetto
è assolutamente atavico, se si pensa, come dice A. Di
Lustro, a come sono stati trattati nel tempo (e sono trattati) gli archivi dei nostri Comuni: «.. gli amministratori certamente sono da considerarsi…. benemeriti della
cultura per il modo come hanno da sempre custodito i
documenti dei vari Comuni, compresa l’anagrafe. Per
questi loro… acquisiti meriti – mea quidem sententia –
andrebbero arrestati e condannati a carcere severissimo
per gravissimi delitti da loto pepetrati contro la nostra
storia2.
1 P. Buchner – Gast au Ischia, 1968. Versione italiana di Nicola
Luongo in Ospite a Ischia. Lettere e memorie dei secoli passati,
Imagaenaria Edizioni Ischia, 2002.
2 A. Di Lustro, I luoghi sacri de li Bagni di Ischia (articolo in
questo numero, nota 15).
Problemi, problemi, problemi...
E dove sono gli amministratori?
Ci si sono seduti sopra.
A proposito di
Una Carta aragonese (pergamena) contenente
le isole di Ischia, Procida e Santo Stefano
di Vincenzo Belli
Parte centrale della pergamena che contiene le mappe di Ischia e Procida; dimensioni 425x286 mm.
(da Jacazzi D., La memoria e l'immagine del territorio napoletano nelle pergamene aragonesi, in Architettura nella storia, vol. I Tav. VIII-1)
Il prof. Vladimiro Valerio, che è autore di numerosi
lavori nel campo della cartografia ed ha rinvenuto molti
documenti originali in Italia ed all’estero, nell’ambito del
Seminario sul tema La rappresentazione dello spazio nel
Mezzogiorno Aragonese - le mappe del Principato Citra
(7 marzo 2013)1, ha ripercorso con Ferdinando La Greca una parte del loro precedente lavoro2, proiettando non
1 Seminario nell’ambito del PRIN (Progetti di ricerca di
interesse nazionale) 2009: “La rappresentazione dello spazio
nel Mezzogiorno Aragonese - le mappe del Principato Citra”,
organizzato dall’Università degli studi di Napoli Federico II,
Dipartimento degli studi umanistici Società Napoletana di Storia
Patria. Napoli, Società Napoletana di Storia Patria (7 marzo
2013). Gli Atti verranno pubblicati in data non ancora nota.
2 La Greca F., Valerio V. -”Paesaggio antico e medioevale nelle
mappe aragonesi di Giovanni Pontano: le terre del Principato
Citra”, Acciaroli (Sa), Edizioni del Centro di promozione
solo alcune delle immagini di quel prodotto, ma anche
quella di una pergamena formato 28x42 cm circa, in
scala approssimata di 1:120.000, contenente le isole di
Ischia, Procida e Santo Stefano, che non vi figurava.
Vista la indicata datazione di quelle mappe, che si fanno risalire all’epoca aragonese, commissionate forse dallo stesso Alfonso o dal figlio Ferrante, in una storia che
vede coinvolti un gruppo di personaggi storici veramente
notevole, fra i quali Giovanni Gioviano Pontano, Ferdinando Galiani, Bernardo Tanucci, il nostro interesse è
evidente, e quanto raccolto in merito non si esaurisce in
questi primi appunti.
Lasciando alla lettura del testo di V. Valerio e F. La Greca ed alla futura pubblicazione degli atti del convegno la
culturale per il Cilento, 2008. SNSP coll. NF. B 00641; BNN coll.
MSS. bibl. 0609.
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proposta di analisi e collocazione temporale di questa
importantissima testimonianza, la presente attenzione si
concentrerà sul documento iconografico che si trova custodito presso l’ASNA.
La carta
Dato il supporto di questa mappa, le modalità di presentazione, le condizioni di illuminazione della sala della SNSP, le dimensioni dello schermo, le capacità visive
dello scrivente, durante il seminario citato, ho potuto solo
leggervi in caratteri quasi longobardi3 un Barano, un
qualcosa per Forio, che non possono fornire alcun elemento per una, sia pur prima, riflessione.
La carta in questione viene così presentata dal Valerio4:
[si tratta di] alcune pergamene solo di recente pubblicate, e da me rinvenute nell’Archivio di Stato di Napoli
nel lontano 1985..... Si tratta di quattro pergamene raffiguranti le isole di Ischia e di Procida, una porzione del
territorio della Campania, il Gargano e parte del basso
Lazio...
Secondo la stessa fonte, il Galiani in una sua lettera del
1767 l’avrebbe definita bellissima carta d’Ischia.
La collocazione della carta, all’ASNA, è la seguente5:
… Ecco di seguito una schedatura sommaria delle
quattro pergamene, tutte redatte con inchiostro carminio,
conservate nell’Archivio di Stato di Napoli, Ufficio Iconografico 64, 65, 66, 67 (già Archivio Farnesiano, 2114,
n.i 1, 2, 3 e 4: 64) Isole di Ischia e di Procida, 28 x 42
scala 1:120.000 circa....
Su di essa si riportano alcune annotazioni dallo stesso
lavoro, senza le relative note:
p. 24, 25: .... si tratta effettivamente di un eccezionale
disegno dell’isola, dal contorno molto accurato e corretto, dove pur nella semplificazione della scala riescono a
trovare posto i simboli relativi ad un tratto di acquedotto
e ad un impluvio di acqua che scende dal monte Epomeo
verso la costa settentrionale dell’isola.
La toponomastica risulta ricchissima ed in una denominazione precedente a quelle cinquecentesche: ad esempio, Punta Imperatore è chiamata “Promontorio Cesareo”, e Punta Cornacchia “Promontorio della Cornice”.
Inoltre, per la prima volta compare il nome del Monte
Epomeo così come lo chiamava Strabone (Ἐπωμέα) e
non S. Nicola, come era in uso nella tradizione medievale, e Strabone era stato riscoperto nel mondo occidentale,
insieme a Tolomeo, solo nel XV secolo.
3 Così sono state presentate nel seminario le scritte di tutte le
carte.
4 Valerio, La Greca, op. cit. pag. 24.
5 Valerio, La Greca, op. cit. pag. 24 nota 66.
6 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
Si tornerà sulle considerazioni su alcuni toponimi citati
e si rimanda, quanto al tratto di acquedotto, per annotare che ho acquisito l’opera in due volumi6, nella quale le
pergamene in questione sono discusse in un lavoro che
contiene anche immagini, molto piccole purtroppo, ma
in buona parte leggibili, tratte da quella di Ischia, Procida, S. Stefano: acquisizione superata, come si mostra nel
paragrafo seguente, dalla successiva visione diretta del
documento in esame.
La pergamena dell’ASNA
Ho potuto consultare la pergamena, che è in condizioni molto precarie, custodita in una semplice cartellina di
cartoncino, senza alcun’altra protezione; essa presenta
una lacerazione nella parte destra, ad un quarto di altezza
dalla base, la cui presenza nelle precedenti immagini non
risulta chiaramente individuabile. Il disegno e le scritte,
tracciate con inchiostro colore terra di Siena bruciata,
molto sbiadito, probabilmente color seppia in origine,
si leggono in generale abbastanza bene: la riproduzione
fotografica, con i mezzi di contrasto diretti ed indiretti,
ne migliora la intelligibilità, salvo in qualche caso, per le
pieghe e le colorazioni del supporto dovute alla sua vetustà.
L’esame diretto contrasta dunque con la generalizzazione del colore carminio per le carte citate nel testo di F.
La Greca e V. Valerio, p. 24, nota 66.
I toponimi
Per riflettere sulla lettura della carta, si sono tabellati
tutti i toponimi che si riescono ad individuare, confrontandoli con quelli citati da D. Jacazzi7, e con i corrispondenti attuali, e/o da altre fonti.
Titolo della carta a parte, si è proceduto, con qualche
difficoltà, a decifrare il tutto partendo da Forio e procedendo in senso orario (riquadro pagina seguente).
Per le isole vicine si legge un Bibara per Vivara, mentre
i toponimi di Procida sono: Sto Catholico, Rocca di Procita, Prom. Socciaro (oggi Solchiaro)..
La scritta Agabita Ins., sulla costa napoletana, si ritiene
indichi l’isolotto di S. Martino, con l’Agabita che tiene
luogo di un odierno Gaveta8.
Diversi interessanti elementi emergono dalla lettura di
questa pergamena: la rilevanza numerica dei nomi di scogli; ben evidente il lago dei Bagni, con il tondo aureliano;
chiara anche la presenza della salina di Citara, che appare più allungata di quanto non compaia nella mappa del
Cartaro.
6 Jacazzi D., La memoria e l’immagine del territorio napoletano
nelle pergamene aragonesi, in “Architettura nella storia - scritti
in onore di Alfonso Gambardella”, Milano, SKIRA, vol. 1: pp.8998 e tav. VIII-1, 2007.
7 Vedi nota precedente.
8 Nella carta dello Stigliola (1546-1623) figura in quella posizione
un corrispondente T. La Gaveta.
TOPONIMI
Lettura (Testo Jacazzi - op. cit.)
Lettura personale
Toponimo attuale / altro
------------
Isola d'Ischia vel Aenaria
Isola d'Ischia
------------
Scopulo Carusio
Lo scoglio vulgo lo Caruso del Cartaro
Forillia
------------
Forillia
Farallioni
Gli Scopuli Formicularum del Cartaro?
Lo laco
Lo laco
------------
Sco. della Trelia (o treglia)
-----------Casa Messola
Civita d'Ischia
Prom. della Cornice
Casa Messula
Civita di Ischia
------------
M. Epomeo
Santo Pancratio
S. Pancratio
Campagnano
Cam-pagn-ano
to
-----------------------
Prom. di S.to Pancratio
Barano
Barano
Testaccio
Pr. Acuto
Testaccio
Lacco Ameno
Punta Cornacchia
Fungo (già la Triglia)
Casamicciola
Castello d'Ischia
Epomeo
Campagnano
Edificio religioso di S, Pancrazio da
tempo scomparso
Punta San Pancrazio
Il Pr. Acus del Cartaro
Testaccio
------------
Prom. di S. Angelo
Fontana
Fontana
------------
Prom. Cesareo
Saliceto
Forio
to
Saliceto
Si deve sottolineare che tutti i casali sono rappresentati
con un disegno di maniera, per agglomerato urbano sovrastato da un campanile.
La rappresentazione dell’isola, con il nord in alto, appare ruotata di circa 30° in senso orario, il che fa riflettere sui 7° di declinazione magnetica dell’epoca, per un
rilievo eseguito anche con l’ausilio della bussola, come si
trova indicato in Valerio.
Si deve inoltre sottolineare che in Jacazzi D.9 si parla
del 1480 come data della collocazione di questo documento10, mentre altrove si è più generici, parlando solo di
epoca aragonese..
Infine, sul colore dell’inchiostro usato, il Valerio indica
il carminio, mentre la Jacazzi parla di un generico color
bruno11 che meglio si adatta al colore direttamente apprezzato.
Esaminando le carte del territorio peninsulare, indicate
come coeve, ma copia degli originali, si nota che il co9 Jacazzi D., La memoria…., op. cit.
10 In Valerio, La Greca, Paesaggio… op. cit. a pag. 90, dopo
aver elencato varie parti del regno raffigurate nelle carte, Ischia
compresa, si dice: … Si trattava, come certamente notato, di un
sistematico rilevamento, eseguito intorno al 1480, che copriva, a
differenti scale, tutte le terre del Regno di Napoli.
11 Jacazzi D., La memoria… op. cit. nota 13 a pag. 97.
Barano
Isolotto di S. Angelo e localmente
anche La Torre
Fontana
Sorgeto
Punta Imperatore
lor rosso riguarda i soli casali, il bruno gli altri contorni,
mentre grigi ed azzurri sono impiegati per i rilievi.
Le scritture della pergamena, in cosiddetti caratteri
longobardi, sono identiche a quelle delle copie delle carte del Regno.
La datazione
Sulla data del 1480 indicata nell’opera di Jacazzi, mancando elementi documentari per sostenerla, si fanno tutte
le preliminari ovvie riserve; un elemento sottolineato in
questo lavoro merita invece di essere citato ed indagato,
leggendovi infatti12: … Nei pressi di Barano è disegnato
un tratto dell’acquedotto che, secondo la testimonianza
dello Iasolino, era stato realizzato da Orazio Tuttavilla
governatore dell’isola nella seconda metà del Cinquecento. L’apparente contraddizione potrebbe essere spiegata
con l’ipotesi che l’acquedotto aragonese, riportato nella
pergamena con un percorso ridotto rispetto all’attuale,
venne ampliato nella seconda metà del cinquecento nel
tratto da Campagnano alla “Civita”…
Il brano riportato in tale opera alla nota 17 è il seguente:
A questo fine l’Illustris. E Reverendis. Cardinale Gran
12 Jacazzi D., La memoria… op. cit. pag. 92.
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Vela, essendo Vicerè in questo Regno, e mirando all’utile
comune, concedette allora certe immunità, che si dicono
tratte di vino; acciò che si portasse, e si riducesse la detta
acqua di Buceti al borgo d’Ischia; il che fu eseguito in
parte dal molto Illustre Signore Horazio Tuttavilla, che
n’era Governatore a quel tempo, il quale avendo fatto
forare una montagna, l’acqua per gli Aquedutti è pervenuta già all’ingiù alla parte laterale verso la Città, per lo
spazio, quasi di due miglia. Nostro Signore conceda, che
venga al ter­mine disegnato senza alcuno sinistro intoppo
di terre minerali: la quale potrebbe corrompere la perfezione, il sapore, e la qualità sua…...13.
Il d’Ascia riprende questa versione14: …L’antico acquedotto venia costruito verso 1’anno 1590, atteso che il
Comune d’ Ischia mancava di acque potabili, per essere
stato occupato dal mare il freschissimo, e rinomato fonte
alla spiaggia di Cartaromana, ove ergesi il Ninfario dei
signori di Guevara…...
Per provvedere all’utile del Borgo di Celso — oggi Comune d’ Ischia — il Cardinal Granvela Vicerè di Napoli,
concedette a questa università alcune immunità ed esenzioni dal paga­mento della gabella sul vino, detta tratta,
acciocché queste somme riscosse pel detto dazio invece
di andare a profitto del regio erario, fossero invertite alla
costruzione dell’ acquedotto che l’acqua di Buceto ad
Ischia avesse condotta.
Quest’opera fu in parte eseguita da Orazio Tuttavilla
che in quei tempi era dell’ Isola il governatore ….
Anche la Sardella15, nelle schede da lei pubblicate, e
13 Iasolino G., De’ Rimedi naturali che sono nell’isola di
Pithecusa hoggi detta Ischia- Napoli, 2000 Imagaenaria Edizioni
Ischia, dicembre 2000.
14 D’Ascia G., Storia dell’isola d’Ischia - Bologna, Arnaldo
Forni Editore, giugno 1998, pag. 62.
15 Sardella F. - Architetture di Ischia, Ischia, Edizioni Castello
Aragonese 1985, by Analisi Trend, 1985, pag. 92.
tratte dal Catalogo della Soprintendenza nulla di diverso
aggiunge: …La costruzione dell’acquedotto…fu decretata dal Vicerè Antonio Perrenot, Cardinale di granvela.
Fra il 1571 -1575 fu incaricato per l’esatta costruzione e
vigilanza D. Orazio Tuttavilla, governatore dell’isola….
Dopo aver ricordato che il cardinale Antoine Perrenot
de Granvelle fu Vicerè dal 19 aprile 1571 al 18 luglio
1575, e dopo aver detto che non si può concordare con
l’apparente contraddizione della Jacazzi, per tempi e dimensioni del manufatto nettamente distinti, non restano
che poche ipotesi:
- la pergamena non è di epoca aragonese ma al più della
seconda metà del 1500;
- la pergamena contiene opere non ancora realizzate,
ma solo in progetto, e in tal caso perché disegnarne un
solo tratto, a meno che questo non fosse il solo allora previsto?;
- la parte dell’acquedotto, che compare anche nella rappresentazione del Cartaro, vi è stata aggiunta in epoca
successiva, ipotesi che la visione diretta del documento
non consente però di sostenere.
Purtroppo, allo stato, non si hanno certezze: nel corso
del Seminario è stata presentata anche un’analisi filologica, di carattere generale, analizzando toponimi e modalità
di scrittura; datazioni per altre vie chimico-fisiche, pur
possibili, ma assai poco probabili, non sono disponibili.
È interessante anche notare che la Jacazzi, in un suo
successivo lavoro16, nel parlare dell’acquedotto, si esprima così (figura in basso):
…. Nei pressi di Ba­rano è disegnato un tratto dell’acquedotto che, secondo la testimonian­za dello Iasolino,
era stato realizzato da Orazio Tuttavilla, governatore
16 Jacazzi D., Il territorio campano in età aragonese, pp. 87-98
in: Santoro M. -”Pomeriggi rinascimentali”, Pisa-Roma, F. Serra,
2008. BNN coll. 2009 B 0021, pagg. 93-94.
Due carte a confronto: a sinistra, particolare della celebre mappa del Cartaro, ruotato per porre il nord in alto; a destra, analogo particolare
della pergamena. Si noti come orientamento, estensione, andamento, del tratto di acquedotto, siano perfettamente corrispondenti; analogo
andamento e posizione hanno le montagne, individuabili nella pergamena per il crinale che appare più chiaro, da non confondersi con
pieghe della pergamena.
8 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
dell’isola nella seconda metà del Cinquecento. L’acquedotto aragonese, riportato nella pergamena con un percorso ridotto rispetto all’attuale, venne ampliato nella
seconda metà del Cinquecento nel tratto da Campagnano
alla “Civita”…...
avendo così eliminato tutto ciò che nel precedente lavoro era collegato all’apparente contraddizione nella datazione della pergamena, ma sempre con lo strano, ulteriore
tratto, partente da Campagnano.
Si deve notare inoltre che la figura di questo testo, sempre in bianco e nero, che contiene buona parte della pergamena che riguarda le isole di Ischia e Procida, nonostante sia molto più grande di quella contenuta nel testo:
La memoria e l’immagine.. op. cit., è di qualità inferiore e
quindi molto meno leggibile.
Sulla questione della datazione delle carte così si esprime il prof. Giovanni Vitolo17 in un suo scritto datato 9
marzo 2009, leggibile in rete al sito corrieredelmezzogiorno.corriere.it, anche se egli si riferisce alle sole carte
del Regno e non a quella di Ischia:
… Il primo problema che si pone è infatti il seguente:
esse furono il risultato di una apposita campagna di rilevazione condotta in tutto il regno o furono realizzate (a
tavolino o anche con l’integrazione di indagini sul terreno) sulla scorta di antiche e dettagliate carte di tradizione romana, che fornirono la base sulla quale furono
riportati i nuovi toponimi? Valerio propende a credere
che le mappe siano state realizzate ex novo da tecnici
aragonesi, pur avendo essi utilizzato strumenti e metodi
degli agrimensori romani. La Greca, che di professione
è un antichista, pensa invece a materiali cartografici di
età romana, ritrovati da Giovanni Pontano a Roma, probabilmente nel 1492, che avrebbero fornito la base fisica,
sulla quale sarebbero stati eseguiti aggiustamenti e variazioni toponomastiche….
17 Giovanni Vitolo è professore di Storia Medievale presso
l’Università Federico II di Napoli: il suo articolo ha il seguente
titolo: La geografia del Pontano - E il Regno apparve «tale e quale» - Gli
aragonesi maestri della cartografia, «Belle ed eccezionalmente precise:
scoperte le sorprendenti cartine disegnate nel Quattrocent».
18 Istituto Idrografico della Marina – “Golfo di Napoli”, carta
n° A8, 1794. Si tratta della nota carta di Ant. Gio. Rizzi Zannoni,
ora acquistata, dopo averla ammirata nelle annuali esposizioni di
Galassia Guttenberg, a Napoli, nello stand dell’Istituto Idrografico
della Marina, e promessa in copia, ma senza seguito.
Elementi per una datazione basati
sull’esame della pergamena
Esaminando la pergamena, si notano alcuni elementi,
oltre al citato acquedotto, che si possono considerare in
chiave di datazione indiretta:
- l’arenile di Citara contiene la salina, presente anche
nella celebre rappresentazione del Cartaro del 1586.
In merito, nella figura riportata (in basso) se ne è proposto un confronto fra tre differenti rappresentazioni
che, partendo dalla sua dimensione maggiore, quasi esattamente per meridiano, consentono di porre quella del
Cartaro certamente dopo quella della pergamena, se si
considera la sua certa progressiva riduzione nel tempo.
- Un’altra via di riflessione la pone l’aver trovato le
carte aragonesi come proposta al Rizzi Zannoni per la
sua carta del Regno: ora se si osserva la carta di Ischia
da lui disegnata nel 179418 e se ne osserva l’orografia, si
possono fare i seguenti rilievi:
Fig. 3 - La salina di Citara in tre rappresentazioni che vanno dalla data, imprecisata della pergamena, al 1965 nella proposta di lettura della
Buchner. A sinistra) Particolare dalla mappa del Cartaro (1586), che presenta il tratto di costa dell'Isola, dall'Imperatore all'abitato di Forio,
con la salina ben evidente; al centro) dalla pergamena, stesso particolare, e tenuto conto della rotazione oraria di questa rappresentazione
di circa 30°, con la salina che che, conservando la forma della precedente, appare molto più estesa per meridiano, coprendo l'intero arenile
di Citara; a destra) la stessa zona delle due precedenti, nell'elaborazione in Buchner D. (1965), con evidenziata la batimetrica di 2 m, che
mostra la progressiva riduzione dell'estensione per meridiano della salina, che sembra essersi ridotta alla sola parte superiore.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
9
anno della morte del vescovo Ambrogio Salvio che lo
commissionò al padre domenicano Bartolomeo de Angelo20, morto nel 158421 e nato a Napoli nel primo trentennio del secolo XVI (Treccani): quindi l’arco di tempo in
cui i domenicani fondarono il monastero procidano cade
sicuramente nell’intervallo 1530 – 1557.22
In alto a sinistra particolare dell'isola di Capri (da Vitolo G.,
Belle ed eccezionalmente precise: scoperte le sorprendenti cartine disegnate nel Quattrocento Belle ed eccezionalmente precise.
Sito corrieredelmezzogiorno.corriere.it -napoli -Cultura. Datato
09/03/2009; nel riquadro grande particolare della carta di Rizzi
Zannoni (Istituto idrografico della Marina). Analogo appare il
tratteggio per la rappresentazione dei rilievi.
-- la carta non contiene né l’acquedotto, né la salina;
-- pur dichiarandosi l’A. geografo del Re ed essendo da
poco più di 30 anni ultimato il dispendioso restauro delle
tre torri regie (T. di Monte Vico, T. della Cornacchia, T.
di Sant’Angelo)19, la sola torre menzionata è quella dei
Guevara: le torri regie, all’epoca supposta di redazione
della pergamena, non erano ancora state costruite;
-- la rappresentazione dei monti è simile a quella delle
mappe aragonesi, mentre così non appare nella pergamena di Ischia, nella quale un incerto tratteggio si legge nelle zone costiere, meglio evidente per le isole di Procida e
S. Stefano.
Queste considerazioni inducono a pensare che il geografo padovano non avesse visto né la bellissima carta,
sempre che di questa si tratti, né quella del Cartaro, o che
non ne avesse tenuto conto, preferendo disegnare la sua
in accordo con la restante rappresentazione della carta del
Regno.
Visti poi gli interventi di copiatura e manipolazione del
materiale che il Galiani aveva rinvenuto nel Dêpot parigino, il tratto di acquedotto che compare nella pergamena
potrebbe esservi stato aggiunto sulla base della rappresentazione del Cartaro, che è la prima che lo propone,
non comparendo diversamente in alcuna delle successive, ciò che l’esame diretto porta però, come già detto, ad
escludere.
- Un altro rilevante elemento di riflessione lo fornisce
l’esame della rappresentazione dell’isola di Procida, nella quale, nella zona a settentrione della Chiaiolella è indicato un edificio religioso che dovrebbe essere il monastero domenicano, trasferito poi in S. Margherita Nuova
perché non più sicuro.
L’esercizio del citato convento domenicano di S. Margherita deve essere posto in un anno antecedente al 1557,
19 Vedi Appendice VV del sito www.ischiainsula.eu
10 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
In merito dal sito http://sit.provincia.napoli.it si apprende che: … Il cenobio di Santa Margherita Vecchia
fu costruito a partire dall’VIII secolo sull’omonimo promontorio in posizione elevata. Ma purtroppo ben presto
questa posizione si rivelò infelice, perché i frati erano
troppo distanti dalla cittadella fortificata della Terra e
quindi soggetti alle incursioni saracene. Nel XVI secolo
il convento risulta trasferito all’ordine domenicano, che
riesce ad ottenere nel 1585 dal cardinale Innico D’ Avalos i terreni necessari per una chiesa più vicina a Terra
casata, intitolata Santa Margherita Nuova….
Conclusioni
Quanto ora annotato costituisce una sorta di promemoria per future indagini, con un qualche supporto documentario.
Non si può alla luce di quanto appreso collocare cronologicamente in modo esatto la carta, ma la presenza
dell’acquedotto, quella del convento di Procida nella
zona del promontorio di S. Caterina; le dimensioni della
salina di Citara, portano a collocarla prima, sia pur non
di molto, del documento del Cartaro, e probabilmente
prima del 1557, comunque in piena prima metà del XVI
secolo, e non nel secolo precedente come generalmente si
ritiene: quindi con ogni probabilità non aragonese.
La mancanza di elementi sull’edificio dedicato a S.
Pancrazio, impedisce un eventuale collegamento fra le
sole due costruzioni religiose presenti in questo documento.
Infine, circa la conoscenza recente di questo importante
documento si devono tenere presenti varie fasi:
- fino al 1984, data di pubblicazione della prima edizione dell’opera di D. Buchner sulle carte geografiche, la
mappa in questione non era nota, almeno in campo nazionale;
- nel 1985, secondo dichiarazione di Vladimiro Valerio,
lo stesso ritrova la carta presso l’ASNA;
20 Il cognome di questo religioso è variamente riportato,
trovandosi: Angelo, de Angelo, Angeli, de Angelis.
21 Si trova anche in Memorie degli scrittori del Regno di Napoli
di E. d'Afflitto , tomo I, 1782, p.359 che la data esatta della morte
è il 18 settembre 1584, specificando che morì di morte repentina.
22 Il prof. Agostino Di Lustro, considerando che un agostiniano,
fra’ Cosmo da Verona, nel secolo XVII redasse una carta di
Ischia, mostrandovi le sedi del suo ordine, avanza, a solo livello di
ipotesi, che possa essere stato lo stesso frate domenicano l’autore
della pergamena, o persona da lui incaricata, o religioso legato
al monastero (Buchner D. N. - Ischia nelle carte geografiche
del cinquecento e seicento- Lacco Ameno, 2000 Imagaenaria
Edizioni Ischia, lug. 2000.
- del lavoro di Dora Niola Buchner sulle carte geografiche di Ischia nel ‘500 e ‘600 sono note due edizioni: la
prima del 1984 (Bologna, Li Causi), la seconda del 2000
(Lacco Ameno, Imagaenaria); lo strano è che Vladimiro
Valerio nella sua presentazione della seconda edizione
del 2000, datandola Napoli, giugno 2000, scrivesse23:
…L’isola d’Ischia è uno dei pochi territori per il quale
possiamo disporre di un’antica e storicamente stratificata serie cartografica. La pianta realizzata da Mario Cartaro nel 1586 per il volume di Giulio Iasolino sui bagni
termali dell’isola si pone immediatamente all’attenzione
del mondo cartografico contemporaneo. Fino a quella
data, l’isola era comparsa solo sporadicamente ed in dimensioni estremamente ridotte in opere geografiche; una
sua immagine non era mai stata inserita nemmeno negli
Isolari, opere principalmente destinate alla descrizione
delle isole del Mediterraneo, ed in seguito ampliati alle
isole del nuovo mondo e dell’Asia….
23 Si noti che, salvo per la data e per la mancanza dell’elenco delle
tavole, la presentazione del 2000 è perfettamente uguale a quella
dell’edizione precedente, ed ovviamente dello stesso Valerio:
ringrazio il prof. Agostino Di Lustro, per questa informazione.
1480
Data
Alla luce di quanto sopra, appare che questo autore
ponga come prima data quella del 1586, né pare potesse
fare diversamente nel presentare allora un’opera dedicata
esclusivamente all’isola di Ischia, ma se ben 15 anni prima egli aveva ritrovato la pergamena, detta aragonese,
perché non farne menzione?
Si possono formulare almeno due ipotesi: la prima, è
che Vladimiro Valerio volesse riservarsi di presentare in
futuro la sua scoperta; la seconda è che non ne volesse
comunque far menzione, o che se ne fosse dimenticato,
cosa che appare però meno probabile.
Il suo recente interesse, col citato seminario del PRIN,
potrebbe motivarsi con la recente pubblicazione di alcuni
lavori che ne parlano, e la pubblicano, sia pur in immagini
di dimensioni ridotte ed in bianco e nero24.
Per fare un sia pur provvisorio punto della situazione,
si tabellano gli elementi noti:
24 La riproduzione digitale a colori presentata in questi appunti
è la sola fino ad oggi eseguita nel laboratorio fotografico
dell’ASNA, che custodisce in merito solo alcune diapositive
scattate precedentemente: le immagini mostrate nei lavori citati
sono quindi state eseguite direttamente dagli autori dei testi che
le contengono..
Elementi sulla pergamena con Ischia, Procida, S. Stefano
Autore
sconosciuto
Fonte
Jacazzi D., La memoria e
l'immagine..., op. cit.
Datazione pergamena
Le carte geograf. op. cit.
Prima edizione
Nessuna menzione
SNSP coll. II Stanza 01.E.11
(9;
Capasso 05. BB.13
Nessuna menzione
1° giugno 1767
F. Galiani
1984
D. N. Buchner
1896
A. Blessich
1897
A. Blessich
La geografia alla corte ar...
op. cit.
1985
V. Valerio
Paesaggio antico... op. cit.
1991
F. Brancaccio
2000
D. N. Buchner
Geografia, cartografia... op.
cit.
2008
D. Jacazzi
2013
V. Valerio, F. La Greca
2007
D. Jacazzi
Note
Arhivio Storico Ital. op. cit.
pp. 369-371
Lettera a Tanucci
L'abate Galiani... op. cit.
BNN coll. Misc. Busta B
0353 (4Nessuna menzione
Le carte geograf. op. cit.
La memoria e l'immagine...,
op. cit. vol. I pp.89-98 e Tav.
VIII-1
Scoperta pergamena all'ASNA
SNSP coll. NFC00400(7
Nessuna menzione
Nessuna menzione
Il territorio campano... op.
cit. pp. 87-98
Seminario PRIN
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
11
Sulla data del 1480, la sola cosa che si riesce ad apprendere è che il Buonincontri dette in questa data, nel
suo Tabulæ Astronomicæ, latitudine e longitudine di Napoli.
Altra data che è emersa è quella del 1492, per un rinvenimento a Roma da parte del Pontano di materiale cartografico servito come base alle carte in questione.
I nominativi dei cartografi, possibili autori della/e
pergamena/e indicati in letteratura sono: Giovanni Gioviano Pontano, il Galateo (al secolo Leandro Alberti),
Gabriele Altilio, Lorenzo Bonincontri; altri nomi sono
M. Manilio Plantedio, Camillo Leonardi: ci sarebbe veramente tanto su cui indagare se questa pista si consolidasse.
Su Bonincontri e Alberti si trova che fossero i maggiori cartografi dell’epoca.
Da Brancaccio25: ... principali geografi del tempo: il
Bonincontri ed il Galateo.
Dei due, il Bonincontri, che forse risentì l’influenza del
Toscanelli e che ricoprì la cattedra di astronomia nello
Studio, riattivato nel 1465 e divenuti, con la creazione
di cattedre di materie umanistiche, il principale centro
di formazione della “intellighentia” regnicola, diede
largo impulso, con la diffusione dello Astronomicon di
Manilio, alla indagine dela geografia fisica, e per primo,
ricorrendo ad osservazioni geodetiche, riuscì a rilevare
la latitudine e la longitudine di Napoli, come si apprende
dalle Tabulae astronomicae, composte nel 1480 in collaborazione con Camillo Leonardi....
In conclusione di questi appunti, Allegati a parte, si
deve inoltre riflettere sulla precedente collocazione di
questa carta nell’Archivio farnesiano dell’ASNA, posizione che pone molti altri interrogativi, che si è appena tentato di chiarire, ma che richiede una specifica indagine, per
ora rimandata.
Le ricerche che si sono effettuate, per cercare di seguire
il tanto materiale che gli aragonesi riuscirono a portare
con sé, lasciando il Regno ed Ischia, cercandovi tracce
di eventuale materiale cartografico, sono oggetto di un
lavoro separato che si spera di poter portare nei tempi necessari alla comune attenzione.
Allegato A
Lettera del Galiani (1 giugno 1767)
Dato il particolare interesse, si riporta l’intera lettera
del Galiani,26 nella quale la parte riguardante le carte è
25 Brancaccio G., Geografia, cartografia e storia del
Mezzogiorno, Napoli, Guida ed., 1990. SNSP coll. nf C00400,
BNN 1992 D0026. La copia presso BNN, di titolo leggermente
diverso (“Fra descrizione e raffigurazione grafica: il Mezzogiorno
d’Italia nella geografia storica”), è un ciclostilato da dattiloscritto,
eseguito a cura dell’autore: per le citazioni ci si riferirà a quella
consultata presso la SNSP, pag. 118.
26 “Archivio Storico Italiano”, Firenze, presso G. P. Vieusseux,
anno 1878 tomo II, 1878. File pdf dal sito www.archive.org
12 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
quella contenuta nel terzo paragrafo; la nota che precisa
il significato di un appellativo napoletano che il Galiani
affibbia al Tanucci è con ogni probabilità dell’autore che
la presenta.
Eccellenza,
Nello scorso martedì stando il conte di Cantillana27
a Marli prese un pretesto d’andare dal duca di Choiseul28 che teneva qui la conferenza co’ ministri esteri, e
dal discorso tenuto con lui conobbi non essermi punto
ingannato in tutto quello che la sera avanti avevo scritto
a V.E. Trovai in primo luogo il duca poco istruito dell’affare, e che lo riguardava come minuzia. Giocosamente
adunque ne parlammo, ed io mi contenni a cose generali.
Gli dissi che a Napoli era un regno nuovo che si stava
fabbricando: che il mastro da cocchiara Tanucci ogni
giorno metteva qualche pietra che fondasse i dritti de’
Re, o la sicurezza de’ cittadini, o la regola, o l’ordine,
o la solidità, o il decorum. Che tali erano queste che si
stabilivano ad imitazione degli altri regni più ordinati su’
Consoli esteri. Choiseul mi rispose con qualche amenità
filosofica che ha in tutti i suoi discorsi: fate quello che
volete, ma facciasi agli Inglesi quello che fate ai Francesi, e non ci lagneremo; poi mi soggiunse queste formali
parole: “Che volete ch’io vi dica, oggi la nostra picca è
cogli Inglesi. A dir il vero forse è eccessiva, forse anche è
superflua, forse è umiliante. In altri tempi non ci saremmo tanto piccati, nè guardato così per minuto quel che
ad altri facevasi: ma sia maggior oculatezza che si voglia oggi avere sugl’interessi del commercio francese, sia
picca nascente della guerra svantaggiosa fatta, certo è
che questo è in ora il nostro debole; non vogliamo cedere
punto agli Inglesi”: poi si volse a me ridendo e mi disse
vous direz que nous faisons comme le gueux, qui plus il
ont de l’orgueil. Ho voluto trascrivere per minuto il discorso, che può indicare a V.E. la maniera di pensare del
duca, e quella grandezza d’animo sempre superiore alla
fortuna, ed alla bassa politica che traspare in ogni suo
detto. Poi mi disse, che in Francia i consoli mandavano
le patenti al ministero, e che quando questo le accettava
poi si mandavano ad enteriner ai parlamenti. Per imitar
ciò in Napoli pare che dovrebbero i Consoli esteri rimetter in mano di V.E. le loro patenti, e dalla sua Segreteria notificarsi alla camera reale che vuole il re che si dia
l’exequatur e l’istesso co’ Viceconsoli. Ma qualunque metodo s’introduca, quando sia universale, qui non si farà
gran difficoltà. Si sa che ogni paese ha gli usi proprii.
In Francia parla prima il Re, poi il parlamento, che è
cosa grossa; da noi pare che sia a rovescio. Quidquid sit
non vorrei che V.E. si lasciasse scappar tanti breviarj da
mano, e s’impigliasse la cosa, che non può far difficoltà.
Il Duca ha capito benissimo che è vantaggio degli stessi
(pagg. 369-371). Solo in lettura online o in formato txt.
27 Cantillana: il marchese di Cantillana era ambasciatore del
regno di Napoli in Francia.
28 Choiseul: il conte Choiseul era ministro [francese] delle
relazioni esteriori.
Consoli che l’exequatur delle loro patenti sia dato con
qualche solennità di formalità. I dispacci non si riguardano in Francia come il linguaggio solenne, patente, e
irrevocabile de’ Re.
Choiseul avea poca voglia di parlar di questa bazzecola del Console e gli premeva ch’io gli dicessi qualche
cosa de’ gesuiti in Napoli, ma ne parlò con premura, con
peso, con valore, dicendogli io che nulla ne sapevo, e che
credevo che nulla si facesse, mi disse replicatamente due
e tre volte mais souvenez vous qu’ils sont le ennemis de la
maison de Bourbon, parole, che mi pare che pesino assai.
Per altro la via presa in Napoli mi pare bellissima, dolcissima, efficacissima se si sta fermi a sostenerla. Basti
fargli pagare i loro debiti. La loro ricchezza era come la
loro santità larva, menzogna, apparenza. Qui in Francia
hanno lasciati quattordici milioni di debiti de’ quali soli
quattro o cinque si sono potuti pagare col sequestrato.
Io sono sicuro, che se in Napoli si obbligano a pagar i
debiti, falliranno tutti. Faccia adunque V.E. una giunta di
ministri che liquidino i debiti, gli averi, i pesi forzosi, le
fondazioni, e vedrà che non resta nulla, anzi non ci sarà
capienza per tutti i creditori.
Merita d’essere scritta a V.E. la causa che mi fece andar martedì da Choiseul. Sono i famosi papiri de’ quali
ho già parlato in altre mie. Stavano questi nel dépôt de
la guerre un luogo sacro, adito impenetrabile. Una specie di miracolo me ne fece aver la notizia: ne domandai
comunicazione al duca. Non è grazia questa che si soglia
accordare. È il dépôt delle carte geografiche, una specie
di santuffizio qui, e con più ragione di quello di Roma,
ma il duca con infinita gentilezza mi rispose, che tutto il
dépôt era a’ miei ordini, e che non ci erano segreti per la
famiglia. Dette gli ordini, ma gli ordini non bastarono,
perchè il custode s’imbrogliò a trovar queste pergamene
che io pur sapeva che ci erano, ma che egli aveva sempre
ignorato d’avere. Bisognava adunque rinforzar l’impegno. Aggiunsi la duchessa al duca col mezzo dell’amico Gatti, che sta con lei a Chanteloup. La duchessa fece
pulito. Impegnò il custode ad una fatuosissima ricerca in
tutto quell’immenso deposito di carte. Sinora se ne sono
disotterrate dieci, ma ne spero altre. Alla finezza di farle
trovare il duca ha aggiunto quella di mandarmi gli originali fino a casa, e di farmi anche comunicare una bellissima carta d’Ischia che era la sola cosa buona, che nel
nostro regno ivi fosse. La duchessa voleva anche farmi
risparmiar tutta la spesa della copiatura, ma non si è potuto, perchè l’incontro delle pergamene si è trovato così
obliterate che que’ giovani disegnatori non si sono fidati,
ho dovuto farle copiar sotto gli occhi miei, ed ho speso
un luigi a carta, che non è caro. Ma la signora duchessa in mezzo al beneficio mi ha fatto un dolce rimprovero
per un servizio, che crede io abbia mancato di rendergli
stando in Napoli, ciò è di far continuare a dare all’abate
Bartelemy suo confidentissimo amico i volumi d’Ercolano. mando a V.E. l’originale lettera scrittami dall’amico
Gatti su di ciò. Io con un petto apostolico ho digià rispo-
sto all’abbate e alla duchessa, che quando io stava in Napoli avevo cominciato a parlare a V.E. di queste istanze
del Bartelemy, e che V.R. mi era parso ben disposto, ma
che in quel frattempo venne una di quelle tante diavolerie
dell’inficetur Durefort, che mise V.E. di tanto malumore,
e con ragione, che io non ebbi più cuore di parlarle di
grazia per Franzesi, mentre il prototipo Franzese di Napoli tirava calci all’impazzata a chi coglie coglie. Ora
io non dico altro, ma sia sicuro V.E. che continuandosi
a dar gli Ercolani a Bartelemy farà grandissimo piacere
alla duchessa.
Mi rallegro di V.E. Appio oculato. Per non incappar
nell’epiteto del vecchio Appio, bisogna che ella si guardi egualmente dagli ingegnieri camerali, e da’ militari.
Io non voglio mancar alla cosa pubblica per quanto un
parigino può concorrere alla via Appia, coll’indicarle un onesto uomo ingegniere, ed abile, e pratichissimo
appunto di questo negozio. Chiamasi Domenico Spina.
Certi signori Fiorentini non goffi l’hanno preso per loro
agente in alcuni fedi Campani. Credo che sotto questa
figura V.E. lo conosco. Dell’onestà sua potrà far fede il
commissario di Campagna, dell’abilità è valevole quella
di mio fratello, e mia. Io gli debbo una bellissima carta
appunto di tutta questa strada che si ha da fare, che ha
molto servito a perfezionar la mia, oltre a varie altre misure geografiche, che gli ho fatte prendere.
Parigi, 1 giugno 1767
Il carteggio del Galiani col Tanucci data dal 1759 al
1769, esso è custodito all’ASNA29
Nel citato testo di Valerio e La Greca si menzionano
lettere in data 6 aprile, 18 maggio, 1 giugno, 4 ottobre nel
1767; 18 aprile 1768; 13 marzo 1769; sul complesso delle
carte rivenute dal Galiani pp. 17, 18, 24, 25 dello stesso
testo.
Alcuni brani della lettera del 6 aprile 1767 sono stati riprodotti in Jacazzi30, e qui di seguito trascritti: ... Ho
trovato un tesoro. In un luogo se­greto di qui trovansi non
pochi avanzi delle carte geografiche, che, per quanto
io possa congetturare, i nostri antichi re fecero fare del
Regno di Napoli, e verosimilmente furono portate qui da
Carlo VIII. Io ne ho viste solo tre o quattro, ma mi dicono esservene una ventina, benché molti pezzi del Regno
manchino ....Sono un monumento veramente curioso e
uti­le. Sono sopra pergamena scritta con carattere quasi
longobardo. Vi si vedono luoghi che oggi non esistono, e
mancano altri fondati dopo....
Tenuto presente che Carlo VIII fu a Napoli il 22 febbraio 1494, e che fino a quasi tutto il 1495 fu nel napoletano, anche se strascichi e combattimenti nel regno du29 In “Archivio Storico Italiano”. Firenze, Deputazione di Storia
Patria per la Toscana, si trovano alcune lettere, in: Bazzoni A. “Carteggio dell’abate Ferdinando Galiani col marchese Tanucci”, n°
54, a, s.III, II, 2 (1869) da p.10; n°55, a.X, s.III, I, 3, da p.40.
30 Jacazzi D., La memoria…, op. cit. pag. 90.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
13
rarono fino al 1496, se si accettasse l’ipotesi che le carte
aragonesi furono da lui portate in Francia, esse dovrebbero datare a prima del 1494.
Allegato B
Cenni su studi delle carte aragonesi
nel secolo XIX
Si possono trovare sicuramente già in questo secolo alcuni riferimenti bibliografici: Colangelo31; Blessich32 e 33 .
Nel primo, alle pp. 285-286, si trovano indicazioni delle quattro carte, con l’ipotesi che fosse stato Carlo VIII a
portarle a Parigi, anche se l’A. le colloca erroneamente
nelle Regia Biblioteca, e non nel Deposito della Guerra.
Colangelo p.285-286: IX. Vera, et integra limit. Regni
Neapolitani Mappa Topo. Ferdinandi Regis jussu mensurata… studio et opera Joan. Jov. Pontani. In fol. Atlantico. Del secolo XVIII.
Sono quattro carte geografiche, che contengono la
confinazione del Regno di Napoli collo stato Romano, e
nell’ultima carta è il titolo enunciato e nella fine della
medesima leggesi ancora: Et così finisce la decriptione
delli confini del Regno di Napoli contenuta in quattro
tabule topografiche. Queste carte furono scoverte nella
Biblioteca Regia di Francia dall’Abate D. Ferdinando
Galiani, che n’estrasse una co­pia, e quindi fattesi incidere, non se ne tirarono, che pochissime copie. E facile
indovinare come tali carte si siano trovate in Francia.
Le medesime si dovevano conservare nella Biblioteca de’
nostri sovrani Aragonesi, donde da Carlo VIII, furono
prese, e trasportate in Francia con moltissimi altri codici,
e pregiatissimi monumenti. L’esemplare, che noi conserviamo ci fu dato in dono dal nostro amico D. Francesco
Daniele, il quale sebbene da più anni abbia terminato il
suo terreno corso di vita, ci ha la­sciato però una grata
memoria di lui per la sua dottrina, e multiplice erudizione
non meno, che per essere stato lo specchio di ogni virtù.
Dalla lettura pare di poter concludere che non si tratti
però della carte con la pergamena di Ischia, che è all’ASNA in originale e non in copia, e della quale non sono
note riproduzioni a stampa.
Gli altri due lavori, nulla aggiungono in chiave di approfondimento di un viaggio che da Parigi potrebbe aver
portato a Napoli la pergamena con Ischia.
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Colangelo F. – Vita di Gioviano Pontano, Napoli, dalla
tipografia di Angelo Trani, (1826). File pdf in google books.
32 Blessich A. - L’ abate Galiani geografo: contributo alla storia
della geografia moderna, Napoli, 1896 Trani: Tip. V. Vecchi e
C.), 1896 - Già pubbl. in: Napoli nobilissima, vol. 5., fasc. 10.
BNN coll. misc. busta B 0353 (4 - v. pp. 145-150.
33 Blessich A.- La geografia alla corte aragonese in Napoli :
notizie e appunti, Roma, Ermanno Loescher & C, (1897). SNSP
coll. II stanza 01.E. 11
14 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
Particolare delle isole di Procida e Vivara. Cerchiato un edificio
religioso alle spalle della Chiaolella.
Nota sul Monastero di S. Margherita
in Procida
Un elemento per una datazione indiretta della pergamena potrebbe essere, come detto, quello basato sulla
presenza di un edificio religioso nella zona del promontorio di S. Margherita nella parte meridionale dell’isola di
Procida.
A questo riguardo si legge in Mazzucchelli G. M.34:
.... Angelo (Bartolommeo d’) Napolitano, dell’Ordine de’
predicatori, fiorì dopo la metà del secolo decimosesto. Fu
figliuolo del Convento di S.Domenico di Napoli, Baccelliere di Sacra Teologia, Fondatore dei Conventi di Caivano e di Santa Margherita di Procida, e morì nel 1584,
come consta dalle Scritture dell’Archivio del Convento di
S. Domenico di Napoli riferite dal P. Teodoro Valle35, il
quale tuttavia, sapendo altronde che del detto convento
di Procida si tiene per fondatore anche il P. Ambrogio
Salvio di Bagnouli Vescovo di Nardò, è d’opinione che
o opera d’amendue sia stato fondato, o che l’uno sia il
Fondatore, e l’altro l’Ampliatore...36
e, pertanto, tenuto conto delle date di morte dei due, comunque si consideri il Salvio, il tutto collocherebbe la
istituzione del convento di S. Margherita vecchia entro
il 1557.
Una più completa lettura della situazione si trova in
Echard J.37: …F. Bartholomeus ab Angelo
34 Mazzucchelli G. M. - Gli scrittori italiani cioè notizie, e
critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani,
Brescia, presso Giambattista Bossini, vol. I parte 2a, (1763), p.
269. File pdf da google books.
35 Il padre Teodoro Valle da Piperno, è un domenicano.
36 Ambrogio Salvio (1491-1557) di Bagnoli Irpino, fu domenicano,
filosofo, teologo e vescovo. Fu confessore personale dell’imperatore
Carlo V. Ampliò la Chiesa di San Domenico e vi istituì un
educandato. I suoi resti si trovano nella Chiesa di Santo Spirito a
Napoli.
37 Echard J., Scriptores ordinis prædicatorum, Parigi, Lutetiaæ
Parisiorum, tomo II, 1721, p. 269. File pdf da google books.
1584 F. Bartholomeus ab Angelo sicuius Parthenopeus,
in patria S.Dominici ordinem amplexatus, sacræ theologiæ baccalaureus, vir fuit pietate, religione & doctrina
commendatus, de quo teste Vallio p. 242 hæc in archivio
dictæ domus habetur memoria MS: F.Bartholomeus de
Angelis Neapolitanus sacra theologia baccalaureus filius
S. Dominici, fundator conventuum Caivani & Prochita,
vir eruditione merito venerandus, multas opera edidit.
Migravit a seculo anno MDLXXXIV.
Censet idem Vallius ita Prochitensis domus dici fundatorem, quod ejus erectioni, una cum Ambrosio Salvio de
Bagnuoli ord. Prædic. Episcopo Neritonensis, operam
suam contulerit....
Il Vallio di cui si parla è lo stesso padre Théodore Valle,
autore di un testo38 nel quale si legge:
Del Fra Bartolomeo de Angelis Napolitano, e del P. Fra
Benedetto Nicotera di Marigliano
Il P. Frà Bartolomeo de Angelis Napolitano, religioso dell’Ordine di Predicatori della provincia del Regno,
Baccelliere di sacra Teologia, e diligente indagatore
dell’antichità. Fu Padre essercitato nelle scienze, e molto
studioso.....Di lui fa mentione il Piò, & il Gozzeo di Ragusa, dicendo Frater Bartholomeus de Angelis Neapolitanus, Sacræ Theologiæ Baccalaureus Provintiæ Regni,
Pater amabilis; discretus, prudens, devotus, ac humilis.
Scripsit....
Trà le scritture del Archivio del regale Convento di San
Domenico di Napoli, ritrovo scritto di questo buon Padre,
che fusse figlio di detto Convento, e che fusse fondatore
de i Conventi di Caivano, e di s. Margherita diProcida. E
perchè hò anche ritrovato, che il P. F. Ambrogio Salvio
di Bagnuoli, Vescovo di Nardò, sia anch’egli fondatore di
questo Convento, bisogna dire, ò che per opra d’ambidue fusse stato fondato, ò che uno di loro sia il fondatore,
e l’altro ampliatore, che ben spesso accade, ch’anco gli
ampliatori sortiscono il nome di fondatori, come credo
sortisca il sudetto Frà Bartolomeo de Angelis, come nelle
scritture sopr’accennate si ritrova, e dicono così. Frater
Bartholomæus dè Angelis Neapolitanus, Sacræ Theologiæ Baccalaureus, filius Sancti Dominici. Fundator Conventuum Caivani, & Prochitæ, vir eruditione, & merito
venerandus, multa opera edidit. Migravit à Sæculo anno
1584.
- l’edificio sulla collinetta di S. Margherita in Procida;
- il tempietto39 di San Pancrazio, in Ischia, col suo
nome (Sto Pãcratio), posto sull’omonimo promontorio.
Si deve inoltre notare che, mentre per il solo cenobio di
Procida la notazione grafica adottata sia sormontata da
una croce, per quello di S. Pancrazio essa sia comune
a quella di casali notoriamente più rilevanti, come p.es.
Testaccio, Campagnano, Barano, Fontana, limitandosi a
quelli della zona.
Sulla datazione del secondo nulla può aggiungere il Di
Lustro:
:…quando sia stata fondata non sappiamo perché mancano riferimenti documentari…40
ora, però, possiamo dire che mentre la mappa del Cartaro lo documentava come esistente nel 1586, la mappa
in esame lo retrodaterebbe al 1557, anno della morte del
vescovo di Nardò.
La storia dell’edificio religioso procidano, che si trova anche indicato come sede di un cenobio, non sembra
però essere così limitata nel tempo, in quanto lo si trova
presente sin dall’8° secolo, e passato dai benedettini ai
domenicani, trasferito nella sede di S. Margherita Nuova,
più sicura in quanto vicina alla Terra Murata dell’isola:
trasferimento datato al 1585 per concessione dei terreni
da parte del cardinale Innico d’Avalos.
Sembra quindi che il domenicano Bartolomeo d’Angelo o de ANGELIS, rilevasse dai benedettini il cenobio,
ma che alla sua repentina morte, avvenuta il 18 settembre
1584, i religiosi del suo ordine si siano dati da fare per
abbandonare l’insicura posizione, a meno che egli stesso
ne avesse promosso il trasferimento.
Si annoti, per una ulteriore riflessione, che i due edifici
di S. Pancrazio, ad Ischia, e di S. Margherita Vecchia, a
Procida, erano probabilmente l’uno in vista dell’altro, e
distanti in linea d’aria 6 700 m circa.
Vincenzo Belli
39 Nonostante non si sappia di che tipo di edificio si tratti,
occorre ricordare che nella mappa del Cartaro esso compaia con
la scritta: T.Sti Pancratyi.
40 Di Lustro A., Fonti archivistiche per la storia dell'isola d'Ischia: I luoghi sacri del territorio di Testaccio, La Rassegna d'Ischia n. 3/2013 pp. 42-45.
Si ricordi che si è pervenuti a quanto sopra considerando che l’elemento singolare di questa carta delle tre
isole, più Vivara, è che mentre i casali vengono rappresentati di maniera, con un gruppo di edifici sormontati
da un campanile, vi compaiano due soli edifici religiosi
specificamente indicati :
38 Valle T., Breve compendio de gli più illustri padri nella
santità della vita, dignità, uffici, e lettere ch’hà prodotto la Prov.
del regno di Nap. dell’ord. de predic., Napoli, per Secondino
Roncagliolo, 1651, pp. 242-243. File pdf da google books
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
15
Lacco Ameno - Piazza Rosario
Dicembre 1881 – Febbraio 1883
di Giovanni Castagna
Agli inizi del mese di dicembre
1881 dalla piccola banchina della
Marina di Lacco Ameno, lungo via
Rosario fino alla piazza omonima
del Lacco di sopra e proprio davanti alla chiesa che, oggi ancora, dà il
nome alla piazza e alla strada, chiesa
molto lesionata dal terremoto del 4
marzo, iniziò un continuo andirivieni d’uomini, di donne e di carrette,
tra grida, richiami e ragli d’asini.
«Somattieri» di Lacco: Vincenzo
Cucuruzzo, Francesco Ballirano,
Francesco Antonio Calise e due
«bracciali» forestieri (Stefano di
Meglio e Giovanni Giovatore) trasportavano i «pesi» di calce che Luigi Scelzo inviava da Castellammare,
nonché quelli prelevati da Cristoforo
Monti a Casamicciola.
Quasi contemporaneamente Brigida Patalano, Rosa Petrucci, Francesca e Giustina Calise, Carmela
Galano, Catuogno Egiziaca, Iacono
Giustina, Celeste Piro, Brigida de
Martino e Olimpia Pascale trasportavano acqua per lo spegnimento
della calce.
Da quel giorno (4 dicembre) fu
tutto un fervore di opere sotto lo
sguardo attento dei membri della
commissione, intenti a controllare il
materiale che a mano a mano arrivava (1).
1) La commissione che controllava i lavori e
ogni settimana inviava la nota delle spese al
Vescovo d’Ischia ed al Comune era composta dal sindaco Gaetano Monti, presidente,
don Abramo de Siano, l’insegnante Raffaele
Taliercio e il venditore di lavori in paglia,
Giuseppe Piro. La commissione, eletta il 15
ottobre 1881, con De Siano Scipione funzionante da Sindaco, era, tuttavia, composta da
Abramo de Siano fu Ambrogio, Pascale Tobia fu Giuseppe, Nesbitt Luigi fu Nataniele,
Taliercio Raffaele di Michele, Piro Giuseppe
fu Pietro, Monti Raffaele di Sebastiano ed
essa aveva la facoltà di indirizzare domande
16 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
Le coffe e il crivello per lo stucco
comprati a Napoli, le sei «secchie»
portate dal bottaio Giuseppe Regine di Forio, sposatosi e domiciliato a
Lacco Ameno, le zeppe del falegname Francesco Raia di Portici, ma
domiciliato anch’egli a Lacco Ameno, quelle di quercia del falegname
Antonio Mattera, zeppe preparate
con legname offerto da Giovanni
Climaco.
Ciò che colpisce in quest’opera di
riparazione della chiesa del SS.mo
Rosario è l’intervento corale di quasi tutti gli abitanti di Lacco Ameno e,
soprattutto, quelli del Lacco di sopra
(piazza Rosario, Casamonte, Casapera, via Ballano) che offrivano del
materiale: legname, pietre, mattoni,
spalatroni… mentre ben 35 persone,
fra donne e uomini, non avendo altro, offrivano giorni di lavoro gratis
con il compenso di un solo pane (‘a
pagnotta), comprato alla Marina da
Maria Angelica de Filippo che forniva anche olio e sarde. Da Gennaro Asprea ci si forniva di chiodi, di
puntine e di piombo, mentre per la
polvere di marmo, il rosso di Spagna, il giallo di Siena, il nero bragia
e il rosso bruciato bisognava recarsi
a Casamicciola da Giuseppe Senese.
Coloro che offrivano del materiale occorrente alla fabbrica non
erano soltanto di Lacco Ameno,
come Catuogno Vincenzo Antonio
fu Gaetano che donò tutto il lapillo
e la pozzolana «occorsi tanto per la
chiesa del Rosario quanto per quella di Sant’Anna»; Michele Pisani, il
corriere detto Pappone, che offrì per
un mese, dall’8 maggio all’8 giugno
1882, alloggio gratuito ai due maestri stuccatori: Pietro Sonnino e Nocerino Agostino di Pozzuoli (2); Ca-
lise Giampietro un legname, Diego
Buonocore 20 legnami, Domenico
Castagna un legname e pietre, ma
anche forestieri come i coniugi Balsamo di Casamicciola «che offrirono
una buona porzione dei vetri blu per
il finestrone»; il vetraio Achille Casularo che prestò «gratis l’opera sua
nel fare il finestrone a vetri colorati»
con la promessa di farne un altro a
sue spese per la cupola; il Sig. Michele Circelli, negoziante di generi
di ottone di Napoli che aumentò da
uno a quattro i doppieri posti nelle
pareti interne della chiesa, donando anche due doppieri di ottone da
situarsi ai lati del gran quadro della
Madonna oltre a 2 candelieri piccoli
e una bugia.
Mentre i lavori proseguivano non
pochi erano i curiosi, soprattutto ragazzi che, per lo più seguivano la
carretta di Francesco Antonio Monti
e l’asino di suo figlio Domenico, che
trasportavano lapilli e pozzolana,
calce dalla banchina della Marina,
pietre da Casamonte, da San Montano e da Monte di Vico, 1220 mattoni
scelti da Casamicciola, di cui 720 di
prima qualità, pietre pomice dalle
cave di Fiaiano per la volta della cupola, quadroni e quadronelli, comprati a Napoli da Maria de Luise…
Il parroco don Carlo Monti, ogni
mattina, dal balcone al primo piano
del suo palazzo (3), sembrava sorvegliasse gli operai che giungevano
ancora mezzo assonnati, scambiandosi appena qualche parola, prima di
entrare nella chiesa o salire sul tetto,
mentre altri si apostrofavano urtandosi sulla soglia del negozio «Sale
e Tabacchi» di Cristoforo Pascale,
situato a pianterreno dello stesso palazzo.
alle autorità civili ed ecclesiastiche nonché a
famiglie agiate dalle quali si poteva «certo
sperare un soccorso, un obolo».
2) In seguito dal 10 giugno al 9 settembre,
furono alloggiati nella casa di Caterina Castaldi, vedova Monti.
3) L’attuale palazzo Manzi
Nel corso dei mesi e a seconda
dell’avanzamento dei lavori, ogni
mattina arrivavano «mastri» muratori: Antonio e Francesco Taliercio,
De Angelis Angelo, Maetti Carmine,
De Dominicis Domenico e Pasquale
Amato di Napoli per l’asfalto, i manovali Gennaro di Costanzo e «mastro Peppe» di Napoli; i «mastri»
falegnami: Francesco e Gennaro
Raia per l’accomodo del finestrone della cupola e di quelli dei muri
laterali, Leonardo Monti, Patalano
Francesco e il giovane apprendista-falegname Ernesto de Causio;
mastro Alfonso il fabbro ferraro; i
vetrari Achille Casularo di Procida
domiciliato a Lacco Ameno, per il
finestrone a vetri colorati, e Savino
Alfonso di Napoli «per mettere in
opera 80 vetri ai finestroni della cupola e ai due laterali della Chiesa»; il
pittore Michele Vittogré per dipingere «a marmo i quattro altari della chiesa» (gli altari di stucco delle
quattro cappelle) ed il pittore Carlo
Mastropietro; un marmorario di Napoli «per accomodo all’altare maggiore del danno causato dal terremoto»; Giovanni Antonio Galasso per
aggiustare l’organo deteriorato della
chiesa … Di tanto in tanto venivano
i corrieri Nunzio Patalano e Michele
Pisani, come anche Vincenzo Cacciutto portando «scope e scopilli»,
sempre nel continuo andirivieni di
donne per il trasporto dell’acqua.
I lavori proseguivano a ritmo intenso, a volte si lavorava anche di
notte al lume di lampade ad olio. Ci
furono due interruzioni: il 4 marzo
(4) e il 15 agosto festa dell’Assunta.
E tutto fu pronto per il 4 febbraio
1883, giorno della riapertura della
chiesa e delle Sante Quarantore.
Per l’occasione si fittarono dal
signor Cacace di Napoli 15 lampadari grandi e 26 piccoli, e Pappone,
4) «Ricorrendo l’anniversario del 4 marzo
1881 si sono sospesi i lavori della fabbrica e
della Chiesa perché tutti potessero prendere
parte alla processione di penitenza e a tutte le
altre funzioni proprie del giorno».
Lacco Ameno - Due immagini della Chiesa del Rosario dopo il terremoto del 28 luglio 1883
il corriere, riuscì a noleggiare paranzelle e barchette per il trasporto delle
cento undici sedie, comprate a Napoli. Da Casamicciola giunsero in
carrozzella «l’Eminentissimo Mons.
Carlo Mennella e il Reverendissimo
D. Di Martino».
La festa, nonostante qualche scoppio di mortaretti e qualche altra manifestazione esterna, fu un fervente
tripudio di fede, un gaudio intimo e
tutti provarono un certo orgoglio nel
veder riaperto il loro tempio e non
nascosero le lacrime mentre onde
musicali zampillavano dall’organo,
anch’esso restaurato, risuonavano
sotto la volta e fuggivano attraverso
la porta aperta, irrorando nella notte la risacca e l’odore dei pini e dei
castagni.
Alle 2130 del 28 luglio dello stesso anno (1883), come per una vasta
zona dell'isola, tutto tramutò in rovina per lo scoppio del più forte terremoto che Ischia ricorda.
Note complementari
a) I lavori costarono Lire 4.411,97. Le note spese venivano portate al Vescovo
d’Ischia. Il Comune di Lacco Ameno partecipò con Lire 500. Le Somme introitate
in occasione delle feste per la riapertura della Chiesa e per le Sante Quarantore fuLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013
17
rono L. 368,12, fra le quali: Municipio
di Lacco Ameno L. 10, Scipione De Siano L. 5, Don Stanislao Buonocore L.
5. Francesco Impagliazzo L. 5, Elia Castagna L. 4, offerte dei fedeli di Lacco
Ameno L. 171,3
b) «Ore 13,05 del 4 marzo 1881, a
Lacco 5 morti e diversi feriti tra diroccate e rese inabitate si contano 194 case.
Cadde la chiesa S. Giuseppe al Fango
e quella del Rosario fu seriamente lesionata». Cfr. D’Ambra Nino, Eruzioni
e terremoti nell’isola d’Ischia, Centro
di Ricerche Storiche d’Ambra, Forio
d’Ischia, Arti Grafiche Grassi, Napoli
4 marzo 1981, p.20. Nella stessa opera
d’Ambra riporta la «Relazione all’Accademia Pontaniana di Napoli del 31 agosto 1881 firmata da F. Schiavoni, S. Zin-
no e G. Guiscardo relatore, ove a pagina
99 si legge: «A Lacco Ameno la scossa
è stata avvertita, dicevano, abbastanza forte. Le case danneggiate poco, la
chiesa molto. Nella terza cappella* sul
lato destro il crocifisso sull’altare s’è appoggiato alla tela che gli sta alle spalle
senza uscire dall’incastro aperto di dietro che collega la croce alla base rimasta
immobile; e un candeliere dell’altare
della seconda cappella** è caduto sulla
mensa come spinto nella stessa direzione della croce. La direzione della spinta
sarebbe stata Est-Ovest». Precisiamo
il posto delle cappelle: * cappella di S
Gaetano; **Cappella S. Pietro (1876),
* Cappellone S, Gaetano; ** Cappella
Santa Maria di Loreto (1756)
La Chiesa nel 1765
La chiesa del Santismo Rosario è edificata in detta Università del Lacco di
sopra che ha per confini dal lato di ponente li beni di Pietro Piro, da levante la
Ven.le Chiesa di Santa Maria dell’Assunta della Confraternita dei Laici sotto
quel titolo, dal lato di Gregale li beni della Ven.le Chiesa di Santa Maria delle Grazie della Città d’Ischia da Reverendi Padri Conventuali che si tengono
censuati d’Andrea Monti quondam Lodovico; e da mezzogiorno quella publica
piazza del Lacco di sopra.
Quella essendo una chiesa piccola co’ tetto di tegoli, fu dalla Università predetta del Lacco diroccata ed in luogo d’essa edificata la presente che si osserva
colla spesa di più migliaia di ducati. Il principio della sua redificazione si fu nel
settembre 1701 ed essendose portata a stato di potervisi dentro celebrare fu sotto l’8 Giugno 1715 benedetta dall’Ill.mo e Red.mo Mons.r qm Luca Trapani allora
Vescovo d’Ischia; ed a 22 ottombre 1741 consegrata dall’Ill.mo e Red.mo Mons.r
Fra Nicola Antonio Schiaffinati, olim similmente Vescovo d’Ischia e dedicata
sotto gli auspici gloriosissimi e di essa SS.ma Vergine del Rosario e degli incliti
Martiri Santi Aurelio, Rufina, Lucina e Sabaria.
La Chiesa è composta a forma di Croce con due Cappelloni laterali e quattro
cappelle fondate ad una nave.
Nell’altare maggiore si venera la Vergine Gloriosissima del Rosario col suo
Bambino in braccio con corone d’argento in testa, con a’ piedi Santo Domenico,
Santa Caterina da Siena, San Biagio e Santa Lucia, con due altri quadri nelle
colonne di detto Altare maggiore; in uno la gloriosa S. Anna e nell’altro S. Vincenzo da Paoli.
Nel Cappellone di mano destra la gran Madre di Dio e suo Figliolino che sposa Santa Caterina Alessandrina; e al di sotto con altro quadro più piccolo della
Vergine e l’anime del Purghetorio.
Nel Cappellone a man sinistra San Gaetano, e al di sotto un altro quadro più
piccolo con l’effigie della Vergine Addolorata.
E nelli due nicchietti a lato di quei Cappelloni, in uno a destra la statuetta di
S. Domenico e nell’altro a sinistra la statuetta di S. Antonio Abbate di mezzana
grandezza.
Nelle due cappelle laterali che le sono alla destra
nella prima attaccata alla sagrestia si venera la statua del Glorioso San Giuseppe col Bambino in braccia, ed un quadretto picciolino di sopra dell’Immacolata Concez.ne,
18 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
e nell’altra appresso che si è della
famiglia Marona la Purificazione di
Maria Vergine coll’effigie dei gloriosi
San Giacomo Apostolo e San Francesco d’Assisi nelli due lati di quella
cappella.
Nelle altre due cappelle laterali a
sinistra:
nella prima all’incontro della sagrestia si esprime Santa Maria di Loreto, colli santi Apostoli Pietro e Paolo,
Sant’Alberto Carmelitano e San Vito;
e nell’ultima eretta sotto l’adorabile
nome di Dio, della Famiglia Pascali,
la SS. Trinità.
Ella la Chiesa tiene avanti di sé situato il suo Campanile nel suo atrio
co’ campane di peso rotoli centonovanta alta palmi tre colle figure del
Crocifisso e della Vergine del Rosario
comprata nel 1709 sotto il reggimine
del q(uonda)m Francesco Marona
Deputato e benedetta nel dì 31 Dicembre 1710 dal suddetto fu Vescovo
d’Ischia D. Luca Trapani, da lui le fu
posto il nome di Maria.*
Tiene in cima quel Campanile il suo
orologio per comodo del Publico; ed
ave la chiesa due stanze per sagrestia
con cisterna ed altri comodi ivi apparenti con un’altra Campana piccola
per uso delle Messe.**
La costruzione della chiesa del SS.
Rosario, quella «piccola con tetto di
tegoli» doveva risalire agli inizi del
‘600, ma la bolla di concessione di
patronato all’Università del Lacco
è del 1640, anno in cui l’Università
operò forse dei lavori di ristrutturazione, riservandosi il diritto di patronato. Lavori che dovettero durare un
po’ più di un anno come risulta dai
seppellimenti. Dal 20 0ttobre 1640
fino al 10 gennaio del 1642, infatti,
* Nota a margine Qui si nota come essendosi detta campana rotta nel 1771 e quella
rifatta con l’aggiunta di altro bronzo è riuscita di peso cantara due e quaranta ed è
stata benedetta del Revmo Padre Abbate di
Sant’Agrippino di Napoli nel Reggimine dei
Magci Deputati Notar Cristoforo Di Spigna
e Antuono Calise.
** Cfr. Notar Cristoforo di Spigna, «Inventario della Venerabile Chiesa del SSmo
Rosario del Lacco coll’Istrumento della sua
consegrazione», luglio 1756.
non vi fu alcun seppellito nella chiesa
del Rosario. La stessa cosa si verifica durante i lavori indicati dal notaio
Cristoforo di Spigna: nessuno viene
seppellito nelle sepolture della chiesa
nel periodo che va dal 7 giugno 1701
all’8 gennaio 1716.
La Chiesa nel 1876
(da un inventario)
Una porta di legno massiccio pittata
verde, «con corrispondente chiusura
di ferro», ed una antiporta di legno
anche pittata.
Varcata la soglia, a destra una vasca di marmo per l’acqua santa e
uno scanno di legno, pittato e fisso al
muro.
Proseguendo sulla destra:
- la Cappella della Trinità «con un
quadro di tela e cornice di legno dorata coll’effigie della SS.ma Trinita».
La cappella comporta un altare di
fabbrica...
- subito dopo la cappella, un confessionale di pioppo, pittato.
- segue la Cappella di San Pietro
«con quadro di tela a cornice di legno
dorata coll’effigie di detto Santo. L’altare è di fabbrica…
- pulpito «di legno pittato e con cornicione dorato», fisso al muro. Vi si
sale «per una scala di legno entrandosi per una bussola di legno pittato».
- un confessionale «di noce a pulitura»
- la Cappella San Gaetano «con quadro di tela coll’effigie di detto Santo e
cornice di legno indorata». L’altare è
di marmo ed ha «la custodia foderata
con portina di ramocedro indorato».
- l’altare maggiore di marmo pregiato, di prospetto, sotto la cupola michelangiolesca con i suoi ampi finestroni
che comportano ottanta vetri colorati;
- una balaustra di marmo, con due
gradini di marmo e una porticina di
ferro delimita il presbiterio.
- al disopra dell’altare, il quadro
di tela della Vergine del Rosario fra
due statuette di legno, San Domenico
e Sant’Antonio Abate, e due quadretti,
«con corrispondenti lastre», raffiguranti il Cuore di Gesù e il Cuore di
Maria.
- dietro 1’altare, un sedile di legno
pittato, fisso al muro, per il coro e, ai
due lati, sempre fisse al muro, due credenze di marmo.
la porta della sacrestia, sulla sinistra, un campanello fisso al muro e
una piccola vasca di marmo per l’acqua santa.
Proseguendo sulla sinistra, a qualche metro dai gradini di marmo della
balaustra:
- la Cappella di Santa Caterina con
«il quadro di tela e cornice di legno
dorato», L’altare è di marmo con un
crocifisso …
- segue una nicchia movibile «di
noce a pulitura» con dentro la statua
di Santo Stanislao Kostka col Bambino in braccia e tre angeli di legno.
- un confessionale di noce a pulitura
e, a pochi metri,
- la Cappella di San Giuseppe con
una nicchia fissa al muro e con dentro «l’antica statua di San Giuseppe
con Bambino in braccia», l’altare è di
fabbrica; sulla destra dell’altare,«un
quadro con lastra con l’effigie di Santa Filomena».
- un confessionale di pioppo pittato
- la Cappella della Purificazione.
ove c’e «un quadro di tela di legno dorato» ed un pannello di seta, l’altare è
di fabbrica.
Ed eccoci di nuovo alla porta
d’entrata sulla sinistra, ove ritroviamo uno scanno di legno, pittato, fisso
al muro, ed una vasca di marmo per
l’acqua santa che fanno riscontro con
quelli situati a destra.
La volta è «scompartita in riquadri
con rosoni e festoni».
Al disopra dell’entrata un palco di
fabbrica su cui c’e il grande organo,
fisso al muro, a «nove registri con pedali e contra-bassi» e rispettivi mantici, protetto da tendine d’un pallido
verde.
Dalla soglia uno sguardo d’insieme alla chiesa nella luce che piove
dai due finestroni della cupola e dai
sei ampi finestroni laterali con vetri
colorati. I fedeli dispongono di venti
scanni movibili «di legno pittato».
Nella sacrestia nuova un pancone
di legno «con nove tiratoi», un pie-
distallo e un crocifisso di legno. Due
grandi stipi, fissi al muro e «forniti di
chiusura», contenenti gli arredi. Altri
tre piccoli stipi, anche fissi al muro.
Al di sopra di un altarino di fabbrica,
sfornito di tutto, c’è una nicchia fissa
al muro con dentro la statua dell’Immacolata; ha sulla testa un diadema di
dodici stelle d’argento ed è «guernita
di due piccoli pendenti d’oro» e d’una
medaglia con cornice d’argento. Alle
pareti, nove quadri: sei con cornice e
tre senza. Un tavolino di legno e quattro sedie; cinque grandi scanni, fissi
al muro e due piccoli, movibili.
La sacrestia prende luce da due finestre di legno «con cancellate pure
di legno».
In un angolo, poco discosta dall’imboccatura della cisterna, una porticina si apre su una scala che porta in
uno stanzino, da cui si può passare
«sopra gli astrici, dove il campanile
comporta tre campane di bronzo: una
circa di due quintali e mezzo, l’altra
di circa un quintale e la terza di mezzo
quintale».
Nella sacrestia vecchia, piuttosto
buia e umida, due grandi stipi. In uno
si conservano: il parato di cera, un
gran baldacchino di legno inargentato, due ombrelli di seta, un vecchio
pallio e uno stendardo «colle rispettive aste». Nello stesso stipo si conserva anche la statua di carta del Cristo
Risorto.
Nell’altro stipo, la statua della
Madonna del Rosario. che ha «la testa e le mani di scultura, il resto tutto di legno». La Madonna è vestita
con abito e manto stellato d’oro, ha
il Bambino in una mano e nell’altra
una corona. Sulla testa una corona
d’argento ed anche il Bambino ha una
corona d’argento. Al collo della Madonna pendono: un laccettino misto
di piccoli coralli di oro, una piccola
medaglia con sei perle, un paio di
fioccagli, un altro paio di fioccaglini
ed un filo d’ oro.
Giovanni Castagna
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
19
Ischia - Festa agli Scogli di S. Anna
Il Palio 2013
Ragguaglio istorico topografico
dell'isola d'Ischia
Si pubblica, su concessione del Ministero per
i Beni e le Attività Culturali, il testo del manoscritto adespoto identificato come "Ragguaglio
istorico topografico dell'isola d'Ischia", conservato presso la Biblioteca Nazionale Vittorio
Emanuele di Napoli, Fondo S. Martino, ms 439,
ritenuto, secondo quanto scrive Agostino Lauro
(1970), «degno di attenzione da parte di chi si è
interessato alla storia d'Ischia negli ultimi trenta
anni».
Ma «le conclusioni alle quali sono pervenuti i
diversi studiosi, dopo esame più o meno diligente di esso, non sono concordi sul valore, sul tempo della compilazione, sull'autenticità dell'opera» (A. Lauro1).
Rimandando ad altra occasione il riferimento
specifico a coloro che hanno voluto ricercarne
e valutarne gli aspetti controversi sopra indicati,
diciamo che il manoscritto è diviso in tre parti
con i seguenti titoli:
Alla tradizionale Festa a mare agli Scogli di S. Anna,
ad Ischia Ponte, con la sfilata delle barche addobbate,
la giuria ha così assegnato i premi:
Barca prima classificata: “Ischia tra fede e tradizione”:
Comune di Ischia, realizzata dagli amici di Sant’Anna.
Seconda classificata: “Spusalizio ‘e marenaro”: Comune di Ischia, realizzata dai ragazzi della Mandra. Terza classificata: “La storia di Santa Restituta”: Comune
di Lacco Ameno, realizzata da Lacco Ameno. Quarta
classificata: “Appuntamento ad Ischia”: Comune di
Barano, realizzata dagli “Amici di Buonopane”.
Premio Funiciello (miglior bozzetto artistico): “Spusalizio ‘e marenaro”: Comune di Ischia.
Premio Nerone (la barca più spettacolare) “Ischia tra
fede e tradizione”: Comune di Ischia.
Premio Domenico Di Meglio (giuria popolare) “Ischia
tra fede e tradizione”: Comune di Ischia.
Il Palio è stato peparato dal pittore e ceramista ischitano Rosario Scotto di Minico.
20 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
1) Ragguaglio istorico topografico dell'isola
d'Ischia (fogli1-101).
2) Ragguaglio istorico topografico del castello
d'Ischia (fogli 102-129).
3) Ragguaglio istorico ecclesiastico d'Ischia
(fogli 130-174).
Trascrizione del testo di
Giovanni Castagna
Parte II
La prima parte è stata pubblicata
nel n. 3 Giugno/Luglio 2013.
1) Lauro Agostino, A proposito di un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli, in Archivio storico per le Province napoletante, terza serie, anni VII-VIII - LXXXV-LXXXVI dell'intera
collezione, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1970.
Al Centro di Ricerche Storiche d’Ambra si è svolta venerdì 12 luglio 2013 una serata dedicata al compianto
artista Lello Ravone, il cui leitmotif è stato il verso di
Charles Baudelaire: Uomo libero, tu amerai sempre il
mare! Un’esposizione di foto ispirate al mare, realizzate magistralmente dallo stesso Ravone, è stata aperta
sino al 4 agosto 2013.
Ragguaglio istorico topografico
della Isola d’Ischia
II
Ora sembra di starsi in circostanza a doversi dare distinta
notizia delle accenzioni, e dell’eruzioni vulcaniche accadute nell’isola d’Ischia, e colle analoghe riflessioni, le quali
concorrono a dilucidare li di loro avvenimenti in ordine a
lumi istorici per la detta Isola.
Tra gli scrittori, che ne fanno menzione compita, ci è il
dotto filosofo, e Geografo Strabone, il quale citando l’antico istorico scrittore Timeo di Taormina, fa nel l. 5. p. 248
dell’ediz.ne napol.na noto alla posterità che il monte Epomeo, ed altri monti tramandarono, e vomitarono fuoco, e
tali volte le accenzioni furono sì violente, sì eccessive, e
sì formidabili, che tra il fuoco, e l’acqua del mare arrivò a
succedere un’empetuoso, e troppo straordinario combattimento, mentre il fuoco entrò per tre stadii, o siano per 375
passi dentro il mare; e questi per sua natura resistendolo, e
ritenendolo, alla purfine giunse a vincerlo, e ad estinguerlo;
e lo vinse in modo, che da poi entrò nell’isola, l’allagò, e
la covrì di acqua.
Il rumore, lo strepito, il fragore, e il moto furono sì grandi,
e sì spaventevoli, che gli abitanti del continente rimpetto
lasciarono, ed abbandonarono la costa littorale e fuggirono
nell’interno della campagna.
Timeus (1) etiam de Pithecusis tradit, veteres mira fidem
excedentia perhibuisse, paulo ante suam aetatem media
insula collem, cui nomen Epomeo, terraemotu concussum
ignem evomuisse, et quod inter ipsum, et mare medio erat
rursum perpulisse, et terram in cinerem versam rursus
vehementi turbine (quales Graeci vocant tiphonem) Insulam appulisse, tribusque inde in altum mare recessisse stadiis, pauloque postea rursum ad terram dedisse impetum,
marisque fluxu inundasse insulam, ignemque in eo hoc
pacto extintum; fragore autem percultos eos, qui continentem habitabant, ex ora maris in campaniam profuggisse.
Tales enim insula habet eruptiones, propter quas etiam
missi eo a tiranno siracusano Hjerone, una cum muro a se
extructo insulam dereliquerunt.
Giulio Jasolino nell’unire li testi di Strabone, e nel commentarli così nel l.1. c. 1 traduce, e riferisce in questa forma su detti avvenimenti.
Innanzi al monte Miseno è posta l’isola di Procida, altre
volte spiccata dall’isola d’Ischia. I popoli Eritriesi, e Cal1) Tymaeus deve leggersi, e scriversi, che fu, e scrisse 300 anni
prima dell’Era Cristiana, a tempo di Agatocle Tiranno di Siracusa,
e lo stesso, che da Siracusani, e dagli archivi di Siracusa rilevò
le notizie relative alli successi in tempo della colonia spedita da
Ierone, ed in tempo delli Cumei Eritriesi, e de’ Calcidesi, e forsi da
figli e nipoti di quelli, che furono nell’isola, d’onde furono costretti
a partire.
cidesi hanno abitato insieme, ed indifferentemente l’isola
d’Ischia; quali essendo già ricchissimi e per le biade, e per
li frutti della terra, e per le miniere dell’oro, nata tra loro
contenzione abbandonarono l’isola: Finalmente scacciati
da tremuoti, e da fuochi che esalavano, e dal crescere del
mare, e dal bollore delle acque se ne partirono; conciosiaché ha questa isola molte di sì fatte eruzioni, per le quali
alcuni mandativi da Ierone tiranno Siracusano furono costretti abbandonare un muro, che vi aveano fatto, ed insiemamente tutta l’isola.
Onde poi nacquero le favole, colle quali si dice che Tifeo
stia sepolto in quell’isola, e che quando si rivolta su li fianchi, svaporano fuori fiamme, ed acque bollenti; Imperochè
molte volte accade, che le isole piccole abbiano sì fatte
acque bollenti. Veramente sono cose più verisimili quelle,
che scrisse Pindaro mosso da quel che si vede, che tutto
quel tratto, cominciando dalla Città di Cuma sin’in Sicilia,
è infocato, ed ha certe caverne profonde, che corrispondono l’una coll’altra, e si estendono fin’in Grecia, ed in altre
terre ferme; per questa caggione Mongibello, l’isole di Lipari, il territorio di Pozzuoli, il Napolitano, il Bajano, e le
Pitecuse sono di tale natura, quale hanno lasciato tutti i
scrittori scritto: In che intendono molto bene Pindaro, sotto tutti questi luoghi cantò, che stava sepolto Tifeo. Timeo
ancora dice, che quelli antichi scrittori inventarono molte
favole delle Pitecuse; e che molto più avanti, quel monte Epomeo, che sta nel mezzo, per alcuni tremuoti vomitò
incendi, e che questa terra, che sta frapposta, gettò molti
fuochi nel mare, e che tutta quella parte di terra, ch’era
già ritornata incontro, esalando in alto a guisa di tifone,
cioè in modo da poi se ne tornò indietro; e tornando anche
indietro il mare al suo luogo, coperse l’isola, e smorzò il
fuoco di quella.
Per lo rumore del quale smorzamento, quelli, che abitavano la terra ferma, lasciando la marina, se ne fuggirono
nella parte superiore della Campagna. Le acque calde di
questi luoghi si crede, che abbiano la virtù di sanare coloro, che patono di male di Pietra.
Dell’isola di Capri anticamente furono due Terricciuole,
ma ora è solamente una, la quale fu occupata da Napolitani. Costoro avendo perduto in guerra l’isola d’Ischia, la ricuperarono di nuovo, concedendola loro Cesare Augusto.
Fin qui Iasolino, che traduce.
Lo stesso Strabone nel medesimo libro rapporta, appoggiato agli antichi scrittori, che li Calcidesi e gli Eritriesi
furono tirati ad abitare in Ischia per la fertilità de’ campi,
e per le miniere dell’oro; propter feracitatem agri, et auri
fossilia: Post etiam terraemotibus exturbati, ignisque, marisque, atque calidarum aquarum eruptione se ne passarono
nel vicino continente.
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Plinio (Ist.nat.l.II) benvero facendo parola delle straordinarie accenzioni, e delle sotterranee ignee esalazioni
successe nell’isola, si spiega in questo modo: In eadem et
oppidum haustum profundo, alioque motu terrae stagnum
emersisse, et alio provolutis montibus insulam extitisse
Prochitam.
Che per effetto delle accenzioni ignee sotterranee, e dei
tremuoti nella medesima isola una Città murata venne attinta, assorbita, e profondata: Con altro tremuoto surse, ed
uscì fuori un lago; E con altro terzo tremuoto sommossi, rivoltati, e rotolati i monti venne formata, ed ebbe l’esistenza
l’isola di Procida.
Lo stesso scrittore in altro luogo riferisce, che tale isola fu
detta, e chiamata Procida, perché staccata, avulsa, e gettata
da Ischia. Quia ab Aenaria profusa erat, Prochita fuit dicta. Prochita Απο το προκυμαι Profusa: Avulsa.
Cornelio Severo, che visse nel tempo di Augusto nel far
menzione de vomignei d’Ischia si esprime coll’avverbio
dinotante un ben lungo trasandato tempo, e di modo, che
la parte di sopra si era raffreddata da molti anni. Flagrans
Aenaria quondam.
L’espressate formidabili eruzioni, vulcani, e sovversioni, le spaventevoli accenzioni, vomiti, e gettiti di fuoco, le
terribili esalazioni, ardori, e fiamme, e gli fragori, rumori,
ed esplosioni sono stati così antichi, che niuno scrittore ne
divisa epoca, secolo, e tempo.
Strabone appena accenna, che taluni straordinari avvennero poco prima dell’età di Timeo: Oscuro per oscuro; Forsi voleva intendere quelli accaduti al tempo de Siracusani,
di cui si farà disitinta parola.
Il Fazzello nell’istoria di Sicilia, e sopra di ogni altro Giulio Ossequente asseriscono di esserne accaduti nell’anno di
Roma 663 sotto il consolato di Giulio Cesare, e di Lucio
Marsio: ma sono parole per parole, e non documenti per
pruove.
Se così fusse stato, e successo, chi più di Strabone, il quale fu vicino al cennato consolare, non ne avrebbe tenuto
le notizie, e non ne avrebbe fatta menzione? Scrittore, che
s’interessò a fare delli descritti successi una particolare
memoria; e per le quali fa capitale del solo Timeo, che cita,
intendendo in tale modo dare autorità alli fatti, che riferisce; e quel solo antico scrittore, che ricercò tra gli antichi
archivi della Sicilia.
Ci è stato alcuno scrittore ancora verso la fine del 18 secolo, che si è fatto ardito di fissare il tempo di taluni vulcani, ed eruzioni avvenute nell’isola, e come fu il Medico
Andria, il quale confidentemente li fissò circa li primi secoli nella nostra era; ma altri scrittori abbenchè semplici osservatori de fenomeni della natura, pure hanno dimostrato
disprezzo, e nausea di tale sentimento.
Infatti se dello sbuccio del Vesuvio accaduto nell’anno 80
dell’era volgare se ne scrisse con tanta distinzione, essendo
quel tempo illuminato, e dedito a descrivere le novità del
mondo, l’avrebbero benanco significato de flagranti successi d’Ischia.
Soltanto dell’ultima eruzione, e sovversione vulcanica
avvenuta in una grande, ed estesa pianura rimpetto al Castello, e che toccò anco le di lei prossime alture, luogo al
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presente, e nel passato denominato Arso, e Cremate, si può
fissare il tempo, il secolo, e l’anno.
Onde di tale avvenimento si può fissare, e se ne fissa l’anno, il quale fu il 1301, allorchè il fuoco sotterraneo, e sovversivo bruciò per due mesi di continuo.
Di questo assunto si è fatta, come si farà ancora, distinta parola nel descriversi il distretto della Città d’Ischia, e
delle accennate Cremate, che si può riscontrare, siccome
più appresso circa il dipresso delle vulcaniche eruzioni, ed
esalazioni, e del di loro tempo se ne scriverà con posatezza,
riflessione, e maturità; nell’intelligenza, che di molti avvenimenti è così rimoto il tempo, ed al dentro dell’antichità
antichissima, che diversi colli, promontori, e monti, che si
esalarono dalle sotterranee effervescenze, e che un tempo
pure vomitarono fuoco, si sono all’intutto cangiati della
primiera di loro natura, e sostanza, e si sono modificati in
altra.
Dal mentovato tempo della vulcanica sovversione delle
Cremate sin’al presente non si è sofferta nell’isola altra simile calamità; e sembra forsi che l’isola, ed in particolare
quella parte della stessa rimpetto al Castello, ed al nord
nelli di lei sotterranei, e profondità si ebbe a discaricare
totalmente di quelli materiali sulfurei bituminosi, e piriti,
atti ad accendersi, e potersi accendere; o forsi si ebbero
maggiormente ad aprire, e comunicare li sotterranei meati,
e corrispondenti concavi col Vesuvio, e con Etna, per dove
si tramandano li di lei materiali accensibili, stante le tante
acque perenni bollenti, e fumarole esistono, e si osservano
su la superficie dell’isola, danno a dividere, e dinotare, che
fuoco, solfo, e materiale pirito, ed accensivo effettivamente
prosieguono ad essere, ed a stare sotto il profondo sotterraneo territorio, e suolo di essa isola.
Le sopra divisate scosse di terra, le vulcaniche eruzioni,
le sovversioni, le accenzioni, e l’esplosioni di fuochi furono divulgate con esorbitanze tanto enfatiche, ed eccessive, con effetti sì perniciosi, e dannevoli, con devastazioni
tanto alterate, e terribili, e con comparse si spaventevoli, e
disanimanti, che gli stessi antichi scrittori, li quali le riferiscono, e tramandano a posteri entrano, ed entrarono nel dubio di esserci potuto avvenire nel riferirsi li successi delle
soverchierie, e delle notabili alterazioni: Però se Timeo, e
Strabone avessero ocularmente osservato, e fatto delle analisi su l’espressati fulminanti accaduti, avrebbero deposto
ogni dubiezza, e l’avrebbono creduti ben veri, e realmente
successi.
Si giri intorno all’isola, e si principii dal Castello, il quale
è una gran rupe, o sia un’alto, e largo scoglio di durissima
e densa pietra elevatosi, ed inalzatosi in mezzo al mare per
effetto di una straordinaria violenta eruzione, ed esplosione
ignea vulcanica, seguita verso la parte di terra dalle stesse
vulcaniche ignee eruzioni, ed indi dalla catena degli alti,
e larghi monti, e promontori della villa di Campagnano,
che della consimile pietra tira sin’alli confini della marina
al di là del Testaccio, li quali monti, e promontori anco si
osservano di essere sorti, inalzati, ed elevati dal fondo del
mare, ed a forma di piramidi, e di pari in grand’estenzione,
e larghezza, ed in grande altezza si veggono da esso fondo
poi erti, e proporzionatamente acuminati.
Indi nel fondo dell’indicato mare verso il nord, il nordest,
l’est, e il sudest dal lido sin a tre miglia fuora si osservano,
e si guardano ad occhi nudi sotto acqua lunghe, e larghe tirate, e catene di scogli, e certi si ergono a forma di colonne
sotto acqua, ed altri a foggia di lunghe mura, che vicino alli
lidi molti s’inalzano assai al disopra del mare, ed altri sono
immersi quali monti sotto la sabbia, e quella invero, che
più sorprende, è quella lunga quasi di tre miglia, ed assai
larga tirata di scogli sotto acqua denominata il secco dalla
parte dell’est, distante dal lido circa tre miglia, che girando
si congiunge con altra lunga tirata verso il nordest, ed il
nord, chiamata vulgarmente il Ciglio.
Appunto tali lunghe, e larghe tirate di scogli sotto acqua, ed altri scogli sopra acqua, che la accennata catena di
monti, ed altre rupi, e facciate di pietre vulcaniche fanno
evidentemente conoscere, e rilevare, che un tempo le accensioni ignee vulcaniche, e la viva flagrante fiamma tramandate dalle parti sotterranee dell’isola, e sue adiacenze
tanto verso il nord, quanto verso l’est non solo entrarono
nel forte del mare per tre stadii al dire di Strabone, ma per
miglia, e fin’a tre; onde la fiamma elevata, il mare inalzato,
il rumore, lo strepito, e li tremuoti doverono apportare agli
abitanti del continente rimpetto dell’alterazione, e dello
spavento; siccome fanno conoscere, e rilevare, che l’acqua
del mare in fine vinse la forza, e la violenza della fiamma,
e del fuoco, l’estinse, e così inondò, ed allagò l’isola, il suo
littorale, e le sue adiacenze.
Lo stesso si osserva, e si mira nello girarsi l’isola, e soprattutto ne’ confini del comune di Forio cogli alti scogli
della nave, e dell’imperatore, come di altre tirate vulcaniche di esso comune, specialmente in quello lungo, largo,
ed esteso tratto di eruzioni, e sovversioni formidabili, e
sorprendenti da tale comune a quella la più spaventevole
d’ogni altra, e la più eccessiva del comune del Lacco, le
quali corrono sotto le denominazioni di Zara, Caccavelle,
della Cornacchia, di Santo Montano, e del Monte di Vico.
Cotal Monte di Vico è quello che sorpassa ogni altra vulcanica eruzione, ed esplosione, e forsi non mica inferiore
alli monti della villa di Campagnano. Lo stesso si eleva dal
fondo del mare tendente al nord, ed a perpendicolo s’inalza
ad una notabile altezza diunita ad una gran larghezza, e con
orrore si mira stendersi sin sotto l’Epomeo. Il medesimo
pare giusta l’osservazioni di essersi in gran parte staccato,
e di essersi nel gran fondo di quel mare, e tra la sabbia immerso, e profondato: potuto derivare da tremuoti, e dagli
grandi urti del mare formiano e toscano; e con faciltà per
essere una elevazione di scoglio non acuminato, ed a pero,
ma a perpendicolo, e piana al disotto, onde soggetto a gravitare, ed a staccarsi. Lo stesso si osserva, e si guarda per
il successivo lido, e per il tratto del Castiglione, che va ad
unirsi colla tirata de monti vulcanici di Casamicciola, e de
monti di sotto il Cretaio, i quali si attaccano all’altra tirata
de monti vulcanici che sovrastano alla villa de bagni, che
dalla parte di sopra si uniscono col vulcano del fondo di
bosso, e coll’altro laterale alla cava delle nocelle; e dalla
parte di sotto coll’eruzioni di Sant’Alesandro, dell’intorno
del Lago, e del promontorio di San Pietro; e che finalmente
tendono a quasi unirsi colle Cremate, colla rupe del Ca-
stello, e sue vicinanze, e colli ridetti monti della villa di
Campagnano
Al pari de’ monti, e promontori laterali al mare dell’intorno della intiera isola se ne osservano degli altri di lunga più
orribili, e spaventevoli nell’interno dell’isola; e da per ogni
dove, e nel mezzo di essa, in dove si osservano de gruppi
di monti ed alti, ed altissimi, i quali nell’altezza di lunga
superano quelli dell’intorno e delle littorali.
Taluni de medesimi acuminati si osservano per il grand’elasso forsi del tempo carozzati, e ridotti a materia friabile:
Altri anco acuminati, ma che ancora conservano la primiera, e l’antica natura di pietra dura, e forte, abbensì siano
coverti di materia terrosa, e pozzolanica.
Altri pure acuminati, ma si mantengono pumicei, sebene
con dispendio facili ad essere ridotti a coltura. Altri elevati,
ma con gran pianura di pietra dura, e forte di sopra, ed essa
a stento rompendosi, e spezzandosi con forza di ferri per
lo più sin ad otto, e dieci piedi, al disotto si trovano di già
modificati a materia lapillosa, sabbiosa, e terrosa; ed altri,
che modificati a pietra tufacea, e maschiosa, e di molti alti,
ed acuminati, si osservano nella maggior parte sterili, ed in
alcuna porzione aumentati, e coltivati, e per lo più a piante
boscose.
Inoltre all’intorno dell’isola si osserva, che all’infuori di
certi seni divenuti spiagge sabbiose ogni sua costa, e laterale era vulcanizzata, ed una gran porzione coverta di pietra
durissima, densa, e forte, la quale o per causa di tremuoti,
o di violenti scosse del mare si è staccata, ed è caduta nel
fondo del mare, ed in certi luoghi è stato lo staccamento
così grande, che non ostanti gran parte di essersi assorbita
dal fondo del mare, e dalla sabbiosa rena, pure si è formata
tale tirata, che si suole chiamare scogliera.
Altra causa del suddetto distacco, e caduta è stata realmente, che la parte a di dentro essendosi per l’antichità, e
per la continua acqua piovana assorbita, modificata in materia terrosa, la pietra vulcanica rimasta fuori si distacca
e cade, sì per non potersi sostenere per il proprio peso, sì
per non tenere appoggio, e sì per venire urtata dalla parte
di dentro, la quale per l’assorbimento delle acque piovane
suole ingrossare e dilatare, e così venendo premuti, gravati,
ed urtati li laterali, naturalmente debbono piegare, e crollare.
Sicchè dalle osservazioni, e dalli giudizi dedotti siccome
lusingasi, che le antichissime voci, e fatti divulgatisi relativi alli straordinari, eccessivi, ed orribili sotterranei fuochi, fiamme, ed accenzioni avvenute ne rimoti tempi non
avevano dell’esorbitante, e del favoloso, rapporto ancora
alle terribilissime esplosioni, così si può pervenire a conoscersi, e potersi conoscere dal seguente successo quanto
sia, e possa essere incalcolabile la forza, la violenza, e l’esplosione dell’effervescenze, e delle accenzioni de fuochi
sotterranei.
Li publici fogli dell’anno 1814 riferiscono con termini di certezza, che nel dì 22 di maggio di tale anno alle
due pomeridiane nel mare di Azzow in alcuna distanza dal
lido, all’improvviso dopo tante straordinarie scosse, dopo
formidabili fragori, e dopo sì gran gettito in aria di pietre
grosse, e piccole, a moltissima altezza fin’a venire rispettiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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vamente oscurata la luce del sole, si vide, e si osservò sorta,
e sortita dal fondo di quel mare una isola di pietra calcarea,
di diametro dall’Est al vest di settanta tese, ed alta dalla
superficie, e linea del mare un passo, e mezzo.
Li publici fogli di Giugno 1818 ne fanno riminiscenza
in occasione di alcun fenomeno comparso, ed osservato in
essa nuova isola prodottasi.
Ma affinchè nulla si preterisca rapporto a quanto o di
vero, o di esorbitanza siasi scritto d’Ischia, e di taluni
scrittori, che si hanno fatto lecito scrivere, e tramandare
alla memoria, e particolarmente Servio nell’interpretrare,
e commentare Virgilio pretende di dare ad intendere, che
attaccato al monte Miseno ci era un altro monte, il quale si
denominava Inarime. Onde ad esso appunto essendo stata
ne’ rimoti ed ignoti tempi per effetto d’inesplicabile tremuoto, e di orribile vulcano distaccata, e proiettata l’isola
d’Ischia, venne la stessa isola a ritenere la ridetta denominazione di Inarime; la medesima notizia così datasi a capire, e congetturata da Servio indusse il Baccio nel capo II
De Thermis ad asserire con ogni franchezza, e senz’alcun
appoggio Aenaria quam et Inarime a monte, quo a Miseno
fuerit avulsa dictam legimus.
Ma ciò lo creda pure
Chi sogni, e favole ascoltar desia.
Nulla pregiudicandosi però la gran dottrina istorica naturale, e la gran dottrina medica di esso erudito dottore, che
meritò di essere prescelto per medico da Sisto V.
Ulteriori ricerche, riflessioni,
e dilucidazioni rapporto
agli avvenimenti vulcanici
dell’isola d’ischia
Omero, Pindaro, Timeo, Virgilio, Ovidio, Severo, Strabone, Plinio, e Lucano facendo parola dell’isola d’Ischia,
e suoi vulcanici successi, si spiegano, e fanno intendere, di
essersi così detto, divulgato, e scritto, e colla frase di essere
un tempo avvenuti: ma niuno si è fidato fissare giamai epoca, e data di tempo.
Se il Fazzella, l’Ossequente, Andria e talun’altro si sono
avanzati a divisare alcun dato tempo di certi particolari
successi vulcanici, le di loro assertive, o le di loro congetture rimangano pure, e restino con essi.
Strabone, e su le tracce ancora di Timeo, tratta individuarne di taluni straordinari vulcanici accidenti ad un presso di
tempo, come a dire di averli menzionati colle frasi: e poco
prima di Timeo alcuni; a tempo della dimora de Calcidesi,
e delli Eritriesi nell’isola altri; Ed altri poi nell’atto, che
nella stessa domiciliavano li Siculi Siracusani: ma senza
mai fissarsi precisa data o di olimpiadi, o di consoli, o di
sovrani d’insigni regni.
Beroso è solo quell’autore, che individua un preciso
tempo di quelle vulcaniche ignee eruzioni avvenute nella
parte, che attualmente si divisa sotto la nomenclatura di
provincia di Napoli, e maggiormente nelli vicini e littorali,
24 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
ed a vista del mare, e che può col di lui istorico rapporto arrecare lumi per il tempo dell’eruzioni, e degli avvenimenti
vulcanici dell’isola d’Ischia.
Egli fu Caldeo, e sacerdote del tempio di Delo in Babilonia: visse circa trecento (300) anni prima dell’era cristiana,
e scrisse un’opera sotto il titolo delle antichità Babilonesi:
Opera utile, e vantaggiosa alla repubblica letteraria: Della
stessa Eusebio di Cesarea si prese l’impegno, e la cura di
raccoglierne, e rapportarne de gran pezzi, e frammenti, e
dappoi Annio di Viterbo si dedicò a procurarne un manoscritto in originale, e ci riuscì, che diede alla luce.
Nel libro 5 Beroso riferisce, che nel tempo regnava Alario
Rè degli Assiri; nell’Italia tre vulcani per lungo spazio di
tempo bruciarono, e vamparono, li quali tre vulcani vengono disegnati, e notati colle voci d’Istrios, Cymeos, e Vesuvios. Eo tempore Italia in tribus locis arsit multis diebus
circa Istrios, Cymeos, et Vesuvios.
Con tali voci o Beroso, ed Annio, o Eusebio paiono di
divisare li luoghi, e gli abitanti, o forsi così chiamati negli
antichi tempi, o adattati a quelli luoghi, ed abitanti de’ di
loro tempi.
Taluni scrittori intendono situare, come situano il regnare
di Alario Rè degli Assiri verso l’anno 450 dopo l’epoca
del Diluvio. Il diluvio giusta il Canonio di Petavio avvenne
nell’anno del mondo 1656: Onde gli accennati vulcani doverono comparire circa l’anno 2106 del mondo.
Gli Istrii corrispondono a quelli luoghi della dinotata provincia di Napoli, i quali al presente, e da tempo antico, si
nominarono, e si nominano Astroni: antico formidabilissimo vulcano raffreddato vicino al lago di Agnano; che si
stende all’Olibano, e Leucogeo, al monte Ermeo colla isola
di Nisida, e gli adiacenti scogli, ed al monte di Sant’Eramo;
e dalla parte di dentro a Pianura, a Soccavo, e forsi alli Tifani di Capua, ed a monti di Caserta.
Cotal vulcano Cornelio Severo in questo modo accenna:
Testisque Neapolis inter, et Cumas locus est multis iam frigidus annis.
Il Leucogeo, che Strabone con voce poetica chiamò il
foro di Vulcano, presentemente si nomina la Solfatara;
in parte attaccato al mare e raffreddato, ove si guarda una
spaventevole elevazione di durissima pietra per effetto di
violenta, e forte eruzione; ed in parte è in azzione ignea,
sulfurea, e calorica; Dove si osservano perenni fumarole,
soffii, ed esalazioni caldissime; ed ove fu solito raccogliersi del solfo, e dell’alume.
Li Cimei debbono essere, come gli stessi, che furono
detti Cimeri, e Cumani, mentre nella lingua greca, e latina
Cyma, e Cumae corrispondono alla voce Cuma, e s’intesero per quella città, e luogo, che si dice Cuma.
Sicchè il vulcano vampante mentovato da Beroso sotto la
voce Cymeos deve corrispondere, e corrisponde a quella
tirata, che si suole dire la regione abbruciata, cominciando
dal monte Tauro, si stende ne’ monti di Baia, di Averno,
di Miseno, e della distrutta città di Cuma, siccome verso
Vico, Linterno, e Montragone, o sia monte Massico: Luoghi questi tutti raffreddati, all’infuori del suolo di Scauda,
dove si osservano dei gurgiti di acque bollenti, ed ove anticamente esistevano bagni minerali; ed all’infuori di Baia,
in cui esistono e fumarole, e perenni gurgiti di acque termali e bagni; ed ove nella notte del 29 di settembre dell’anno
1537 si produsse un’eruzione vulcanica, che bruciò il suolo
dell’antica villa Bauli, e l’abitazione di Tripergola.
Cotale vulcano elevatosi in alto viene chiamato Monte
Nuovo.
Li Vesuvii di Beroso non corrispondono all’attuale igneo
vulcano, attivo, e vampante, ma bensì al gran monte laterale raffreddato, che si chiama Somma. Il presente Vesuvio comparve, e vampò, eruttando esorbitanze di fuochi
sotterranei, e pietre, e ceneri nell’anno ottanta, 80, dell’era
cristiana, regnando Tito Imperatore.
Li scrittori riferiscono concordemente, che il sito dello
stesso era piano, e non monte, o colle elevato: Taluno però
riferisce, che in esso suolo esisteva una bocca, ed una conca divisante di essersi per la stessa tramandato, ed eruttato
vulcanico fuoco, e che essendosi estinto, del medesimo se
ne perdé la memoria.
E così dové essere, ed avvenire, mentre se tale bocca per
qualche tempo avrebbe gettato fuoco, e materia vulcanica,
per legge meccanica, e per effetto naturale si sarebbe ammontata, ed inalzata, ed avrebbe la propia base di molto
estesa, siccome è avvenuto dall’anno ottanta in quà, nel
quale spazio il suddetto vulcano di tanto si è elevato, dilatato, ed esteso colli replicati gettiti, e vomiti di materiali, e
colle ripetute forze vive, e violente delle corse, e torrenti:
che quando si accostano vicini al mare, ivi si sogliono profondare, e quando da esso si discostano, sogliono appianare valloni, e voragini; e siccome tanti luoghi, ed abitazioni
in vicinanze dell’additato vulcano soffrirono emergenza sì
perniciosa, e devastazione distruttiva, come rimasero sommerse, e seppellite colle di loro adiacenze le illustri città
dell’Ercolano, e Pompeiano; e fu tale il formidabilissimo
scoppio del divisato vulcano, tanto nel suo primo tempo
verso l’anno 80 dell’era cristiana, quanto nel prosieguo de
gran scoppii, delle grandi esplosioni, e de grandissimi gettiti ne successivi tempi, che l’Europa, l’Asia, e l’Africa non
furono esenti dalli di lui terribili effetti, e dalle ceneri, ove
arrivarono a cadere.
Lo stesso antichissimo vulcano di Somma potè ben corrispondere all’elevazione de’ monti di Sarno, e della catena
degli alti monti, li quali da Nocera tirano fin’al Capo Prenusso, non essendoci di essi nell’antichità veruna notizia.
Lucio Floro il quale fa comprendere di avere scritto nel
tempo di Traiano, e non lungi dal tempo della prima esplosione dell’attuale Vesuvio, dà con tutta chiarezza ad intendere, che mentre egli scriveva, proseguiva a gettare fuoco,
e di essersi di già inalzato a monte, e come il Tauro, il Falerno, e il Massico, e di essere, e trovarsi aumentato di viti.
All’ora appunto poterono avvenire dell’eruzioni vulcaniche nell’isola, ed elevarsi de gran monti vulcanici dal fondo del mare; e tali fenomeni sì per l’interno della stessa,
quanto per il suo littorale; come la rupe del Castello, del
Castiglione, del monte di Vico, de monti Campagnano, e di
altri, la di cui pietra vulcanica del Leucogeo; del pari, che
l’apparenza delli vulcani prodotti nell’isoletta di Nisida, e
di altri scogli del mare del monte Ermeo, simile, ed eguale
all’apparenza degli vulcanici prodotti nel mare del comune
d’Ischia. Ed allora doverono succedere le produzioni, e l’esplosioni vulcaniche nel mare di Ponza, e Ventotene, delle
quali successivamente si farà distinta menzione.
Intanto quantunque per base de lumi di taluni antichi vulcani si pongono li rapporti storici di Beroso, e certi corrispondenti ragionati giudizi su l’assunto, per tutta volta
pare, che l’animo si conosca nelle difficoltà, mentre tanto di molti vulcani, e monti vulcanici dell’Isola d’Ischia,
quanti di molti vulcani, e monti vulcanici della terra, non
essendoci la menoma notizia, nell’antichità o presso gli antichi scrittori, si và a rilevare, che li di loro avvenimenti,
e successi doverono accadere in tempo tanto rimoto, ed
oscuro, che sono, e furono al di là di ogni umana cognizione.
Quindi si opina di non lasciarsi fare delle ricerche, e delle
ragionate diligenze, affinchè si possa pervenire a un dipresso di tempo, nel quale le accennate vulcaniche novità, e
produzioni avessero potuto succedere.
Idio, O. M., e saviissimo proveditore quando coll’universo creò, e fece l’orbe terraqueo, l’ebbe a creare, a fare, ed
a mettere alla luce in un bello, spacioso, ameno, agiato, e
vistoso aspetto, e di forma di dover’essere la consolazione,
e la delizia dell’uomo, e di dover’essere la di lui faccia, e
superficie per lo stesso prospera, aggevole, e felice.
A tale riguardo, e riflesso dotò esso orbe di tutto equilibrio, di un generale plausibile ordine, come di meccaniche
leggi, e di staggioni omogenee, costanti, ed analoghe alla
felicità dell’uomo.
Lo costruì, e lo costituì con natura continente particelle ignee, caloriche, elettriche, sulfuree, ferree, vitrioliche,
nitree, saline, alcaline, e pirite, e di altri semi, e generi uniformi, ed unisoni a tali costituenti, ma con vincolo, condizione, e legge sempre equilibrata, ed equilibrante, onde
esso orbe terraqueo, e con esso la natura delle cose create
fussero ben mantenute, sostenute, e conservate.
A qual’uopo dispose con ordine speciale, che la faccia, e
la superficie dell’orbe, e di essa natura fussero in tal modo
costituite, ed equilibrate, che ne seguisse, e ne avvenisse
perennemente, ed insensibilmente e delle parti esterne, e
delle parti interne tal evaporazione, sfoco, ed esalazione,
che l’enunciato orbe, e l’accennata natura creata delle cose
non fussero giamai per ricevere qualunque menoma alterazione di straordinario moto, e di azzione.
Ma l’infelice disgraziata umanità avendo conculcato, e
postergato il sistema delle leggi naturali scritte, e scolpite
nelle anime, e ne cuori, ed avendo varcati li termini prefissi
del divino fatto e del tutto, onde essendo incorsa nello giustissimo, ed esattissimo di lui sdegno divino, trasse a sè la
pena di dover’essere, e di essere l’orbe colla natura delle
cose sommerso, ed immerso sotto una generale, ed universale alluvione, allagamento, ed inondazione di acqua per
lunga durata; ed indi a dover soffrire, e soffrire la perdita
della bellezza del di lui vago, ed ameno aspetto, e del di lui
bello equilibrato ordine.
Imperochè la superficie dell’orbe essendo divenuta
fredda, e gelata, per la lunga durata delle acque su essa,
e par fin’a mesi sette, e più, che del lunghissimo prosieguo dell’umidità, siccome all’intutto cessò la perenne inLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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sensibile evaporazione, ed esalazione, così gli enunciati
componenti e generi ignei pirii accensibili per effetto di
legge meccanica, e naturale fuggendo dalle vicinanze superficiali, si doverono internare, e s’internarono nelle parti
inferiori, e nelle viscere di esso orbe, in dove si doverono
unire, e si congiunsero ad altri simili, ed eguali componenti, costituenti, e generi, per cui vennero a formare, come si
formarono delle alteratissime effervescenze, delle violentissime accensioni, e dell’incalcolabili incendi, ed esalazioni, ed esplosioni.
Essi per effetto di straordinaria potenza, ed attività, e per
effetto di vivissima forza, e per effetto di un quasi soprannaturale, e di un insuperabile fuoco non potendo essere
trattenuti da quella parte di terra li conteneva, li covriva,
e li restringeva, ebbero a prorompere, come proruppero
effettivamente, scoppiarono, ed esplosero in formidabilissimi sbocchi, in spaventevoli vulcani, ed in terribilissime
eruzioni, e sovversioni su la faccia, e su la superficie della
terra; che doverono avvenire, ed avvennero sì nel tempo, e
durata dell’accennato allagamento, ed inondazione, e sì nel
tempo vicino alla stessa, ed a un dipresso.
Verso, e circa tale rimotissimo tempo, e de’ quali non ci
è memoria dinotante una precisione presso tutti gli scrittori dell’antichità, doverono succedere, come successero in
mezzo al mare dell’elevazioni, e comparse di tante, e sì
diverse isole, le quali per il trascorso del gran tempo tutte
si osservano modificate, come successero dell’elevazioni,
dell’esplosioni, degli inalzamenti, e delle comparse di tanti, e sì alti monti, rupi, e scogli; taluni de quali si osservano
in tutto, o in parte ancora vulcanizzati, o solamente modificati nella parte esterna, ed altri benvero modificati.
Cotali monti si possono ben accennare, designare, e notare nella più notabile parte, e numero; ed essi sono, il monte
Tricuspide Epomeo elevato sin’all’altezza di passi 1500,
esteso ne’ comuni di Fontana, e Serano, di Monopane
all’est, al sud, ed al nord, e de’ comuni di Casamicciola,
del Lacco, e di Forio, e tale la di lui estensione occupa forsi
due terzi dell’isola: lo stesso gran monte, che in due punte, e nella vasta di lui estensione si osserva modificato in
tutto, e quasi tufaceo, in maschione, in cretaceo, in argilloso, in terroso, e pozzolanico, ed in dove ad occhi anco
nudi si mirano intersparse tante, e tante diverse particelle
sulfuree, vetrioliche, aluminose, e gessose. In altra parte, e
punta, che guarda Casamicciola, e il Lacco non si è affatto
modificato, non ostanti l’elasso del tempo, ma si è sempre
mantenuto nella pietra vulcanica, dura, e forte; Se non ché
giusta l’osservazioni una gran parte se ne dové staccare nel
trasandato tempo, e parte se ne staccò da poco, ed a memoria de’ vecchi; e viene chiamata Catecra.
Gli Appennini, e li gran Sassi d’Italia; le Alpi confinanti
alla stessa, ed alla Francia; li Pirenei, e gli alti monti di
Spagna, li Caprazi che dividono la Polonia dall’Ungaria; li
monti di Armenia, del Caucaso, e del Tauro, li Rifei della
Sarmazia, e della Sciria; li monti della Siberia, li Tibetani,
i gran monti, gli Atlanti d’Africa; il Tenerifa, e il grande
ammasso, e la gran tirata degli altissimi monti dell’una, e
dell’altra parte di America; E tutti gli enunciati monti abbenchè esplosi, ed elevati nella rimotissima antichità per
26 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
effetto di violentissimo fuoco sotterraneo, rimasero però
tutti raffreddati, e più non s’intesero. Ma però sempre
all’infuori de’ vulcani vivi delle due Sicilie, dell’Islanda,
e molti esistenti nell’America, e specialmente nell’ultima
punta meridionale detta la terra di fuoco.
Strabone con altri scrittori accenna, che il monte Epomeo
una volta, ed un tempo; ed altri monti dell’isola d’Ischia
eruttarono, e cacciarono fuori vulcanici fuochi.
Essendosi osservate le tre punte, e cime acuminate del
monte tricuspide epomeo, e tutti li corrispondenti laterali, non si è trovato verun segno di bocca, di conca, e di
fumarola, onde si avesse, e si potesse arguire, e rilevare
che il divisato Epomeo avesse eruttato, e tramandato fuori
del fuoco, e della materia vulcanica: Soltanto da sopra il
comune di Forio, ci è un luogo chiamato la Falanga, la
quale esiste nella scesa, e verso la scesa dell’Epomeo, che
porta alla base, e guarda il nordvest; ed essa all’intutto pare
di essere stata una lunga e profonda voragine, mentre ne di
lei laterali si veggono, ed osservano fumarole: Segni che
divisano, e mostrano di essersi tramandato, ed eruttato dal
mentovato luogo della Falanga un tempo del fuoco vulcanico, e della vampa.
Al laterale, ed al di sopra della villa de bagni, che fa confine a Casamicciola ad un lato, ed al Cretaio al di sopra ci
è un monte denominato il Montagnone, il quale su la di lui
cima tiene uno sfondato, che dinota di essere stato una voragine, ed una bocca per dove un tempo si ebbe a cacciare,
e tramandare fuoco: la di lui base, e verso il mare è tutta
pietra vulcanica, abbensì nella parte estrema, modificata,
e per effetto d’industria, e fatica in gran parte aumentata,
e coltivata: Tale bocca, e sfondo è vero, che in una notabile quantità è stato empito di terra, di acqua, e delle stesse
pietre cadute dall’intorno, e della stessa parte vicina della
bocca della voragine, e bocca per ove si cacciò, si eruttò, e
si tramandò fuoco, e materia ignea vulcanica, somministrata dalle accenzioni delle interne viscere di quel suolo.
Non lungi dall’accennato Montagnone, e verso la parte di
dentro si osserva un altro lungo, e largo sfondato, il quale
divisa di essere stato un’antica formidabile voragine tramandante fuoco vulcanico, chiamato volgarmente fondo
ferrato: il detto fondo è circondato dal rialto vulcanizato
del Cretaio, e dal rialto vulcanizato del bosco de Conti,
come dalla parte verso il sud dagli alti monti delle selve
del Cretaio, e verso il nordest dalli monti vulcanizati del
bagno, e dal descritto Montagnone: Quantunque per li continui scoli d’acqua terrosi cotale fondo essendosi empito di
terra, ed aumentato di piante di mela, pure sempre dimostra, e fa conoscere di essere spaventevolissima a cacciare fuori formidabili vomiti ignei vulcanici, e via più dagli
evidenti segni del suo intorno tutto vulcanizato, come al
di sopra, e ne laterali di viva pietra vulcanica, abbensì al
presente in grandissima parte il tutto, e quasi il tutto con
industria, e somma fatica aumentato, e piantato.
Quel luogo, che più di ogni altro divisava di essere stato
un tempo un vampante, ed un vulcano tramandante perenne fuoco, e materia vulcanica, è quello che si chiama attualmente il salito di Campagnano.
Questi comparisce un gran colle, elevato, ed aumentato
dalle sue istesse materie vulcaniche ignee eruttate, e vomitate; Nel mezzo di esso sin’a sessant’anni a dietro si osservava una ben grossa bocca guarnita di colore cinnabro,
e sulfureo, la quale tramandava ed esalava continuo fumo,
e vapore. Il padrone stimò farla divenire stufa per mezzo
di tubi, e condotti in essa situati, e non essendo riuscita, la
covrì scioccamente con suolo battuto.
Quanto ci era all’intorno del detto gran colle e nella vicina base tutto era pietra vulcanica, e tutta nera, ed alcuna
rossacea, generalmente pomicea, e rara, ed altra dura, e
densa; siccome sul piano, e poco distante dalla bocca una
parte della pietra è totalmente rossa, e su la superficie quasi
saponacea.
Dove poi portava il corso del torrente della materia vulcanica, si è osservato, che le striscie, e le creste, di una
sopra l’altra, erano e di lapilli, e di pomici, e di sabbia, e di
materia terrosa modificata.
Tutto dimostrante di essere stato nell’antichità l’enunciato colle un vulcano eruttante fuoco, e materia vulcanica.
Il medesimo al disopra, all’intorno, ed in tutta la base
è aumentato ad uve, a fichi, a frutti, ed a boschi; ma non
ostanti l’innumerabile pietra vulcanica levata e di fresco,
e nel tempo da molto passato, pure o quando si fanno delle fossate, o si sdradica il selvatico, e si aumenta, si trova
sempre della pietra vulcanica, e del monte di pietra.
Sicchè non ci è verun dubio, che il divisato colle un tempo sia stato, e per lunga durata, un perfetto, e vivo vulcano
vomitando, eruttando, e cacciando fuoco, e materia ignea.
Oltre gli additati luoghi, ed all’infuori di quelli, che attualmente cacciano perenni fumi, vapori, e gurgiti di acque
bollenti, non se ne osservano altri, che come vulcani vivi,
e con bocche, e con voragini avessero eruttato, ed esalato
fuoco.
Il secondo vulcano il quale entra, e si asconde tra le tenebre della rimot’antichità, e che il Timeo, e Strabone accennano di essere stato sì orribile, spaventevole, e terribile
in riguardo all’inesplicabile rumore, strepito, e moto, ed in
rapporto all’eccessiva vampa, fiamma, e fuoco vivo, attivo, ed ardente, il quale s’intromise tanto in dentro al mare,
che gli abitanti del continente rimpetto in tal modo furono
sorpresi dal timore, e sbalorditi dall’orrore, abbandonando
il littorale, e le vicinanze del mare, si ritirarono nell’interno, e ne luoghi superiori della Campagna, (Il Timeo rilevò
la notizia da Siracusani, i quali l’acquistarono da Cumani,
e da Pitecusani), è appunto la comparente esistenza della
catena de’ monti della villa di Campagnano di pietra dura,
compatta, e quasi selicia, e la tirata di carta romana sin’al
luogo dov’è l’attuale abitazione, la di cui viva, e forte pietra se n’è caduta, ed è piombata nel mare, mentre la parte
interiore si rese tutta modificata. La gran rupe e l’alto scoglio del Castello di eguale pietra, elevatosi per effetto di
vulcanica esplosione nel fondo del mare, diunita alla lunga,
e larga catena di scogli sistente sotto al mare verso l’est, il
nordest, e il nord; ed alli scogli inalzati da sopra al mare:
Come l’attuale esistenza del promontorio di San Pietro, e
gran monti di Vico del Lacco; e tutte l’anzidette vulcaniche
rupi, e scogli elevatisi da dentro, e dal fondo del mare sono
di una medesima pietra quasi silicea, addensata, e pesante,
dinotanti di essere stati tutti prodotti vulcanici, esplosi nel
medesimo tempo; Del pari e della stessa eguale pietra, e
nello stesso tempo ancora, che la comparenza presente, ed
esistente delli vulcani, alture, e monti del fondo di Bosso,
della Cava delle Nocelle, della Testa, de Conti, del Cretaio, della Sparaina, e di certi luoghi di Barano, e di Monopane; ed essi ultimi nominati vulcani nella parte interna
dell’isola; E tutti sì littorali, che interni successi, avvenuti,
ed esplosi in un tempo ignoto, ed in quel tempo rimoto, che
apportarono alterazione, orrore, e spavento al continente
rimpetto.
Un terzo e terribilissimo vulcano e di fuoco, e di materia
ignea, e di acque bollenti, e di elevazione di mare, si fece
sentire, e fece esperimentarsi, all’orchè domiciliavano, e
negoziavano nell’isola gli Eritriesi, o siano Cumani, li quali non ostanti in aperta guerra ne avevano scacciati li Calcidesi, per godersi soli li prodotti feraci, e fruttiferi dell’isola,
pure poco dopo furono anch’essi contro voglia costretti abbandonare l’isola per gli enunciati motivi de vivi fuochi, e
tremuoti, e si ritirarono nel continente rimpetto, in dove si
erano li Calcidesi annidati, e ricoverati.
Questo terzo vulcanico accidente dovè accadere, come
accadde, prima della presa, e della distruzione di Troia,
mentre gli Eritriesi, Cumei, e Calcidesi molto prima della
sudetta avevano fatta la di loro spedizione, e si erano da
Eubea partiti, e di già nell’isola erano arrivati, e sbarcati,
ed in essa erano dimorati.
Il Canonio Petaviano porta registrata la presa di Troia
nell’anno del periodo Giuliano 3505, del mondo 2695, ed
innanzi all’era cristiana, 1209. Però dalli marmi di Arondel
si rileva, che l’anzidetta presa avvenne prima dell’accennata era, vale mille, e trecento prima della stessa.
Sicchè il divisato terzo terribilissimo vulcano, o sia il prodotto di tanti monti esplosisi dalle sotterranee mosse ignee,
successe circa dodici secoli in tredeci prima della ridetta
era.
Cotali monti eruttatisi, prodottisi, ed esplosisi dalla incalcolabile forza de’ sotterranei fuochi sono appunto quelli,
che principiano dalla vicinanza dell’abitato di Casamicciola, e per la via interna, e per sotto al cretaio tirano, e si
vanno ad unire colli monti, i quali sovrastano alla villa de
bagni, e ne ingombrano l’intiero limite.
Luoghi dove abitare dovevano li divisati coloni a riguardo della qualità del terreno, della creta, e dell’argilla, stante
essi come Greci erano benintesi per il lavoro delle stesse, e
per impiegarlo nel servizio umano.
Li medesimi monti si osservano tutti di una istessa natura
di pietra, modificata per la lunghezza del tempo, mutata di
colore, carozzata, e quasi resa atta potersi coltivare colla
fatica, colla industria, e colla spesa; onde quasi tutti, ed in
gran parte si sono ridotti a vigne, ed a coltivi boscosi.
Quelli monti conservano ancora li stessi antichi nomi, e
voci, quali sono, Negroponte, o sia Eubea, Eritressi, o siano Eritresi; e Cumani; cioè luoghi, che un tempo furono
abitati dagli oriundi dell’isola di Eubea, e Negroponte, dagli Eritriesi, e dalli Cumani, e che doverono abbandonare
per li tremuoti, per li gran fuochi, e vulcani, e per li bollori
delle acque, e per l’elevazione del mare.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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Quelli monti benvero vennero nel medesimo tempo formati da vulcani, i quali esplosero, ed esalarono, corrono
sotto le denominazioni di Pietra marina, dello Schiappone,
e di Chiummano volgarmente, e corrottamente, cioè cumano, li quali se in gran parte osservano modificati, e ridotti a
cultura, ed a boschi, pur tutta volta si osservano su d’essi,
sotto d’essi, e ne’ di loro laterali estesi delle pietre vulcaniche, pomicee, e bruciate, e vulcanizzate da sotterranei
fuochi, eruttatisi, ed esplosi.
Gli anzidetti luoghi ne’ trasandati tempi si denominavano
Chiummani, ed al presente in parte così si chiamano ancora; gli stessi, che venivano divisati colla nomenclatura
di Cumani dinotanti quelli luoghi, che un tempo, e prima
di ammontarsi furono abitati da quelli Coloni Cumani, o
siano Cumei, li quali vennero da Cuma di Eubea sotto il
governo, e sotto la condotta d’Ippocle Cumeo.
Il quarto vulcanico avvenimento accadde nel tempo di
Ierone Rè di Siracusa, all’orchè quasi tutta la colonia siculosiracusana fu costretta abbandonare l’isola, ed i suoi
lavori, e tornarsene in Sicilia; attesi li formidabili, e gran
fuochi sotterranei eruttarono, ed esplosero fuori, l’eccessivo bollimento delle acque, e li terribili tremuoti.
Cotale igneo successo, come si è fatta parola, avvenne in
circa a cinque secoli prima dell’era cristiana. Ierone di già
regnava in Siracusa nella Olimpiade del 78, la quale corrisponde all’anno 478 prima di essa Era.
Li luoghi che poterono bruciare, e bruciarono, ed esplosero, furono l’orride Cremate, che dal confine del Lacco
portano al di dentro del territorio di Forio, le quali si denominano Cornacchia, Caruso, Caccavelle, e Zara. Li monti
bruciati, ed elevatisi ne confini della Città, che s’immettono nel territorio di Barano, e vengono additati co’ nomi
di Spalatriello, di Tripeto, di Fiaiano, e delle sue lunghe e
larghe adiacenze.
All’ora pure vampò, e gettò vivo sotterraneo fuoco con
corse, e con torrenti il vulcano del salito della villa di Campagnano, ed avvennero le spaventevoli eruzioni, ed esplosioni sotterranee, che portano dal mentovato vulcano a sin
dentro al mare, e per lo spazio di più di mille passi verso
la Città. Onde essendosi fossato, e scavato tanto dentro al
mare, quanto dentro al territorio per la pubblica via, si sono
di sotto trovati, ed osservati, come si trovano sempre monti
di una pietra bruciata, e pumicea, ma densa, compatta, e
forte.
Essendosi fatta osservazione su la natura, e qualità della
pietra di tutti gli additati vulcani, ed eruzioni, si è osservata
essere di uno stesso modo, e per lo più in certi luoghi di
pietra pomice, murara, e porosa; in altri densa, e dura; E
per lo più tutti quasi corazzati; siccome della medesima
qualità e la di loro sciolta polvere, renosa, e sabbiosa. A
forza d’industria, di fatica, e di gran spesa, grandissima
porzione di tutti gli enunciati vulcani si vede ridotta a coltivo, e ad aumento di ogni frutto, come l’altro resto si può
ridurre.
Appunto li predetti vulcani, e l’accese eruzioni sono quelle, che Strabone accenna essere avvenute poco prima di Timeo; il quale come naturale di Taormina ebbe opportunità
di trattare in Siracusa, e raccogliere da quelli archivi, e da
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quei cittadini le notizie istoriche de’ fatti, dell’esplosioni,
delle sotterranee accensioni, e de fenomeni d’Ischia avvenuti in tempo di Ierone Rè di Siracusa, i quali erano freschi a tempo del Tiranno Agatocle, che viveva forsi più di
300 anni prima dell’enunciata era, e quando viveva Timeo.
Nell’intelligenza, che li Siracusani doverono notare, come
notarono li terribili vulcanici avvenimenti accaduti durante la di loro dimora in Ischia; siccome dovevano sapere, e
notarono le perniciose novità vulcaniche, le quali successero in tempo, che gli Eritriesi, e li Calcidesi domiciliavano in essa Isola; e con quali doverono tenere del continuo
commercio per la vicinanza di Cuma: Siccome doverono
sapere gli stessi, e notare quelle altre vulcaniche eruzioni,
ed esplosioni antichissime, onde il fuoco entrò degli stadii
nel mare, ed indi il mare covrì l’intiera isola, e l’estinse, le
quali novità e notizie essi stessi Eritriesi, e Calcidesi poterono tirare o dagli antichi Pitecusani, li quali prima di essi
abitavano l’isola; o da discendenti di quelli abitatori del
territorio occupato poi da sudetti Euboici, li quali furono
tanto atterriti, e spaventati, che abbandonarono li luoghi
littorali, e vicini al mare, e si rifugiarono nell’interno della
Campagna, siccome riferì il Timeo nella di lui istoria, e
dappoi accennò Strabone. Del pari, che potevano ricevere,
e tenere da Cumei, da Cimmerii, dalli Dicearchi, e dal residuo degli Istrii, e de luoghi vesuviani.
Dal tempo del governo di Gerone, in cui avvennero li
formidabilissimi tremuoti, e l’espressate vulcaniche ignee
eruzioni, ed esplosioni, si va a rilevare, e ad arguire, che
sin dall’anno 1301 dell’Era cristiana non accaddero consimili, ed uguali ignee mosse, e scosse nell’Isola, mentre
dopo la partenza de’ Siculi Siracusani avendo li Napolitani
occupata l’isola, se la goderono con somma pace, e sommo
profitto: Causa per cui li romani invidiando la di loro sorte,
e la bellezza di essa, e suoi seni, gliela tolsero colla forza
maggiore, e con aperta guerra: Anzi Augusto Imperatore
avendo restituita a Napolitani la prefata isola per la permuta di Capri, li romani la tennero in tale maniera a desio, e
ad occhio, che nelle occasioni, e nelle incidenze delle varie
barbare incursioni, e specialmente in quella de Longobardi
avendola di nuovo occupata, ci doverono avvenire degli
replicati ordini imperiali, degli impegni autorevoli di San
Gregorio Magno, e degli efficaci mezzi dell’Avvocato Romano, acciò fusse eseguita, come in fatti seguì, la restituzione dell’Isola d’Ischia a beneficio de Cittadini, e seniori
napolitani.
Riflettendosi, che se mai sotto il dominio de romani, ed
al dominio de’ napolitani fussero successe nell’isola ignee
catastrofi, ed eruzioni, e sovversioni vulcaniche, al certo
che si sarebbero accennate, e riferite dalli scrittori latini,
greci, e napolitani, che da Livio, da Strabone, da Plinio, e
da altri.
Se gli antichi scrittori hanno fatta alcuna quasi dettagliata
menzione dell’inesplicabili accezsioni, ed esplosioni avvenute nell’isola d’Ischia, pochissima ne hanno fatto dell’isola di Procida; e nulla affatto delle isole di Ventotene, di
Ponza, di Iannone, e di Palmarola; ma come che consimili
avvenimenti successi in esse possono tenere ed analogia,
e corrispondenza a quelli accaduti in Ischia ed al di loro
tempo, non è contro regola a darne talun ragguaglio; maggiormente, che gli avvenimenti delle stesse poterono succedere circa il tempo, che successero quelli delli Cimei, degli Astroni, e delli Vesuvi accennati dallo scrittore Beroso
Caldeo Sacerdote del Tempio di Delo in Babilonia.
Procida è lo stesso che profusa, avulsa, staccata, e tira la
sua etimologia dal greco Απο το προκυμαι e dalla radice,
προχεω che corrisponde ad essi termini.
Essa quantunque tutta modificata, ed accedente al terroso, ed al tufaceo, pur tutta volta la coverta di quel laterale
riguardo l’ovest è di pietra vulcanica; e non ostanti di esserne caduta nel fondo del mare gran quantità, ed in gran
quantità, siccome si rileva dalli scogli si veggono discosti,
ancora in detto laterale della detta pietra assai ce n’esiste:
pietra vulcanica totalmente uguale alla pietra dello scoglio
del Castello d’Ischia, ed a quella pietra, che un tempo covriva, ed in parte ancora covre quel laterale, che dall’abitato della città d’Ischia conduce a tutta la tirata di sopra alla
spiaggia romana, attaccata al confine del primo monte di
Campagnano.
Sicché Prochita -tae, e Prochita -tes, oggi Procida, siccome Strabone nel libro 5 riferisce di essere stata spiccata,
avulsa, e staccata dall’isola d’Ischia, il di cui testo di sopra
fu trascritto; così Plinio nel l.2 c.88, e nel l.3 c. 6 con maggior enfasi contesta lo stesso: In eadem et oppidum haustum profundo; alioque motu terrae stagnum emersisse;
et alio provolutis montibus insulam extitisse Prochitam...
Quia ab Aenaria profusa erat, Prochita fuit dicta. Dunque
Procida per effetto di vulcanica esplosione, e di uno eccessivo tremuoto rotolati i monti ne venne l’esistenza, e la sua
formazione.
Strabone, e Plinio meritano tutta la fede, e la credenza,
ma come che di tale esplosione, tremuoto, e di tal’esistenza non disegnano data di tempo, nè tampoco verun’antico
scrittore, o documento, par che diano luogo a doversi, e
potersi mettere al chiaro tale verità.
All’orché si tratti a venirsi a cognizione, ed a scienza di
successo, e fatto di un’apertura di terra, e di entrata di acqua, per cui o un lago, o una baia, o un mare mediterraneo
si è formato; o pure di venirsi a cognizione, e scienza per se
mai una isola in mezzo al mare si fusse staccata, e separata
o dal continente, o da altra isola per effetto di uno straordinario moto, e fenomeno della natura, la notizia tendente
alla verità del nuovo avvenimento deve tirarsi o da scrittore
contemporaneo, o quasi: o da sincero, e fedele documento,
o pure da fedele tradizione; e quando mancano tali pruove,
è regola di doversi ricorrere, e di ricorrersi alli laterali in
prospettiva.
Così per lo più in tali avvenimenti suole accadere, e di
doversi far capitale de laterali, stante la rimotissima, ed
oscurissima antichità, in cui essi successero, e che non ci
erano idonei soggetti, e scrittori per tramandarsene a futuri
le notizie.
E’ vero che per il distacco, e per l’avulsione di Procida
ci sono li sudivisati gravi scrittori Strabone, e Plinio, che
attestano di essere accaduta da Ischia, ma per riguardo alla
rimot’antichità del successo, sembra, che siano scrittori di
fresco: onde per curiosità almeno si ricorra a laterali, per
vedersi se mai le diligenze, e l’osservazioni siano per arrecare appagamento. Esplorati, ed analizzati li due laterali
di Procida, e d’Ischia in incontro, e a prospetto, ed appunto
il laterale del Castello, e dell’abitato d’Ischia, si trovano,
e si osservano essi all’intutto dissimili, ed ineguali, ed in
tutte le di loro parti, siccome ineguali, e dissimili nel materiale, essendo l’accennato laterale di Guevara, e del Capo
di Procida di pietra tufacea, accedente al tufo; e il laterale
d’Ischia un tempo nella parte esterna tutto di pietra vulcanica forte, e dura, ed al color del piombo, al presente tutta
terrosa, e pozzolanica; ed al di sotto, e nella base ancora di
detta pietra dura.
Solo si deve dire, e si osserva, che il freto si contiene tra
li predetti due laterali, è intieramente nel fondo pieno di
scogli, e di pietra vulcanica, e per effetto di grandissime, e
formidabilissime eruzioni, ed esplosioni ignee vulcaniche
un tempo in esso avvenute.
All’opposto esploratisi, ed analizzatisi con esatezza li due
laterali, cioè quello di Procida riguardo il nordest, e quello
del continente rimira il sud, si rileva chiaramente l’eguaglianza, l’approssimazione, e la elevazione de’ due divisati
laterali, e sì in ordine alla lunghezza, ed all’altezza, e sì
in ordine alla qualità, ed alla coerenza della terra, e della
materia terrosa, verso le parti rimpetto all’est e nordest, ed
alla qualità e coerenza della pietra tufacea, e quasi tufacea
verso le parti del nord, e nordvest; e verso quella linea, che
tira verso lo scoglio di San Martino.
Ma via più si osserva, e si rileva la rettitudine di tale
giudizio dalla esplorazione delle due punte verso l’est; e
propriamente quella di Procida riguarda il nordest, e sta in
linea del real palazzo, e quella del continente rimira il sud
attaccata al luogo chiamato Miliscola; in dove esistono, e
si veggono a corrispondenza, ed a linea due tirate, e strisce, entranti nel mare, di una pietra bruciata, e vulcanica;
la quale è di una istessa natura, forma, e qualità, accedendo
all’intutto al pomiceo, ed al colore nero.
Esse due tirate di pietre vulcaniche bruciate, abbenchè facili a spezzarsi, ed a sciogliersi, pur tutta volta non ostanti
l’elasso rimotissimo, ed immemorabile dell’avvenimento,
e non ostanti l’antichissima, e violentissima battitura continua delle onde, e delle maree, ancora se ne veggono, e se
ne osservano in parte: In ogni modo però la maggiore, e la
più tirata delle stesse è stata distrutta, sciolta, e profondata
nella sabbia; Anzi gli stessi vecchi assicuravano che tanto nel tempo loro, quanto nel tempo de di loro maggiori
per la forza, e per la violenza dell’onda, e della marea le
due mentovate tirate di pietre assai, e notabilmente si erano
consumate, sciolte, e distrutte.
L’enunciate osservazioni, e riflessioni fanno conoscere,
che in un tempo più che discosto, e rimoto, ed ignoto alli
medesimi di sopra divisati scrittori, dové accadere, come
accadde nel suddetto continente una sotterranea sì formidabile ignea accensione, ed eruzione, come una terribile,
e violentissima mossa, e scossa di terra, le quali doverono
sbalzare, e gettare, dal descritto sito del continente, e verso
Ischia l’isola di Procida, ed in dove acquistò la sua stabilità, e fermezza. E tale avvenimento potè, ed ebbe a succedere nell’epoca, in cui accaddero gli orribili sotterranei fuoLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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chi, e vampamenti nei luoghi, e tenimenti de Cimei, e degli
Istrii menzionati da Beroso, all’orchè l’orribilissima novità
arrivò, e giunse fin’a Babilonia, ed in quelli fasti notata,
d’onde Beroso la rilevò; Ed in quella medesima epoca, che
doverono accadere gli straordinari, e spaventevoli sotterranei fuochi, ed esplosioni, onde sortirono, e s’inalzarono li
monti di Campagnano, dell’attuale Castello, di San Pietro,
e di Vico; la di cui vulcanica pietra si è osservata di una
istessa natura, di uno stesso composto di materia vulcanica,
e di una medesima qualità, ed all’orchè successero quelle
terribili esplosioni vulcaniche per effetto di eccessivi sotteranei fuochi, le quali si osservano, e si veggono sotto l’acque de rispettivi mari d’Ischia.
Ma affinchè l’enunciate riflessioni non siano prive di
ulteriori appoggi, si replica con maggior distinzione, che
la materia vulcanica di Procida nel tutto, e nella maggior
parte sebbene sia divenuta modificata, ed acquistata altra
natura, abbia, pure il laterale riguarda il vest dimostra ancora la qualità, e la natura, e la costituzione, non ostanti la
gran quantità cadutasene, e profondata nel mare, di quella
pietra vulcanica del Leucogeo vicino, ed accostato al lido
del mare; delle montagne di Campagnano, del Castello, e
dell’antico laterale d’Ischia, del vulcano di San Pietro, e
della terribile esplosione del monte di Vico.
In questo divisato, e descritto tempo poterono, e doverono succedere l’esplosioni, e l’eruzioni vulcaniche delle
isole di Ventotene, di Ponza, di Iannone, e di Palmarola, le
quali abbenchè modificate, e divenute terrose, e pozzolaniche, ancora contengono ne laterali, e al di sotto della pietra,
e de monti di pietra in tutto, e per tutto eguale, e consimile
alla natura, ed alla qualità della descritta pietra del Leucogeo, di Procida, e d’Ischia.
Il grande, ed alto scoglio denominato Santo Stefano divisa di essere stato un formidabilissimo vulcano prodottosi
da una straordinaria accensione ignea sotterranea in mezzo
al largo, e lungo pelago di Ventotene, ed in quel gran fondo
di mare elevatosi a molta altezza. Cotale scoglio è assai più
largo, ed assai più alto dello scoglio del Castello d’Ischia,
ma la natura, e la qualità della sua pietra vulcanica è la medesima, e senza verun divario, che la pietra vulcanica dello
scoglio dell’anzidetto Castello, e degli altri vulcani come
sopra.
Il medesimo dovè essere orribilissimo, e terribilissimo;
mentre all’intorno di esso in gran lunghezza, larghezza, ed
estensione, di sotto a quel fondo di mare, tutto è scoglio
vulcanico, produzione di fuoco sotterraneo, e violentissima
eruzione ignea: cotale scoglio, o sia tirata longhissima di
scogli sotto l’acqua di quel pelago, si estende sin all’isola
di Ventotene, in dove li pescatori non possono tirare le reti
per pigliare il pesce, ma solo possono stendere le reti per
pigliare il pesce, che s’infilza.
Tale scoglio è sito all’est di Ventotene, e dalla stessa è
distante circa un miglio; E come si è accennato, il masso
della pietra vulcanica è durissimo, e denso, e forte, eguale
alla pietra vulcanica di quelli stessi luoghi d’Ischia, di Procida, e del Leucogeo: Tutta la faccia esterna di tale scoglio
si è mantenuta nello stesso stato di pietra vulcanica, come
esplose, senonchè in alcune parti rosa dalle onde, e dal sale
30 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
marino. La superficie poi di sopra in parte acuminata, ed in
parte piana, e scoscesa è intieramente tufacea, ed in modo
porosa, che piovendo, diventa tale tufo facile a rompersi; e
riscaldandolo il sole, diventa duro; se non che cede, e non
resiste al ferro. In parte il tufo si osserva di pochi piedi di
profondità, in altra di molti, e molti piedi.
Questo scoglio fà conoscere con chiarezza, come la pietra
vulcanica, condensata, silicea, e forte possa col tempo modificarsi, ed acquistare natura di nuova, ed altra sostanza, e
materia. Infatti, oltre la divisata superficie tufacea, essendo
occorso di farsi taluno scavo nel mezzo, e nell’ammasso
del suddetto scoglio, ad oggetto di costruirsi delle cisterne,
e piscine per conservare l’acqua delle piove, si dovè prima rompere per più piedi in fondo il tufo, indi si trovò del
grosso lapillo più piccolo, e minuto; onde incavatosi, e fossatosi maggiormente il fondo, si trovò la materia terrosa,
e pozzolanica, idonea per nutrire, ed alimentare le piante,
e per impastarsi colla calce; e cotale terrea miniera portò
sin’a venti piedi in giù, in dove s’incontrò la pietra, la quale
era così forte, marmorea, e ferrea, che appena a forza di
martello, e di scalpello se ne poteva rompere de pezzetti,
che era di gran peso.
Il governo romano si serviva del predetto scoglio in mezzo al mare isolato per rilegazione, e per esilio di coloro, i
quali all’intutto si volevano levare, e separare dalla comunicazione, e commercio umano. A qual’effetto nello stesso
si sono osservati ruderi di fabriche, e di piccole stanze a
guisa di carceri: Ancora tumoli, ma di rozzo marmo; Benvero piscine da acqua; e sotterrato dalla terra si scovrì un
tempiuccio, il quale fu incavato, e costruito nella viva pietra, però intonacata, e con altare. L’ignoranza lo fece subito
seppellire, e covrire con terra, e piantarci di sopra, senza
essere bene osservato, e diligenziato.
Verso la fine del secolo 18 cotale scoglio con numerosa
spesa nella parte più sicura, e più opportuna fu ridotto ad
ergastolo atto a ricevere al di sopra di 400 condannati, siccome al presente, ripristinato, di già contiene più centinaia
di rei.
Ventotene, che è l’isola Pandataria degli antichi, quantunque modificata, e ridotta a materia terrosa, pura dà evidenti segni di essere stata un tempo vulcanizzata, e molta
pietra, specialmente l’è d’attorno, si conosce senza verun
dubio vulcanica.
Essa da tempo immemorabile è stata sempre desolata, ed
abbandonata, e senz’alcun abitante. Appena taluni pescatori dell’isola d’Ischia in certi mesi dell’anno, e particolarmente nell’inverno ci solevano dimorare per la pesca dei
pesci, ma sempre erti, e guardingui. Il suo territorio conteneva, e produceva solo alcune piccole piante boscose per
uso di foco; Anzi gli stessi pescatori disprezzavano tanto il
suolo, e quella pianta, che la facevano conoscere incapace
di coltivo.
Il Re Ferdinando dopo la mettà del detto secolo 18 diede l’opportune providenze per farla da famiglie bracciali
abitare, e coltivare; Infatti le famiglie si sono moltiplicate,
e si sono ridotte sotto il governo, e sotto la disciplina. Le
accennate famiglie hanno dimostrato di essere applicatissime alla fatica, al lavoro, ed alla coltura, avendo esse au-
mentato per intiero tutto il territorio dell’isola a vigne, ed a
produzione di biade, e di legumi; e si è conosciuto il terreno essere fertilissimo, quando è da volta in volta inaffiato
della piova; e li legumi al di sopra di ogni altro genere sono
saporosi, e facilissimi a cuocersi.
L’isola di Ventotene nel tempo del governo romano stava
destinata per luogo di rilegazione, e di esilio; ed in dove
per lungo tempo, e con tutta giustizia stiede rilegata Giulia
figlia dell’ Imperatore Augusto, e moglie di Tiberio, d’onde
passò in Reggii, e dove disperatamente morì.
In essa fu a torto dall’empio Nerone rilegata la buona
Ottavia figlia dell’imperatore Claudio, e dove l’ottima
Principessa fu fatta trucidare dall’empio marito Nerone
per rendersi sodisfatta, e contenta l’indegna Poppea. Era la
principessa di anni venti quando morì.
A miglia 18 distanti da Ventotene verso il vest, ed a miglia 12 distanti da Ponza verso l’est nel mezzo di quel pelago s’incontra uno scoglio vulcanico di altezza a più di
passi 15, ed all’intorno dello stesso, e per lunga tirata di
sotto al mare si osservano scogli; e gli stessi non sono altro,
che una terribile accensione ignea sotterranea esalatasi, ed
esplosasi in mezzo a quel mare in un tempo assai rimoto.
A miglia due distanti dalla medesima isola verso l’est si
osservano a livello dell’acqua del mare, e da fuori ancora
scogli di pietra vulcanica bruciata, li quali non ostanti l’immemorabile antichissima, e violentissima battitura della
marea, pure si mantengono, e non sono distrutti, e consumati; essi sono una manifesta apparenza di una spaventevole eruzione di fuoco sotterraneo esplosasi, ed esalatasi in
mezzo, e nel forte di quel mare.
L’isola di Ponza quantunque modificata, e quasi tutta coverta di terra si osserva in tutte le sue parti di essere stata
un tempo rimoto intieramente vulcanizzata, e soggetta, alle
sotterranee ignee eruzioni. Essendosi osservati certi monti
coverti dalla terra, e dalla polvere cenericia, al di sotto di
otto in dieci piedi non si è altro trovato, che pietra vulcanizzata, dura, silicia, e forte, siccome all’intorno si è osservata, e si osserva consimile pietra, e del pari, che nell’interno
dell’isola, la quale pietra non è arrivata ad essere dalla terra, e dalla cenere coverta; E la pietra de’ monti è simile, ed
uguale alla pietra de monti d’Ischia, siccome l’altra all’intorno di essa eguale a quella dell’intorno d’Ischia.
Due isolette, o siano due monti elevati acuminati, una alcuni passi distante da Ponza, l’altra distante verso il vest
circa dieci miglia, chiamata Palmaria da Latini, indi Palmaruola, sono due vulcani prodottisi in mezzo al mare.
Un’altra isola distante otto miglia verso il nord, non tanto
elevata, ed have del piano, dimostra di essere stata vulcanizzata, e di essere stata soggetta a grande ignea sotterranea eruzione. Si chiama Sanone: Sinonia.
In distanza a 50 miglia da Ponza verso il libeccio un certo equipaggio viaggiatore sinceramente riferì, che essendo
con bastimento passato per sopra a quell’altura di mare con
calma, quiete, e senza ondeggiare osservò di sotto lunghe,
e larghe tirate di estesi scogli; onde si rilevò, che la tanta, e sì grande quantità di ligoste (Licuste, lacuste marine,
volgarmente dette Ragoste) si soleva pescare, e tirare nelle
acque di Ponza nella primavera, e nell’està di ogni anno,
sortivano dalli mentovati estesi scogli. Intanto le anzidette
isole essendo state sotto il dominio de’ romani, pure non
ci è scrittore, che faccia menzione delle vulcaniche di loro
eruzioni, ed esplosioni: onde le stesse furono così rimotissime, ed antichissime, che furono ignorate agli stessi scrittori, ed istorici greci, siciliani, e latini; e doverono formarsi
e succedere all’ora quando vamparono, e bruciarono li suoli, e li luoghi de’ Cimei, de’ Vesuvj, e degli Istrii con tutta
la regione abbruciata, e col Leucogeo, coll’Ermeo, e con
Nisita, e suoi scogli, che con Ischia, con Procida, e Santo Stefano, e con tutto il mare ad essa regione adiacente,
in dove avvennero ed in un tempo rimotissimo alterazioni
ignee, sotterranee eruzioni, ed esplosioni tanto straordinarie, e formidabilissime, che in parte si poterono notare tra
li fatti, e memorie babilonesi, delle quali Beroso fece menzione.
La ridetta isola di Ponza è di circuito di circa miglia 12,
tutta montuosa, e senza verun piano, inalzandosi dal livello
del mare a tal’elevazione, che appena in due luoghi si può
approdare, e pigliare territorio, ad oggetto di potersi immettere in essa: Uno viene denominato Le Forna, in cui si
può pervenire con bastimenti piccoli; e l’altro è il porto, il
quale è un cratere, ed una conca quasi rotonda, e naturale,
capace di ricevere grosse Fragate, e bastimenti di alto bordo, e mantenerli con sicurezza. Sta nel mezzo di tanti colli,
e basse rupi, all’infuori della bocca di entrata rimpetto il
nordest. Al suo bello, e vago suo sito naturale, e sicuro ci
si accoppiò la dispendiosa maestria, e scienza del Genio
sotto il dettame dell’erudito Ingegnere D. Antonio Vispeaer; onde divenne tale porto uno delle belle, e sicure opere
marittime.
La medesima isola venne destinata dal governo romano
per luogo di rilegazione, e di esilio. Molte antiche fabriche
fanno divisare di essere stati in essa soggetti insigni, e rispettabili, e fabriche così antiche, le quali si trovano sotto
la terra sepolte; e specialmente quella, che volgarmente, e
scioccamente si chiama la grotta di Pilato: la stessa è sita
sopra un’ameno viale del porto, che per via di fabriche, e
di gran pilastri, ed archi s’immetteva sotto terra, ed andava
a spuntare ad un grande ammasso di pietra vulcanica attaccata al mare, in quale pietra furono incavate, e costruite comode, e grandi vasche, per uso di bagni di acqua del mare.
Fabrica dell’età media non si osserva, e forsi in tempo delle
scorrerie de barbari, e Saraceni fu abbandonata all’intutto,
per cui l’attuali famiglie non arrivano all’antichità di cento
anni, siccome non arriva il coltivo, ed aumento di qualche pezzo di territorio, mentre tutto era incolto, e prima di
cent’anni intieramente tutto il territorio dell’isola era boscoso, e di piante selvatiche: Attualmente tale isola ha mutata faccia, in ordine agli totali aumenti di vigne, di frutti, e
di uso per semina, siccome ha mutato aspetto in ordine alle
fabriche ed alli lavori per abitazioni, essendosi fatto tutto
per uso della umanità.
Nel tempo della media età, e sin agli ultimi tempi si osservavano in Ponza solamente opere di grotte incavate nella pietra vulcanica a fine di abitarsi da gente bracciale, e
da travaglio, ed all’infuori di qualche casella che taluno si
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
31
aveva costruito.
Il Duca di Parma, e Piacenza, che ne acquistò il dominio
ci fece ergere, e costruire una ben spaziosa torre su d’un’altura, che dominava l’entrata del porto.
In una spiaggia renosa dentro al porto, la quale sta verso
il vest esisteva una porzione di chiesa, che la tradizione
faceva chiamare Santa Maria: Essa invero sembrava di essere antica, ma di semplice calce, e pietra costruita; correva
voce di tradizione, che San Silverio vi celebrava le sacre
funzioni: Quella parte verso l’altare faceva rilevare, di essere stata cappella forsi da mille e più anni edificata.
La storia ecclesiastica ci somministra alcun lume relativo
all’esilio di persone insigni in tale isola.
Flavia Domitilla di famiglia consolare nel primo tempo
dell’era cristiana, e sotto il governo di San Clemente Pontefice fu da Terracina esiliata in Ponza per causa della fede
cristiana, in dove di unita a due vergini del suo seguito, e
compagnia Eufrosina, e Teodora, e tra gli altri ad Achilleo,
e Nereo Eunuchi di suo servizio, soffrì l’ingenti travagli, e
vessazioni: d’onde asportata di nuovo in Terracina fu per la
fede martirizzata, ed in unione delle divisate due vergini,
mentre Nereo, ed Achilleo per la stessa causa della fede
furono altrove martirizzati in esso luogo.
Silverio Papa figlio del Pontefice Orsmida fu eletto Pontefice nell’anno 537 per morte di Agapeto Papa.
L’Imperatrice Teodora non potendo ottenere di restituirsi
nella sede di Costantinopoli Antimo Capo degli Eutichiani,
per mezzo del Generale Belisario sul falso pretesto di tenere intelligenza con li Goti lo fece esiliare a Pataro nella
Licia, nell’anno 538, e fece eleggere in di lui luogo Virgilio. Giustiniano Imperatore informato dell’ingiusta pena di
Silverio, ordinò, che fusse rimesso nel pontificato, e liberato dall’esilio; ma Bellisario lo rilegò nell’isola Palmaria; in
dove morì nell’anno 540 consumato dalle calamità, e dalla
fame.
Gli scrittori, è vero, che riferiscono di essere stato in Palmaria esiliato Silverio, ma osservatosi di essere tale luogo
un monte esploso in mezzo al mare, e di non esistere in
esso il menomo rudere o di fabrica, o di abitazione, ancorchè incavato nel monte, fà rilevare di non essere stato nello
stesso esiliato, e di avere per due anni ivi dimorato.
Più tosto si osservò alcun pezzo di rozza fabrica nell’accennata Ianone, dove si opinò d’avere potuto dimorare
nell’età media taluna unione o di monaci, o di romiti, ed
a ragione, perché la storia fa sapere di avere e monaci, e
romiti abitati nelle isole del mediterraneo, e via più dell’Italia, le quali erano all’intutto deserte, e derelitte, e prive di
qualsiasi abitante, e maggiormente, che l’additato pezzo di
fabrica faceva conoscere di essere stata fabrica da monastero, e da luogo di aver potuto contenere più soggetti uniti,
e raccolti.
Però di qualunque forza, e di qualsiasi appoggio fusse per
essere la tradizione di avere dimorato Silverio in Ponza, e
non altrove, e ben vero taluno straordinario lume su l’assunto, si fà noto, che siano sotto la lettura due lettere di
Silverio scritte, e dirette da Ponza, e con data di Ponza, le
quali fanno chiaramente rilevare di essere stato esiliato in
Ponza, ed in Ponza aver dimorato.
32 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
In fatti doveva egli dimorare in quel luogo, dove ci era il
governo, ed ove ci erano quelli soggetti incaricati da Teodora, da Bellissario e da Virgilio, affine d’invigilare su
Silverio, e di esercitarlo tra le crudeltà, tra gli atti inumani,
e tra le tormentose vessazioni: Onde se fusse stato lontano
da Ponza, ben ci era chi ben poteva aiutarlo, soccorrerlo, e
condurlo in parte esente dalli tiranni, e da carnefici.
Se certi eruditi opinano di essere le sù accennate lettere
di Silverio suppositizie; abbenchè si voglia assentire a tali
eruditi, pur tutta volta sempre esse fanno conoscere la dimora, e il soggiorno in Ponza: Perchè Isidoro Mercatore
volendosi il fattore delle stesse, e di altre, non solo per vastità di mente, ma per dottrina, e per istoria, che per essere
stato vicino al tempo di Silverio poteva ben sapere, e poteva ben dare la certa notizia del luogo speciale dell’esilio, e
del dominio di Silverio, quale fu l’isola di Ponza.
La leggenda della Chiesa lo venera, e descrive come Santo, e martire, e martire morto a Ponza.
Dopo aver data un’idea generale, ed un saggio riguardo
all’isola d’Ischia, e tanto in rapporto alla sua esistenza, ed
alli suoi antichi abitatori, quanto rispetto alli rovesci, all’eruzioni, ed alle accenszioni vulcaniche sofferte, siccome in
ordine alli suoi prodotti frittiferi copiosi, ed alle sue diverse
miniere, si stima passare a darsi un ragguaglio distinto e
particolare di quelli comuni, e casali, e di quelli luoghi topografici, che sono nell’isola, e la compongono.
Si fece menzione, che tutti gli abitanti anticamente facevano domicilio nel Castello d’Ischia, e tutti gli rispettivi
governi, ad oggetto maggiormente di sfuggirsi, e di evitarsi
le barbare incursioni, ed invasioni, che gli effetti perniciosi
delle vulcaniche accenzioni, e de’ tremuoti. All’orchè poi
principiarono a passare tali timori, gli accennati abitanti
pian piano, e gli uni dopo gli altri abbandonando quella
bella, graziosa, allegra, e salubre dimora del Castello, si dispersero per tutta l’isola, e formarono delle contrade, delli
vichi, delli casali, e dette terre, come si determinarono per
li rispettivi governi economici, e per le publiche amministrazioni.
Li primi che uscirono, destinarono per loro dimora quel
luogo rimpetto al medesimo Castello, ed attaccato al di lui
istmo, che si denomina Gelso, come attualmente si nomina,
a causa che in tale sito ci era stata una grande piantaggione di alberi di Gelsi: Sito, che guarda la spiaggia e li colli
dell’antica Cuma, e l’isola di Procida al nord, ed al nordest.
Tali abitanti qui passati si moltiplicarono in tale numero,
che formarono una Città; ed in essa vennero trasferitti tutti
li privilegi, le prerogative, ed i governi dell’antichissima
città, stava sopra il Castello, e le altri doti, ed onori, che il
titolo di fedelissima, conceduto dalli regnanti con diplomi
per essere sempre stata fedele, ed agli stessi attaccata.
Essa sta posta al lido del mare, e per una delle punte sta
unito con quel lungo molo, o sia istmo, che si giugne colla
prima entrata del Castello, e contiene, propri abitanti al numero di 2758.
Tiene alle sue spalle riguardanti il sud una dilatata villa,
che si stende per quelli monti di Campagnano, e per quelli
luoghi chiamati Sant’Antuono, ed il Corvone, popolata di
abitanti al numero di 1185.
Tiene un’altra villa chiamata de’ bagni, che le stava verso
il vest, popolata di abitanti al numero di 808.
Gli uomini della campagna attendono al lavoro, al coltivo, all’aumento, ed al leggiadro mantenimento de territori:
Quelli vicini al littorale attendono al negozio, ed al commercio colla Sardegna, in dove co’ di loro bergantini, ed
altri bastimenti portano delle sete tessute, e delle lane lavorate, siccome delle tele di lino, e di canape; e caricandosi
di formaggi bianchi, li vendono nella Capitale del regno di
Napoli; e per lo più questo commercio, e negoziato suole
essere di gran profitto, e di ricchezza per il proprio paese;
Ed altri abitanti poi stanno addetti alla pesca de pesci o ne’
mari della stessa isola, o dell’isole di Ponza, e Ventotene; e
tutto il pesce si manda nella cennata Capitale.
Le donne non sono oziose, e sono applicate a filare il lino,
ed il canape, ed a tessere delle diverse tele fine, belle, e di
durata; e pare che quelle delle campagne siano molto industriose.
Li territori producono uve di varie sorti, e tutte saporose;
e da esse si ricavano vini spiritosi, e vigorosi, e moscati
delicati, e graziosi: Producono frutti, e fichi saporosi, che
biade, granoni, e legumi.
La piazza è sempre provvista de’ primi generi di commestibili, e di famoso pane: siccome sta sempre provvista di
ogni genere di vestire, e comparire sì per il tempo estivo, e
sì per l’inverno.
Le sue vie, che conducono nelle ville di Campagnano,
e del bagno sono carrozzabili, amene, e vistose, come talune strade in mezzo della città sono anche carrozzabili,
e larghe, e portano nel lungo, e largo molo, o sia ponte; o
sia istmo, che unisce la città al Castello, ed è un passaggio
allegro, delizioso, e vistoso, in mezzo a due mari. Verso il
sud mira le dilettevoli campagne, e gli intersparsi casini, e
verso il nord mira Procida, la spiaggia di Cuma, e tutta la
tirata di Gaeta, e di lei monti, siccome verso il vest la propia città colla spiaggia del luogo detto Sant’Antonio, tutta
piana di belli vistosi casini a forma di palazzetti; come verso l’est si mira il Castello, e l’isola di Capri. Passeggio, che
dopo tramontato il sole ristora, e rinfresca per li zefiretti, e
per le aure che si respirano, e soffiano.
In mezzo alla publica, e principale strada esiste una vaga
fontana, che tramanda perennemente acqua limpida, e saporosa, la quale per mezzo di tubi, d’archi, e di magnifici
ponti, scorre, e deriva dal monte Abuceto, quasi falda del
monte epomeo, e viene dalla distanza di quasi quattro miglia; ed è una felicità di godersi un’acqua gustosa, e dolce
senza ricevere una menoma alterazione minerale, nonostanti un sì lungo passaggio.
In tempo del vicerè il Cardinale Granvela l’acqua fu portata dal detto monte Abuceto nella città, il quale concedè
per un certo tempo a beneficio della città il dritto che si
pagava su la tratta del vino, affine di potersi pagare la gran
spesa per l’occorrente necessaria costruzione; ed il vescovo
d’all’ora somministrò dell’aiuto e del soccorso. D. Orazio
Tuttavilla Governatore dell’isola fu incaricato per l’esatta
esecuzione e vigilanza. Egli doveva essere cittadino della
sudetta città d’Ischia, mentre era padrone di una gran torre,
ancora nella stessa esistente.
Quel dotto, savio, e santo vescovo fu Monsignor Vescovo Girolamo Rocca, l’onore, ed il decoro della Chiesa d’Ischia, di cui si parlerà all’orchè si tesserà il catalogo de
vescovi; quando l’acqua per li condotti sotterranei si conduceva alla divisata fontana, stava su le case laterali al Cisternone per vedere il desiderato passaggio, fece apponere
sulla detta fontana li seguenti versi, che si sono ricercati in
libri estranei.
Has sudavit aquas cereris patientia Curtae
Edocuitque famem ferre magistra sitis
Quando poi di nuovo si fece, e si costruì la medesima, il
Barone Antonini scrittore dell’istoria della Lucania compose la seguente iscrizione:
D. O. M.
Aquam ex fonte Buceti
Ad IV M. Q. publico Aere derivatam
Labroque ex Tiburtino lapide ornatam
Et turri, in qua concilia fiunt, adpositam
Addito Horario
Decuriones Pithecusani
Utendam, fruendamque
Civibus dederunt
A. MDCCLVIII
Prima di riceversi da cittadini il grato soccorso dell’acqua
di Abuceto, verso l’est a mano dritta, ed in mezzo a certi
scogli sotto il territorio di Sorenzano venne formata una
vasca, la quale in parte ancora esiste; ed in essa li cittadini
andavano a raccogliere, ed ad attingere l’acqua, la quale
non era ingrata.
Appunto vicino alla stessa dopo il mezzogiorno la nobile
donzella Restituta Bolgaro, figlia del Castellano Bolgaro,
(il quale per causa di salute abitava nel sobborgo all’ora
del Castello, e dell’antica Città) mentre si spassava, dopo il
mezzogiorno, pigliando frutti, e granchi di mare, fu veduta
dall’equipaggio di un bergantino calabrese, che stava ancorato dietro certi scogli in vicinanza, fu dal medesimo rapita,
ed indi condotta in Palermo, e fu regalata al Re Federico.
Giovanni di Procida, nipote di quel celebre Giovanni di
Procida autore del vespro siciliano, si portò in Palermo ad
oggetto d’avere in potere l’anzidetta Restituta, a lui promessa in sposa, e fuggirsela; lì riuscì a sottrarla, ma all’atto
si tentava la fuga, furono tutti due sorpresi, e furono condannati dal Rè Federico ad essere bruciati vivi, dopo esposti ignudi alla berlina.
Ruggiero di Loira grande Ammiraglio di quei tempi mosso dalla curiosità si condusse a vedere quella rappresentanza, e conobbe Giovanni, che da figliolo più volte l’aveva
tenuto in mezzo alle di lui cosce in compagnia del zio, che
benvero entrò nella cognizione di Restituta figlia di Marino di lui amico; Per lo che diede ordine a non eseguirsi la
giustizia, ed intanto presentatosi al Rè Ferdinando, li diede
distinta relazione, che Giovanni era nipote di quel Giovanni di Procida, per il quale stava godendo il regno; e RestiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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tuta era la figlia di quel Marino Bolgaro, che manteneva
sotto il suo real dominio il Castello, e l’isola d’Ischia: A
tale discorso subito il Rè diede le providenze per la di loro
libertà; onde poi carichi di regali si partirono da Palermo,
ed arrivarono in Procida, di cui era Giovanni padrone.
In un manoscritto, che più non esiste, si leggeva, che Giovanni, all’ora quando con barchetta da Procida si conduceva in Ischia per parlare con la di lui diletta, osservando alle
volte di essere arrivato ad ora, che la gente stava ancora in
commercio, si soleva nascondere in un bosco d’agnocasto,
vicino al lido, il quale occupava un’intiera spiaggia sabbiosa, attaccata quasi all’abitato: Parte di tale bosco sin agli
ultimi tempi esisteva nella suddetta spiaggia.
Pochi passi appresso la mentovata vasca sita tra scogli
viene il bello, ed ameno Podere de’ Signori Duchi di Bovino, che si denominava il Ninfario: Consiste in una spaziosa
torre costruita, ed eretta su di un rialto rimpetto all’est, ed
al Castello: Al di sotto ci è il mare, ed un vaghissimo giardino costruito dentro al mare in due lati con mura forti, e
con banchine, mentre altri due lati sono naturali dalla parte
di terra; ed è pieno di aranci, di frutti, di fichi, e d’uve,
in dove ci erano de’ vistosi belli vederi costruiti: lo stesso veniva al di fuori, come viene, guardato, e guarnito da
molti graziosi scogli vulcanici, che servono ad impedire li
violenti urti della marea del levante, e dello scirocco; e su
di alcuni di essi scogli ci era la caccia de’ cunigli, dove si
andava per mezzo di un moletto; e al disotto di uno di tali
scogli stava incavato a forza di martello, e di scalpello un
ben posto bagno. Alla destra, a linea del Nord, poi di essa
torre seguiva una tirata di vigne, ed una via formata sul
mare conducente ad una Cappella gentilizia, e ad un giardino di aranci; Indi l’attaccava un’ameno bosco sostenuto
da fabriche, che serviva per la caccia de’ volatili, de’ lepri,
e de’ cunigli; Appresso li veniva una deliziosa selva castagnile; e dappoi proseguiva uno spazioso territorio vignato,
che verso il sud circondava la torre, e si estendeva sin’al
giardino sul mare, ed alli belli vederi. Ed intanto tutto l’intiero descritto territorio stava da parte in parte guarnito di
alte annose querci.
La predetta torre dalla parte di dentro oltre tanti comodi
era dotata di particolari stucchi a foggia di quei degli antichi romani, e di particolari pitture per la grada, e per le
stanze.
Le stanze sì per il lungo passare degli anni, e sì per l’incuria degli inquilini, e coloni si sono rese prive di quelle
belle pitture, per essersi prima annegrite dal fumo, e poi
biancheggiate. Solo in una stanza una soffitta si è mantenuta intatta, in cui è rimasta una pittura, forsi della scuola del Zingaro, consistente in un bel gruppo di sirene e di
sfinci, ed in dove sta una ben fatta pianta dell’accennato
podere, degli adorni, e de mentovati belli vederi, ed ove
sta anco la pianta del Castello, onde si rileva la bellezza, e
la vaghezza del medesimo, e la sorprendente costruzione
degli palazzi antichi, e delle antiche case, che nell’istesso
esistevano, e colla comparsa di una grande bandiera, che,
maestosamente dimostra, batteva l’aria, ed era sita sul di lei
maschio.
Dalla parte del sud si mirano li monti della villa di Cam34 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
pagnano, chiamati la torre, e il piano di Liguori; tutti aumentati di vigne, di fichi, e di frutti con alcuni boschetti,
e selve; e tali luoghi intersparsi di case, le quali fanno una
comparenza vistosa; e li medesimi così aumentati, in particolare dalla parte di dietro, e verso l’est producono vini
squisiti, e poderosi, e frutti saporosi. Verso la parte della
nominata torre, e dell’adiacente territorio di San Pancrazio
si fa un vino moscato preziosissimo, e delicatissimo, e via
più quando non si fà con tanta mischia di uve bianche non
moscate, e colle regole dell’arte; e non cede alli primi moscati del mondo.
Al vest della città s’incontra una via carrozzabile, e da
passeggio, che tende verso il littorale, dove si osservano
tanti belli, e vistosi casini, ed al primo aspetto s’incontra
il casino, che da circa quattro secoli fu abitato dal dotto,
e raro uomo Gioviano Pontano, delizia, e quiete del suo
animo, ove veniva a componere le grandi, ed erudite sue
opere, e libri, ed a prendere ristoro.
Attaccato dal detto casino ci era un grato, ed ameno territorio pieno di viali, di alberetti, e di acrumi, e ci era costruito un cenacolo, ove si teneva conversazione, ed academia,
che nelle placide serate serviva per le cene.
Tale casino, e podere costantemente ha seguitato a distinguersi, e chiamarsi col nome di Pontano.
L’enunciato casino circa 260 anni a dietro si trova essere
di dominio della Signora Da. Costanza Caracciolo moglie
di D. Alfonso D’Avalos, o figlio, o nipote di quel D. Alfonso, che fu Generale in capite in tutte l’armi imperiali sistenti in Italia; la di cui consorte D. Maria d’Aragona dopo la
di lui morte venne a dimorare, e soggiornare nel Castello
d’Ischia.
Il mentovato casino, territorio, e riviera littorale sono
confinanti, ed attacati all’arso, o sia cremata.
Tale arso è l’ultima eruzione vulcanica, ed ignea sovversione sotterranea avvenuta, e successa nell’isola.
L’istorico Villani rapporta di essere avvenuta nell’anno
1300: Forsi allora si fecero sentire li tremuoti, e le scosse.
Il Colennuccio l’ammette nell’anno 1302, ed assicura, che
il fuoco bruciò per due mesi.
Nel regio Archivio di Napoli si legge di essere successa l’eruzione vulcanica negli anni 1301, e nel 1302, e nel
1303.
Se mai si fa menzione del terribile fenomeno negli anni
1302, e 1303, potè essere, che il fuoco sotterraneo in alcun
locale particolare dell’arso proseguì a farsi sentire in tali
anni.
Sicchè la spaventevole eruzione perniciosa vulcanica si
fissa, come fu, circa il mese di aprile dell’anno 1301, o
settimana prima, o dopo; All’orchè il fuoco eruttato dalle
viscere della terra bruciò per due mesi continui, e bruciò
per un miglio di larghezza, e per tre miglia di lunghezza,
mentre la pietra, che si accosta verso Fiaiano è della stessa
natura, e qualità, che quella dell’arso.
Fu il fuoco, e l’eruzione sì terribile, che per il gettito della
terra, della pietra, e della materia vulcanica li luoghi, e li
territori d’intorno furono seppelliti; e la gente d’Ischia, e
dell’isola ne fu tanto spaventata, che fuggì in Baia, Pozzuoli, in Napoli, nella Costa, ed in Capri.
La gente dispersa per l’isola, siccome particolarmente
quella di Casamicciola implorava in tutte l’ora il divino
aiuto, e questa col Clero processionalmente si conduceva
nel tempiuccio di Santa Restituta, affine d’intercedere per
il di lei mezzo le grazie divine, e tale processione col Clero,
e cogli abitanti di Casamicciola si è proseguita a fare costantemente, e si va nel detto tempiuccio sistente nel Lacco
nel giorno secondo di Pasqua di resurrezione.
Quella parte bruciata era una pianura, ed una estensione
di territorio la più bella, la più deliziosa, la più fertile, e la
più fruttifera di tutta l’isola. In essa esisteva una villa, e ci
erano de casini, e de’ giardini li più piacevoli, e li più grati
si potevano dare, appartenenti a quelli gran Signori, e nobili, e cittadini, li quali domiciliavano nel Castello, ed ove
andavano a spasso, ed a villeggiare.
Ci morì della gente, e degli animali, e tutto il bello, il
vago, e quanto si produceva fu ingoiato, e bruciato dalla
sovversione, e dal fuoco.
Il Vescovo con tale incendio perdé delle possessioni e
delle rendite; a quale oggetto Carlo II d’Angiò, Re di Napoli li assegnò annui ducati trenta, che si sono dalla regia
Camera sempre pagati (2).
Della pietra vulcanica dell’arso, o sia cremata una parte è
durissima, bronzina, e piena di alume, chiamata Zimbro, e
serve per le fondamenta delle fabriche. Altra parte è meno
dura, e batte al nero, atta a lavorarsi, e serve per fabrica
delle mura. La terza parte è pumicea, ma porosa, che batte
al nero rosso, e serve per le volte, e per le lamie.
Nel descritto arso si suole trovare ancora della pietra molto atta per il lavoro fino, siccome nell’isola; ed io ho veduta
qualche tabacchiera, la quale oltre la bellezza, ed il colore,
tiene una trasparenza meravigliosa; e delle medesime ne
formano benvero de’ musei.
Fu fatto da un pio spirito il seguente sonetto, che si chiamava d. Francesco Migliaccio.
Questa cui vedi o pellegrin che passi
Desolata campagna, e adusta arena
è questa ch’hai sott’occhi ingrata scena
d’arsicce rupi, e d’abbronsiti massi.
Questi sciolti macigni, e negri sassi,
e questo suol, che non produce avena
Fu del nostro epomeo già piaggia amena,
or teatro d’orror, non più di spassi.
Vomito fu d’una romita balza
Quel torrente di fuoco, onde s’ardio
D’Ischia il più vago, ecco colà s’inalza,
Se pur non fu dello sdegnato Dio
Fuoco divorator, ch’ognor incalza
2) Periodo cancellato – a margine la seguente postilla: Tale periodo
non si deve cancellare, ma trascriversi come si trova, ma soggiungendosi, che tale perdita fece piegare il Re Carlo ad assegnare alla
chiesa, e per essa al vescovo ciò che si li doveva per la bagliva,
siccome in altro luogo verrà enunciato con chiarezza.
Chiunque l’ira sua pone in oblio.
Taluni con Giov. Franc. Lombardo asseriscono di non nascere erbe, nè di vedersi verde nell’arso: si osserva tutto il
contrario; in esso si raccolgono in quantità erbe grate, ed
odorifere, dell’origano, dell’issopo, del cametrio, e degli
altri amaricanti utilissimi per lo stomaco, e pel digerire.
L’Arso ne’ tempi antichi era un bosco, e quantunque verso li luoghi laterali delle vie veniva tagliato, pure nel mezzo ci stava circa ottant’anni a dietro un crescimonio boscoso da fuoco, che taluni cacciatori o nel tempo del calore del
sole, o di acqua si andavano in esso a riposare, e ricoverare.
Molti, che tengono territori congrui all’arso, avendosi
guardate le parti attaccate, e confinanti, si sono in esse formati alberi, e querci da lavoro di grossi bastimenti, ed in
quantità.
Altri da poco tempo in quà in varie parti dell’arso ci hanno fatto degli aumenti, e de’ coltivi, e ci si sono prodotte
vigne, alberi di fichi, e di frutti, e reso il terreno anco a dare
degli ortaggi da mangiare; Siccome porzione si è aumentata a bosco.
Le legna, e li boschi, e le frasche per uso del fuoco sono
mancate nell’arso, perché la povera gente ingorda, e sciocca arrivò ad estirparne tutte le radici; Nè ci fu governo,
nè gente addetta all’amministrazione, ed all’economia che
avesse tenuto occhio o a far bandire l’arso, o pure a non far
togliere le radici; mentre l’arso non solo avrebbe prodotto a
beneficio della città un notabile vantaggio, ma del profitto
alla popolazione ed alli poveri.
Appresso il divisato arso verso il vest si trova la villa de’
bagni, li di cui abitanti sono dediti alla fatica, e sono industriosi, del pari, che sono le donne: In essa ci sono delle
bellissime vigne, degli orti, e delle buone tenute di acrumi.
Vi sta un lago mentovato da Plinio, ove si pescano varie
sorti di pesci, che entrano dal mare, siccome si tirano quantità abbondanti di cocciuole marine. Nel 14, e 15 secolo
era, ed esisteva, il numero degli augelli in esso, che nel
tempo della caccia s’arrivavano ad uccidere, sin’a 1500
folliche, e mallardi; e la caccia era riservata per il Rè.
Negli tempi antichissimi il medesimo fu effetto di un gran
tremuoto, ed eruzione.
Ci è un nobile regio casino, da servire per il Sovrano
quando si vuole condurre in Ischia.
Su di un colle vulcanico laterale allo stesso lago ne tempi
antichi ci esisteva un monastero di Basiliani, del quale oggi
appena si osserva alcun rudero.
Su il fine di tal colle a forma di punta di promontorio ci
sta una tonnaia assicurata, e pescatrice, che suole pigliare
tanti tonni, ed altri pesci, che un tempo arrivò ad affittarsi
a beneficiio della città, e casali sin’ad annui ducati cinquemila.
Nel mezzo della città, ed abitazione esiste una Cattedrale
con 16 fra dignità, e canonici, con otto eddomadari, e con
taluni sacerdoti, e chierici.
In essa si ammira un bel quadro di San Giuseppe fatto con
tutte le regole della pittura da un celebre pittore Spigna della comune del Lacco; e nella sacrestia si osserva un’antica
pittura, e bella assai in tavola, che esprime un vivo combattimento di un Cavaliere con spada su di un coraggioso,
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e spiritoso cavallo con un mostro da dragone, per chi di
già stava esposta, e destinata una donzella; Intanto al forte,
ed invitto Cavaliere venne fatto di ammazzare il dragone,
e così venne liberata la donzella, e forsi quel paese, che
soffriva tale peso.
Ci esiste la Chiesa dello Spirito Santo di dritto di marinari, e dagli stessi governata, che servita da un clero.
Nella stessa ci è una buona, e bella pittura del celebre De
Mattei, esprimente la Madonna delle Grazie coll’anime del
purgatorio; ed un quadro del mentovato Spigna dinotante
l’apparizione dello Spirito Santo agli Apostoli. Siccome ci
è un quadro, in dove tra gli Apostoli spiccano, e risaltano
due celebri teste; una del Salvatore, l’altra di San Pietro: la
pittura è del 17 secolo.
Attaccata alla detta chiesa ci è una congregazione, in
dove li fratelli ascritti si radunano nel giorno di domenica.
Su la villa di Campagnano ci è una buona chiesa dedicata
all’Annunziata.
Molto al di sotto di tale villa ci è la chiesa detta di San
Domenico, perchè governata da Domenicani, ed è molto
antica, e fatta alla gotica: In essa ci erano de tumoli, e delle
iscrizioni, ma al presente nulla si trova. Ciò che ho potuto
raccogliere, si trova trascritto nel ragguaglio della chiesa
d’Ischia.
A vista della Città su di un rialto dell’arso ci è la chiesa
di Sant’Antonio governata dalle monache gentildonne, che
un tempo esistevano sul Castello. Il titolo è della Madonna
delle Grazie.
Nella villa de’ bagni ci è una bella chiesa per uso di quelli
abitanti sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie; e volgarmente la chiesa del purgatorio.
Dove sta la presente cattedrale esisteva un’antica chiesa,
che divenuta diruta, e cadente si dovè formare la nuova
chiesa: La stessa era governata dalli dimessi monaci Agostiniani, che stavano in Ischia prima di mettersi a regola
l’ordine degli Agostiniani, ed erano di quelli dispersi per
l’occidente; i quali ebbero dagli antichi Signori Coscia il
sito, siccome più appresso riceverono la torre, che al presente è campanile.
Nella vecchia, e nella nuova chiesa niuna pietra, e niuna
iscrizione ci era: solo nell’angolo della stessa rimpetto la
fontana, dalla parte di fuori ci è una pietra rozza, che divisa
lo stemma delli Coscia colle barre.
Dove sta costruita la chiesa dello Spirito Santo esisteva
un’antica Cappella d’essi Signori Coscia sotto il titolo di
Santa Sofia, che fu profanata da più di tre secoli: Né della
stessa ci è stata tramandata veruna notizia dinotante alcuna
cosa particolare.Fu il titolo con alcun rudere, e colla dote
traslato in una cappella dell’antica Cattedrale, ma la dote a
peso di certe famiglie non fu corrisposta.
Attaccato alla cennata torre divenuta campanile essendosi fatto uno scavamento, ed al lido del mare, si è trovato
una fabrica con magazini, ne quali ancora esistevano le
porte con catenacci, che dimostravano di uscirsi al livello
del lido, e del mare; Dappoi tale fabrica fu seppellita dalla
sabbia, e dalle pietre sin'al lastraco: Onde si conosce nel
littorale d’Ischia il mare quanto si è elevato, e quanto è
36 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
entrato. La popolazione d’Ischia, e delle sue ville veniva
governata da due eletti, che in ogni anno venivano dal parlamento designati. Essi avevano la facoltà di nominare in
ogni anno un sindaco, che doveva governare, ed amministrare la terra di Forio, ed un altro sindaco, che entrava nel
governo, e nell’amministrazione de’ Casali di Casamicciola, del Lacco, di Fontana, e Serrara, di Barano, e di Testaccio, e tale dritto di nomina derivava dall’antico governo
economico, ed amministrativo, che stava nel Castello, e
che si estendeva per tutta l’isola.
Dopo l’anno 1806 avvenne una mutazione nel governo
economico, ed amministrativo, e nel politico. Si stabilì,
che ogni comune come sopra divisato fusse nell’economia,
e nella grassa governato da un sindaco, e da due Eletti da
eleggersi, e designarsi dal Decurionato succeduto al parlamento; e la di loro procedura, e la reddizione delli conti
erano, come sono soggetti al sottintendente residente in
Pozzuoli, ed all’Intendente di Napoli.
Parimenti di un solo governatore, e giudice se ne formarono, e stabilirono due giudici, che dell’Isola si formarono
due Circondari, uno d’Ischia con Barano, Testaccio, Fontana, e Serrara: l’altro di Forio col Lacco, e Casamicciola.
Prima del 1806 il Governo amministrativo col rendimento
de’ conti stava soggetto ad un Sopraintendente Capo Rota
del Sacro Regio Consiglio.
Dal littorale del monte di Campagnano tirandosi per
spiaggia romana, per il ninfario, per la costa, sin al Castello, dal Castello per il lido della Città, della spiaggia di
Sant’Antonio, per il littorale delle cremate, della spiaggia
della villa de’ bagni, del colle di San Pietro, e dell’altro colle rimpetto, ove sta sito il Real Casino che del littorale di S.
Alessandro, onde viene l’acqua minerale di Fornello, e di
Fontana, ci erano tante acque minerali, e sorgive, le quali
si sono tutte perdute, attesoche il mare essendo entrato di
molto in dentro, l’have tutte occupate, ed assorbite; in maniera che nuotandosi circa quattro passi dentro il mare, si
osservano le acque calde, e le sorgive calorose.
Nel divisato territorio del Pontano poco discosto dall’arso
ci è un largo pezzo, nel di cui fondo scaturisce un’acqua
minerale limpida, ed atta a beversi, ed have la virtù di far
cacciare li calcoli, e di sminuzzare la pietra, che di sanare
il dolore de reni.
Strabone in generale fa menzione di tali attività, ed effetti
profigui ne’ minerali dell’isola.
Nella riva del divisato lago, e nel laterale verso il sud,
che è una falda di certi colli, e monti, ci sono delle molti
visibili sorgive di acque minerali, ma in particolare ci sono
le perenni, ed abbondanti acque, che formano de’ bagni.
II - Continua
Viaggio in...
Tibet
...
...
Andare sul tetto
del mondo è un’esperienza unica e indimenticabile
Testo e foto di
Carmine Negro
«Il 22enne Tsering Tashi, conosciuto anche come Tsebe, si è dato fuoco
nella città di Achok, nella prefettura
di Kanlho (Gannan per i cinesi), nella provincia cinese del Gansu, alle 13
circa del 12 gennaio 2013 e lì e morto
poco dopo a causa delle ferite riportate. Dandosi fuoco, il giovane ha urlato
slogan per la liberazione del Tibet e in
favore del ritorno del Dalai Lama».
Leggo su un vecchio foglio di giornale
l’annuncio della morte di Tsebe e mi
ritornano alla mente le immagini e le
emozioni di un viaggio che mi hanno
segnato e che ho rimosso, come tanti
occidentali che ascoltano le ultime che
provengono da questa parte del mondo e aspettano che le notizie si sbiadiscano come i fogli dei giornali che le
riportano.
Eppure andare sul tetto del mondo è
un’esperienza unica e indimenticabile.
L’aria rarefatta e frizzante, i versanti
delle montagne punteggiati e animati
dai tanti Yak al pascolo, le cime delle montagne più alte del mondo, i laghi, incastonati tra le montagne di un
intenso cobalto, le acque dei grandi
fiumi sacri che iniziano la loro corsa
verso le grandi pianure smarriscono i
sensi, colorano il viaggio di atmosfere
magiche e misteriose. L’incontro con
una terra che concentra tanti primati
diventa una esperienza, piena di attrazione, fascino e ricca di avvenimenti e,
proprio per questo, difficile da tradurre in parole. Si ha la sensazione di non
riuscire a descrivere l’evento-viaggio
senza sminuirlo, di non riuscire a con-
dividere una esperienza che coinvolge
sentimenti, impressioni e stati d’animo senza trasformare la natura stessa
del viaggio che da collettivo diventa
intimo e personale. Girando l’altopiano in lungo e in largo si può osservare certo l’aspetto “turistico”, presente
nelle principali città ma soprattutto si
può scrutare quello meno conosciuto,
ma ugualmente interessante dei piccoli villaggi: vere e proprie realtà fuori
dal mondo. Se è vero che si resta incantati dai paesaggi, impressionanti
e mozzafiato, si è soprattutto attratti
e conquistati dagli usi e dai costumi
della vita quotidiana, dai monasteri e
dalla loro arte che dicono di un popolo
mite, che utilizza il corpo come strumento privilegiato di relazione e un
sorriso discreto, cordiale e contagioso
per raccontare una cultura millenaria
profondamente legata al buddismo
che è più una filosofia di vita che una
religione. I tibetani hanno la leggendaria caratteristica di saper sopravvivere a temperature molto fredde e notevoli altitudini, come quelle presenti
negli altopiani del Tibet. Alcuni scienziati hanno affermato di aver isolato
il gene responsabile di questo speciale
adattamento; un gene che migliora
la saturazione dell’ossigeno nell’emoglobina e responsabile di un’altra
peculiarità: la crescita dei bambini tibetani, molto più rapida di quella dei
bambini di altre etnie asiatiche. Il Tibet Paleolithic Project sta studiando
la colonizzazione degli altopiani del
Tibet risalente all’età della pietra, nella speranza di poter trovare e isolare
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
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definitivamente le cause della straordinaria adattabilità del popolo tibetano ad ambienti così estremi. Il rapporto intenso e viscerale dei tibetani con
la loro terra cementato da una religiosità, fatta di spiriti e demoni, testimoni
del forte legame con la natura che li
circonda, che preesiste al buddhismo
e che il buddismo ha saputo ereditare nei suoi insegnamenti e conservare
nei suoi templi, rappresenta l’identità
non negoziabile di questo popolo, una
ricchezza che appartiene all’umanità.
Un’agenzia del 21 luglio 2013 riporta
che Kunchok Sonam, monaco tibetano di 18 anni, è morto dopo essersi dato fuoco per protestare contro
l’oppressione di Pechino, fuori da un
monastero nella prefettura cinese di
Aba, nella provincia di Sichuan. Una
volta esanime, altri monaci avrebbero
impedito alla polizia di impadronirsi
del cadavere e di portarlo via. Dal febbraio del 2009 sono stati 120 i monaci
che hanno manifestato in questo modo
rabbia contro la repressione che il regime comunista esercita in Tibet. Una
notizia che deve invitare a riflettere le
autorità di Pechino, la comunità internazionale, ciascuno di noi.
.. Un'esperienza che coinvolge sentimenti, impressioni, stati d'animo in un viaggio che da collettivo diventa intimo e personale..
“Sono le 17,00 e giovani monaci
nelle loro vesti rosse riempiono
il cortile dei dibattiti del collegio
Sera. Alcuni sono seduti, altri partecipano in piedi con il corpo e rumorosi battimani alle discussioni
sulle teorie apprese negli studi”.
Nei pressi di Lhasa, capitale del Tibet, si trova il complesso monastico di
Sera fondato nel 1419. All’epoca della
sua massima espansione Sera ospitava
cinque collegi per l’insegnamento. Divenne ben presto una delle istituzioni
più importanti del buddhismo tibetano,
un centro rinomato per l’approfondimento della conoscenza della dottrina
di Buddha attraverso lo studio dei sutra, dei tantra e delle pratiche rituali,
dell’arte e della letteratura sacra. Nel
1959, anno dell’invasione cinese del
Tibet i collegi erano ridotti a tre: Sera
Me, dedicato ai precetti fondamentali
del buddhismo, Sera Je, preposto all’istruzione dei monaci provenienti dal
remoto Tibet centrale e Sera Ngagpa
adibito agli studi tantrici. I monaci, un
tempo numerosissimi (circa 5000), ora
sono stati ridotti a poche centinaia. Sera
non subì gravi danni nel decennio della
Rivoluzione Culturale, anche se parecchi collegi minori andarono distrutti e i
lavori di restauro dei restanti edifici non
sono ancora stati terminati. Nel cortile dei dibattiti tra le 15.00 e le 17.00 i
monaci si riuniscono a discutere. Non è
difficile arrivarci, basta farsi guidare dai
suoni dei battimani, che sottolineano i
momenti essenziali delle discussioni.
È un vero spettacolo assistere a queste
discussioni dove gli allievi giovani e i
meno giovani si confrontano scandendo
le parole con fragorosi battimani che
38 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
animano il confronto sotto l’occhio attento e vigile dei docenti seduti a cerchio in un angolo.
Nel 1969 Sera Me venne rifondato
nel sud dell’India. Attualmente è uno
dei centri più attivi per lo studio e la
formazione del buddhismo tibetano. Lo
spettacolo proposto dai monaci del monastero di Sera Me è molto ricco e comprende una serie di danze che celebrano
in special modo gli animali sacri del
buddismo tibetano: il leone delle nevi,
lo yak e il cervo, nonché la storia e le
leggende di quella cultura. I dieci monaci di Sera Me sono diretti dal Lama
Kyabje Gosok Rinpoce, una delle personalità più importanti della tradizione
monastica detta “Gelugpa”.
“Pervaso dall’odore intenso del
burro di yak e animato dal mormorio sommesso dei pellegrini che
recitano i mantra il Jokhang, fatto
costruire dal re Songtsen per custodire le statue di Buddha della
sposa nepalese e della sposa cinese, è l’edificio più sacro e venerato
del Tibet”.
Situato nel cuore della città vecchia
di Lhasa il Barkhor è un quadrilatero di
strade che circondano il Jokhang l’edificio sacro più venerato del Tibet. Tradizionali case in stile tibetano e diversi
piccoli templi fiancheggiano la strada
ricca di negozi e bancarelle dove è possibile acquistare oggetti di devozione
come ruote e bandiere di preghiera, statue buddhiste, dipinti, ciotole, campane,
incenso ma anche prodotti tipici come
coltelli, pelletteria, abbigliamento, tappeti e borse.
Tanti pellegrini provenienti da terre
lontane del Tibet girano in senso orario
intorno alla strada, alcuni intonano canti
altri si prostrano alla fine del loro viaggio al sacro tempio di Jokhang. Alcuni
nomadi si avvicinano alle bancarelle per
toccare e valutare un pugnale tempestato di pietre preziose e grossi anelli di
osso di yak mentre alcune donne ornate
con cinture d’argento sono attratte da
orecchini, collane, fili turchesi e coralli
intrecciati. Più avanti anziane signore
fanno girare instancabilmente la “ruota
della preghiera” mentre monaci sorridenti seduti a gambe incrociate sulle
pietre del selciato recitano mantra davanti alla loro ciotola delle elemosine.
La ricchezza delle merci, la miriade di
colori, la moltitudine di etnie danno l’illusione di trovarsi nell’antico Tibet; tre
posti di blocco di soldati cinesi, lungo il
percorso, con mitra, elmetti ed estintori
deterrente per sedare eventuali proteste
di fuoco, riportano velocemente nella
realtà.
Il Tempio Jokhang, il primo e più sacro tempio buddhista in Tibet, presenta
differenti caratteristiche architettoniche:
indiane, cinesi e nepalesi. Per tutto l’anno moltissimi buddhisti tibetani vengono in pellegrinaggio da tutto il Tibet e
altre province come Qinghai, Gansu e
Mongolia Interna, solo per visitare questo tempio.
Il grande Re Tibetano del Regno di
Tubo, Songtsen Gampo (617-650 d.C.),
sposò la Principessa nepalese Tritsun e
la Principessa cinese Wencheng, ognuna
delle quali portò in Tibet una statua di
Sakyamuni.
A quel tempo c’erano pochi edifici e
la maggior parte delle persone vivevano in tende. Per adorare e conservare
queste preziosissime statue, e diffondere il buddismo in una zona inospitale, la principessa Wencheng suggerì
di costruire due templi; la sua scelta
ricadde sul lago Wothang, che dovette
essere prosciugato e interrato. Secondo
la leggenda una enorme diavolessa era
distesa in posizione supina lungo tutto
l’altipiano e fu proprio la principessa
Wencheng ad intuire la presenza, in
quel luogo, di questa creatura malefica.
Secondo calcoli basati sulla geomanzia
cinese, il cuore della diavolessa giaceva
sotto le acque del lago, mentre il busto
e gli arti erano molto lontani, nelle zone
esterne dell’altopiano. Come in tutti i
miti questa figura si presta ad una interpretazione in chiave simbolica: rappresenterebbe la natura inospitale del
Tibet ma anche l’ostilità del clero bön
alla diffusione della nuova religione.
La religione bön era una fede popolare
sciamanica incentrata su figure di spiriti
e demoni. Per poter radicare il buddhi-
smo nel paese era necessario immobilizzare la diavolessa. Per neutralizzarla
si decise di svuotare il lago di tutta l’acqua che conteneva (la linfa vitale della
diavolessa) costruire nel centro del lago
prosciugato un tempio buddista: sorse
così il Jokhang. Trafiggere il cuore di
una creatura malvagia, di tali dimensioni, non bastava il passo successivo
fu quello di erigere una serie di templi
minori, disposti in tre cerchi concentrici, per immobilizzare le estremità della
diavolessa. Bianche capre furono impiegate per portare sabbia e terra nel lago in
modo da riempirlo. Per commemorare
l’enorme lavoro svolto da queste capre,
il Tempio Jokhang venne inizialmente
chiamato Rasa, che in tibetano significa “capre che portano la terra”. Ancora
oggi in una delle sale si trova la statua
di una capra, ricoperta d’oro e venerata
come una divinità.
Si dice ci siano solo tre statue di
Sakyamuni a grandezza naturale in
tutto il mondo che vennero modellate
sul reale aspetto di Sakyamuni all’età
di otto, venti e venticinque anni, tutte
conservate in India originariamente.
La statua di Sakyamuni a otto anni che
la principessa Tritsun portò a Lhasa fu
danneggiata, ed ora non è più integra.
Quella di Sakyamuni venticinquenne fu
persa. Quella che lo ritrae a vent’anni è
la più preziosa e raffinata delle tre. La
principessa Wencheng ci mise tre anni
a portare la statua da Chang’an a Lhasa.
Il valore spirituale e culturale della statua è incalcolabile. I buddhisti tibetani
fanno moltissima strada per venire ad
adorarla, non tanto perché è una reliquia
culturale ma perché sono convinti che
la statua rappresenti le esatte sembianze di Sakyamuni di 2500 anni fa ed è
un’opportunità unica quella di osservare
il viso della divinità. Lhasa è una città
sacra in parte anche per questa statua.
Il tempio Jokhang non è subordinato ad
alcuna setta buddhista, ed è da sempre
il luogo dove si sono tenute le maggiori
cerimonie buddhiste in Tibet. Le Cerimonie d’Iniziazione del Dalai Lama si
tenevano in questo tempio e come ogni
anno è qui che si tiene il Festival della
Grande Preghiera. Nel secondo cortile
una dozzina di monaci sono intenti nelle
loro funzioni religiose; colpiscono dolcezza e originalità della preghiera. Alcuni gesti, come gettare all’aria grani d’orzo per tenere lontani gli spiriti del male
risentono dell’antica tradizione religiosa
bön.
Fuori il monastero di Jokhang
è avvolto dai fumi d’incenso. Un
recinto racchiude la stele-trattato
sino-tibetano dell’822 sul rispetto
dei confini. La base presenta molte scalfitture. Ai tempi del vaiolo,
come rimedio, veniva graffiata e
ingerita.
Fuori dell’entrata al Jokhang, l’ingresso appare avvolto da fiumi d’incenso che
provengono da due panciuti incensieri
(sangkang in lingua tibetana). In questo
luogo i tibetani si raccolgono per le preghiere, prostrandosi ripetutamente, prima di entrare. Il rito comprende orazioni
in piedi, orazioni con le mani davanti al
viso e poi inginocchiati in una posizione
scorrevole prima di assumere una posiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013
39
zione completamente bocconi. Le continue prostrazioni: stendersi carponi sul
selciato, rialzarsi per poi ridistendervisi
nell’atto della preghiera, di pellegrini,
donne, anziani e bambini hanno, nei secoli, completamente lucidato le grosse
pietre del selciato. Dietro gli incensieri,
guardando la piazza, vi sono due recinti. Il primo custodisce una stele su cui
sono incise le clausole del trattato sinotibetano dell’822: l’iscrizione, ironia
della storia, sancisce l’impegno reciproco delle due nazioni vicine a rispettare
i confini convenuti. Il secondo ospita il
ceppo di un antico salice chiamato “capelli del Jowo” che la tradizione vuole
sia stato piantato dalla principessa Wencheng, moglie cinese del re Songtsen
Gampo oltre ad una stele che ricorda
le vittime del vaiolo del 1793. L’ampia
piazza che per la sua posizione centrale
è divenuto il fulcro delle manifestazioni
di proteste politiche e in diverse occasioni, teatro di scontri cruenti tra cinesi
e tibetani è sorvegliata in più punti da
molti soldati. Sono muniti oltre che di
elmetti, bastoni ed armi soprattutto da
tanti estintori. Mentre stiamo seduti su
un muretto sulla via Yuthok Lam, situata di fronte alla piazza, un gruppo di
soldati, in fila, ci passa davanti per dare
il cambio ai propri compagni; tutti sono
muniti di un estintore. Dall’altra parte
un bambino gioca con il suo papà con
la macchinina elettrica che attraversa la
strada in lungo e in largo. Dalla parte
opposta un gruppo di pellegrini fa girare imperterrito la ruota della preghiera e
recita in modo corale e determinato Om
Mani Padme Hum.
Carmine Negro
Ischia Ponte - Galleria Ielasi
Dal 3 al 31 agosto 2013 mostra di pittura moderna
Saranno esposte opere di:
Enrico Baj - Leonardo Cremonini - Wilfred Lam - Arnaldo Pomodoro
40 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia
A cura di Agostino Di Lustro
I luoghi sacri de "Li Bagni" di Ischia
Il nostro giro di presentazione dei luoghi di culto
esistenti sulla nostra Isola nei secoli XVI e XVII, con
particolare riferimento alla Platea del vescovo Innico
d’Avalos1, da questo numero si interesserà del territorio orientale dell’Isola, e più propriamente di quello
dell’attuale comune di Ischia. Per meglio procedere
nella nostra indagine, dividiamo il territorio in quattro
zone: Il Bagno o I Bagni o ancora Villa dei Bagni,
come veniva chiamata la zona dell’odierna Ischia Porto; Campagnano, la zona collinare di Sud–Est; il Borgo di Celsa, con le sue immediate adiacenze; la città
vera e propria, cioè il Castello.
Il toponimo Il Bagno – Li Bagni – Villa dei Bagni
indica la zona dell’attuale comune di Ischia, dal confine con il territorio dell’università di Casamicciola fino
al limitare della zona interessata dalla colata dell’Arso
dell’ultima eruzione del 1300-1303.
Questo toponimo si giustifica con la presenza nella
zona di varie sorgenti termali, alcune già famose nei
secoli del medioevo come quella chiamata de Lacu. I
bagni di Fornello e Fontana, famosa già nel sec. XIII
come ci attesta il manoscritto n. 1502 della Biblioteca
Angelica di Roma2 di un «Iohannes medicus Gregorii medici filius», il quale voleva «salvare dall’oblio le
esperienze dei medici antichi»3.
1) Si tratta sempre della prima relazione ad limina di questo vescovo, prima in assoluto per la chiesa di Ischia, presentata nel 1598.
Il documento, che si trova nell’Archivio della Congregazione del
Concilio ( C.C.P.) relazioni dei vescovi di Ischia, è pubblicato da
P. Lopez, Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della controriforma, Napoli Adriano Gallina Editore 1991, pp. 209-223.
2) Il codice ricorda cinque bagni dell’isola d’Ischia: «Balneum de
Vico, Balneum de Lacu, Balneum quod dicitur Castrum, Balneum
de Cithara, Balneum Subcellarium». Il testo si trova in: P. Giacosa,
Magistri Salernitani nondum editi. Catalogo ragionato della Esposizione di Storia della medicina aperta in Torino nel 1898, Torino
1901, pp. 334-343.
3) P. Buchner, Giulio Iasolino, Milano, Rizzoli Editore 1958 p. 85.
Sul medico Giovanni, figlio del medico Gregorio, non abbiamo
alcuna notizia. Il Buchner aggiunge a tal proposito «Non sappiamo né dimostrare né escludere che questo medico Giovanni sia da
identificare con Giovanni da Casamicciola, medico personale di
Carlo I d’Angiò, professore primario della Università di Napoli,
Conte Palatino e Consigliere. Non esistono pubblicazioni sue e la
sua dottrina e terapia si rispecchia soltanto nelle opere del suo
famoso allievo Arnaldo da Villanova» (Ibidem, p. 86). Nei Registri
Il toponimo compare per la prima volta - mea scientia – nel 1455 in una bolla di Callisto III con la quale il
papa dispone che il Capitolo della cattedrale e il clero
della chiesa di Ischia possano concedere in enfiteusi a
un certo tempo alcuni beni senza richiedere ulteriori
autorizzazioni alla Santa Sede. Tra questi beni ce n’è
uno ubicato ai Bagni come consta da una pergamena
originale «che si conservava nell’archivio del Capitolo da me veduta il 15 agosto 1741»4.
Non abbiamo notizie sul popolamento della zona nel
periodo più antico perché la popolazione si incrementò
particolarmente a partire dal secolo XVIII. È certo però
che sulla collina di S. Alessandro, che costituisce il braccio occidentale dell’antico lago, già nel secolo XIII, si
sviluppa un piccolo agglomerato di case del quale esistono ancora notevoli testimonianze, sebbene negli ultimi
decenni siano state gravemente alterate se non in parte
distrutte. Tra l’altro da una facciata sono scomparse due
piccole colonne di marmo bianco del periodo durazzesco, che si trovavano sulla chiave di volta della porta di
un ambiente seminterrato. In quello che resta dell’antico
agglomerato si possono ancora ammirare degli ambienti coperti da una possente volta a botte. Questo piccolo
villaggio costituisce una della poche testimonianze architettoniche medioevali presenti sull’Isola e giunte fino a
noi insieme con quanto ancora riusciamo a vedere tra i
ruderi della cattedrale del castello e la crociera centrale
della volta della chiesa del Soccorso a Forio.
Il centro del piccolo villaggio è costituito dalla cappella
di S. Alessandro con la sua tipica struttura a volta a botte e
la facciata a capanna di pretto impianto medioevale. Nelle
mura della chiesetta e delle costruzioni che la circondano
spesso si scorgono frammenti di ceramica. La «più vicina
al periodo altomedioevale è quella di tipo magrebino con
girali sul bordo dei piatti, datata tra il XII e inizi XIII secolo»5. La modesta cappella si appoggia ad un cospicuo
agglomerato di case ed è costruita con grandi frammenti
d’un pavimento in coccio pesto. Il portone principale di
Angioini sono numerosi i documenti che si riferiscono a lui fino al
1282, probabile anno della sua morte.
4) Cfr. Platea delli territori de’ Signori Polverino… conservata
nella Biblioteca Antoniana d’Ischia (B.A.I).
5) P. Monti, Ischia altomedioevale, Cercola Officine Grafiche della
Grafitalia 1991, p. 263; Ischia Archeologia e storia, Napoli Linotipografia Fratelli Porzio 1980, pp. 440-41.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
41
questo complesso durrazzesco, oggi nascosto in un misero cortiletto, non trova paragone sull’Isola»6.
La cappella già esisteva nel 1326, come ci attesta la
nota della «Platea Buonocore»: «Il monte di S. Alessandro è così denominato da una cappelletta sotto l’invocazione del detto Santo che ivi si ritrova e presentemente è beneficio de jure patronatus de’ Signori de Manso,
ma vanta la sua fondazione ancor prima dell’anno 1326
come da una pergamena che si conserva nell’Archivio
del Capitolo d’Ischia appare e nella stessa sono nominati
i cappellani di S. Alessandro sopra il lago di Ischia»7.
Nell’Archivio Storico Diocesano di Ischia è conservata
la copia di un «titulus»8 pontificio che qui si trascrive per
la prima volta:
Archivio Storico Diocesano di Ischia
Fondo: Chiese del Comune di Ischia
Bonifacius Episcopus Servus Servorum Dei dilecto filio Nicolao de Manzo Canonico Isclano salutem et
Apostolicam Benedictionem Sincera devotionis affectus
quem ad Nos et Romanam geris Ecclesiam promeretur
ac votis tuis illis pressertim que ecclesiarum utilitatem et
divini cultus augumentum concernunt faurabiliter annuamus. Exhibita siquidem nobis nuper pro parte tua petitio continebat quod ecclesia sine cura Sancti Alexandri
Isclani irreparabilem minatur ruinam adeo quod nisi de
dirituatur et de novo reficiatur non est ad illam tutus accessus et pro huiusmodi dirutione et reedificatione dicte
ecclesie…….expense necessarie persistunt tuque cupiens
terrena in celestia et transitoria eterna felici commercio
commutare ecclesiam predictam diruere, et tuis propriis
sumptibus et expensis eam de novo decenter reedificare
seu dirni et redifi facere proponis. Quare pro parte tua
nobis fuit humiliter supplicatum ut tibi dirnendi et edificandi ecclesiam predictam licenzia concedere ac hjure
patronatus et presentandi rectorem ad ipsam ecclesiam
quoties eam vacare contigerit tibi ac heredibus tuis preservare in perpetuum reservare in perpetuum nos igitur
pium propositum plurimum in Domino commendantes
huiusmodi supplicationibus inclinati tibi diruendi et decenter reedificandi, seu dirui et reedificare faciendi, ut
prefertur licentiam elargimur iure Patronatus hiusmodi
ad presentandi rectorem ad eandem ecclesiam postquam
per te reedificare fuerit ut prefertur quoties eam vacare
contigerit tibi et heredibus huiusmodi in perpetuum reservatus nulli ergo omnino hominum liceat hanc papinam
nostre concessionis infrangere vel ei causa temerario
6) P. Buchner, Il protomedico Francesco Buonocore ( 1689-1768)
e il suo casino sopra l’odierno porto d’Ischia, In: Ricerche contributi e memorie, atti del Centro di Studi su l’Isola d’Ischia I, atti
relativi al periodo 1944-1970 a cura del l’Ente Valorizzazione Isola
d’Ischia, Napoli 1971, p. 133.
7) B.A.I. :Platea Buonocore cit. p. 1.
8) Cfr. A. Di Lustro, Gli archivi dell’isola d’Ischia, in Ricerche
contributi e memorie vol. II, Napoli 1984, p. 121.
42 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
contraire si quis autem hoc attempare presumpserit incasurum Datum Rome apud Sanctum Petrum XII Kalendas
iunii pontificatus nostri anno sexto.
Questo documento presenta in modo parziale la data
cronologica, dal momento che indica solo l’anno sesto di
pontificato di un papa Bonifacio. Questi non può non
essere che papa Bonifacio IX, cioè Pietro Tomacelli, nato
a Napoli da una famiglia aristocratica intorno al 1350,
creato cardinale diacono di S. Giorgio nel 1381 da papa
Urbano VI, anch’egli napoletano, e poi nel 1385 cardinale presbitero di S. Anastasia. Eletto al sommo pontificato
il 2 novembre 1389, morì il 1° ottobre 14049, per cui il
documento, datato 21 maggio (duodecimo Kalendas junii) anno sesto del suo pontificato, corrisponde al 1395.
Se accettiamo la notizia della Platea Buonocore che pone
le origini della cappella di S. Alessandro anteriormente
al 1326, come abbiamo già detto10, dobbiamo rettificare
l’affermazione del Monti che, invece, la vuole edificata
proprio nell’anno 132611. La struttura odierna della chiesetta risale certamente alla fine del secolo XIV, come ci
indica sia la caratteristica facciata a capanna che la profonda volta a botte della navata. Essa non è servita per
le celebrazioni liturgiche di un vasto pubblico, che non
c’era nella zona, ma solo la famiglia che ne era patrona
e qualche altra famiglia contadina che viveva ai margini
del piccolo villaggio medioevale. Tuttavia è stata sempre
efficiente tanto che il vescovo d’Avalos può scrivere di
essa nella sua «Platea» del 1598: «Ancor fuori della città
vi è la cappella di Santo Alexandro, è jus patronato di
casa di Manso, si possede per il sopradetto (D. Col’Antonio Garrica)»12. Meraviglia il fatto che la chiesa, di patronato della famiglia di Manso, risulti affidata ad un prete
esponente di altra famiglia. Certamente ciò non è dovuto
alla mancanza di un ecclesiastico nella famiglia di Manso
perché lo stesso vescovo ne cita qualcuno come possessore di altri benefici come Giovan Tommaso di Manso che
risulta essere titolare della cappella di S. Leonardo nella
grotta di accesso alla città di patronato della famiglia del
vescovo Pastineo. Il Nicola Antonio Garrica di S. Alessandro risulta ancora essere canonico della cattedrale. Gli
«Atti beneficiali…» non presentano particolari notizie
su questa cappella dal momento che ricordano solo una
relazione non datata sui redditi della cappella e gli atti
9) J.N.D. Kelly, Vite dei Papi, Casale Monferrato Piemme 1989,
pp. 388-39; C. Rendina, I Papi, Roma, Newton Compton Editori,
ed. 2005, pp. 550-554.
10) Platea Buonocore, cit. f. 1 r.
11) P. Monti, op. cit . pp. 440-41.
12) P. Lopez, op. cit. p. 217.
13) «Notamento degli atti beneficiali della città e diocesi d’Ischia»
in A.D.I. f. 32: «Ischia = Relatio reddituum semplicis beneficij
S. Alexandri in pertinentijs suburgij Celse in loco dicto li bagni,
de jure patronatus de familia de Manso folia scripta n.8; Ischia
1754= Acta Institutionis semplicis Beneficij sub titulo S. Alexandri
in loco dicto li bagni, de jure patronatus familie de Manso, favore
clerici D. Pascalis de Manso per dimissionem clerici D. Cajetani
de Manso folia scripta n. 26».
per l’assegnazione del beneficio al chierico Gaetano di
Manso13. L’Onorato, parlando della famiglia di Manso,
ricorda «Carlo de Manso di antica, e cospicua famiglia
derivante da Benevento, visse nel secolo 17, e morì nel dì
16 di agosto 1703. Egli colle sue poetiche composizioni,
cioè colli sonetti, e colle canzoni si rese degno del nome
di Petrarca. Ancora fece delle composizioni poetiche in
lingua calabrese, e siciliana; ed io ne’ zibaldoni ci lessi
delle molto belle, ed erudite composizioni. Gli eredi niun
conto facendone, non hanno curato tanto le carte degne
di memoria di quest’onorato cittadino, quanto altre carte, della casa, e famiglia, le quali molto influivano per li
lumi di molti secoli scorsi in rapporto alla Città d’Ischia,
e di lei rami; E’ certo che tal valentuomo stava benvero
inteso della filosofia»14. Uomo «onorato, dottore e poeta - aggiunge l’Onorato - mentre era secretario dell’Università d’Ischia, giunto all’ultimo periodo della morte
avvenuta nel dì 16 de agosto dell’anno 1703 solennemente, legalmente diede, e consegnò in un carrettino riposte
all’eletto Sig. Marco Basso ventiquattro reali diplomi, tra
quali esisteva un antichissimo diploma scritto a lettere
d’oro in lingua arabica. Ma questi, ed altri diplomi, e
tante onorate carte, che libri di parlamenti, ed antiche
scritture più non esistono, e non si trovano, né taluno di
quelli superbi, e presunti cittadini pensò mai trascriverne alcun contenuto, o senno, o notizia per li posteri. Essendo avvenuto, che il governo, e l’amministrazione da
essi nomati cittadini passò al popolo15, per un dispetto
avanzandosi la grassa ignoranza, furono lacerate, ed impiegate per uso del focolare, della pippa, e d’altro. Solo
nei quinterni della Camera della Sommaria, ed in quelli
processi si trovano certi lumi, e certe grazie trascritte»16.
Le chiese oggi esistenti nella zona del Porto d’Ischia
sono state fondate nei secoli successivi al vescovo d’Avalos per cui non sono citate nella sua Platea. Infatti
la chiesa del Purgatorio, oggi detta di S. Pietro, è stata
inaugurata nel 1781 e costruita negli anni precedenti17;
14) V. Onorato, Ragguaglio istorico-topografico dell’isola d’Ischia, Napoli, Biblioteca Nazionale (B.N.N. ) manoscritto 439 del
fondo S. Martino, f. 70 v.
15) Per qualche notizia su questo aspetto, cfr. A. Di Lustro, I Marinai di Celsa e la loro chiesa dello Spirito santo ad Ischia, Forio,
Tip. Puntostampa 2003, pp. 82-88. Purtroppo episodi analoghi si
sono verificati anche in tempi molto vicini a noi negli archivi particolarmente dei nostri comuni i cui amministratori, certamente,
sono da considerarsi… benemeriti della cultura per il modo come
hanno da sempre custodito i documenti dei vari comuni, compresa
l’anagrafe. Per questi loro……acquisiti meriti – mea quidem sententia! – andrebbero arrestati e condannati a carcere severissimo
per gravissimi delitti da loro perpetrati contro la nostra storia.
16) V. Onorato, op. cit. f. 66 r.
17) Sulla chiesa di S. Pietro d’Ischia, cfr. F. P. Salvati, Architettura dell’Isola d’Ischia, Napoli Casa Editrice Raffaele Pironti e figli
1947; A. Venditti, Note sull’ architettura ischitana, La chiesa di
S. Pietro a Porto d’Ischia, in Napoli Nobilissima vol. III fascicoli
III-IV; A Di Lustro, La confraternita di Visitapoveri a Forio, S.
Giovanni in Persiceto Li Causi Editori, 1983; I. Delizia, Ischia, l’identità negata, Napoli Esi 1988, pp. 29-31.
quella di Portosalvo, voluta da Francesco II di Borbone e
inaugurata nel 185618, mentre quella di S. Ciro a Via delle
Terme fu fondata nel 192619.
Della chiesa di S. Pietro a Pantaniello, che si trovava
sulla collina omonima, parleremo diffusamente quando
giungeremo sul castello, per presentare una visione completa della vicenda del monumento.
Sebbene posteriori all’episcopato di Innico d’Avalos
e non incluse nella sua Platea, penso sia utile ricordare
almeno alcune cappelle, molto piccole, costruite da alcune famiglie nei propri possedimenti nella zona di Villa
dei Bagni, ricordate anche dall’Onorato nella sua opera.
Questi infatti afferma: «Nella medesima Villa vi è ancora un’antica cappella sotto il titolo della Madonna delle
Grazie, ove in ogni festa si celebra la messa; spettante
alli de Angelis»20. Le pochissime fonti documentarie su
questa cappella divergono tra loro nell’indicazione del
titolo. Infatti nel «Notamento degli atti beneficiali...»,
leggiamo: «Ischia 1691= Fundatio, et dotatio capelle ruralis sub titulo Sancte Marie Gratiarum erecte a Stephano de Angelis in loco ubi dicitur li bagni, ac nominatio
pro capellano ad nutum favore D. Nicolai Granato folia
scripta n. 8»21. La «Platea Buonocore», invece, riporta
un’altra notizia più precisa della precedente: «Nell’anno
1691 circa fu da Stefano de Angelis fondata la cappella
di S. Maria della Pietà fabricata nelli territori al detto
Stefano, e suoi antecessori concessi dai Signori Polverino. Nel detto anno 1691 mediante istromento del primo
giugno per il notar Giuseppe Filisdeo22 il detto Stefano dichiara publica la via per la quale si va alla detta
cappella, come dall’istromento riferito alla pagina 21
e nello stesso giorno anno mese e per lo stesso notaro
il nominato Stefano de Angelis assegna per dote della
detta cappella e per essa al cappellano eligendo da noi
eredi annui ducati tredici»23. La relazione ad limina del
vescovo Nicola Antonio Schiaffinati del 1739, che pure
cita diverse cappelle e benefici, non ne ricorda alcuna per
la zona dei Bagni, ma ci fornisce un’altra notizia importante: «Ad predictum Parochum (di S. Vito di Celsa con
sede nella chiesa dello Spirito Santo) pertinet sacramen18) Su questa chiesa cfr. G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia,
Napoli presso G. Argenio 1867, pp.449-450; O. Buonocore, Festosa consacrazione del monumentale tempio di Portosalvo nella Villa dei Bagni, Napoli 1959; I. Delizia, op. cit. pp. 233-34; N.
d’Arbitrio - L. Ziviello, I Borboni a Ischia, Edisa Napoli 2000;
La cronaca della benedizione della chiesa del cancelliere vescovile
Antonio Sassone, si può leggere in : Liber ordinatorum ab anno
1847 ad annum 1874. Si trova nell’A.D.I.
19) Cfr. in A.D.I. la cartella sulla parrocchia.
20) V. Onorato, op. cit. f. 163 r.
21) A.D.I., Notamento cit. f. 31 v.
22) Del notaio Giuseppe Filisdeo non esiste più la scheda degli
atti da lui rogati. L’atto più antico di cui ho trovato notizia risale
al 22 settembre 1662 (A.S.N. fondo: Corporazioni Religiose Soppresse – C.R.S. – fascio 878, f. 89), mentre il più recente è quello
qui indicato.
23) B.A.I, Platea Buonocore, cit. f. 103.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
43
ta administrare quibusdam Parochianis numero 260, qui
incolunt locum vulgo dictum li Bagni asperamque viam
a suburbio dissitum, ac penitus separatum, in quo nulla adest ecclesia preter duas angustias in loco campetri
sitas capellas de jure patronatus laicorum»24. Quella del
successore Felice Amato del 12 aprile 1747 afferma tra
l’altro: «Sunt quoque in dicto suburbio quatuor capelle
pro comoditate habitantium in dispersis locis: alia sub
invocazione sancti Alexandri, in qua est erectum simplex
Beneficium sub dicto titulo de jure patronatus familie de
Angelis…»25. Gli atti della visita pastorale del pro vicario
capitolare Bartolomeo Mennella del 1802, oltre a parlare
della chiesa del Purgatorio, cioè di quella oggi chiamata
Chiesa di S. Pietro, che era succursale della parrocchia
di S. Vito di Celsa, per la zona dei Bagni ci presenta due
cappelle che egli visitò l’8 aprile 1802. Della prima dice:
«…visitavit capellam ruralem sub titulo Sancti Stephani
jure Patronatus de familia de Angelis… .dicta capella sita
est in Villa Balneorum huius civitatis… eademque supradicta die Visitavit capellam ruralem sub titulo Sancti
Michaelis Arcangeli, jure Patronatus de familia di Meglio»26. La visita pastorale successiva effettuata nel 1820
dal vescovo Giuseppe d’Amante, invece, dice che il vescovo il 25 aprile 1820 visitò «Ecclesias rurales dictae
Villae Balneorum Civitatis Ischiae…cappellam sub titulo
sancti Michaelis Arcangeli de jure patronatus Domini
Sylvestri de Meglio et….capellam sub titulo Sanctae Mariae Gratiarum de jure patronatus familiae de Angelis»;
e visita anche la cappella di S. Alessandro27.
Negli atti della seconda visita pastorale del vescovo
d’Amante del 1825-26 troviamo citate ancora la cappella
di S. Alessandro e le altre due nel modo seguente: «Idem
Illustrissimus, ac Reverendissimus Dominus Episcopus
associatus a suis convisitatoribus processit ad visitandas
reliquas cappellas rurales ejusdem Villae Balneorum, et
primo: visitavit cappellam sub titulo Sancti Michaelis
Archangeli de jure patronatus Domini Sylvestri de Meglio…visitavit capellam sub titulo Sanctae Mariae Gratiarum de jure patronatus D. Stephani de Angelis…»28.
Da questi documenti deduciamo che la cappella di S.
Stefano dei de Angelis, di cui parla la visita pastorale di
Bartolomeo Mennella del 1802, è la stessa di S. Maria
delle Grazie dei de Angelis, e che il cambiamento del titolo sia dovuto a un errore del compilatore degli atti della
visita, che ha scambiato il nome del patrono della cappella con quello santo titolare. La cappella di S. Michele, invece, era ubicata nella odierna Via Morgioni, poco
prima, del parcheggio. Oggi è trasformata in abitazione
privata, molto piccola per la verità, ma la struttura esterna
rivela ancora la sua destinazione originaria. La troviamo
citata nella «Nota di tutti i luoghi pii.. 1777» nella quale
leggiamo: «La cappella rurale di S. Michele di patronato
laicale della famiglia di Meglio, sita nella medesima Villa de’ Bagni, e l’attuale cappellano si è D. Vincenzo di
Meglio compadrone»29. Verrà visitata ancora dal vescovo
Felice Romano nel 1856 che si limiterà a dire: «visitavit
capellam sub titulo S. Michaelis Arcangeli de jure patronatus quondam Silvestri de Meglio»30. L’ultimo ricordo
di questa cappella lo riscontriamo negli atti della visita
pastorale di Francesco di Nicola del 1873 dove leggiamo
che il vescovo la visitò, insieme con i suoi convisitatori,
il 28 novembre 1873 e «capellam ingressus cum omnia
ibi in mediocri statu invenisset nullum edidit decretum»31.
Non viene citata negli atti della visita successiva del 1885
di Gennaro Portanova32.
Della cappella dei de Angelis non vi è più traccia negli
atti delle visite pastorali a partire da quella del 1855 del
vescovo Felice Romano. Mi sembra utile riportare qui
un passo di O. Buonocore che riguarda un aspetto particolare di questa cappella che non bisogna dimenticare: in
questa cappella ha tante volte pregato la regina Cristina di
Savoia, oggi beata: «l’anno 1740, il Protomedico ( Francesco Buonocore ) aveva già incorporato la chiesina nel
territorio suo. L’Antico oratorio è tanto caro alla popolazione della contrada sia per la struttura secentesca,
sia perché là si recava a pregare la venerabile Cristina
di Savoia, prima consorte di Ferdinando II, durante la
stagione estiva. Il tempietto è chiuso al culto: il numero
degli ospiti sempre in aumento ha richiesto la costruzione
di una più larga accoglienza. Si fa voto di non lasciare
giungere alla decrepitezza il tempietto dove pregò la Venerabile Regina Maria Cristina. Un distinto generale, il
quale annualmente, si conduce alle terme isclane ( dell’Istituto Termo-balneare “ Francesco Buonocore “ di Porto d’Ischia ) al primo giungere si dà pensiero di rendersi
conto dello stato di conservazione del piccolo gioiello
secentesco»33.
Anche se avulsa dal contesto cronologico che cerchiamo di trattare, credo sia utile sottolineare che la «Nota dei
luoghi pii….1777» citata, colloca nella zona di Villa dei
Bagni un’altra cappella della quale non ho trovato altri
riscontri documentari. Infatti vi leggiamo: «La cappella
di S. Giacomo di patronato della famiglia de Angelis il
cui cappellano è il Reverendo Sebastiano de Angelis, la
24) Cfr. relazioni ad limina dei vescovi d’Ischia in Archivio S.
Congregazione del Concilio ( A.C.C.) sotto il nome del vescovo
e l’anno.
25) Cfr la citata relazione ad limina.
26) A.D.I., fondo S. Visite, Atti della Visita di Bartolomeo Mennella del 1802, f. 5 v.
27) A.D.I., Atti della visita pastorale di G. d’Amante del 1820 f.
10 v.
28) Ibidem, atti della seconda visita del 1825-26 f 7 v.
29) A.D.I., Nota di tutti i luoghi pii laicali misti ed ecclesiastici…..1777, f. 14.
30) Ibidem, Atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855,
f. 15 v.
31)Ibidem, Atti della visita pastorale di Francesco di Nicola del
1873, f. 72 v.
32) Anche questi atti sono conservati nell’A.D.I., Fondo S. Visite.
33) O. Buonocore, Medaglioni Isclani, Rispoli Editore in Napoli,1959, p. 41.
34) Cfr. in A.D.I. : Nota……..1777, ff. nn.
44 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
quale cappella sta sita nella Villa de’ Bagni»34. Abbiamo
notizie di una cappella di S. Giacomo, ma ubicata non
nella zona dell’attuale Porto d’Ischia, bensì poco fuori il
borgo di Celsa. A me sembra indicativo il fatto che è detta
di patronato della famiglia de Angelis. Questo cognome
nel Notamento ….. lo riscontriamo solo in riferimento
alla cappella della Madonna delle Grazie per cui sospettiamo che la Nota…. del 1777 possa aver fatto un errore
e che quindi si tratti della cappella dei de Angelis che già
conosciamo.
Ci avviciniamo sempre di più al borgo di Celsa e siamo arrivati alla parte centrale della colata lavica prodotta
dall’eruzione di Fiaiano tra il 1300 e il 130335. Superata
la chiesa del Purgatorio o di S. Maria delle Grazie, oggi
detta di S. Pietro, che esula dalla nostra trattazione (e che
vogliamo trattare in altra sede ), ci imbattiamo nella chiesetta di S. Girolamo, oggi dedicata alla Madonna della
Pace, sede del convento delle Suore Figlie della Chiesa.
Il vescovo d’Avalos nella sua Platea non ne fa cenno, ma
all’epoca la chiesetta già esisteva da lunghissimo tempo,
anche se non possiamo determinare l’anno di fondazione
Di certo è uno dei pochissimi luoghi sacri segnalati dalla
carta di Mario Cartaro allegata alla prima edizione dell’opera di Giulio Iasolino che, come sappiamo, fu pubblicata
nel 1587. Nel Notamento non vi è alcuna traccia di questa cappella, mentre l’Onorato la cita appena, affermando
solo che al suo tempo si trova «senza cappellano»36. Le
notizie che possediamo su questa cappella ci vengono dai
documenti del convento agostiniano di Santa Maria della
Scala di Celsa. Infatti nella Platea corrente conservata
nell’Archivio Diocesano d’Ischia leggiamo: «1543 adi 7
marzo l’Università della città d’Ischia fa donazione irrevocabiliter inter vivos al Padre Maestro Fra Paolo, e per
esso al Venerabile Convento di Santa Maria della Scala
d’Ischia dell’Ordine Eremitano di Santo Agostino della
cappella di S. Girolamo con tomola quattro di territorio,
sita dove si dice l’Arso, giusta la pubblica strada, come
questo, ed altro descritto sta nell’istromento rogato per
il notaro Giovan Francesco Casdia d’Ischia li 7 marzo
1543 copia del quale sta in nostro Archivio, e si legge nel
nostro libro D di cautele folio 301 a tergo, e nella Platea
fol. 796 quibus = 1543 adi 24 marzo il Vescovo d’Ischia
Agostino Pastineo confirma la donazione fatta dall’Università della città d’Ischia al Venerabile Convento di S.
Maria della Scala dell’Isola d’Ischia della cappella di S.
Girolamo, come dalla fede ne fa il notar Bartolomeo Al35) Sull’eruzione di Fiaiano cfr. Cronicon Cavense, in Monumenta germaiae Historica, scriptores III, Hannoverae 1839, p. 196; F.
Iovene, Una fase esplosiva durante l’ultima eruzione dell’Epomeo
(1300-1303) in Ricerche contributi e memorie cit. I, pp. 95-103;
G. Buchner, Eruzioni vulcaniche e fenomeni vulcano-tettonici di
età preistorica e storica nell’isola d’Ischia, in Tremblements de
terre, éruption vulcaniques et vie des hommes dans la Campanie
antique, Publications du Centre J. Bérard, Naples 1980; N. d’Ambra, Eruzioni e terremoti nell’isola d’Ischia dalle origini ad oggi,
Napoli 1981.
36) V. Onorato, op. cit. f. 163 r.
bano d’Ischia li 24 marzo 1543 quale in carta bergamena
sta in nostro Archivio, e per estensim si legge nel libro D
di cautele fol. 301 a tergo, Platea fol. 796 quibus»37. Da
questo momento su questa cappella si ha un lungo silenzio nella documentazione fino alla prima visita pastorale
del vescovo Giuseppe d’Amante del 1820 che, tra l’altro,
si limita a scrivere: «Visitavit tandem cappellam in Eremo sub titulo Sancti Hyeronimi, et laudavit»38. Negli atti
della visita successiva del 1825-26 leggiamo: «Visitavit
denique cappellam, et Eremum sub titulo Sancti Hyeronimi. Et omnia laudavit; Attamen mandavit Eremitae Fra
Hjeronimo Scotto, ut omnium sacrorum utensilium, ac
oblationum, et votorum fidelium conficiat Inventarium,
quod hisce actis Sanctae Visitationis adnotari debeat»39.
La visita del vescovo Romano del 1855 aggiunge solo
che si trova «in medio Cremati»40.
Altre notizie di rilievo non si riscontrano fino a quando l’antico eremo agostiniano non entra nella sfera d’azione della Figlie della Chiesa, congregazione religiosa
nella cui fondazione svolse un ruolo fondamentale anche
Mons. Ciro Scotti, fratello dell’arcivescovo di Rossano
Giovanni, per alcuni anni vicario generale del vescovo
Ernesto de Laurentiis (1928-1956). Questi stipulò con la
superiora generale e fondatrice Suor Maria Olga Oliva
del Corpo Mistico una convenzione con la quale viene
stabilito che l’appartamento costruito ex novo a spese
della Congregazione sopra lo stabile della chiesa della
Madonna della Pace-S. Girolamo sia riconosciuto proprietà della Congregazione come compenso dei lavori
fatti nella chiesa, pavimento ed altare con la rinuncia però
da parte delle Suore al diritto di donazione, vendita o affittanza ad altri. Nel caso in cui la Congregazione delle
Figlie della Chiesa venisse nella determinazione di chiudere il convento, avrebbe dovuto cedere l’appartamento
all’Ordinario della diocesi d’Ischia senza alcun compenso e con il solo diritto di prelevare le suppellettili delle
suore41.
Da alcuni inventari della fine del secolo XIX, sappiamo
che, oltre il quadro della Madonna della Pace, che viene detta delle Grazie di proporzioni piuttosto modeste
e ancora oggi esistente in fondo all’abside, nella chiesa
vi erano un altro quadro di S. Francesco e le statue della Risurrezione di Gesù, S. Girolamo, l’Immacolata e S.
Giuseppe42. Ancora oggi le suore Figlie della Chiesa abitano il convento dedicandosi all’adorazione eucaristica
prolungata ogni giorno e a varie forme di apostolato.
Agostino Di Lustro
37) A.D.I. Platea Corrente (P.C ) f. 53.
38) A.D.I. Atti della visita pastorale del vescovo Giuseppe d’Amante del 1820 f. 10 v.
39) Ibidem, atti della visita pastorale del 1825-26 f. 7 v.
40) Ibidem, atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855
f. 16.
41) A.D.I. Fondo rettorie di Ischia, Cartella S. Girolamo.
42) Ibidem, due inventari: uno non datato della fine del sec. XIX e
un altro del 1° settembre 1892.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
45
Amarcord degli anni '50 e '60
... Quando andare al cinema la domenica
non era soltanto un momento
di evasione e di divertimento, ma anche
una occasione di socializzazione...
di Giuseppe Silvestri
L’articolo pubblicato sul La Rassegna d’Ischia nell’ottobre 2012, che fa
riferimento all’impianto di una targa
nel Comune di Lacco Ameno in memoria dell’attore Eduardo Ciannelli,
costituì l’occasione per ripercorrere la
storia del cinema, soprattutto nei comuni di Lacco e Casamicciola.
Il primo cinematografo a Casamicciola sorse negli anni 1920, ad opera
di Francesco Sirabella, in un grande
fabbricato di fronte alla spiaggia di
Suor Angela, prima adibito al commercio del vino. La struttura si può
dire che sia rimasta intatta nella sua
forma rettangolare, nella sua notevole altezza e copertura a volta. È naturalmente cambiata l’attività che vi
si svolge. Sulle pareti laterali furono
realizzati addirittura dei piccoli palchi
per le persone importanti; in fondo il
palco e lo schermo per le proiezioni.
Si esibivano anche compagnie teatrali provenienti da Napoli. L’iniziativa
ebbe successo e molte persone di Casamicciola ed anche di Lacco presero
a frequentare gli spettacoli.
Nel 1928 il sig. Nicola De Luise costruì l’Eldorado, una struttura a mare,
su palafitte a levante della banchina
di Casamicciola di fronte alla piazza
Marina. Essa comprendeva oltre al bar
ed alle cabine anche due grandi sale:
una per il ballo e l’altra per il cinema
ed il teatro. Anche qui si proiettavano
ancora film muti con l’intervento del
pianista che suonava accompagnando
lo svolgimento dello spettacolo in sintonia con le scene che potevano essere
tristi, allegre, veloci, lente. C’era un
pianoforte tedesco: “Eufonos”. I pianisti che si alternavano furono Francesco Mazzella e Giuseppe Monti (Peppino il sergente).
46 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
Pagina da L'Isola d'Ischia - Nuova guida
compilata da Wladimiro Frenkel, seconda
edizione.
In quel periodo ci fu anche un altro locale presso Piazza Marina che fu adibito a cinema e realizzato da Vincenzo
Sirabella con il nome di “Cinema Tripoli” e funzionava anche d’inverno.
Poi il “Cinema Italia”, costruito
da Giuseppe Fraticelli, una struttura
moderna e funzionale, divenne dagli
anni quaranta e per oltre un trentennio
una’autentica istituzione, soprattutto
per le popolazioni di Lacco e Casamicciola.
Andare al cinema a Casamicciola,
ogni domenica, era nei programmi e
desideri di centinaia di lacchesi. E durante la settimana, mentre si era intenti
a intrecciare cestini o borse di paglia,
si parlava spesso del film già visto con
riferimenti a quello della domenica
successiva di cui si conosceva il tito-
lo, gli attori e l’argomento per averne
visto la locandina affissa alla porta del
barbiere Filippo. E si lavorava anche
per mettere insieme i soldi per il biglietto.
La domenica di primo pomeriggio
sulla Litoranea Lacco - Casamicciola
era una sorta di processione: gruppi di
ragazzi, famiglie intere, fidanzati: tutti
al Cinema Italia, e capitava che durante il percorso si intrecciavano amicizie
ed amori parlando del film, degli attori
e spesso di Eduardo Cannelli, l’attore
lacchese che lavorava in America e a
Cinecittà e ci si sentiva orgogliosi di
questo concittadino.
Alle 15.00 già un folto gruppo di
persone era in attesa davanti alle transenne che separavano l’atrio dal marciapiede. Poi la corsa alla biglietteria
per avere più possibilità di scegliere il
posto. In platea il prezzo era inferiore
rispetto al piano superiore. In mezzora le sale si riempivano ed alle 15.30
iniziava il primo spettacolo; se ne succedevano quattro dello stesso film fino
alla mezzanotte. All’uscita si faceva il
percorso inverso sulla litoranea per
Lacco, parlando del film e tessendo
gli opportuni commenti. Nelle calde
serate primaverili ed estive luccicavano sul mare in lontananza decine di
lampare e sotto costa le centilee illuminavano i fondali. D’inverno invece,
spesso per la pioggia o per il vento di
tramontana, era particolarmente sofferto il ritorno a casa. Fermarsi al “Calise” per il biscotto o per una pasta era
un desiderio che si poteva realizzare
tanto raramente per molti. Soltanto
qualche famiglia facoltosa prendeva
la carrozza per il ritorno.
Casamicciola - Facciata anteriore, in gran
parte eguale, dell'ex Cinema Italia
In Ischia nelle sue Cartoline 1900 - 1950 di Leopoldo Reverberi
Riva, Valentino Editore 2006.
In Vecchia Ischia 1898-1958 di Nunzio Albanelli, Imagaenaria Edizioni Ischia, 2006
Ebbene, il “Cinema Italia” di Casamicciola penso che
si possa considerare come un punto di riferimento per
comprendere quanto il cinema abbia contribuito all’evoluzione culturale della società, in particolare nei piccoli
paesi e nelle isole, dove le occasioni culturali erano molto
limitate, come anche le scuole, e dove l’economia si basava soprattutto sull’agricoltura e sulla pesca, come nel
caso dell’isola d’Ischia. Andare a cinema la domenica
non era soltanto un momento di evasione e di divertimento, ma anche l’occasione per conoscere altre persone, per
trovare la fidanzata, per poter avvicinare la ragazza che
da tempo si seguiva con lo sguardo. E bisognava vestirsi
bene, ed ecco il vestito della domenica che spesso era il
vestito della vita o quasi, con camicia e cravatta; ed anche
le ragazze e le donne si adoperavano per seguire la moda.
Ma al di là di questo il cinema diede contenuti culturali
che tanti non avrebbero mai potuto acquisire. Già il cinema muto con i suoi film storici, religiosi, mitologici, di
costume… con Charly Chaplin poi con Stanly and Ollio,
ormai nel sonoro e poi nel secondo dopoguerra con i film
del neorealismo come Sciuscià, Roma città aperta, Ladri
di bicicletta, Campane a martello, girato ad Ischia, svelarono a tanti una realtà che era ignorata; ed alla storia
avvicinarono i film in costume degli anni cinquanta: Quo
vadis, I Dieci Comandamenti, Ben Hur…; i film di Tarzan
ci fecero scoprire l’Africa, come i tanti film sui pellerossi
ci avvicinarono alla realtà del continente americano.
Un periodo che così viene descritto anche da Giovanni
Castagna1: «Quasi tutti si ingolfavano nel Cinema Italia
e vi trascorrevano la serata, a pianterreno o al primo piano a seconda dei gusti e del portafoglio. Chi saprà mai
dire l’influenza del Cinema Italia su tutta una generazione
di lacchesi? Ore ed ore a stordirci con le avventure “western”, con i film di guerra ove un solo “marine” faceva
prigioniero tutto un reggimento di giapponesi. Commedie
musicali hollywoodiane, tutta la serie dei “Tarzan”, poi
quella dei “Maciste” e quella dei polpettoni biblici. Il più
grande successo di quegli anni fu “Giovanna d’Arco” ed
anche i preti invogliarono i fedeli ad assistere alla proiezione.
Per fortunata c’era Totò, il quale, ammiccando, ci faceva capire ch’erano tutte “quisquilie” e con occhi maliziosi
carichi di sottintesi ci insegnava che “la serva serve”».
Con l’avvento di Rizzoli che realizzò a Lacco Ameno
il grande complesso turistico alberghiero e termale, negli anni cinquanta del 1900 sorse anche il Cinema Teatro
“Reginella”, un locale d’élite per i clienti degli alberghi;
vi si proiettavano soprattutto i films della Cineriz: spesso si ripeteva “Vacanze a Ischia” con Vittorio De Sica,
Peppino De Filippo, Antonio Cifariello etc; nel 1957 l’attore e regista Charles Chaplin vi presentò la prima del
suo film: Un re a New York; vi si poté vedere anche in
anteprima La Dolce Vita di Federico Fellini.
Nello stesso periodo sorsero a Casamicciola, a Lacco
(l’Isola Verde di Giuseppe Murabito che organizzava anche spettacoli con cantanti e ballerine) e a Forio i cinema
all’aperto che ovviamente erano in attività d’estate.
A Ischia negli anni cinquanta c’erano due sale cinematografiche, una a Ischia Ponte, di fronte alla chiesa dello
Spirito Santo, e l’altra al Corso Vittoria Colonna, che poi
ristrutturato diventerà il Cinema Lucia.
A Forio c’era il cinema detto “Pella-Pella” ed a Panza
il cinema Del Deo. Anche Barano aveva il suo cinema.
Questi locali a partire dalla fine del secolo scorso hanno
subito le conseguenze della crisi del cinema ed anche dei
mutamenti culturali e dei costumi di cui furono protagonisti i giovani e non solo. La preferenza delle discoteche
alle sale cinematografiche, la possibilità di scegliersi i
film a proprio piacimento tramite cassette o dvd, senza
dimenticare il ruolo della televisione, determinarono la
crisi di un fenomeno che aveva caratterizzato oltre un cinquantennio. E così molte sale cinematografiche sono state
trasformate per ospitare attività commerciali. Lo stesso
fenomeno si è verificato nelle città.
Rimangono oggi attive due belle sale cinematografiche che rispondono bene alle esigenze della popolazione
ischitana e sono l'Excelsior a Ischia Porto ed il Cinema
delle Vittorie a Forio.
Giuseppe Silvestri
1 G. Castagna, Ischia isola di contadini, pescatori, artigiani,
in “Lacco Ameno e l’isola d’Ischia, gli anni ’50 e ’60 – Angelo
Rizzoli e lo sviluppo turistico”, La Rassegna d’Ischia, Edizione
2010.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
47
Ex libris
Portolano del mare Mediterraneo, del Mar Nero e del Mare di
Azof compilato da Luigi Lamberti professore di Nautica dedicato alla Marina
Italiana, vol. I, Livorno 1848.
Il golfo di Napoli, aperto a Lib. è vastissimo e profondissimo. L’isola d’Ischia che si lascia a sinistra e quella di
Capri che è lasciata a destra, formano la sua apertura.
Queste due isole elevatissime, si rilevano M. e S. e sono
lontane una dall’altra da 15 miglia. Le coste di T. e di O.
del golfo prendono, dopo queste isole, una direzione vicina a G. e il fondo del golfo è una terra bassa al mare che
riunisce queste due coste, seguendo una direzione M. e S.,
sopra una lunghezza di 13 miglia. In modo che questo golfo
è quasi un quadrato, il cui lato che manca fa l’entrata e può
essere rappresentato dalla linea che unirebbe Ischia e Capri.
La città di Napoli e il suo porto sono nell’angolo di T. di
questo quadrato, dritto a T. a 16 miglia dall’isola di Capri.
La grande entrata fra Ischia e Capri è quella che devono
prendere i vascelli e le squadre, ma ve ne sono altre delle
quali parleremo, fra queste isole stesse ed i capi del continente.
La profondità è considerabile nel mezzo del golfo e non
si può ancorare che ai contorni della costa. L’ancoraggio
ordinario è a O. S. del fanale ad una distanza ragionevole,
in 10, 15 e 20 passa d’acqua. A 1 miglio da terra vi sono
già 30 a 35 passa e il fondo va sempre aumentando; si sta
intieramente allo scoperto dei venti di Lib. sulla rada, ma la
tenuta vi è buona.
Così quando si viene da M. dopo avere riconosciuto
l’isola d’Ischia si lascerà questa a sinistra, radendola da vicino quanto si vorrà, e si farà rotta a G. Lev. scanzando le
punte fino a che siasi a O. S. del fanale Allora si ancorerà da
20 a 10 passa d’acqua, secondo la distanza alla quale uno
vorrà tenersi dalla città. Se si viene da S. si raderà l’isola di
Capri, che si lascerà a destra e si farà rotta a T. verso la città.
Si può, senza pericolo, passare fra Capri e il capo Campanel che termina di faccia a quest’isola la costa O. del golfo,
radendo l’isola un poco più del capo.
Entriamo ora nei dettagli sul golfo di Napoli e sulle isole che l’avvicinano. L’isola d’Ischia, che forma la punta P.
dell’entrata del golfo di Napoli, è grande, elevata, scoscesa dalla parte di Lib. con una collina a pane di zucchero
nel suo mezzo. Una città chiamata Lelago è vicino alla sua
punta M. Si può ancorare un poco a Lev. di questa città, in
6 a 10 passa d’acqua, al coperto da O. Lib. a S., ma bisogna
prendere attenzione a molti scogli pochissimo elevati al di
sopra dell’acqua che sono seminati su questa costa.
La città d’Ischia, con un gran castello sopra uno scoglio,
è alla costa Lev. dell’isola. Un ponte di pietra che ha 200
48 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
tese di lunghezza, riunisce il castello alla città, e si ancora
da una parte e dall’altra del ponte in 3 a 4 passa, fondo di
melma, scanzando le punte del castello e quelle dell’isola che sono circondate di scogli sott’acqua. Le altre punte dell’isola hanno ancora alcuni scogli ma si allontanano
poco al largo.
A Ischia avvi un fanale in costruzione, a fuoco fisso, sulla
punta Caruso, promontorio M., dell’isola, in 40°45’ di latitudine T. e 11°31’ Lev. Sarà inalzato a 60 metri e visibile
a 26 miglia.
A G. Lev. a circa 1300 tese dal castello d’Ischia è l’isoletta di Procida, di media altezza, inegualissima, coperta
di palazzi e di belle case con una città forte sulla sua punta
scoscesa di Lev. Vi sono inoltre molti villaggi su quest’isola popolatissima.
Quasi di faccia al castello d’Ischia e accanto all’isola di
Procida è un isolotto elevatissimo con una torre di guardia;
si chiama S. Paolo. Il passaggio fra Ischia e Procida è formato dal castello d’Ischia, che si lascia a P. e l’isola di S.
Paolo che si lascia a Lev., vi si trovano 12, 15 e 20 braccia
d’acqua. Ma bisogna radere il castello d’Ischia o l’isola di
S. Paolo a motivo di un banco di scogli sott’acqua che è
presso a poco nel mezzo del passaggio. Resta a G. T. a 1000
tese dal castello d’Ischia e a P. 1/4 M. a 600 tese dall’isola
di S. Paolo. Il passo fra questo banco e il castello d’Ischia è
preferibile a quello fra il banco e l’isola di San Paolo.
Per evitare questo banco venendo da Lev. si governerà
sul castello d’Ischia che si raderà a discrezione. Continuando la rotta a M. fino a che si scuopra, sulla destra, la torre
della Mesa, scoperta dalla punta M. di Procida (questa punta si chiama capo Bayli); oppure quando si scoprirà sulla
sinistra il villaggio di Lelago scoperto dalla punta di S. Pietro d’Ischia, la quale è a 1100 tese a M. ¼ T. dal castello di
quest’isola, si avrà montato il banco. Le stesse osservazioni
possono servire ai bastimenti che vengono da M. e da T.
Avranno l’attenzione di attaccare per tempo l’isola d’Ischia
per prolungarne la costa a una distanza ragionevole.
La parte M. di Procida ha delle punte circondate di scogli.
Tutta la parte di S. è sanissima. Si può ancorare a piccola
distanza a T. dalla città di Procida, al coperto di Lib. O. e S.,
a P. di una punta di scogli che si prolunga a Lev. della città.
Vi si è da 6 a 4 passa d’acqua, fondo d’erba.
A G., a 1700 tese dalla città di Procida, è il capo della
Mesa, che appartiene al continente ed è realmente l’estremità P. della costa T. del golfo di Napoli. È sormontato da
una torre dello stesso nome.
Al capo Miseno avvi fanale lenticolare in costruzione e a
ecclissi i di cui lampi succedono di 30” in 30”. Sulla torre
di questo capo in 40° 46’ latitudine T. e longitudine 11° 45’
Lev. La sua elevazione sarà 60 metri, visibili da 25 miglia.
Il capo Mesa è una punta elevata e tagliata a picco a Lev.
della quale è il capo o monte Miseno terminato da due punte, guarnite ciascuna di una torre. Questo monte è spianato
nella sua sommità.
A P. del capo Mesa è un’altra punta di scoglio con una
torre quadrata, chiamata torre di Voto, e fra queste due a
piccola distanza da terra, si trova l’isola di S. Martino, elevata, tagliata a picco da tutte le parti e spianata nella sua
sommità.
A 2 miglia a T. dalla torre di Voto è una punta di scoglio, chiamata Cuma. Fra questi due vi è un poco d’incavo
circondato d’una piaggia nella quale si può ancorare al coperto da O. S. a G. T. passando da Lev., per il fondo che si
desidera, sabbia fina e melma. Non bisogna troppo avvicinarsi alla piaggia ove si trovano dei bassi fondi. Quest’ancoraggio d’occasione è al difuori e accanto a Napoli. Può
essere utilissimo quando con dei venti di Lev. non si può
raggiungere questo golfo. È d’un riconoscimento facile,
perché la torre di Voto è sopra una penisola di scoglio, ove
si vede una grande grotta in mezzo e molte piccole da una
parte e dall’altra. Una punta di questa penisola è scavata a
giorno e forma una grande volta.
A Procida avvi un fanale a fuoco fisso, sulla punta Chiupetto, in 40° 46’ di latitudine T., e 11° 40’ di longitudine
Lev. La sua elevazione è di 39 metri, visibile da 10 miglia.
Il passaggio ordinario per i bastimenti medii e anche per i
vascelli, quando si viene con vento in poppa è fra l’isola di
Procida che si lascia a P. e il capo Mesa che si lascia dalla
parte di Lev. Basta di non troppo avvicinarsi alle punte da
una parte e dall’altra. A mezzo canale vi sono da 7 a 8 passa
d’acqua al più stretto del passaggio. I vascelli devono tenersi a mezzo canale, perché avvicinandosi dalle due parti
il fondo diminuisce e non è più che di 3 a 4 passa. Sarà sempre molto più prudente di uscire dal golfo o di entrarvi con
i grandi bastimenti dall’apertura immensa d’Ischia a Capri.
Fra il capo Mesa e il monte Miseno la costa fa un poco
d’incavo, davanti al quale si può ancorare da 4 a 6 passa
bene al coperto di T. Bisogna diffidarsi delle punte.
Il monte Miseno forma il limite verso P. d’un golfo profondo, il cui limite verso Lev. è l’isola di Nizita, piccola,
elevata, tagliata a picco da tutte le parti e spianata nella sua
sommità, sulla quale è una torre di guardia. Questo golfo,
che si chiama golfo di Baja, ha circa 4 miglia d’apertura
sopra 5 d’incavo verso T. Alla sua entrata alla costa di P. e
al rovescio del monte Miseno, è una calanca incavatissima
a M,. ma stretta e ripiena di scogli e di piloni, si chiama
Mala Morte.
A 3 miglia verso T. dal monte Miseno è il castello di Baja,
considerabilissimo e posto sopra una eminenza. Di faccia,
dall’altra parte della baja, è la città di Pozzuolo sulla riva
del mare. Ai piedi del castello di Baja è un grosso scoglio
con una forte batteria che forma l’ingresso di sinistra del
porto di Baja, di cui una grossa punta ad un piccolo miglio
verso T. forma l’ingresso di destra. Questa punta si chiama
punta dei Bagni. È questa circondata di scogli fuori dell’acqua e sotto l’acqua, che si avanzano molto, gli uni verso lo
scoglio della batteria, gli altri a G. 1/4 Lev. della punta dei
bagni.
A Baja avvi un fanale a fuoco fisso, ai piedi del forte
presso il mare in 40° 48’ latitudine T. e 11° 44’ longitudine
Lev. La sua elevazione è di 10 metri e si vede da 6 miglia.
Questi ultimi terminano verso T. il golfo di Baja, perché
dopo questi fino al fondo di questo golfo, non si trovano
che dei banchi. Il porto di Baja è dunque fra il castello e la
punta dei Bagni. Il suo fondo è un terreno basso con una
punta sporgente in mezzo, avanti alla quale è un isolotto
con una batteria. Quest’isolotto è circondato di scogli che
fanno una catena fino al difuori della punta dei Bagni, in
modo che i battelli soli possono giungere, con della pratica,
fino al fondo. Si ancora all’ingresso da 5 a 10 passa d’acqua
a T. del castello, a piccola distanza da terra. Il vento di S.,
sebbene, venendo dal golfo di Napoli, vi cagiona del mare.
Vi si sta molto bene coi venti di M. , P. e Lib.
A 2 miglia e mezzo, a G. Lev. dal castello di Baja è il
porto di Pozzuolo. Partono dalla città che è alla riva del
mare 14 pilastri, che nella loro direzione da Lev. verso P.
occupano uno spazio di 180 tese. Formano il principio di
un ponte che doveva stabilire una comunicazione fra Pozzuolo e Baja. Il porto di Pozzuolo è a T. di questi pilastri.
Nell’allineamento T. e O. del più al largo si trovano 6 a 8
passa d’acqua. Il fondo diminuisce in pendio leggiero verso
la città ed è per tutto di arena e di erba. Si può radere l’ultimo pilastro da molto vicino e le barche possono passare
fra gli ultimi pilastri, ove si trovano 3 e 4 passa d’acqua. Il
mare da O. a S. vi produce della risacca. Al di sopra della
città di Pozzuolo è una montagna acuta, chiamata la Solfatara, n’esce un fumo spesso. Si trae molto solfo da questo
vulcano.
L’isola di Nizita è verso S. a 3 miglia dalla città di Pozzuolo, ed a un buon miglio a Lev. di quest’isola, si trova la
punta dell’Algalona, alta e scoscesa. Fra queste due sopra
un’isola di media altezza è lo stabilimento del Lazzeretto.
Abbreviazioni – La lettera T indica la Tramontana, G. il Greco,
Lev. il Levante, S. lo Sirocco, O. l’Ostro, Lib. Il Libeccio, P. il
Ponente, M. il Maestro.
Il Progresso delle scienze, delle
lettere e delle arti, opera periodica,
vol. XIII anno V, Napoli 1836
… Prosiegue l’autore a dire come gli Osci o Opici vennero in queste regioni e presero il nome di Cimmerii, da’
quali poi fu edificata Cuma, la più antica tra le città del
Cratere. Fa parola dell’indole de’ Cumani, delle miniere
di oro che ivi erano, non che delle grotte da esso loro cavate e che si vuole giungessero dal lago di Averno sino a
Napoli, ed inchina a credere che come le isole d’Ischia
e di Procida vennero abitate da’ Cimmerii, così dovette
esser pure di Capri dove non eran le molestie de’ vulcani.
Dappoi narra la venuta de’ Fenici nel Cratere, i quali si
noverarono tra primi aborigini, e fa vedere come questo
nome non sia proprio di un particolar popolo, ma significhi gente lontana. Si giova dell’autorità di Omero per
mostrare che i Fenici anche prima della guerra di Troja
dovevano fare i loro commerci in queste regioni, e che da
costoro vennero qui molte arti introdotte e furono i costumi ingentiliti, e riferisce diverse denominazioni antiche di
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
49
molti luoghi di origine siriaca o fenicia. Per questo crede
pure che risola di Capri sia stata occupata da’ Fenici, i
quali la trovarono con solo pochi selvaggi e quasi del tatto deserta. E siccome quivi avean fatto dimora le Sirene,
intorno ad esse riporta le varie sentenze de’ dotti; ed egli
anzi che crederle meretrici, si accorda con quei che pensano sieno state o degli scogli perforati che mandavano
pel battervi delle onde un certo suono, o uccelli a’ nostri
dì sconosciuti; ma queste congetture non ci pare che sieno abbastanza giustificate, e quanto per la loro novità si
richiedeva.
Lasciando de’ Fenici comincia a favellare de’ Greci, i
quali vuole (in opposto di Tucidide che afferma non essere mai usciti avanti la guerra di Troja) che fossero venuti
nella Japigia prima di questo tempo, e che sebbene allora
nessuna terra possedessero nel Cratere, pure avessero tenuto commerci co’ Cimmerii, e segnatamente dopo la venuta de’ Fenicii. Verso la fondazione di Roma gli Etrusci
discendenti da’ Tirreni abitarono i luoghi a noi vicini, ed
è opinione di alcuni scrittori che Falero o Partenone, Ercolano, Pompei, Stabia e Sorrento fossero città o castella
etrusche; e siccome gli Etrusci furono i popoli più colti
avanti la fondazione di Roma, vuole l’autore giovarsene
per mostrar noi di più antica civiltà de’ Romani signori
del mondo.
Pon fine al secondo libro con credere che verso il tempo della fondazione di Roma l’isola d’Ischia, pe’ vulcani
che furono i primi a sorgere in questi luoghi, fosse affatto
deserta, ed egualmente Procida, non trovandosi memorie
in contrario. Ma non avvisa così di Capri, abitata già da’
Fenicii, e che per la feracità della terra e la bontà del cielo
e la sicurezza da’ vulcani pensa sia stata sempre abitata,
e ne’ tempi de’ quali discorriamo facilmente conosciuta
dagli stessi Greci che venivano a mercatantare coi ricini
Cimmerii.
Dopo questo tempo la storia del nostro Cratere e delle isole diviene più sicura, e non cade luogo a dubitare
che fossero sì 1’uno che le altre a quei dì abitati da’ Cumani, divenuti assai civili ed industriosi per l’esempio
degli Etrusci e de’ Fenicii. Non è possibile fermare con
certezza il tempo nel quale i Greci vennero nel Cratere.
Secondo Strabone la più antica colonia fu quella venuta
dall’Eubea, e segnatamente da Calcide, che fondò Coma;
ma 1’autore porta avviso in contrario, e s’ingegna con
lungo ragionamento di dimostrare che sia avvenuto verso
il principio del quarto secolo, e però ripete con maggior
certezza quel che ha detto sopra, cioè che Cuma città tanto antica dovette sorgere per opera de’ Cimmerii popoli
indigeni e non de’ Greci, ma che dopo la costoro venuta
ebbe lustro e nominanza, e però fu in processo di tempo
tenuta città greca.
Oltre a Cuma ci ebbe molte altre città degne di memoria
nel Cratere, e l’autore ricorda Baja, Dicearchia poi detta
Puteoli tanto famosa pel commercio, Partenone o Palepoli poi Napoli, Ercolano, Pompei, Stabia e Sorrento.
I Teleboi antichi abitatori di Tafo, una delle Echina50 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
di oggi dette Curzolari, isole all’imboccatura del golfo
di Lepanto, sono reputati i primi tra’ Greci che venissero a stanziare in Capri, e si tien parola di Telone primo
re di questa colonia. Virgilio tra gli altri parla de’ Teleboi e di Telone come se fossero stati in Capri a’ tempi
della distruzione di Troja; ma è da credere che il poeta,
volendo mostrare l’Italia come regione già molto aranti
nella civiltà e forte a quei giorni, non abbia avuto ritegno, parlando del governo di Telone, d’incorrere in un
anacronismo. Questi Greci come i loro concittadini viver
dovevano di pirateria, e pare si fosse dell’isola di Capri
fatto un piccolo regno, e che Ebalo succedesse a Telone,
secondo l’autorità del poeta mantovano, e che poi venisse
in soggezione de’ Greci napolitani. Ai tempi della caduta
della repubblica romana Capri durava sotto la potestà di
Palepoli; e sebbene per la sua piccolezza non fosse tenuta
in conto dagli storici, pure deve tenersi soggiorno di uomini di molto puliti costumi. E ne fa fede l’Efebeo, luogo
dove si riducevano i dotti per disputare ed ammaestrare
la gioventù nella storia, nelle leggi ed in altre discipline,
ed il Circo per ogni maniera di giuochi, ed il poeta Bleso
di cui fanno menzione Ateneo, Stefano ed altri, tutte cose
anteriori all’Impero.
Nelle guerre de’Sanniti contro i Campani che erano
collegati con Rona, i Napolitani, istigati da’ primi vi ebbero parte e dovettero cedere alla forza prepotente de’
nemici. Fermata la pace, Capri seguitava a tener con Napoli, ed Ischia co’ Romani. Gli abitatori del suolo cumano seguirono la stessa sorte, e vivevano in grandissima
amicizia ed erano in continui commerci co’ Romani; ma
nulladimeno serbarono per lungo tempo le loro proprie
leggi ed i loro costumi presso che nella loro interezza. Ma
come suole avvenire nelle leghe tra forti e deboli, a mano
a mano i Romani da amici divennero signori, e portarono
in queste regioni le usanze loro e la lingua.
Nel quarto libro siamo già al principio dell’Impero.
Augusto, come riferisce Svetonio, verso gli ultimi tempi
della sua vita divenuto malsano ed infermiccio, cominciò
a frequentare i luoghi marittimi e le isole della Campania, ed invaghitosi di Capri la volle in cambio dell’isola
d’Ischia che cedette ai Napoletani. Stando quivi questo
imperatore dovettero farsi la villa di Giove e la villa Giulia, credute generalmente opere di quel tempo, oltre ad
altre che poi si stimarono tutte del tempo di Tiberio. Lo
stesso Svetonio parla ancora dell’ultima dimora fattavi da
Augusto, e de diletti che si prendeva, e de’ costumi che
vi regnavano. Tiberio che avea col suo antecessore
soggiornato in Capri, allettato dall’amenità del luogo, dagli ozii e dal clima, volle farvi lunga dimora; e parendogli modesti gli edifizii fattivi innalzare da Augusto, volle
profondervi i suoi tesori, per guisa che in appresso Capri
fu addimandata Isola di Tiberio.
Forio – Nella villa La Colombaia
Mostra collettiva di artisti ischitani
Nella villa “La Colombaia di Luchino
Visconti” si è tenuta negli scorsi mesi di
maggio e giugno, a cura della Fondazione omonima, una mostra collettiva di
autori ischitani, con tema la figura del
regista che ha riscosso un caloroso successo.
Nella sala, che un tempo era adibita
a stanza da pranzo di Visconti, ora spazio ideale per mostre, le pareti offrono
il rapporto esistente tra le suggestioni
che il grande regista ha creato con la
sua opera e la percezione di chi dedica
all’arte pittorica la sua vita su questa
isola.
Le occasioni sono per gli artisti, il più
delle volte, momenti fecondi quando rivivono e ricreano colla propria sensibilità lo spirito complesso di un autore, riuscendo a darne uno sguardo originale.
Mariolino Capuano, Marco Cecchi,
Pina Conte, Manuel Di Chiara, Giovanni De Angelis, Michele Di Massa,
Anna Maria Di Meglio, Raffaele Iacono, Antonio Macrì, Francesco Miranda,
Felice Meo, Paolo May, Nunzia Zambardi, i protagonisti della mostra.
La volontà della Fondazione di tenere
viva, anche sull’isola, la presenza di un
grande del Novecento va al di là della
pur necessaria e dignitosa conservazione della casa che fu di Visconti, questo
nonostante le innumerevoli difficoltà
proprie di un bene pubblico, in un contesto nazionale di scarso investimento
nella cultura.
La storia di Ischia registra anche questo: negli anni ’50 e ’60 il territorio isolano fu amato e frequentato da scrittori,
musicisti, poeti di fama internazionale,
che trovavano nella bellezza dei luoghi
e nella semplicità degli abitanti motivo
di attrazione e di spunti creativi; ora tale
eredità ideale non sarà perduta se il ricordo ne è tenuto vivo.
I “classici” sono tali se continuano a
trasmetterci il loro patrimonio di verità e
di bellezza perché sia spunto per ulteriori conquiste, se questo non avviene gli
uomini vivono in una palude stagnante,
dove smuovendo l’acqua in superficie
niente di nuovo creano.
Coinvolgere gli artisti rimane l’azione
meritoria, spiriti liberi potranno creare
nuova linfa, aiutarci a guardare l’invisibile, il non espresso, di cui abbiamo
disperatamente bisogno quando tutto
sembra portarci solo nel regno dell’utile.
La mostra dedicata a Visconti ha registrato un buon numero di visitatori,
frequentatori occasionali dell’isola, e
questo conforta nella linea di una sempre maggiore valorizzazione di una
struttura dal fascino culturale notevole,
di cui Ischia deve essere solo orgogliosa
e diffonderne instancabilmente la conoscenza.
A motivo di una precedente programmazione, solo dopo qualche settimana
La Colombaia ha ospitato, in un altro
ambiente, una mostra diversa, i cui protagonisti sono stati questa volta i giovani aspiranti grafici dell’I.P.S “Telese”
e il tema: la villa e Visconti. I lavori
molto pregevoli hanno messo in luce
tanti talenti che, con tecniche appartenenti alla tecnologia del nostro presente,
hanno interpretato questa realtà, prima
poco conosciuta. Una sorpresa felice e
beneaugurante in linea con l’auspicio
che proprio la nuova generazione possa
contribuire a tenere vivo l’interesse per
quella cultura che appartiene a tutti noi.
Per questo evento si era previsto un
premio, dato in exaequo a due giovani,
Tom Fiorentino e Dayana Chiocca, al
primo per una grafica chiara e comunicativa, alla seconda per l’idea elaborata
con gusto estetico.
La storia di Ischia continua, in questo
senso, coi migliori auspici.
Lina D’Onofrio
Festival Visconti 2013
“Un viaggio con Luchino tra cinema, letteratura e musica”
Da mercoledì 24 luglio a giovedì 1 agosto
2013, alla villa La Colombaia di Forio, si è
svolto il Festival Visconti 2013 con una serie
di manifestazioni e proiezioni, incontri culturali e musica.
Mercoledì 24 - Duetti d’amore: Patrizia Orciani Soprano, Eufemia Tufano Mezzosoprano, Roberto Iuliano Tenore Carlo Barricelli Tenore, Dragan Babic Pianoforte.
Giovedì 25 - Proiezione del film Senso
Venerdì 26 - Proiezione del film Gruppo di
famiglia in un interno
Sabato 27 - Visconti scrittore: “Frammenti
inediti” - Veronica Zucchi, Attrice - Prof.
ssa Sonia Gentili - Università la Sapienza
Roma - Prof. Giorgio Patrizi - Università del
Molise
Domenica 28 – Harmonie de soir - Eufemia
Tufano Mezzosoprano, Sergio La Stella,
Pianoforte - Maria Grazia Schiavo, Soprano
Lunedì 29 - “Gattopardo Segreto” collage
testi testimonianze, dialoghi e interventi critici - Luca Archibugi, scrittore e regista Rai
- Prof. Rino Caputo, Università Tor Vergata
- Dr. Franco Cordelli, Corriere della sera Giorgio Patrizi.
Martedì 30 – Proiezione del film Il Gattopardo
Mercoledì 31 - Visconti: autoritratti perduti
e ritrovati - Studi di Luca Archibugi, interpretazioni di Veronica Zucchi - Prof. Siriana
Sgavicchia, Università per stranieri Perugia
- Sonia Gentili
Giovedì 1 - In carrozza per l’Europa - Giulia
Lucrezia, Brinckmeie Violino - Renata Benvegnù Pianoforte.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
51
I vincitori dell’Ischia Film Festival 2013
Premiati ‘L’alfabeto del fiume’, ‘Margerita’ e ‘La guerra dei vulcani’. Ad Abbas Kiarostami il Premio Castello Aragonese per la regia. A Jean Sorel premio alla carriera
Il primo premio della sezione documentari è andato a ‘La guerra dei
vulcani’ di F. Patierno che a cavallo tra il cinema del reale e il melò
porta avanti la narrazione in modo
originale, prendendosi il lusso di
dirigere, attraverso il montaggio,
due dive come Anna Magnani e Ingrid Bergman. La Storia incontra
la Settima Arte in un film unico nel
suo genere. Un lavoro di grande
impatto dunque, che ha conquistato la Giuria, composta da Vittorio
Giacci, Giuliana Muscio, Chiara
Martegiani, Antonio Capellupo.
Il premio per il Miglior Cortometraggio è andato invece a ‘Margerita’ di Alessandro Grande, una fiaba moderna che prende vita in una
Roma multietnica, mettendo l’uno
di fronte all’altro un giovane ladruncolo rom e una violinista italiana. Grande dimostra che il contatto fra due culture, apparentemente
molto distanti tra loro, può avvenire
attraverso le note di uno Stradivari
e la comunicazione universale della
musica.
Nella sezione Location Negata
ha trionfato invece ‘L’alfabeto del
fiume’ di Giuseppe Carrieri, film
ambientato sulle rive del Gange, location di morte e di fame, in cui un
professore illuminato prova a donare un futuro alle nuove generazioni
attraverso la cultura. Un documentario importante, che sa trovare il
giusto equilibrio tra realtà e poesia.
Abbas Kiarostami, uno tra i registi più apprezzati a livello internazionale, amato da Godard e
Scorsese, si è aggiudicato il Premio
Castello Aragonese come miglior
regista, per ‘Qualcuno da amare’.
Il Premio Aenaria per la migliore
52 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
scenografia è stato invece assegnato a Rossella Guarna per ‘11 settembre 1638’ di Renzo Martinelli, che
narra dell’assedio tenuto a Vienna
da parte di trecentomila guerrieri
dell’Impero ottomano.
Il premio Epomeo per la miglior
fotografia è andato ad Arnaldo Catinari per ‘Viaggio sola’ di Maria
Sole Tognazzi, storia di Irene, una
quarantenne single che viaggia per
il mondo valutando gli standard degli alberghi di lusso.
Nell’ambito del Festival è avvenuta inoltre, la consegna del premio
Italian Film Commission al film
‘L’intervallo’ di Leonardo Di Costanzo. «Siamo particolarmente orgogliosi di premiare Leonardo per
quest’opera prima che è stata tanto
apprezzata da pubblico e critica ma
siamo altrettanto felici di riaverlo
qui ad Ischia», ha dichiarato il direttore del festival Michelangelo
Messina. Nelle edizioni precedenti
gli artisti di origini ischitane premiati dal festival sono stati l’attore
Eduardo Ciannelli, l’attore e produttore Renato Romano, e l’attrice
Lucianna De Falco.
Il Foreign Award in collaborazione
con APE (Associazione Produttori
Esecutivi) è stato assegnaro al produttore Donald Rosenfeld per ‘Effie’, scritto da Emma Thompson.
Menzioni speciali per la sezione
location negata a: ‘Dell’arte della
guerra’ di Luca Bellino e Silvia
Nuzzi, a ‘Anija – La nave’ di Roland Sejko, per la sezione documentari a “Lovebirds-rebel lovers
in India’ di Giampaolo Bigoli.
Premio alla Carriera a Jean Sorel per le sue magistrali interpretazioni nei film di maestri del cinema
francese, internazionale, ma soprattutto italiano. E per aver contribuito
a raccontare la storia e il costume
del nostro paese, affidandosi con
generosità alle visioni di Visconti,
Risi, Lizzani, Bolognini e Loy.
L’undicesima edizione dell’Ischia Film Festival ha visto la partecipazione di grossi personaggi
della cinematografia italiana come
Massimo Ghini, Renzo Martinelli,
Enrico Lo Verso, Francesco Patierno.
*
Pagine d’autore
Cavascura
Ezio Bacino
in Italia oro e cenere
Vallecchi Editore, Firenze 1953
A S. Angelo appare di Ischia il volto «duro» che è
«molle» e soffuso di un’atmosfera climatica sull’altro
versante dell’isola che scorre tra Ponte di faccia al Castello e Forio spalancata al mare aperto. Da questo lato
Ischia scivola dolcemente in verdissime balze di vigne
e di pinete giù dall’onnipresente vetta dell’Epomeo,
che sovrasta l’isola e ne ingombra l’orizzonte con la
sua alta piramide; la colata vulcanica dell’Arso spiccia
dal cono del vulcano che ha figura e grandiosa serenità
di un Olimpo, per discendere al mare tra Ponte e Porto
con un nero fiume di lava e di lapilli folto di pini e di
gialle ginestre. Da questo lato Ischia è dunque accogliente e portuosa, ricca di grazie pittoresche anche un
po’ facili, nutrita di servizi pubblici, di terme, di bagni;
fronteggiando da breve distanza le rive di Procida, del
Monte omonimo e di Capo Miseno - così che tutto spalancato e imminente è il paesaggio dei Campi Flegrei
e di Pozzuoli e di Baia - si può qui credersi su di un litorale di terra ferma, in riva ad un vasto canale, fervido
di traffici, di navi, di vele, e di richiami di sirene.
Poi dietro il Castello, che s’erge quasi a segnare un
confine misterioso in direzione di Punta S. Pancrazio, e
al di là di Forio, tutto cambia. Il paesaggio e l’anima di
Ischia si fanno duri, isolani, quasi inaccessibili. Il senso autentico dell’Isola e di quella solitudine e precarietà che esso comporta al cospetto di un mare aperto,
dominante senza confini, lo si conquista di qui, dove
il colore e la natura delle coste muta radicalmente, il
verde intenso e folto delle pinete e dei vigneti cedendo
al giallo arso e al biancore spettrale delle rocce e delle
scogliere a picco sul mare, alla grandiosa desolatezza
delle spiagge distese ai piedi di dirupi e di anfiteatri
di tufo, cosparsi di un’arida vegetazione di canne, di
agavi e di fichidindia. Ardue scale tagliate nella roccia,
sentieri angusti e precipiti lastricati di piastre di lava
aggrediscono le pareti impennate dove s’aprono oscure
occhiaie di grotte e di misteriosi spechi e le case son
rade tra le macchie pallide ed i cespugli aggrovigliati e
serpentini delle grasse vegetazioni mediterranee.
Paiono due mondi incomunicanti, quello delle cittadine asfaltate e largamente motorizzate dall’aspetto
continentale già così campano e tanto napolitano e
quello di S. Angelo, lo sperduto riarso borgo peschereccio che con le sue case calcinate poste l’una sull’altra alla ventura come dadi di un gioco precario prean53 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
nunzia un’atmosfera d’Africa, il clima assorto, intenso
e violento delle isole del Sud. Un breve candido istmo
di sabbia, che il mare nella stagione inclemente spesso
ricopre o sovrasta, lo collega al monte. Questo litorale - sul quale il villaggio di S. Angelo con le sue case
calcinate e tutte scheletro sta come uno sdrucito relitto
di veliero di fronte ad un mare senza terre all’orizzonte
- è un mondo sperduto e senza tempo. Da un lato la costa prosegue per insenature deserte dalle pareti di tufo
alte a picco sull’acqua fonda. Ma sono inusitate rocce
in forma di pilastri immani, di monoliti giganteschi, di
trabeazioni di una qualche edificazione egizia o babilonica, così come appaiono tagliate con nitidi spigoli
a gradoni e ad anfiteatro; una specie di Valle del Re,
una Luxor colma di obelischi, di stele, di colonne e di
timpani templari invasi dalle acque.
Dall’altro lato ha inizio la gigantesca e selvaggia pista
di sabbia dei Maronti; quasi il preludio di un deserto,
nel quale le affioranti effusioni di un tumulto sotterraneo, fumarole, soffioni e sorgenti d’acque radioattive
denunziano una vitalità incontinente di vulcano non sedato. Ad ogni passo ti accorgi che la sabbia ti arde sotto
i piedi, che la roccia soffia fumi e vapori misteriosi,
che il mare presso la riva sabbiosa ferve di bolle d’aria
affioranti e brucia. I reumatici e gli artitrici vengono
da tempo immemorabile a cercare tra queste sabbie e
questi fanghi bollenti la salute miracolosa ; le donne la
grazia della fecondità. Si coglie nell’aria opalina una
vibrazione esilarante, quasi allarmante che viene attribuita alla radioattività e si traduce in ansia di vita, in
amoroso abbandono.
L’ora era ormai meridiana quando da S. Angelo
discesi e mi incamminai a piedi nudi lungo la spiaggia, verso Testaccio e Barano, alte sulla balconata
del monte, là dove le sabbie dei Maronti si estenuano
ineffabilmente nella costa che nuovamente si aderge
alta e rocciosa. Laggiù all’orizzonte le rupi di Punta
S. Pancrazio si impennavano in cupole gugliate e in
neri pinnacoli floreali di pagode indonesiane; una fata
morgana, un miraggio di fragili architetture buddiste
in porcellana. Procedendo faticosamente lungo il sentiero di rena battuta, che i passi dei viandanti hanno
tracciato serpeggiante, apparivano di tempo in tempo
figure umane, isolate o a gruppi, distese immote sotto cumuli di sabbia rovente. Solo le teste emergevano
con gli occhi volti al cielo come da sarcofaghi arcaici.
Altri corpi si aggiravano fantomaticamente paludati
di bianchi lenzuoli; spettri sbalzati in una luce viva di
mito. Altri venivano ricoperti di sabbie balsamiche da
parenti ed amici; altri ancora seppelliti a breve distanza
l’uno dell’altro, scambiavano rade e lente parole con
la faccia di terracotta rivolta alla luce che si faceva
vieppiù languida e trasparente di rosa, mentre il mare
con il lieve ansito di spume rodeva la sabbia ai piedi
La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
53
dei tumuli di quel vivo sepolcreto di dannati. Sotto la
spalliera di roccia friabile, che accompagna chiomata
di stocchi di agavi e di tormentati viluppi di fichidindia
la spiaggia, la terra vaporava e fumava; preannunciava
le acque bollenti di Cavascura. Proseguii tra spiaggia
e mare, fino a che a mezzo quasi dei Maronti un’alta,
angusta e profonda fenditura mi apparve che spaccava
la balconata di roccia fronteggiante l’orizzonte e serpeggiando s’apriva a forza il varco verso il cuore del
monte. Ne discendeva un rivolo, un torrentello di acque grigie e tepide che incidevano nella sabbia il loro
letto, fluendo al mare. Quella fenditura saettante, quasi
tracciata dalla folgore, era la soglia di Cavascura.
All’ingresso una grotta profonda e fresca e una rudimentale tettoia di stuoie con rozzi tavoli e sgabelli
funge da taverna per i viandanti diretti alle acque miracolose che scendono dal cuore segreto della montagna.
Vi si beve vino rosso spillato dalle vigne di Barano prima di iniziare l’esplorazione delle sorgenti che sono
in alto all’origine di questo serpeggiante vallone, quasi
un letto di torrente montano incassato tra alte rive e
volubili tornanti di roccia grigia e friabile. Quando si
è dentro ci si sente al fondo di un canyon; svettano alti
nel cielo pinnacoli di roccia, cesellati dalla perenne
erosione, mentre l’acqua tra i piedi continua a fluire
discendendo il misterioso canalone verso la spiaggia.
Di tanto in tanto, in cima a scale e terrazze scavate nei
fianchi del canalone, appariva qualche rozza taverna,
un improvvisato pergolato di stuoie, sorte presso grotte
naturali o spechi di antichi bagni e cave di pietra; ne
uscivano voci isolate di misteriosi abitatori che risuonavano nella solitaria gola come echi armoniosi di un
mondo ultraterreno.
L’impressione di aggirarsi in una sorta di mitico Averno, o piuttosto attorno alle spire di un girone infernale,
nasceva dal dantesco paesaggio che ad ogni svolta offriva la vista di nuovi e più bizzarri pinnacoli di roccia
calcarea, una fungaia di stalattiti erose dall’acque che
come le canne di un organo frangiano le pareti impennate della gola. Infine un vocio più fitto ed un crosciare
di acque annunzia al di là dell’ultima svolta la prossima fine del canalone che si è fatto sempre più angusto e
profondo, mentre la luce si attenua e penetra con fatica
dall’alto. Dietro bianchi lenzuoli appesi si aprono le
cavità delle celle antichissime, scavate nella viva pietra
in foggia di camere e di loculi sepolcrali; entro ciascuna di queste che assomigliano alle etrusche tombe a camera di Tarquinia, una vasca rettangolare è scavata nel
pavimento di sasso con un origliere anch’esso di pietra
consunta ; primordiali canali scoperti corrono lungo le
soglie delle celle, gli uni recando alle vasche il flusso
delle acque radioattive che spicciano bollenti dal tufo,
gli altri scaricando l’acqua già usata.
Due grandi cisterne raccolgono l’una l’acqua bollen54 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013
te, l’altra quella che le donne di Cavascura tengono a
raffreddare per graduarne il calore. È questo forse il più
antico stabilimento termale del mondo. Nulla è mutato
da allora, da quando se ne avvalsero romani e Borboni.
I gesti delle bagnine hanno un che di antico e di rituale,
quando con i grandi secchi a mano empiono le vasche
e ne stemperano il calore, o stendono i grandi lenzuoli
che fungono da tendaggi alle celle. Ma quando la stagione inoltra incontro all’inverno le donne di Cavascura tolgono tende, asciugamani e secchi e discendono
con le loro poche robe verso la spiaggia dei Maronti;
risalgono ai paesi alti sul monte.
Cavascura rimane allora deserta con i suoi canali e le
sue antiche celle spalancate sul silenzio inviolato della gola montana; ogni viandante che risalga il tortuoso
e selvaggio vallone può bagnarvisi ed abbeverarsi al
suo tepore salmastro. Tutto è vago e incerto attorno a
queste acque, a questo luogo remoto in un limbo magico spirante un’aura taumaturgica; la scienza medica
e quella chimica si sono arrestate alle soglie della gola
ed anche più lungi dei Maronti perché non fosse violato forse questo clima di stregoneria e di leggenda che
affascina uomini alla ricerca della vigoria giovanile e
donne ansiose di fecondità.
Il cielo era alto nell’ora che volgeva al crepuscolo,
alto e dolcemente spettrale sulla selva di guglie affilate
coronate dai petali di strane rose gotiche sopra le canne
appena stormenti; sopra le agavi stupefatte e le braccia
demoniache dei fichidindia in tormento. Si libravano
con lente ruote i corvi sul girone infernale di Cavascura
come attorno all’orifizio di una grotta oracolare, dove
si traessero auspici dagli orecchi di Dioniso degli spechi e delle vasche, tra i fumi delle acque in bollore. Le
vasche popolate di corpi ignudi parevano letti e triclinii sormontati da statue vive e sorridenti; e le vigorose
ed onuste sacerdotesse di quel rito propiziatorio continuavano a versare torrenti d’acque radioattive, mentre
i grandi lenzuoli pendevano dinanzi alle celle come
bianchi sudarii.
*
Rassegna libri
Nathaniel Hawthorne
Wakefield e altri racconti
Gérard De Nerval
Sylvie
Alexander Kuprin
Il capitano Rybnikov
Ion Luca Caragiale
Cănută lo strambo
Karel Capek
Racconti tormentosi
Rabindranath Tagore
La luce
Luigi Ziviello
Il protomedio Francesco Buonocore
Giovanni Angelo Conte
Calzini di polvere
Caterina Impagliazzo
Alterego
La pergamena contenente le isole di Ischia, Procida e S. Stefano. Notare la lacerazione in basso
a destra.
Parte centrale della pergamena che contiene l'isola d'Ischia
e Procida. All'interno pagine 5-15