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Roma, 11 novembre 2016
Presentazione di SHOE REPORT/2016
[8° Rapporto Annuale sul settore calzaturiero e sulle relazioni delle imprese col
sistema creditizio e finanziario. Realizzato con il contributo di theMICAM, da
Ermeneia - Studi & Strategie di Sistem]
Intervento di Valeria Fedeli
Buongiorno a tutte e tutti e grazie per l’invito.
Ho seguito per anni il settore calzaturiero, condividendo con voi - nella mia esperienza sindacale analisi, strategie, momenti difficili, scelte di rilancio.
Oggi, nella veste di Vice Presidente del Senato, è un onore poter continuare a dialogare e contribuire
alle vostre riflessioni e alle nuove sfide che avete di fronte.
Il calzaturiero è un settore strategico per il nostro paese, una delle eccellenze del made in Italy per
cui siamo apprezzati nel mondo.
È un dato storico e un’esperienza diffusa, che può sperimentare chiunque ha l’occasione di viaggiare
o incrocia i turisti che vengono a visitare l’Italia e a comprare le nostre produzioni di qualità.
I prodotti che nascono dalle vostre competenze e dalla vostra passione sono motivo di orgoglio per
tutto il Paese.
Non anticipo i dati del rapporto, ma non svelo nessun segreto dicendo che il settore è stato tra quelli
che meglio ha reagito alla crisi, sapendo continuare a far crescere il valore di produzioni ed export.
Seppur con una diminuzione del numero di imprese, infatti, il valore creato dal settore è cresciuto del
2,4% negli anni della crisi, soprattutto grazie ad un +25,2% dell’export.
È evidente che non tutto è rimasto come prima della crisi. Ascolteremo dal rapporto quali
trasformazioni ci sono state nell’assetto delle imprese, ma ci tengo a sottolineare un punto.
Il calzaturiero - nel suo insieme - ha dimostrato in questi anni di saper capire i cambiamenti,
interpretarli e reagire ad essi con nuove strategie.
Credo - non da oggi - che questa sia una capacità fondamentale: viviamo in tempi in cui il
cambiamento, il succedersi di crisi e riprese, l’impatto della globalizzazione richiedono a tutti i
soggetti di confrontarsi con la comprensione e il governo di ciò che cambia intorno a noi.
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È una responsabilità della politica in primo luogo, ma è poi una sfida che occorre vivere insieme istituzioni, forze sociali e imprenditoriali - condividendo prospettive e azioni da realizzare (forse
qualcuno di voi ricorda quello che ho detto per tanto tempo: il futuro è di tutti, ma è uno solo, e
occorre saper condividere le scelte per governarlo).
In questi anni di trasformazioni un settore come il vostro, proprio per quell’eccellenza che vi porta in
tutto il mondo, ha dovuto fare i conti, prima di molti altri, con la globalizzazione.
La globalizzazione riguarda la qualità della vita, incide direttamente su quanto l’economia può essere
a misura di persona e sugli equilibri della democrazia di questo nuovo secolo.
Anche grazie alla collaborazione tra imprese e sindacati, in settori come quello calzaturiero si è
maturata la condivisa consapevolezza che la sfida era da giocare su qualità e innovazione, sapendo
coniugare design, bellezza e stile con le capacità manifatturiere, artigiane e industriali.
Solo in questo modo era ed è possibile provare a non subire la globalizzazione, ma anzi a governarla,
a competere secondo un modello di sviluppo e di benessere etico e sostenibile.
Poi, mentre si stavano superando le difficoltà derivate dall’apertura dei mercati e dall’ingresso della
Cina nel Wto, è arrivata la crisi.
Ma aver scelto di puntare su qualità, innovazione e sostenibilità ha permesso al settore di ottenere i
risultati che prima ricordavo e di trovarsi oggi pronto a nuove sfide
In questo senso vi confermo la mia piena disponibilità a continuare a lavorare insieme. Anche per gli
obiettivi che oggi emergeranno dal rapporto, sia di riorganizzazione del settore che di rapporto con il
sistema bancario e creditizio, che ovviamente di valorizzazione del made in Italy.
L’ho detto tante volte: il made in Italy non è un ambito produttivo e commerciale settoriale, né legato
al lusso.
Non è un insieme di prodotti, ma un sistema di valori che unisce nell’esperienza e nell’immaginario
dei consumatori di tutto il mondo qualità produttiva e qualità della vita.
Chi osserva, consuma, acquista un prodotto made in Italy sceglie un po’ di Italia per arricchire la sua
vita.
Ecco perché credo che il made in Italy sia un programma per l’Italia.
2! di 4!
È un modello di sviluppo etico e sostenibile, fondato su passione imprenditoriale, qualità
manifatturiera e artigiana, ricerca e innovazione, rispetto dei diritti del lavoro e della salute delle
persone, stile, creatività e bellezza, green economy, valorizzazione dei beni culturali e naturali.
Voi lo sapete bene, perché il contesto in cui operate ogni giorno.
Dobbiamo però riuscire a trasformare questa consapevolezza in una visione larga e condivisa.
Si tratta di valorizzare la nostra più straordinaria carta di identità nel mondo.
E occorre farlo continuando condividere obiettivi e percorsi.
Dobbiamo passare da una fase di rilancio lasciata a singoli settori ad un investimento generale,
rinnovato e strategico, per dare al paese serie politiche industriali.
L’industria è tornata in testa alle priorità del governo, che con Industria 4.0 ha lanciato proprio un
modello di politiche industriali che individua e investe sui fattori strategici per la competitività del
futuro, sapendo anche attivare quella collaborazione larga tra imprese, rappresentanza sociale,
competenze, ricerca.
Sono fattori che le filiere e i distretti del made in Italy conoscono e praticano.
Deve essere chiaro, però, che l’unico modo per valorizzare davvero la nostra qualità produttiva,
anche nella competizione globale, è rilanciare la dimensione europea.
Dobbiamo sapere realizzare un’Europa della crescita, che torni ad investire sullo sviluppo, che
accetti la sfida - nuova, affascinante e ambiziosa - lanciata dall’Onu con l’Agenda 2030 per lo
sviluppo sostenibile.
L’Europa è anche l’unico soggetto che può agire per introdurre regole di reciprocità nei mercati
internazionali, per ottenere la tracciabilità delle produzioni, per garantire serie ed eque relazioni
commerciali e combattere la concorrenza sleale che subiscono le nostre produzioni.
Solo così, se riusciremo a rendere universali i diritti umani e dei lavoratori, di dignità e rispetto della
persona, di salario e di libertà, potremo far vincere un modello etico, di qualità produttiva e qualità
della vita come il made in Italy.
Credo che di fronte a noi ci sia l’opportunità di unire uguaglianza e bellezza in una visione di Paese
che ci permetta di ricostruire una prospettiva di crescita e di competitività che sia coerente con la
nostra storia, con quei valori che all’esterno ci riconoscono, con le nostre migliori forze ed energie.
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Una scarpa italiana può essere il simbolo di un paese che vince le sfide del futuro.
Chi compra quella scarpa, chi compra made in Italy, aderisce ai nostri valori e al nostro stile di vita.
Accetta una promessa di qualità, di etica, di uguaglianza e bellezza.
I consumatori sanno che quella scarpa è stata prodotta da donne e uomini che hanno competenze,
spirito di innovazione, conoscenza diffusa.
Sanno che è stata prodotta in un territorio che tutela e promuove bellezza e benessere.
Sanno che è stata prodotta da aziende che rispettano le differenze e valorizzano il contributo di
lavoratrici e lavoratori.
Però competenze, conoscenza e innovazione devono diventare asset di sistema.
Però rispetto e valorizzazione delle differenze devono essere i fattori su cui costruiamo crescita e
benessere.
Però di quel territorio dobbiamo prenderci cura - e lo dico con il dolore del terremoto ancora vivo, e
con la consapevolezza che nei territori colpiti ci sono anche distretti importanti del made in Italy.
Abbiamo un modello, ma dobbiamo riconoscerlo e farlo diventare un programma di sviluppo.
Il made in Italy è la cornice che definisce il nostro passato e dentro la quale possiamo ritrovare il filo
per raccontare e costruire il futuro, per ritrovare il senso di noi stessi e il nostro posto nel mondo.
Grazie.
4! di 4!